Di Putin si sa abbastanza: figlio putativo di Yeltsin, a sua volta figlio putativo della deregulation americana che ha consentito a pochi predatori di appropriarsi dei beni del popolo russo (in nome della democrazia), ex KGB diventato prima premier e poi presidente del suo paese, dittatore spietato con i suoi oppositori, colpevole di terribili stragi di civili in Cecenia e Siria, corrotto e corruttore, accumulatore di enormi ricchezze personali. Non è per definizione una persona sana, come gli oligarchi di qualsiasi provenienza, indipendentemente dagli esami psichiatrici a cui li si può sottoporre. Ci si può meravigliare del fatto che Putin goda di un potere assoluto, nonostante la mancanza di equilibrio psichico, ma la verità è che l’ha conquistato proprio grazie a questa. È risaputo che la combinazione di un Falso Sé (essere personaggio, maschera piuttosto che persona), di una concezione diffidente, paranoica della realtà e di una mancanza assoluta di scrupoli (soprattutto se derivata dall’uso strumentale degli altri per negare il dolore personale e trarne guadagno) offre un vantaggio decisivo nei giochi di potere.
Trump non è diverso da Putin, opera in un contesto politico-istituzionale ancora non favorevole alla monocrazia. Nondimeno, è tempo di convincerci che Putin, Trump, Erdogan, Orbán, e tanti altri tiranni collocati in posti più invisibili per il nostro distratto sguardo, non sono un’anomalia. Tendono ad essere la regola del nostro tempo. Se poi aggiungiamo alla vista d’insieme il regime totalitario che regna sulla Cina, il paese più grande del mondo sulla via di diventare il più potente, e la riduzione dappertutto della democrazia sostanziale a causa della manifestamente patologica concentrazione della ricchezza, il quadro diventa fosco.
La società della soddisfazione dei bisogni materiali, la biologia come destino (autodistruttivo) dell’uomo, che cerca di convertire ai suoi principi omeostatici scienza e cultura, impone per sua intrinseca necessità il diritto del più forte, del più spietato. La percezione del mondo vista dalla prospettiva dei tiranni è costitutivamente paranoica: l’altro, se non è un affiliato (replicante di sé) o è un automa insignificante da usare e gettare via o, se si costituisce come soggetto dotato di un proprio desiderio e di una propria libertà, è un fastidio di cui sbarazzarsi. Lo presenza dei tiranni è un segnale inquietante: indica che una cultura paranoica, la percezione come entità ostile dell’alterità (fomentata dal distanziamento sociale), si sta impadronendo della collettività e trova la sua incarnazione nei dittatori.
Putin non è un uomo tragico finito in un vicolo cieco a causa di un’amartia: un errore preterintenzionale a cui l’ha spinto la mancanza del senso di misura. È un freddo calcolatore, un giocatore d’azzardo che bara e vince, finché l’altro non esce dall’ipnosi e non fa saltare il banco. Ma l’umanità non trae un vantaggio se l’autocrate che precipita nel suo gioco trascina con sé una parte della vita e della speranza o se un altro ne prende il posto qui o da un’altra parte. La geopolitica delle grandi superpotenze è una guerra non dichiarata, del tutto avulsa dai nostri interessi e dalla realtà. Possiamo affidare il nostro destino a dei Dottor Stranamore, bambini superdotati, mai cresciuti emotivamente e ritirati dal mondo, che sulle loro mappe disegnano il futuro? Immaginando evoluzioni virtuali che finiscono per creare effetti catastrofici reali?
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