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25 aprile: l’ingresso del fascismo nei manicomi genovesi nel 1922

24 Apr 23

A cura di Paolo F. Peloso

In occasione di questo 25 aprile, LXXVIII anniversario della liberazione, nel quale per la seconda volta la pandemia renderà impossibili le celebrazione collettive nelle quali ci ritrovavamo gli altri anni, ripropongo alcune pagine di un libro andato recentemente esaurito, “La guerra dentro. La psichiatria italiana tra fascismo e resistenza (1922-1945)” (Verona, Ombre corte, 2008). In particolare, propongo alcuni episodi accaduti tra giugno e settembre 1922, nei mesi precedenti la marcia su Roma del 28 ottobre quindi, intorno a uno dei manicomi genovesi, quello di Cogoleto, emblematici di come il fascismo si affermò fin dall’inizio attraverso una miscela pericolosissima di tre elementi: la raccolta di soggetti individualisti e incapaci di rispetto dell’altro intorno all’ideologia della “guerra dentro” contro l’alterità rappresentata oltre che dallo straniero, dall’avversario politico, dal più debole e dal diverso; la connivenza – per opportunismo, paura o malafede – da parte delle istituzioni che avevano la responsabilità di difendere la pacifica convivenza della collettività; la difficoltà a rendersi conto per tempo di ciò che accadeva e organizzarsi per contrastarlo da parte di coloro che al fascismo avrebbero voluto resistere. Si tratta di tre elementi che continuano a essere presenti nella cultura italiana e credo perciò che questa giornata debba ricordarci che contro il fascismo non è mai possibile abbassare la guardia e che la democrazia che il movimento partigiano approfittando di circostanze internazionali favorevoli ci ha consegnato ha sempre necessità di essere amata e difesa smascherando ammiccamenti e ambiguità. In più, vorrei fare di questo 25 aprile anche un’occasione per ricordare di nuovo Carla Nespolo, la presidente dell’A.N.P.I. che è stata – con Rossana Rossanda e Lidia Menapace – una delle tre donne straordinarie che hanno segnato con la loro intelligenza e la loro generosità gli ultimi settant’anni della storia italiana, e ci hanno lasciato nel corso del 2020. Celebriamo questo 25 aprile con negli occhi l'ennesima strage di migranti, con oltre 100 morti, al largo della Libia; non sono questi l'Italia, l'Europa e il mondo per i quali i partigiani hanno combattuto e sono stati uccisi.
 
Alcuni fatti verificatisi nel 1922 a Cogoleto, il paese della riviera di ponente sede di uno dei tre manicomi genovesi, appaiono emblematici di quanto si verificò verosimilmente anche in altre situazioni nei mesi che preparavano la definitiva affermazione del fascismo, e dei passaggi che portarono in Italia prima all’avvento della dittatura e poi alla guerra.
Nei giorni in cui, dopo Ferrara e Rovigo, anche Bologna era illegalmente occupata dai fascisti e il governo Facta traballava, alle dieci di sera di venerdì 2 giugno 1922, l’infermiere trentasettenne dell’ospedale psichiatrico Luigi Parenti (1885-1922), nativo di Arezzo, mentre passeggiava per Cogoleto in compagnia di due colleghi – Gio. Batta Godani e Domenico Zanini – venne affiancato dall’operaio Carlo Sanguineti, con il quale pare avesse avuto qualche diverbio in precedenza. Al tentativo del Sanguineti di unirsi ai tre infermieri, essi avrebbero reagito prendendolo per un braccio e invitandolo ad allontanarsi; a quel punto, il Sanguineti estraeva la pistola e sparava alcuni colpi, ferendo gravemente il Parenti all’addome. Gli altri due infermieri si davano all’inseguimento del feritore, il quale però riusciva a bloccarli con altri spari e a costringerli a ritornare sui loro passi e soccorrere l’amico. Parenti veniva trasportato in una casa, dove gli sono prestati i primi soccorsi, e poi  in autoambulanza all’ospedale genovese di Pammatone dove, giunto tra le 5 e le 6 del mattino, viene trovato subito in gravissime condizioni, con l’intestino perforato in otto punti da una pallottola. I carabinieri, intanto, incominciano la caccia all’aggressore.
La domenica 4 giugno, nel dare notizia dell’accaduto, la stampa locale appare per lo più concorde nella ricostruzione; solo per Il Caffaro (48, 181) i tre infermieri non stavano passeggiando per il paese, ma erano usciti dal turno di lavoro e tornavano verso casa; per questo, le prime cure al Parenti non sarebbero state fornite in una casa privata, ma nell’infermeria del manicomio stesso. Nei giorni successivi la stampa ritorna brevemente sull’episodio: lo fa Il Caffaro del 7 giugno (48, 133) per informare che: «L’infermiere Parenti Luigi di Domenico, che come abbiamo narrato nella cronaca di domenica venne venerdì ferito gravemente a rivoltellate a Cogoleto e trasportato al nostro ospedale di Pammatone, malgrado le assidue intelligenti cure dei sanitari è in questi giorni rapidamente aggravato. Ieri sera il suo stato era veramente allarmante e i dottori disperavano di poterlo salvare». E per concludere il giorno successivo: «Come abbiamo pubblicato ieri, le condizioni di Parenti Luigi ieri l’altro si erano molto aggravate. I medici dichiararono che la morte dell’infelice era vicina. Alle 8.30 di ieri mattina il povero infermiere cessava di vivere. Del luttuoso epilogo furono avvertiti i carabinieri di Cogoleto che continuano le indagini per arrestare quel tal Carlo Sanguineti che sparò contro il Parenti». Fa eco lo stesso giorno il socialista Il lavoro (20, 135): «L’infermiere ferito a Cogoleto è morto a Pammatone. Alle ore 8 d’ieri mattina, dopo dolorosa agonia, è deceduto a Pammatone l’infermiere Luigi Parenti, d’anni 37, di Arezzo, abitante a Cogoleto, il quale, come si ricorderà, la notte del 2 corrente, mentre si trovava in compagnia di due suoi amici, in una via di Cogoleto, era stato ferito con una rivoltellata in regione epigastrica da certo Carlo Sanguineti, tipo alquanto violento e malvisto da tutto il paese. Il Parenti era infermiere in quel manicomio ed era persona mite e stimata da tutti». E il giorno dopo Il lavoro riporta: «Per espresso desiderio dei compagni di lavoro e delle organizzazioni operaie del paese, la salma del povero infermiere del manicomio di Cogoleto Luigi Parenti (…) sarà trasportata al cimitero del luogo. I funerali avranno luogo oggi alle 14 partendo dalla Società Infermieri di quel manicomio. I colleghi di Genova interverranno alla cerimonia di cordoglio con larghe rappresentanze».
Meno unanime che nella ricostruzione dei fatti, la stampa cittadina è nell’offrire, a caldo, negli articoli del 4 giugno, interpretazioni circa il possibile movente. Fornisce una cronaca scarna Il Secolo XIX  (38, 131), limitandosi a osservare che «il Sanguineti, a quanto si afferma, è un tipo violento e sanguinario», e analogo è l’atteggiamento de Il Caffaro. Si dilunga invece Il corriere mercantile (98, 138), per il quale:
 
«Non si sono ancora potuti stabilire con sufficiente chiarezza i motivi che hanno originato la malvagia aggressione, ma però, stando alle dichiarazioni dei due amici del Parenti, sembrerebbe che la causa debba essere cercata in antiche ruggini, sorte in seguito ad accese disputa su questioni di campanilismo. Infatti circa un mese or sono il Sanguineti, che viene da tutti dipinto come un tipo violento, manesco e sanguinario, aveva lanciato, dopo una discussione più violenta delle altre, oscure minacce all’indirizzo del Parenti e del Tanini (Zanini, N.d.A.), ma specialmente contro il primo, sul quale egli accumulava tutto il suo odio. Pare anche che i due interessati avessero avvertito dell’accaduto l’autorità, ma che questa non avesse attribuito soverchia importanza alla denuncia (…). E’ necessario però chiarire che il ferimento non si può e non si deve riallacciare a nessun movente politico, costituendo esso un semplice fatto isolato, che ha immerso nello stupore e nella costernazione i buoni e pacifici abitanti di Cogoleto».
 
Ma non pare condividere questa versione il socialista Il lavoro (20, 131), che scrive:
 
«Le cause che hanno originato il mancato omicidio dell’infermiere Parenti, sembra debbano cercarsi nell’animo malvagio e delinquente del Sanguineti, che da tutto il paese è stato segnalato come un attaccabrighe, dedito al vino e ad imprese violente, specialmente contro i più deboli. Ma le cause del fatto debbono anche ricercarsi in altri motivi. A Cogoleto spadroneggia una cricca di individui che da qualche tempo vanno commettendo soprusi e minacce a danno degli operai che hanno il solo torto di dedicasi alle organizzazioni e alle cooperative. Alcuni giorni addietro minacciavano il cassiere della Cooperativa Mani, ordinandogli di abbandonare il paese se non voleva passare dei guai. Altri, tra cui il Sanguineti, sere addietro aggredivano in una ventina alcuni soci della cooperativa e li bastonavano.  Altri episodi di violenza e di intolleranza settaria si sono verificati in Cogoleto e l’autorità, informata di questi atti di violenza non ha mai provveduto. La popolazione addolorata per il fatto invoca dalle autorità l’invio di funzionari che ristabiliscano la pace in Cogoleto ed assicurino alla punitiva giustizia i responsabili che turbano la tranquillità di quel paese».
 
Quanto al cattolico Il Cittadino, sembra sposare la pista politica fin dal sottotitolo, che recita non senza una certa connivenza che “Un infermiere socialista in fin di vita”: «I motivi del truce delitto oltreché in vecchi rancori tra il ferito e il feritore, vanno forse ricercati anche nelle vivaci discussioni provocate da un articolo del giornale socialista di Savona, atrocemente offensivo dei sentimenti più nobili della popolazione di Cogoleto».
Colpisce tanta incertezza o reticenza sui reali moventi dell’assassinio, che come vedremo si riproporrà anche in seguito, in giorni nei quali i quotidiani pullulavano di notizie di omicidi politici chiaramente attribuiti all’una o all’altra parte. Ma i fatti del settembre successivo sembrano deporre  decisamente in favore del movente politico. E non sembrano aver nutrito in seguito soverchi dubbi in proposito i compaesani, che  come ci ricorda Mino Daccomi (“Quei tragici 20 mesi. 8 settembre 1943-25 aprile 1945 – Ricerca bibliografica sul contributo di Cogoleto alla guerra di liberazione” – ANPI Cogoleto, 1991, pp. 16, 82, 173) al nome di Luigi Parenti intitolarono la 187a Brigata S.A.P., attiva dal luglio 1944 tra Arenzano e Cogoleto con 111 effettivi divisi in due distaccamenti, e che subito dopo la liberazione con delibera n. 67 del 16 giugno 1945 della giunta del C.L.N. gli dedicarono una via definendolo “martire della libertà”.
Altrettanto emblematico è quanto accadde nei mesi successivi all’omicidio, che ricostruiremo sulla base di materiale raccolto presso gli Archivi della Provincia di Genova (APG). Nel corso dell’estate le cose erano ulteriormente peggiorate, in agosto le squadracce avevano occupato Milano e Genova, dal 15 agosto al 22 settembre si contarono 74 morti per ragioni politiche. Nella notte tra il 3 e il 4 settembre 1922, una sessantina di fascisti, pare di Varazze, irrompeva in camicia nera nel manicomio di Cogoleto forzando la porta e disarmando il custode, alla ricerca di una bandiera rossa che ritenevano in possesso agli infermieri Desiderio Botti, Lorenzo Dal Piaz, Giovanni Tempestini, militanti della Lega sindacale, e Giuseppe Scarrone, non più menzionato in seguito. Svegliato a mezzanotte il direttore, Giovanni De Paoli (1852-1931), procedono alla perquisizione degli armadi degli infermieri nel reparto criminali e trovano solo due tessere del Partito Socialista Italiano, di Dal Piaz e Tempestini. Catturato in un reparto il Botti, lo costringono a lasciare il servizio e firmare le dimissioni, che in un secondo tempo revocherà; il gruppo di fascisti spara colpi di rivoltella nei viali. Il direttore così relazionerà:
 
«Per la verità devo dichiarare che i fascisti si comportarono con educazione e tatto, pur dato l’ingrato compito propostisi […]. P.S. Mi consta che fino da iersera la grande bandiera rossa, coll’insegna dei Soviety, fu trovata dai Fascisti nell’abitazione, giù in Cogoleto, dell’infermiere Godani Gio. Batta».
 
Il mattino successivo, gli infermieri Dal Piaz e Tempestini (sottraendosi, secondo l’interpellanza Cavallini di cui diremo,  per senso del dovere alla solidarietà dei ricoverati del proprio reparto, che avevano chiesto loro di attendere lì i fascisti) venivano prelevati e colpiti da bando dal Comune di Cogoleto e dall’ospedale, insieme a Ernesto Testa, testimone coinvolto nel processo in merito all’omicidio Parenti, per il quale il Sanguineti, nel frattempo catturato, era ora detenuto; furono obbligati a lasciare il paese e l’ospedale. Il giorno successivo la stampa cittadina dà una breve e asettica notizia dell’accaduto, accanto a quella dell’assalto dei fascisti a un circolo ricreativo alla Castagna, presso Genova Sampierdarena, dove “per la verità di legnate ne distribuirono parecchie”. Non erano del resto eventi eccezionali, e solo il giorno precedente i fascisti avevano devastato il municipio di Borzoli (un paese presso Sestri ponente, ora compreso nella municipalità di Genova), mentre a La Spezia avevano bastonato violentemente un ispettore di polizia.
L’Amministrazione provinciale nega che il direttore o altro personale abbiano responsabilità nell’invasione del manicomio e trasferisce temporaneamente i tre infermieri, insieme al Botti, nell’altro grande manicomio genovese, a Quarto, sostituendoli con tre colleghi offertisi volontariamente per uno scambio. Nei giorni successivi, Dal Piaz viene ancora minacciato, e assieme a Tempestini bastonato dai fascisti di Cogoleto che lo incontrano per caso a Genova nella centralissima via XX Settembre. Il consigliere provinciale Lidio Cavallini, ricordato come attivo sindacalista in occasione dell’ostruzionismo operaio a Genova nell’agosto 1920 (Antonini, 2003, vol. I, pp. 187-188), critica invece coraggiosamente quello che ritiene il dubbio atteggiamento del direttore e soprattutto la connivenza di uno dei medici, Clemente Cabitto, durante l’irruzione fascista, e chiede che il rientro dei quattro possa essere rimandato rispetto a quanto era stato deciso, per la loro sicurezza.
Il 1 ottobre il vicedirettore del manicomio di Quarto, Emilio Mortola, si rivolge  all’Amministrazione per comunicare che un altro gruppo di fascisti si è presentato chiedendo, sobillato a suo parere da alcune infermiere, provvedimenti nei confronti di membri del personale: Angelo Merlini, Giuseppe Calcagno, Giuseppe Mattiello, Albina Brigada, Dirce Iemmi, Natale Costa, Fernando Serra e il dottor Dario Borelli, oltre i quattro provenienti da Cogoleto, tutti rei di “sparlare del fascio”. Appare pesante, in questo clima, la corresponsabilità dell’amministrazione che obbliga i quattro di Cogoleto a rientrare il 20 novembre, «con la fiducia che il personale di cui si tratta non darà con la sua condotta adito a nuova diffidenza e a nuovi atti ostili»; in altre parole, la violenza e la illegalità fasciste sono ormai una realtà della quale non rimane che prendere atto, e chi ne è vittima ha il dovere, per non rischiare di essere paradossalmente considerato lui stesso un facinoroso, di piegare la testa e adattarsi. La direzione, poi, al rientro degrada il Dal Piaz, e di fronte alle sue proteste si  rifiuta di motivare il provvedimento.
Il successivo 2 dicembre, dopo l’esplosione di un piccolo ordigno di fronte alla sede fascista di Cogoleto, il Testa viene ferito da uno sparo ad opera dei fascisti; risponde al fuoco, a suo dire solo per attirare l’attenzione delle forze dell’ordine, ma viene arrestato e dopo pochi giorni rilasciato. Il 2 febbraio 1923 sono arrestati, non sappiamo per quale motivo, e nella maggioranza dopo qualche giorno rilasciati, gli infermieri Scarrone e Dante Bruni, in servizio, oltre a Botti e altri tre colleghi fuori servizio. Il 22 febbraio il Testa è catturato a Genova dai fascisti e percosso prima di essere consegnato alla polizia, dalla quale viene liberato il 28 quando rivolge all’amministrazione, dopo tre mesi fuori servizio per paura di ritornare a Cogoleto, l’ennesima richiesta di trasferimento a Quarto. Il 17 aprile 1923 risulta avere ripreso invece servizio a Cogoleto.
Così tra violenze, connivenze, tambiguità e itubanze si affermava il fascismo nei manicomi genovesi. Così si affermava in Italia. Così, credo che potrebbe sempre ritornare ad affermarsi.

Sul tema ricordo in questa rubrica e nei dintorni:

25 aprile 2016: Un pensiero al sacrificio di Giovanni Mercurio a un secolo dalla nascita

Recensione. Un'odissea partigiana. Dalla resistenza al manicomio

25 aprile Malacarne. Donne e manicomio nell'Italia fascista

"Follia antifascista". Una doppia recensione per il 25 aprile

Nel video, la presentazione del XII capitolo Sepolti vivi. Antifascisti in manicomio del volume  A dispetto della dittatura fascistaLa lunga resistenza di un movimento operaio di frontiera: il Friuli dal primo al secondo dopoguerra di Gian Luigi Bettoli (Olmis, 2019) in occasione di Màt 2020, svoltosi a Modena con modalità da remoto. 

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