Viviamo in una situazione in cui regnano sovrane le divisioni, la reciproca intolleranza, e la tendenza a scontrarsi (non fa venire in mente l’immagine dei polli di Renzo Tramaglino che, non potendo prendersela con altri, si prendono a beccate fra di loro?). Spesso assistiamo a questa guerra fra amici, fra persone che ci sono care. La cosa ci crea disagio, e ogni momento rischiamo d’essere coinvolti negli scontri. Spesso il conflitto entra all’interno delle famiglie, dove le minacce esterne (quel che opprime e spaventa tutti noi nell’attuale situazione) s’intrecciano con fattori d’ostilità, finora silenti, che il disagio generale ha reso manifesti. Che fare? Come recuperare un proprio equilibrio interiore e, per quanto possibile, assumere un atteggiamento non fazioso, non ulteriormente divisivo, e tendenzialmente conciliante? Credo possa essere utile quanto emerge dal trattamento analitico di pazienti cresciuti in famiglie che, per conflitti incontenibili, hanno finito per dissolversi.
Un mio paziente, nella parte finale della sua analisi, così definiva i membri della propria famiglia, come gli si presentavano prima del brutto divorzio fra i genitori (condenso, qui, quanto affermato da questa persona in alcune delle ultime sedute): “Mia madre, mio padre e il mio fratello minore erano come il salnitro, il carbonio e lo zolfo: presi separatamente, ciascuno dei tre elementi ha una sua utilità; però, messi insieme, fanno una miscela esplosiva! Se ci penso bene, ritrovo momenti in cui mi sentivo bene (molto bene) con ciascuno di loro: ognuno aveva qualcosa d’importante da offrirmi, ed io a loro. Anche se di diverse opinioni, trovavamo il modo per superare il contrasto, o, almeno, ci si capiva di più l’uno con l’altro. Ma questo succedeva quando eravamo soli, lontani dall’influenza deleteria degli altri due. Ho impiegato molti anni di analisi prima di riscoprire queste esperienze felici, con cui ho costruito la parte migliore di me. Prima mi confondevano le idee le alleanze, che continuamente si formavano e presto si dissolvevano, tra me e mia madre, oppure mio padre, oppure mio fratello, in lotta con gli altri due. Ogni volta, si vedeva tutto il bene da una parte, e tutto il male dall’altra, non riuscivamo più a capirci. Poi, crescendo, ho cominciato ad isolarmi da tutti. Mi ero convinto che avrei potuto farmi la mia vita dimenticandoli. Mi sbagliavo: io, i miei familiari me li porto “nelle ossa”, sono parte di me; e la guerra tra loro, finora, è continuata come lotta fra parti di me stesso. Lei (rivolto a me come terapeuta) mi ha aiutato a ricostruire, dentro di me, una famiglia come avrei avuto bisogno che fosse: una famiglia in cui nessuno vuole che gli altri si annullino, ma ciascuno offre agli altri il meglio di sé, e riceve quello degli altri, e cerca di rendere sopportabili i suoi difetti. L’ho ritrovata in quel che di me funziona bene, ed è capace di far funzionare bene tutto il resto”.
Ecco, credo di non sbagliarmi se sostengo che, quello del mio paziente, sia un utile modello da seguire se si vuole superare i conflitti, o almeno non alimentarli, e trarre qualcosa di prezioso per noi da ciascuno dei “contendenti”. La cosa più importante da tenere a mente, è che dietro ogni scontro feroce, indipendentemente da quella che sembra la materia del contendere, c’è sempre qualcosa di primitivo e d’infantile: le gelosie, le invidie, le rivalità, le prepotenze che caratterizzano la prima parte della nostra vita. Queste tendenze, non riconosciute come tali e quindi incontrollate, rendevano la vita invivibile nella coesistenza coi familiari della persona di cui ho parlato. Quando quest’uomo, con l’aiuto dell’analisi, riuscì a riconoscere le passioni primitive dei familiari (e di lui stesso), gli fu possibile controllarle ed isolare da esse quanto di evoluto c’era, sia pure episodicamente, nella sua famiglia, ed in particolare la capacità di affrontare in modo realistico, razionale e collaborativo i problemi della vita. Sono convinto che ciascuno di noi potrebbe fare altrettanto.
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