Il Gian Piero Quaglino che ho ammirato, nel corso degli anni, è stato l’acuto osservatore, insieme ad Augusto Romano, dei pensieri junghiani. “A colazione da Jung”, “Nel giardino di Jung” e “A spasso con Jung”, editi da Raffaello Cortina, sono libri destinati a restare, ossia che non passano, che non si consumano alla lettura, anzi aiutano ad alimentare nuovi pensieri. “A spasso con Jung”, che l’editore ha recentemente riproposto con una nuova edizione ampliata, dimostra l’importanza di continuare a lavorare su un lavoro già ben fatto, ma non finito, non esaurito.
Poi, è arrivato un altro Gian Piero Quaglino, non meno efficace del precedente. È l’autore de “I quaderni di Eduardo Descondo”, della “Premiata ditta Caso&Destino”, e di altri libri editi da Moretti&Vitali, editore capace di esaltare la scrittura di un autore che sa essere prolifico senza risultare banale, che sa inoltrarsi nel pensiero psicoanalitico senza ricorrere a paroloni o astruserie. Provate a leggere cosa ha da dirci sul buon uso del sogno. Provate a leggere i movimenti del sogno, il sogno che è poesia, lingua, rifugio, vita vera, via di conoscenza di sé, porta per l’Altrove, e scoprite che occorre “pensare al sogno come a una vita-altra che ci è concessa per motivi (se mai ve ne fossero) di insondabile natura e profondità, ovvero della natura e profondità del sogno stesso. Il sogno è parte del mistero, anzi è l’immagine perfetta del mistero”.
Quante volte abbiamo cercato di trascrivere un sogno? Quante volte di comprenderlo? Ma: “Il sogno è il sogno. Paragoni non se ne possono fare. Nessuno reggerebbe al confronto con il sogno quanto alla capacità (termine improprio, ma solo per capirci) di essere ciò che si è. Si può sognare da svegli, per esempio, divagare, vagheggiare, fantasticare, allucinare: quello che volete. Ma non sarà mai possibile riuscirci come ci riesce il sogno. Nient’altro che pallide imitazioni le vostre. Inarrivabile il sogno gran giocoliere a far roteare immagini le più straordinarie, e gran prestigiatore a far apparire immagini le più sorprendenti. Si potrà poi anche trascrivere un sogno sognato che si ricorda (che si ha l’impressione di ricordare nei minimi particolari), ma ci si accorgerà facilmente che mancheranno le parole, che ci sarà un vuoto incolmabile di parole che ne possano consentire una esatta, fedele, puntuale, precisa riproduzione. Una sconfitta in partenza, un raccontino da poco che a rileggerlo viene quasi da vergognarsi per averci provato”.
Il sogno, aggiunge Quaglino, ha la qualità spiacevole di mirare proprio al punto cieco. Come la lettura di certi libri, che riteniamo inimitabili, al pari di certi sogni. I sogni sono sempre all’opera. Come Quaglino. Che, con i sogni, continua a fare i conti. Conti che tornano? Che non tornano? Non importa. Importa l’oscurità del nostro mondo interiore: “Se mirare al punto cieco è mirare a quell’oscurità in cui si vede tutto, allora quell’oscurità del sogno in cui si vede tutto non sarà altro che quella stessa oscurità in cui, nel mondo della veglia, noi non vediamo niente. O preferiamo non vedere. O pretendiamo di non vedere. O non ci va di vedere”.
Poi, è arrivato un altro Gian Piero Quaglino, non meno efficace del precedente. È l’autore de “I quaderni di Eduardo Descondo”, della “Premiata ditta Caso&Destino”, e di altri libri editi da Moretti&Vitali, editore capace di esaltare la scrittura di un autore che sa essere prolifico senza risultare banale, che sa inoltrarsi nel pensiero psicoanalitico senza ricorrere a paroloni o astruserie. Provate a leggere cosa ha da dirci sul buon uso del sogno. Provate a leggere i movimenti del sogno, il sogno che è poesia, lingua, rifugio, vita vera, via di conoscenza di sé, porta per l’Altrove, e scoprite che occorre “pensare al sogno come a una vita-altra che ci è concessa per motivi (se mai ve ne fossero) di insondabile natura e profondità, ovvero della natura e profondità del sogno stesso. Il sogno è parte del mistero, anzi è l’immagine perfetta del mistero”.
Quante volte abbiamo cercato di trascrivere un sogno? Quante volte di comprenderlo? Ma: “Il sogno è il sogno. Paragoni non se ne possono fare. Nessuno reggerebbe al confronto con il sogno quanto alla capacità (termine improprio, ma solo per capirci) di essere ciò che si è. Si può sognare da svegli, per esempio, divagare, vagheggiare, fantasticare, allucinare: quello che volete. Ma non sarà mai possibile riuscirci come ci riesce il sogno. Nient’altro che pallide imitazioni le vostre. Inarrivabile il sogno gran giocoliere a far roteare immagini le più straordinarie, e gran prestigiatore a far apparire immagini le più sorprendenti. Si potrà poi anche trascrivere un sogno sognato che si ricorda (che si ha l’impressione di ricordare nei minimi particolari), ma ci si accorgerà facilmente che mancheranno le parole, che ci sarà un vuoto incolmabile di parole che ne possano consentire una esatta, fedele, puntuale, precisa riproduzione. Una sconfitta in partenza, un raccontino da poco che a rileggerlo viene quasi da vergognarsi per averci provato”.
Il sogno, aggiunge Quaglino, ha la qualità spiacevole di mirare proprio al punto cieco. Come la lettura di certi libri, che riteniamo inimitabili, al pari di certi sogni. I sogni sono sempre all’opera. Come Quaglino. Che, con i sogni, continua a fare i conti. Conti che tornano? Che non tornano? Non importa. Importa l’oscurità del nostro mondo interiore: “Se mirare al punto cieco è mirare a quell’oscurità in cui si vede tutto, allora quell’oscurità del sogno in cui si vede tutto non sarà altro che quella stessa oscurità in cui, nel mondo della veglia, noi non vediamo niente. O preferiamo non vedere. O pretendiamo di non vedere. O non ci va di vedere”.
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