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LA MEMORIA ATTRAVERSO UN PORTALE: “Intellettuali ebrei in fuga dall’Italia fascista”

30 Gen 21

A cura di Paolo F. Peloso

Il 27 gennaio 1945 l’esercito sovietico liberava il lager di Auschwitz. Lo spettacolo che si trovò davanti fu agghiacciante e scioccò il mondo: mai probailmente lo sterminio di massa era stato organizzato in modo così tecnologico, industriale. Il 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria, con la risoluzione 60/7 l’Assemblea generale delle Nazioni unite individuò quella data per commemorare ogni anno le vittime dell’olocausto. Quando, dopo l’armistizio del 8 settembre 1043 le truppe della Germania nazista occuparono l’Italia, iniziò anche nel nostro Paese, spesso con la collaborazione delle autorità e della polizia fasciste, la deportazione degli ebrei verso i campi di sterminio. Tale fenomeno non risparmiò i ricoverati degli ospedali psichiatrici del nord-est. La ricerca degli ebrei fu facilitata dal fatto che, dall’autunno del 1938, gli italiani erano censiti su base razziale.  Le Leggi per la difesa della razza emanate in quell’occasione avevano  espulso, tra le altre cose, gli stranieri rifugiati e gli italiani di razza ebraica  dalle scuole e dalle Università dove insegnavano o studiavano. Molti di essi furono costretti, o scelsero, di lasciare l’Italia.
Concepito da Patrizia Guarnieri – storica della psichiatria autrice tra l’altro di Individualità difformi. La psichiatria antropologica di Enrico Morselli (Franco Angeli, 1985), La storia della psichiatria. Un secolo di studi in Italia (Olshki, 1991), L’ammazzabambini. Legge e scienza in un processo di fine Ottocento (Laterza, 2006), Senza cattedra. L’istituto di psicologia dell’università di Firenze tra idealismo e fascismo (Firenze University Press, 2013) – in occasione dell’ottantesimo anniversario dalla promulgazione delle leggi razziali nel 2018 e promosso dall’Università di Firenze, il portale open access Intellettuali in fuga dall’Italia fascista (raggiungibile attraverso il link) ricostruisce l’emigrazione di studiosi e studenti ebrei che espatriarono dopo l’allontamento dalle cattedre e dalle aule scolastiche a seguito delle leggi razziali emanate dall’Italia fascista nel 1938.
Come scrive Guarnieri nel presentare l’iniziativa (vai al link), una sorta di reticenza rispetto a queste vicende, e alle difficoltà che l’applicazione concreta del reintegro incontrò in molti casi, durò ben oltre la fine del fascismo. Almeno finché «con il 50° anniversario delle leggi razziali nel 1988, si è avuta una spinta a studiare la persecuzione degli ebrei in Italia, che in Germania conta molto più numerose indagini. Nel 1997 Finzi e Ventura hanno ricostruito i primi elenchi non definitivi sul personale cacciato dalle università italiane, sede per sede:  96 professori ordinari espulsi  e circa 140 aiuti e assistenti di vario grado, inclusi i volontari».
Occorre però ancora recuperare le vicende meno note e dimenticate, sia degli italiani che di coloro che avevano cercato rifugio dall’antisemitismo nazista in Italia, e ricostruire in molti casi, anche per i casi più noti, la vita e la carriera all’estero.
Un elemento decisamente originale nella lettura che il portale propone mi pare quello di non intendere solo denunciare l’ingiustizia subita dalle vittime – evidente a chi non sia decisamente in malafede, o non sia del tutto oscurato nella visione dall’adesione a quell’ideologia senza idee che è il fascismo – ma di dimostrare anche l’offesa contestualmente fatta dal fascismo all’Italia, col privarla di tante intelligenze che avrebbero potuto arricchirla in molti campi del sapere.
Fu una ferita aperta per ragioni del tutto artificiose nella comunità nazionale che ne seguiva altre – la “guerra dentro” dichiarata dal governo fascista, complice la monarchia, agli antifascisti per prima – attraverso leggi emanate sulla base di un manifesto “ideologico” del quale più ancora che la ferocia evidente offendono la superficialità, l’ignoranza, la confusione (sul tema, si veda in questa rubrica 1938-2018. Ottant’anni dal Manifesto degli scienziati razzisti, attraverso il link).  
La ricerca promossa da Guarnieri è iniziata dalla Toscana, relativamente alla quale ha curato nel 2020 il volume: L’emigrazione intellettuale dall’Italia fascista. Studenti e studiosi ebrei dell’Università di Firenze in fuga all’estero (Firenze University Press). Dal 2018 era incominciata sul portale la ricostruzione delle singole vicende, perché «la scelta di pubblicare un data base in open access e in continuo aggiornamento è legata alla speranza di ottenere segnalazioni e documentazione ulteriori da altri studiosi e da chiunque ne sia informato».
Nell’elenco, che attualmente consta di oltre 350 nomi, tra i più noti riconosciamo lo psicologo Enzo Bonaventura (1891-1948), il cui profilo redatto da Guarnieri informa che, incaricato dell’insegnamento di psicologia sperimentale dell’Università di Firenze dopo l’allontanamento dell’antifascista Francesco De Sarlo (1864-1937) nel 1923 e attivo nel movimento sionista, dopo aver pubblicato nel 1938 il volume La psicoanalisi con Mondadori si trovò privato del lavoro e nel 1939 fu costretto a riparare all’estero, approdando alla Hebrew University di Gerusalemme. Morì vittima di un attacco arabo nel corso delle vicende che nel 1948 tormentavano la Palestina e le questioni accademiche inerenti il suo mancato ritorno all’universitàè italiana dopo il ’45, ricostruite con puntualità, meritano senz’altro la lettura. Poi troviamo il neurofisiologo Giuseppe Levi (1872-1965), padre di Natalia Ginsburg, che presso il suo laboratorio a Torino formò tre futuri premi Nobel: Salvador Luria, Renato Dulbecco e Rita Levi-Montalcini. Firmatario del manifesto di Benedetto Croce sull’autonomia della cultura dalla politica e noto per le convinzioni antifasciste, subì una carcerazione nel 1934; dopo il 1938 riparò in Belgio da dove, a seguito dell’invasione tedesca, rientrò in Italia da clandestino. Dopo la Liberazione ebbe la soddisfazione di un pieno reintegro e si candidò nel Fronte Popolare alle elezioni del ’48 (il profilo è curato da Valeria Graffone e Patrizia Guarnieri). La stessa Graffone si occupa di una delle figure più note, Rita Levi Montalcini (1909-2012) che si era laureata a Torino nel 1936 e l’emanazione delle leggi razziali sorprese assistente volontaria presso la Clinica delle malattie nervose e mentali, allora diretta da Ernesto Lugaro (1870-1940) il quale, tra gli psichiatri italiani dell’epoca, si distinse per fanatismo antitedesco nel corso della prima guerra mondiale, ma successivamente anche per un atteggiamento coraggiosamente critico e disincantato verso il regime. «Non voleva andarsene dall’Italia» – scrive di lei Graffone nel presentarne l’esperienza professionale e umana – «tanto meno star lontana dai suoi familiari. Dispensata dal servizio all’Università di Torino, nel 1939 andò in Belgio per un breve periodo; rientrò, cercò di rifugiarsi in Svizzera, ma non riuscì a passare il confine. Si fermò a Firenze con il falso nome di Lupani; tornò infine a Torino nell’estate del ’45. Due anni dopo, le venne offerta la possibilità di lavorare alle sue ricerche alla Washington University, e partì dunque per Saint Louis. Era la “logica conseguenza” della politiche razziali, visto che in Italia a 38 anni non aveva ancora una sistemazione. Negli Stati Uniti non si lasciarono scappare un talento del genere: doveva starci per sei mesi e vi rimase invece trent’anni». Poi un periodo di oscillazione tra Stati Uniti e Italia – destino comune ad altri di questi intellettuali, come Arieti e Lombroso jr. che vedremo – il Nobel per la medicina nel 1986, il definitivo rientro in Italia con la nomina a senatore a vita e la nobile e anziana intransigenza che tutti ricordiamo verso ogni atteggiamento di incosciente e ipocrita ambiguità su quel fascismo che aveva così stupidamente funestato la sua vita personale, quella di tante persone cui voleva bene e quella dell’Italia.
Tra gli ultimi profili pubblicati, troviamo quello di Silvano Arieti (1914-1981), scritto da Roberta Passione della cui monografia dedicata al celebre psichiatra italoamericano ci siamo recentemente occupati (vai al link). O la rocambolesca vicenda, ricostruita da Guarnieri, di Erich Goldberg (1892-1942?), neurologo e psichiatra tedesco che aveva cercato riparo in Italia nel 1933 e anche di qui fu costretto a ripartire con la moglie – la pediatra Annamarie Eleonore Curth ( 1904- 1997), anch’essa oggetto di un profilo – alla volta dell’Australia. Non riuscì però a giungervi e rimase bloccato a Singapore: fuggito dalla Germania e poi cacciato dall’Italia perché ebreo, sospetto alla Gran Bretagna e internato nei campi di prigionia perché tedesco, morì probabilmente sotto un bombardamento nipponico. È in uscita poi in questi giorni il profilo, tracciato anch’esso da Guarnieri,  di Cesare T. Lombroso (1917-2013), nipote del più noto Cesare (1835-1909) e figlio del fisiologo Ugo (1877-1952), per il quale pure è previsto un profilo come del resto per la sorella Nora (1914-2009), la zia Gina (1872-1944), suo marito, l’antropologo Guglielmo Ferrero (1871-1942) e altri parenti ancora. Studente di medicina a Genova, presso il cui ateneo il padre insegnava, lasciò l’Italia nel 1939 per gli Stati Uniti, dove si laureò, frequentò prestigiosi istituti di ricerca, si sposò, ebbe una figlia e svolse attività politica, per poi rientrare a Genova nel 1946 accolto al Gaslini dal pediatra Giovanni De Toni (1895-1973) come assistente. Deluso dalle prospettive di carriera a Genova, dove comunque mantenne ancora un insegnamento in igiene dell’alimentazione alla facoltà di Farmacia per una quindicina d’anni, nel 1951 ritornò con la famiglia negli Stati Uniti, dove divenne un’autorità internazionale nel campo dell’epilettologia infantile.
Con questa recensione, spero di aver dato un modesto contributo alla divulgazione di questa iniziativa che ritengo importante per una migliore conoscenza del fascismo e della “guerra dentro” che ha condotto, per ragioni politiche o razziste, contro molti italiani, attraverso il volto di alcune delle sue vittime. Ho potuto dare però solo un breve accenno per ciascuno di questi profili, per i quali consiglio invece senz’altro, come per altri pubblicati sul portale, la lettura completa. Tra quelli di prossima elaborazione segnalo lo psicologo Amedeo Della Volta (1892-1995) che fu – come il più noto Marco Levi Bianchini (1875-1961) ad esempio – tra coloro che, in quanto ebrei, subirono con le leggi razziali un doppio tradimento, in quanto italiani e in quanto convinti fascisti; lo psichiatra e psicoanalista Ettore Rieti (1900-1968), attivo negli ospedali psichiatrici genovesi, arruolato nell’esercito americano durante la seconda guerra mondiale e divenuto celebre negli Stati Uniti con il nome di Hector Joseph Ritey; lo psicoanalista Emilio Servadio (1904-1995) che fu tra i pionieri della psicoanalisi in Italia.

Nel video: Trieste 18 settembre 1938. Mussolini annuncia la nuova politica razziale dell'Italia fascista

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