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La morte nella vita: “Sépolture” di Baudelaire

28 Nov 20

A cura di Sabino Nanni

        Epicuro sosteneva che quello della morte è un falso problema; a suo avviso si tratta di una realtà con cui ciascuno di noi non si dovrà mai confrontare: “quando ci sono io, non c’è la morte, e quando c’è la morte non ci sarò io”. Ciò vale, indubbiamente, per la morte biologica. Tuttavia, l’idea della fine della nostra esistenza è presente anche quando “ci siamo”: la morte è parte dell’esperienza della vita, è il lato più oscuro e sinistro del nostro vivere. È la testimonianza indiscutibile della precarietà di tutto quel che ci riguarda, del nostro stesso essere: tutto è destinato a finire. Alla luce di questa consapevolezza, tutto il resto assume un nuovo significato; ed è ad essa che alludiamo quando parliamo di “morte”; non della fine della nostra esistenza corporea che, come sosteneva Epicuro, non ci riguarda.
        Nessuno dei vivi, ovviamente, ha mai esperimentato di persona cosa c’è oltre la fine; ciò, quindi, può essere solo oggetto di ipotesi, o di fantasie, o di fede. Ognuno si forgia la sua idea di “morte” in base ai suoi desideri e alle sue paure. Il grave depresso con idee di suicidio immagina la morte come fine dei tormenti della sua esistenza. Sulla base delle oscure tracce mnestiche della vita intra-uterina, la concepisce come recupero della condizione di quiete e beatitudine che caratterizzava la sua esistenza prima di nascere. Se tale fantasia prende il sopravvento sull’esame di realtà, diviene estremamente pericolosa. Altri, al contrario, si creano un’idea tormentosa di quel che c’è oltre la morte, e ne sono ossessionati. Un’illustrazione di questo punto di vista ci è offerta da Baudelaire nella sua poesia “Sépolture”:

 
Si par une nuit lourde et sombre
Un bon chrétien, par charité,
Derrière quelque vieux décombre
Enterre votre corps vanté.
 
A l’heure où le chastes étoiles
Ferment leurs yeux appesantis,
L’araignée y fera ses toiles,
Et la vipère ses petits ;
 
Vous entendez toute l’année
Sur votre tête condamnée
Les cris lamentables des loups
 
Et des sorcières faméliques,
Les ébats des vieillards lubriques
Et les complots des noirs filous.
 

(Se, in una notte greve e cupa / un buon cristiano, per carità, / dietro qualche vecchio rudere / seppellisce il tuo corpo ora così decantato, // all’ora in cui le caste stelle / chiudono i loro occhi appesantiti, / il ragno vi fa le sue tele / e la vipera i suoi piccoli; // tu senti tutto l’anno / sul tuo capo condannato / gli urli lamentosi dei lupi // e delle streghe fameliche, / i trastulli dei vecchi lubrichi / ed i complotti dei neri imbroglioni.)

 

        La morte è immaginata, in questi versi, come il riemergere di una vita “notturna”, in cui prendono forma tutte quelle immagini persecutorie che compaiono ai primordi della nostra esistenza; immagini che (finché c’è) la vita adulta e vigile mette in ombra. È qui descritta una forma di fragilità, o di decadimento senile, portati all’estremo; questi, a loro volta, sono immaginati come regressione all’epoca in cui il bambino, nei momenti in cui si si sentiva abbandonato, si ritrovava privo di risorse, impotente, indifeso, in balìa di un mondo ostile. I verbi che descrivono questa scena sono tutti al presente indicativo: ciò è significativo di un’esperienza vissuta come concreta, reale, e non in una dimensione fantasiosa; un’esperienza in cui non c’è più un passato o un futuro: tutto è immobile, tutto è senza tempo.
        I due esempi che ho presentato (la morte desiderata dal candidato al suicidio e quella fortemente temuta da chi ne è ossessionato) illustrano che quando una persona parla di “morte”, in realtà sta alludendo ad aspetti intollerabili della sua vita; e, se la vogliamo aiutare, è di questi che ci dobbiamo occupare, non della morte biologica. Il depresso ha bisogno d’essere aiutato a superare il lutto per una condizione “beata” che non tornerà mai più; compito che non può essere disgiunto dalla riscoperta dei motivi per cui vale la pena di vivere. L’ossessionato dall’idea della morte ha bisogno d’essere aiutato a rafforzare l’esame di realtà; ossia a capire in che misura può essere giustificato il suo timore di un ritorno ad una condizione infantile di fragilità ed abbandono. Ha anche bisogno d’essere aiutato a capire se, al di sotto della paura, c’è anche il desiderio di porre fine alle sue sofferenze con la morte. In entrambi i casi, è necessario che il bambino che c’è in ciascuno di noi sia compreso nei suoi desideri e nelle sue paure; ed è non meno necessario che questo bambino non prenda il sopravvento sull’adulto che, pure, c’è in ciascuno di noi. 

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