Giaci nel buio di una cameretta/Non è l’assiuolo, non è la civetta/ Che canterà in questa notte bastarda/Ma solo il tuo cicalino di guardia./”Giù nel PS della Psichiatria/Voglio che regni un silenzio tombale/E se mi svegliano almeno non sia/Un energumeno antisociale”./Così dicevi ed eran le nove/E dal PS non c’erano nuove/Non posso essere sempre sfigato/Oggi mi faccio un bel sonno filato!/Fermati Piero! Fermati adesso/Alla Speranza non cedere il passo!/Per chi s’aspetta che andrà tutto bene/Saran più lunghe e più dure le pene…/Ma tu non mi udisti e lì gongolavi/E un’ora dopo già ti preparavi/Nel tuo giaciglio fetido e angusto/Pronto a dormirci proprio di gusto./E mentre gli occhi chiudevi beato/Un trillo acuto la notte ha squarciato./ Giù nel PS c’è un codice giallo:/ un agitato che odora di alcol/ Fialalo Piero, Fialalo ora/ E se non basta fialalo ancora./Quel sonno che a te è negato lo investa/Così smaltisca la sbronza molesta./E se ti preoccupi in po’ per il cuore/Il QTc non ti arrechi timore/Spara un bel Tavor con la Promazina:/E lui va a nanna fino a domattina./E mentre a memoria ripassi lo Stahl/Quello ha sfasciato già mezzo triage:/Se non ti sbrighi con metodi seri/Le prendi anche dagli infermieri!/Tornasti a letto dopo tre ore/Lì ti accorgesti col gelo nel cuore/Che il tempo non ti sarebbe bastato:/Dormire bene era un sogno sfumato./”Ninetta mia, le guardie di notte:/E’ già successo evitare le botte./Ninetta bella non era poi male/Scegliere la medicina termale”./E mentre il caldo faceva sudare/Dentro alle mani schiacciavi zanzare,/Dentro la bocca un blasfemo rosario/Con tutti i santi del calendario./ Giaci nel buio di una cameretta/Non è l’assiuolo, non è la civetta/ Che canterà in questa notte bastarda/Ma solo il tuo cicalino di guardia.
Domenico Sciortino
La Guardia di Piero
(Lunga notte di un giovane psichiatra)
Dobbiamo andare noi. E andiamo noi. Perché noi? E chi, se non noi? Tutti si aspettano, semplicemente, che noi andiamo. Dove sta scritto? Da nessuna parte. Ma è “il pazzo” per antonomasia chi fa “il pazzo”. Quando arriviamo giù, in PS, nel cuore della notte, gli operatori imbacuccati negli scafandri anticontagio gesticolano indicando che il mostro che sfiata sangue come un cetaceo spiaggiato è fuori, nello spazio antistante il triage. Essi, compresa la guardia giurata (GPG), stanno barricati alle vetrate antiurto. Hanno gli sguardi appannati dalle visiere. Non sembrano umani. Quell’altro, invece, lui, il monstrum, il furiosus dalle urla disumane sembra che gridi tutto il dolore umano possibile. L’eco ci raggiunge prima della vista. Le ambulanze fuori sono in coda, e i loro lampeggianti blu silenziosamente rutilano il buio. Ci sono anche dei COVID da sbarellare. Ma tutto è fermo, perché il bruto ha paralizzato il PS. Il cicalino, vero protagonista di questi racconti, quello cristallizzato anche da Sciortino nella sua parodia, aveva trillato a mezzanotte. La voce femminile, con il suo tipico scandire sardo, era stata laconica . “Scendi. Un tizio, forse epilettico, forse ubriaco, forse non lo so, sicuramente pazzo, sta devastando tutto.” Ecco. Giù dal “giaciglio fetido e angusto” (Sciortino). Mi alzo. La notte è andata. Gli infermieri sono allerta. Ne ho tre. Anzi due. Un OS e due infermeri. Di cui un maschio ed una femmina. Decido di scendere solo con il maschio. Faccio preparare 30 mg di midazolam. Maria, con voce che non ammette repliche :”Portati anche Massimo”. Massimo è l’OS. “E tu rimani sola” “E io rimango sola”. Non so dire di no alla sua generosità. I sei pazienti dormono il sonno chimico (sei posti in tutto abbiamo, nella nuova allocazione dopo che un anno fa hanno requisito il nostro reparto di 15 posti letto per donarlo al COVID). Nel reparto che ormai mi lascio alle spalle, nel buio anodizzato dell’ospedale che dorme, il silenzio regna. Esco tuttavia con il pensiero di lasciare una donna sola con 6 pazienti, di cui tre maschi, di cui due acuti. Ma poi vengo risucchiato. Incontro all’ignoto, senza guardarci in faccia, o mettere in discussione quello che stiamo facendo. Lo abbiamo fatto così tante volte, che ci sembra inutile parlarne. Abbiamo le mascherine FFP2 e i guanti in lattice. Siamo nudi nelle tuniche blu. Noi stessi, i nostri corpi, la nostra paura e nulla più. Così usciamo, uno dopo l’altro, con decisione, dalla zona protetta allo spazio dell’agone, nel pretriage. Io primo “alla porta”, come da ragazzo, ad Altopascio, senza il rombo del G222 contro il muro del vento. Eravamo veloci, allora, come lampi, uno dopo l’altro rotolavamo dalla carlinga riempiendo il cielo blu di farfalle verdi. Ora, come allora, vanno in sordina anche le urla. Eppure non c’è lo schermo dell’aria. E’ il nulla, il nulla puro. Uscendo ho gettato sulle spalle un copriletto. Pattiniamo sul sangue in uno spazio diventato terra di nessuno, come tra due trincee opposte. In una moviola le nostre sei braccia si protendono verso il monstrum come una piovra. Il pavimento è tutto sangue, e il drago, al culmine dell’agitazione, si è “stracciato”, come scriverà la collega dall’accento sardo sul suo referto, l’acceso venoso diligentemente messo dai “centodiciottisti”, come da protocollo. Il sangue ha fatto il vuoto. Nell’era ipertecnologica il sangue rimane, ancora, l’arma più forte. L’arma organica, potenzialmente infetta, che sigla l’orrore. La belva umana impreca, urla, gesticola, minaccia e sputa, totalmente fuori di sé, mentre solo il fratello, disperato, tenta di trattenerlo. Corpo contro corpo. La sua furia è contro tutti. Quella che sui vecchi manuali chiamavano pantoclastica. Intorno è tutto a terra, alberi di flebo, lettini, macchinari. Solo noi tre e il monstrum siamo impiedi. All’indomani so che non ricorderà nulla. Solo io mi domanderò, anche per lui, cosa ho fatto. E quindi l’esperienza non gli sarà servita. Tornerà, un’altra di queste sere. Fintanto che gli viene bene. Non si recherà presso nessun Servizio. E, in questa giungla metropolitana di cinquecentomila assenze, nessun Servizio mai lo cercherà. Nessuno sentirà la sua mancanza, quando, in uno dei suoi accessi, morirà. O incontrerà una pallottola, in questa periferia violenta. Non è paziente conosciuto. Avrà trentanni, è tarchiato e muscoloso, bruno con una folta barba nera. Un brigante. Un Saraceno, buono per fare la comparsa in un film di Martone. Ma stanotte non è un film. Sanguina quasi a getto dal braccio e sputa. Gli occhi sbarrati ed esorbitanti. Il fratello si stacca al nostro arrivo. Il furioso rimane un attimo perplesso a vedere noi tre, più pazzi di lui, che non abbiamo paura del contatto, che ci avviciniamo decisi. Prima che come un orso ci balzi addosso, siamo in contatto. In un istante lo incliniamo e mettiamo a terra. Atterra dolcemente, gli riparo il volto (il nostro anche) con il copriletto e lo teniamo, insieme al fratello, per gli arti, fermo, per modo di dire. I 30 mg di midazolam si liquefano nella coscia. Come la morfina nei teatri di guerra. Dall’esterno il nostro sarà stato un passo di quadriglia. Rimaniamo alcuni minuti così, non saprei dire quanti, ma mi sembrano tanti, sentendo la sua rabbia senza nome moltiplicarsi, la sua forza sorgere dai visceri della terra, il suo grido tellurico soffocato. In tre di noi faremo scarsi tre quintali, lui pare poter riuscire sollevarci da un momento all’altro. Come stare su un coperchio sismico. Siamo al limite delle forze. Alzo gli occhi e vedo gli astanti dentro, ancora, al riparo. Chiedo una fiala di talofen e di largactil. Dopo qualche minuto che si è liquefatta anche questa “l’energumeno antisociale” (come da Sciortino parodia) si rasserena. Si rilassa. Non so la sua alcolemia, né si potrà valutarla perché il laboratorio analizza solo la saliva in una provetta con risultati dubbi e certo non quantitativi. Non conosco il suo QT, QTc. Non conosco la sua storia. Le sue patologie. Chi è. Perché. Ho fatto un intervento alla cieca. Nessuna linea guida. Nessun farmaco atipico. Con quello che c’era. Sbloccando un PS con COVID ed infartuati in attesa. Nessuno ci ringrazia. Chiedo TC cranica del bruto, eco addome ed RX toracica. Chiedo DAU (dovranno cateterizzarlo per questo”) e assistenza ventilatoria. Ritorno in reparto con il patema di quello che è successo in assenza, e in attesa dei primi risultati degli accertamenti. Quando mi richiameranno, il bruto con tutto il carico di sedativi già avuto, si stava riesprimendo a modo suo, tentando di strapparsi gli accessi, e lo hanno sedato con il dexdor. Il sangue è stato ripulito dal pavimento ed il PS ha ripreso la sua adrenalinica attività. Nel frattempo ha l’ossigeno, è cateterizzato, è contenuto con nastro isolante alle sponde, e la TAC toracica, eseguita dopo la RX, mostra qualcosa ai polmoni. La collega dice :”Forse un’ab ingestis”. Due giorni dopo lo ritrovo in medicina, lo rivedo con un infermiere di quella notte, aveva un addensamento polmonare inferiore bilaterale a ground glass. Il primario internista è irritato che glielo hanno portato contenuto. Lo convinco a fare una TAC toracica di controllo. Gli metto il depakin. Lui è lucido. Ovviamente non ricorda le minacce di morte, il sangue e le “sputazzate”. Non ha alcuna memoria di noi. Ammette di bere ogni tanto e di soffrire di crisi comiziali, più o meno autogestite. Dice di vivere da solo, di non aver mai avuto contatti con i Servizi, di gestirsi a modo suo la terapia antiepilettica. Una mina vagante. Una delle tante. Intanto abbiamo un’anoressica quasi terminale appoggiata in medicina. In reparto un giovane che vagava con la bibbia sulla tangenziale, tentando di fermare le macchine in corsa per predicare la parola di Dio, dopo essere scomparso di casa per giorni, tallonato dai colleghi del territorio con la Pandina dell’ ASL, in attesa di una volante. Una ragazza che ha gli occhi color acqua di roccia, come un lupo siberiano, bellissima, che si è tagliata le braccia dappertutto, fino ai tendini, completamente ricucita. Una demente con un’insuffcienza renale, una depressa psicotica lasciata dal marito, madre di due figli, completamente apatica, ignara di avere un bambina, che tentiamo di resuscitare con la ketamina. Alessandro, che è sopravvissuto all’ennenesimo incidente mortale perchè lui è Dio. E il vecchio con le coste fratturate e una massa nell’apice polmonare, che la figlia l’altra notte ha detto:”Noi non ce lo riprendiamo più.” Ma dov’è la Salute Mentale? Che cos’è la Salute Mentale? Questa è la Salute mentale? Noi siamo la Salute mentale o siamo, piuttosto, l’unica e ultima camera di scoppio della follia? Noi, gli SPDC, forse siamo davvero, in questa società patinata, la reincarnazione dell’ultima Thule. Così scriveva Dario De Martis negli anni Ottanta, quando si cominciò a capire che nel nuovo sistema della Salute Mentale senza Ospedale Psichiatrico gli SPDC sarebbe diventati gli imbuti entropici, il refugium della teratologia umana e sociale. Thule era l’isola leggendaria, citata dai viaggiatori secoli prima di Cristo, circondata dai mostri marini. Nei resoconti di Strabone Thule era una terra di fuoco e di ghiaccio, la terra del fuoco, dove il sole non tramontava mai. Per Virgilio era la terra ultima conoscibile, “tular”, in etrusco, è il confine. Perché non se parla mai da nessuna parte di quanto sono infinite le nostre dodici ore di guardia, diurne o notturne non fa la differenza? Perché non veniamo pagati di più? Perché abbiamo tutti una causa o più di una per omicidio colposo? Perché ci sono posti di “Salute Mentale” dove alle 14 o alle 16 chiudono, il sabato fanno mezza giornata, le feste rosse sono chiusi, eppure dovremmo trattare la stessa utenza? Perché un mese è fatto di quattro fine settimana e noi siamo dentro in un modo o in un altro tutti e quattro? Perché tutti hanno liste d’attesa e noi interveniamo a tempo zero? Perché delle new entry dei giovani psichiatri nessuna vuole venire in SPDC? Perché ci avevano chiusi riducendoci ad una postazione emergenziale e ci hanno dovuto riaprire di carriera dal momento che i nostri pazienti avevano bloccato tre PS trasformandoli, di fatto, in astanterie della follia? Perché abbiamo solo 6 posti per 500.000 persone? E siccome siamo su un litorale turistico con due isole di fronte d’estate raddoppiamo l’utenza? Perché non rientriamo in nessun progetto-obiettivo? Perché da noi non vengono riabilitatori e animatori? Perché non ci sono psicologi? Questo “peana” scritto e divulgato su Facebook dal dr. Domenico Sciortino, giovane e brillante psichiatra, che ha ricevuto centinaia e centinaia di commenti favorevoli, ha stimolato questa mia riflessione, nella speranza che questa storia di portieri di notte vada oltre il like. Il dr. Sciortino sottotitola la sua parafrasi della leggendaria “Guerra di Piero” di De Andrè, pezzo del 1966, omaggio al padre che aveva fatto la Guerra, come “La lunga notte di un giovane psichiatra”. A giudicare dai commenti e dalle condivisioni, dal tam tam mediatico che la deliziosa, se non fosse drammatica, composizione ha ottenuto, ogni notte, per chi sta di guardia in uno dei circa 300 SPDC italiani, è un vero gioco a dadi con la sorte. Gli SPDC, inclusi in extremis nella L. 180, I repartini ubicati negli scantinati degli ospedali civili, fungono, di fatto, da ultima spiaggia della follia e della marginalità sociale, altrimenti ingestibile. Tollerati dalle direzioni ospedaliere “con il naso chiuso”, perché sono estrinsecazioni di un Dipartimento extraospedaliero, essi sono trattati dai Dipartimenti territoriali alla stregue di quello che una volta si chiamava il “gabinetto di decenza”. Gestiti da équipe fisse minimali, in guardia 1-1-1 nelle 24 ore, composte o da giovani come Sciortino o da veterani come il sottoscritto, che hanno abbracciato per non chiare ma patologiche ragioni personali il proprio lavoro come una destinazione punitiva-operativa senza ritorno e senza risarcimento. Spesso al centro di polemiche, identificati come i luoghi della contenzione fisica o farmacologica, della cattiva psichiatria, sempre più oggetto di denunce per morti o maltrattamenti, al centro delle cronache quando vanno a fuoco, di fatto essi dànno ormai, sul territorio italiano, l’unica risposta 24H/24. Gli SPDC hanno pagato un prezzo alto nell’era COVID perché spesso hanno dovuto cedere spazi e posti letto, spesso già contratti dai 15 posti letto originari, mai sviluppati pienamente in ragione di 1 posto letto ogni 10.000 abitanti (come recitava la 180). Il medico di guardia si divide, in genere, tra i pazienti ricoverati (presumibilmente acuti, dunque ad elevata intensità assistenziale), il Pronto Soccorso, che è una riva sempre feconda, gli altri reparti dell’ospedale e, dove possibile, un minimo di DH o di ambulatorio esterno. Ma l’agone della brillante composizione del dr. Sciortino non è tanto l’SPDC, quanto, piuttosto il Pronto Soccorso, ovvero la piscina dei miracoli di Lourdes. Neppure in quelli più a la page, organizzati con moderno triage, è prevista infatti una stanza per gestire al meglio le situazioni critiche, spesso più sociali che psichiatriche, più tossicologiche che psichiatriche, in alcuni casi più neurologiche che psichiatriche. Il cicalino del telefono, descritto con timore e tremore spesso nelle mie memorie di vetrano portier de la nuit, è il vero trillo dell’orrore. Esso rimarrà incancellabile nella nostra memoria remota di futuri alzheimeriani, quando tutto sarà immerso nel silenzio. Quando squilla nel cuore della notte, magari appena ti sei appisolato dopo aver tranquillizzato come un buon padre o una buona madre la famigliola dei ricoverati e degli infermieri che sono tutti sotto la tua responsabilità, la voce del collega che chiama una consulenza o del 118 che chiede un posto ti scuote come uno sparo. E allora comincia il tormento, la ridda di speranze e delusioni, di aspettative e di paura. Nulla accadrà, lo so, che potrà migliorare le cose, e io non ho fiducia che accada più nulla. Ma continuo a scrivere e ad affidare all’eternità del Web queste pagine, perché un giorno qualcuno sappia a quale prezzo e su quali pelli, si è giocata, ad oggi, agosto 2021, la Salute Mentale in Italia, e in quale indifferenza, desolazione e solitudine si pratica la psichiatria di emergenza/urgenza (a patto che esista). Domani è il primo di settembre. E a settembre mi hanno dato 9 notti. E sarei pure il Responsabile… Giaci nel buio di una cameretta/Non è l’assiuolo, non è la civetta/ Che canterà in questa notte bastarda/Ma solo il tuo cicalino di guardia.
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