Nel 1930, a Ferrara, al 19° Congresso della Società Italiana di Freniatria, Arnaldo Pieraccini[1] tenne la comunicazione dal titolo Eredità psicopatica e arruolamento nei Corpi Armati dello Stato in cui trattò i problemi di ordine scientifico ed etico professionale, che si ponevano ai Direttori dei Manicomi provinciali a fronte della richiesta di refertazioni da parte di Arma dei Carabinieri, Regia Guardia di Finanza e Regia Aeronautica circa l’esistenza, per ogni aspirante all’arruolamento, di precedenti individuali e famigliari di malattie “ledenti le facoltà mentali”. Le norme dei regolamenti specificavano che “le malattie mentali, per dar luogo al diniego dell’attestato di idoneità, debbono essere di natura ereditaria ed i membri che ne sono affetti devono essere consanguinei in grado tale da far ritenere che la malattia possa prodursi anche nell’aspirante, per averne egli potuto conseguire il germe o la tendenza, avendo origine comune con coloro che ne soffrono o ne soffrirono o discendenza da chi manifestò le malattie stesse”.
Pieraccini premette che non si doveva rilasciare copia delle cartelle cliniche del famigliare internato, in questo confortato dal Presidente del Tribunale, ma solo un certificato “attestante il periodo di degenza del demente nel manicomio, la specie della malattia diagnosticata e l’indicazione – in caso di dimissione- se questa era avvenuta per guarigione completa o per affidamento a custodia domestica”. Egli segnala poi che un limite era costituito dal fatto che la ricerca delle Autorità militari era condotta solo nei Manicomi provinciali, quelli della Provincia di provenienza; ma vi erano Province che non avendo provveduto ad aprire un proprio manicomio, “inviano e disseminano gli alienati propri qua e là, con spostamenti anche frequenti determinati dalle oscillazioni del mercato”. E commenta: “Ne è soverchiamente severa questa parola che anzi è qui al posto di mercimonio”.
Pieraccini critica la procedura “per le imperfezioni metodologiche di tali richieste e l’incertezza e le lacune che dominano quanto riguarda le leggi sulla ereditarietà morbosa” che rende difficile “giungere in singoli casi a positive conclusioni capaci di prestarsi per utili provvedimenti” e, a rimedio, propone che il referto sia frutto di un parere collegiale.
Entrando nel merito delle malattie trasmissibili per via ereditaria, elenca:
- le malattie familiari ad ereditarietà matriarcale (come l’emofilia) nelle quali essendo solo gli uomini colpiti, quella che conta è “la discendenza delle sorelle dei colpiti”
- le malattie a eredità diretta continua ( morbo di Thomsen, corea di Huntington, malattia di Friedreich) nelle quali i soggetti malati possono trasmettere l’affezione ai discendenti
- le alienazioni mentali per le quali però “la tesi della prognosticabilità del destino degli ereditari non trova accenni di sorta nella letteratura”. Per tale ragione ciascun alienista finisce col seguire “i propri convincimenti individuali”. Ciò premesso, afferma che “le forme appartenenti alla costituzione maniaco-depressiva”, e quindi anche le sotto varietà della frenosi maniaco-depressiva medesima come la ciclotimica e l’esaltamento e la depressione costituzionale, costituiscono uno dei precedenti più gravi dal punto di vista della trasmissibilità nei discendenti, di “tipo ereditario dominante”. Nelle ciclofrenie “l’inizio della malattia segue le leggi dell’anticipazione per i membri di generazioni succedentisi e della omocronia per quelli di una stessa generazione”. Pertanto se l’aspirante è figlio di un ciclofrenico, l’arruolamento è sconsigliabile se non ha raggiunto l’età in cui la malattia è comparsa nel padre; mentre è da consentire se ha sorpassato l’età in cui la malattia è comparsa nel padre. Anzi in tal caso potrà sposarsi ed avere figli, purché la donna sia “immune da tara analoga”.
Lo stesso criterio dovrebbe essere adottato nelle schizofrenie, anche se “con maggiori riserve rese necessarie dalla minor sicurezza delle nozioni correlative”.
Qui Pieraccini raccomanda prudenza perché – e cita Rüdin – “noi ci troviamo ancora nel buio etiologico riguardo alla maggior parte delle predisposizioni a disturbi mentali”. E poi, si chiede e chiede, la schizofrenia si trasmette con carattere dominante o recessivo? Ed è vero che si trasmette? Quale valore assegnare all’alcoolismo degli ascendenti? L’alcoolismo è “fattore creatore di epilessia” ? O l’epilessia sarebbe sempre acquisita, non ereditaria né familiare? La demenza da arteriosclerosi e la demenza senile possono avere ripercussioni nella discendenza? È vero che la presenza di due malattie mentali differenti nella ascendenza di un individuo, ne minaccia la salute più gravemente? Né diversamente di quanto potrebbe farlo ciascuna delle due malattie presa isolatamente?
È necessario quindi che “le risposte vengano formulate con ogni prudenza e circospezione e all’infuori di ogni affermazione assolutistica” e si ha il dovere di “sinceramente dichiarare che lo stato attuale delle nostre cognizioni non permette di prevedere se e quali influenze possano venire esplicate, sui discendenti, dalla malattia mentale osservata nel congiunto”.
Ovviamente, le considerazioni svolte a proposito delle richieste delle Autorità Militari, valevano anche in riferimento ai quesiti sull’opportunità e l’effettuabilità del matrimonio “che vanno, a seconda dei paesi, dal denegato certificato prepuziale a puro valore morale, alla proibizione assoluta delle nozze e alla castrazione.
Il fatto era che gli alienisti erano caricati di un compito molto delicato senza avere conoscenze, procedure e mezzi adeguati e per questo Pieraccini presentò in conclusione un ordine del giorno che impegnava la Presidenza della Società Freniatrica a sollecitare la Lega d’igiene mentale “perché, mediante uno studio associato, lo svolgimento delle proficue indagini ne resti agevolato e ne vengano disciplinate e rafforzate le garanzie”.
Luigi Benevelli ( a cura di)
Mantova, 1 marzo 2022
A Macerata, nel 1895, sposò Pasqualina Poloni, infermiera nello stesso manicomio, con la quale ebbe 5 figli, uno dei quali, Ottaviano,morì internato a Mauthausen il 28 marzo 1945. Conseguita la libera docenza in psichiatria a Roma nel 1903, l’anno successivo assunse la direzione dell’ospedale psichiatrico di Arezzo, dove operò fino alla pensione (1950). Pieraccini condusse ad Arezzo una vasta opera riformatrice; redasse il Regolamento organico (1906) basato sulla prima legislazione psichiatrica (1904) e proposto dal Consiglio superiore di sanità a modello nazionale. Applicò il sistema no-restraint e promosse l’open-door. Al fine di favorire il recupero sociale del malato di mente, favorì la vita in comune dei degenti, senza separazioni di genere, aprì una colonia agricola e avviò attività ergoterapiche; diede vita all’assistenza extraospedaliera attraverso il sistema della custodia domestica omofamiliare, eterofamiliare e mista (conosciuta come ‘tipo Pieraccini’), effettuando personalmente, in tutta la provincia, le visite domiciliari.
Sostenitore dell’unità di studio e attività clinica tra psichiatria e neurologia, incoraggiato dall’esperienza fatta durante la Grande guerra con l’accoglimento dei militari provenienti dal fronte, nel 1926 aprì un reparto neurologico annesso al manicomio, ma indipendente da esso. L’asilo aretino si trasformò così in “ospedale neuropsichiatrico”, esempio seguito da molte altre Province italiane. Fu tra i promotori della Lega italiana di igiene e profilassi mentale (1924), nella quale ricoprì anche il ruolo di presidente onorario.
All’attività medico scientifica Pieraccini affiancò un intenso e costante impegno politico nel Partito Socialista; nella sua formazione politica ebbe notevole influenza il fratello Gaetano, anch’egli medico; dal 1910 al 1912 Arnaldo fu assessore all’igiene nella giunta del Comune di Arezzo. Con Ferruccio Bernardini, avvocato e deputato socialista, fu molto attivo nella propaganda fra le masse rurali delle campagne, in particolare in Valdichiana. Per tali atteggiamenti e per il suo neutralismo, il 12 novembre 1918 subì un’aggressione da parte di un gruppo di nazionalisti al termine di un comizio dell’amico Bernardini. Fu oggetto di altre violenze fasciste il 18 aprile 1921. Nel 1920 fu consigliere per il Partito socialista, fino allo scioglimento del Consiglio comunale nel 1924. Durante il Fascismo fu segnalato come oppositore e socialista e sottoposto alla continua vigilanza della polizia. Nel 1941, in quanto non iscritto al Pnf, fu collocato in pensione ma su richiesta della Provincia venne riassunto con lo stipendio decurtato e la qualifica di avventizio interino con l’incarico di direttore in quanto ritenuto “capace, esperto ed insostituibile”. Dopo la caduta del fascismo nel luglio del 1943, il 2 settembre aderì al Comitato provinciale di concentrazione antifascista. Nel luglio del 1944, subito dopo la liberazione di Arezzo, il Cln lo chiamò per un breve periodo alla carica di vicesindaco, mentre parallelamente il fratello assumeva la carica di sindaco di Firenze. Dal 1946 al 1956 sarà di nuovo consigliere comunale; nel 1946 fu reintegrato nel ruolo di direttore.
La nota biografica è tratta da Matteo Fiorani, Pieraccini Arnaldo, «Dizionario biografico degli italiani», vol. 83, 2015.
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