[1] L’articolo riprende parte dei paragrafi a lui dedicati nella nuova edizione del libro di Francesco Bottaccioli “Filosofia per la medicina. Medicina Per la filosofia. Oriente e Occidente a confronto”, in libreria per l’edizioni Tecniche Nuove
Moїse Ben Maїmon, spagnolizzato in Maimonide, ebreo andaluso, egiziano di adozione, rabbino sotto l’islam, è stato un grande esempio di indipendenza e di coraggiosa innovazione della cultura e della medicina
Nacque in un giorno non precisato tra il 1136 e il 1138 a Cordova, la città che ha dato i natali anche ad Averroè. Come Averroè egli era giudice, filosofo, medico e commentatore di Aristotele. E come Averroè aveva un problema fondamentale: la conciliazione della filosofia con la religione. In questo caso, la religione è ebraica, ma, vivendo in un ambiente dominato dall’islam, inevitabile fu anche il confronto con la falsafa (la filosofia araba) e la religione islamica.
Moїse era figlio di un rabbino, membro di una importante famiglia ebraica cordovana, che da generazioni si tramandava il titolo di rabbino e di giudice della comunità locale. Come è accaduto, nelle diverse epoche, anche in questa che stiamo esaminando, per gli ebrei la vita pubblica non era semplice. La famiglia del giovane Moїse dovette lasciare Cordova a causa della forte pressione, cui erano sottoposte le comunità ebraiche dal potere musulmano, affinché si convertissero all’islam. Dopo varie peregrinazioni, la famiglia giunge in Egitto. Alla morte del padre, Moїse assume le funzioni di giudice rabbino della comunità ebraica di Fustat, città dell’area metropolitana del Cairo.
Maimonide è un trentenne che ha studiato diritto, filosofia e, nella capitale egiziana, ha la possibilità di perfezionare i suoi studi di medicina[2]. In questa fase svolge soprattutto un ruolo di prima piano tra gli ebrei egiziani, e inizia a produrre importanti testi filosofici, tra cui, verso i quarant’anni La Guida dei perplessi[3], la sua massima opera filosofica. Sempre in questo periodo della sua vita, inizia a scrivere opere mediche di carattere clinico, come il Trattato sull’asma strettamente connesse a quella che sarà la sua occupazione principale fino alla fine della vita: la professione di medico. Presta servizio alla corte del Sultano, diventando medico personale del Sultano figlio di Saladino, fino al 1204, quando Maimonide concluderà la sua vita.
Lavoratore instancabile, egli racconta che la sua giornata era così organizzata: la mattina faceva il medico di corte, visitando il Sultano, le sue donne e i dignitari che ne avessero bisogno, poi tornava a casa, a Fustat[4], una città distante alcuni chilometri dal Cairo, dove trovava “una folla di persone, ebrei e non ebrei, nobili e popolani, amici e nemici”[5] che aspettavano di essere visitati. Si concedeva l’unico pasto della giornata, dopo di che iniziava il suo lavoro di medico fino a tarda sera. Dedicava lo Shabbat al ricevimento dei confratelli ebrei della comunità egiziana, di cui, come abbiamo già ricordato, era il leader.
“Come tutti gli ebrei andalusi, scrive in arabo, prega in ebraico e pensa in greco”[6], secondo la felice definizione di Jacques Attali.
Maimonide era profondamente religioso, ma innanzitutto era un filosofo e come tale non condivideva la visione antropomorfica di Dio del vecchio Testamento né le “superstizioni” del cristianesimo sul Messia figlio di Dio.
Netto il suo contrasto verso la congerie di pratiche superstiziose e magiche, dalla astrologia all’uso degli amuleti contro il malocchio fino a rituali, anche orripilanti[7], di guarigione, che le stesse autorità rabbine tolleravano o indicavano.
Più in generale, la sua visione dell’uomo e del suo posto nel mondo è in contrasto con l’antropocentrismo dei creazionisti: l’uomo non è al centro della creazione, l’Universo non ruota attorno a lui. Una visione fortemente innovativa e critica verso la tradizione religiosa, islamica, cristiana e anche ebraica. Tant’è che non mancarono attacchi radicali, Maimonide vivente, da parte di rabbini ortodossi di varie regioni […]. Nei primi decenni successivi alla sua morte, un gruppo di rabbini della Francia del Nord arrivò ad emettere una condanna formale (herem o cherem in ebraico, la stessa che subì in vita, quattro secoli dopo, un altro filosofo ebreo, Baruch Spinoza, bandito dalla comunità) vietando la lettura dei testi filosofici di Maimonide[8]. Ciò non impedì, anzi, forse, potenziò l’interesse, ben al di là dell’ebraismo, per l’opera di questo filosofo con un impianto razionale, scientifico e fortemente etico.
All’etica dedica varie opere, tra cui un testo denominato Otto capitoli[9] […]. In un altro testo, nella Guida dei perplessi, esamina nel dettaglio la concezione della divinità, portata avanti dalle correnti islamiche del kalam[10], centrata sull’immagine di in Dio che decide della vita e persino dei singoli atti di ciascun essere umano. Per il filosofo medico, non c’è niente di predefinito. L’anima umana non è di per sé buona o cattiva: può diventarla, formandosi, letteralmente assumendo una forma. La quale dipende dalla conoscenza, dalla influenza dell’ambiente sociale e dalla perseveranza che ha la persona nel memorizzare e consolidare i comportamenti virtuosi[11]. L’anima può ammalarsi, può avere i suoi disturbi e, come il corpo ha i suoi curanti, anche l’anima ha i suoi medici, che sono i filosofi.
Maimonide medico, psicoterapeuta ante-litteram
Scrive una decina di testi di medicina. Di particolare interesse è il “Trattato sull’asma”, malattia che affliggeva non sappiamo se un ignoto nobile o il Sultano stesso. La terapia che Maimonide propone, da un lato, ricorda la diaita greca: attività fisica quotidiana, regime alimentare rigoroso basato su pesce e 1 o 2 bicchieri di buon vino al giorno (che in questo caso è proprio una medicina, essendo l’alcol vietato in ambiente musulmano), aria pura ed esercizi di respirazione, riduzione dell’attività sessuale e, infine, evitare i purganti, i clisteri e i salassi. […]
Ma c’è di più. Contrariamente al giudizio di qualche commentatore che non vede in Maimonide “alcuna originalità in medicina”[12], noto un aspetto davvero innovativo e di grande interesse: la prescrizione all’asmatico di colloqui regolari con un filosofo.
“Tramite questi colloqui l’uomo si allontana dalle emozioni” – scrive il medico filosofo- e “guarda il mondo e ciò che contiene con altri occhi, sia che si tratti di cose buone sia di cose cattive, perché in fondo queste due situazioni non esistono. Non bisogna pensarci troppo, né quando si è felici né quando si è tristi, perché gioia e tristezza sono grandi solo nella nostra immaginazione”.
Questa particolare attenzione alla dimensione psichica ha sollecitato Maurice-Ruben Hayoun – studioso di Maimonide che ho più volte citato in questo capitolo- a scrivere diverse pagine di analisi sulla relazione tra Maimonide e Freud[13].
Tuttavia, al di là delle possibili connessioni ebraiche, mi pare si possa affermare con sicurezza che siamo di fronte a una psicoterapia basata sulla meditazione ante litteram. “Guardare il mondo con altri occhi” è l’obiettivo di ogni psicoterapia. “Allontanarsi dalle emozioni” e relativizzare gli stati emozionali di felicità e tristezza, poiché “in fondo non esistono” “e sono grandi solo nella nostra immaginazione”, sono il centro della meditazione di ispirazione buddista mahayana, che insegna a vedere e a interiorizzare la vacuità dei fenomeni, basandosi su una visione profonda (vipassana, vipaśyanā) del fenomeno medesimo.
Infatti -scrive Maimonide- “dopo un’analisi reale, si può percepire che gli stati di gioia e tristezza non sono altro che futilità, un gioco, che passano come la notte”.
Infine, rivolto al nobile asmatico, Maimonide lo esorta ad assumere quello che, con linguaggio freudiano, potremmo chiamare principio di realtà: “Né il regime abituale né i medicamenti potranno risolvere completamente la malattia. Vostra Altezza dovrà poggiare sulle proprie forze e cacciare da sé l’esagerata paura della morte”[14].
La paura della morte, non è solo un tema filosofico e meditativo, è anche uno stato mentale, che interessa il medico perché funziona da potente fattore patogenetico, in quanto è prodotto da un rene debole che, a sua volta, lo alimenta[15].
Infine, veramente coinvolgente e pienamente condivisibile è la sua visione del medico e dell’esercizio dell’arte medica.
Nel Box riporto un sorprendentemente moderno “giuramento d’Ippocrate”, che ogni operatore sanitario contemporaneo, a mio avviso, dovrebbe meditare in profondità e assorbire nell’intimo della sua mente e del suo cuore. Ci troviamo i punti essenziali della condotta e della visione del mondo dell’operatore sanitario: l’amore per la scienza e per gli esseri viventi, che vanno visti interi e non come ricettacoli di malattie; l’universalità del dolore e della cura; la delicatezza della relazione con i pazienti, che va preservata come preziosa; il rifiuto della narcisistica onnipotenza del medico; la lotta contro i ciarlatani e gli sciocchi che pensano di sapere tutto e di potere tutto; la coltivazione della pazienza, della moderazione, unita al desiderio incomprimibile di conoscenza, di studio e ricerca.
Complimenti e grazie dottor Maїmon. Quasi novecento anni dopo, siamo ancora in attesa che una simile coscienza si diffonda tra i curanti!
“Fa’ che io non veda che l’uomo in colui che soffre”
Dio, riempi la mia anima d’amore per l’arte e per tutte le creature. Allontana da me la tentazione che la sete di guadagno e la ricerca della gloria mi influenzino nell’esercizio della mia professione. Sostieni le forze del mio cuore, perché io sia sempre pronto a servire il povero e il ricco, l’amico e il nemico, il giusto e l’ingiusto. Fa’ che io non veda che l’uomo in colui che soffre. Fa’ che la mia mente sia chiara in tutte le circostanze perché grande e sublime è la scienza che ha per oggetto la conservazione della salute e la vita di tutte le creature. Fa’ che i miei malati abbiano fiducia in me e nella mia arte e che seguano i miei consigli e le mie prescrizioni. Allontana dal loro letto i ciarlatani, l’esercito dei parenti dai mille consigli e salvaguardali da coloro che sanno sempre tutto. Donami indulgenza e pazienza. Fa’ che io sia moderato in tutto, ma insaziabile nel mio amore per la scienza. Allontana da me l’idea che io possa tutto. Donami la forza, la volontà e l’occasione di elargire sempre più le mie conoscenze, affinché io possa beneficiarne coloro che soffrono. Moїse Ben Maїmon Tratto da: Le Porrier 2008, p. 284 (La traduzione dal francese è mia) |
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