Le citazioni freudiane
Nelle Sigmund Freud gesammelte Werke Medea ricorre solo una volta nel caso Dora; negli Écrits di Lacan mai. Citando Euripide, Freud riferisce che Medea fu molto contenta che Creusa attraesse i suoi figli. Non accenna all’infanticidio. Citare non è il forte di Freud, che pare snobbare l’autorità degli autori. Non cita Mendel, creatore della genetica moderna, riscoperto ai tempi dei Tre saggi sulla teoria sessuale. La genetica freudiana è psicogenesi, cioè genealogia psicologica. In Totem e tabù, citando l’Origine dell’uomo, attribuisce a Darwin il mito dell’orda primordiale (Urhorde), dominata dal padre stallone (Männchen), che possedeva tutte le donne, costringendo i maschi all’omosessualità; perciò un giorno lo uccisero. Il misfatto si celebrò poi nel sacrificio rituale e nel pasto totemico dell’animale rappresentante del padre. Tutto ciò, se non verificabile, è falso. Il “lungo ragionamento” di Darwin non ospita mitologie; non presuppone orde primordiali e padri stalloni ma small communities, che si dividevano i territori di caccia e raccolta; sviluppa tesi su variabilità biologica e sopravvivenza delle specie meglio adattate alla propria nicchia ecologica. Oggi, dopo Darwin si parla di biodiversità.
Le darwiniane sono ipotesi scientifiche, quindi confutabili, regolarmente confermate dalle ricorrenti pandemie. Il mito freudiano, invece, essendo una costruzione sintomatica, non prevede confutazioni; è la verità clinica del singolo soggetto, confermata in casi simili. Freud non considera casi diversi dal suo, per esempio le psicosi. Non riconosce la variabilità del reale; non usa mai il termine Variabel; non confuta tesi alternative, ma conferma le adottate. Non riconosce quanto sia casuale l’apparente conferma; non valuta le fluttuazioni statistiche. La sua clinica non è trasparente. Tutto sommato, Freud non ha strumenti per cogliere la portata della scienza moderna, in particolare dell’innovazione darwiniana.
In Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Freud riconferma la fallacia su Darwin. Confermare – cioè dire ciò che è o la verità secondo Aristotele – è il sintomo epistemologico di Freud, che non conosce, quindi non pratica, la confutazione di ipotesi provvisorie (par provision, secondo Cartesio). Il discorso freudiano conferma certezze filosofiche, basate sul principio ippocratico di ragion sufficiente: c’è l’effetto perché c’è la causa; la malattia perché c’è l’agente morboso; la guarigione, tolto l’agente morboso. Freud non conosce i modelli scientifici “usa e getta” e “le sensate esperienze e le dimostrazioni necessarie”, di cui Galilei scriveva a Cristina di Lorena. In biblioteca non ha Cartesio e Galilei, mai citati. Freud resta autore aristotelico. Il fondo ippocratico della psicanalisi fu anche la ragione dell’iniziale successo come psicoterapia, oggi un ricordo. Nell’immaginario collettivo il messaggio freudiano di Ippocrate è andato più a fondo di Galilei.
Fu ignoranza quella di Freud? Secondo me fu qualcosa di più profondo; fu volontà d’ignoranza. Ebbe un oggetto preciso: come molti, Freud non voleva sapere della femminilità, ridotta a fatto anatomico. È proprio vero che i maschi non vogliono sapere delle femmine, anche se le fottono e di traverso inventano la psicanalisi per scusare l’idiosincrasia. La psicologia freudiana ha un solo motore, la libido, l’energia sessuale maschile per possedere il corpo femminile; nella fase orale la Liebesbemächtigung, l’impossessamento erotico annienta l’oggetto (Vernichtung), afferma Freud in Al di là del principio di piacere. Così teorizzò l’assenza di rapporto sessuale prima di Lacan.
E vengo al caso Medea, ignorato da Freud. Senza l’aiuto di Medea i maschi, i famosi Argonauti con Giasone in testa, non sarebbero riusciti a trafugare (“trafigare”) il vello d’oro, metafora trasparente del pelo pubico femminile, biondo, cioè barbaro per gli antichi Greci. Non voglio trattare l’ausilio femminile alla sessualità maschile, perché tema abusato e di corto respiro. Voglio spiegare il mito di Medea in termini scientifici, partendo dalla psicanalisi di Freud, dove Medea non trova posto, mostrando perché non lo trova. Non essendo ermeneutica, se risulterà scientifica, la mia operazione sarà chiaramente antistorica. Ai tempi di Euripide non esisteva la scienza galileiana. Ci si accontentava di miti. Dopo Galilei non bastano più.
Cosa suggerisce la scienza?
La scienza la prende alla larga; evita le trappole realistiche del discorso comune, in particolare dell’ontologia anatomica. Da medico Freud ridusse il sesso femminile alla differenza anatomica: un sintomo maschile. Qui svilupperò alcune idee, all’apparenza distanti dalla sessualità, che Lacan declinò in termini di “tutto” e “non tutto”; dimostrerò che non sono sue originali. Prima della psicanalisi c’è la matematica.
Maschile e femminile non sono concetti. O meglio, il maschile è un concetto, il femminile no. Cos’è un concetto? Lo dice la parola: è ciò che si può concepire; è un insieme di rappresentazioni che, a prescindere dalla loro variabilità, si possono unificare logicamente ed esprimere in un linguaggio. Non sempre si riesce. Da una parte ci sono materiali unificabili in un concetto e dall’altra estensioni tanto vaste da non essere riassumibili in unità concettuali; tra i primi c’è il maschile, tra le seconde il femminile. Esiste il concetto di maschile, non di femminile.
La distinzione fu formalizzata negli anni 1925-1940; iniziò von Neumann con la teoria degli insiemi come funzioni binarie; Gödel e Bernays la perfezionarono in teoria delle classi, oggi base dell’algebra delle categorie. Supposero la dicotomia tra le classi “piccole,” gli insiemi, e le “grandi”, che non sono insiemi; le prime riducibili a un concetto, le seconde no. Come distinguerle? Per via esistenziale. Per gli insiemi esiste una classe di cui sono elementi; gli insiemi sono dotati di una proprietà caratteristica, che accomuna gli elementi e li unifica in un concetto. Per loro vale il principio di comprensione, cioè l’equivalenza tra intensione (concettuale) di una proprietà ed estensione (materiale) degli elementi che la soddisfano. Per i non insiemi, invece, non esiste la classe di cui siano elementi; quindi non esiste la proprietà caratteristica degli elementi che unifichi l’estensione in un concetto. Per essi non vale il principio di comprensione. Evitando termini negativi, gli autori parlano di classi proprie. Ad esempio, la classe di tutti gli insiemi non è un insieme ma una classe propria: gli insiemi sono definiti da proprietà caratteristiche ma il concetto di “insieme” non esiste.
L’esempio che riguarda il soggetto è la sessuazione, cioè l’azione soggettiva di assumere un sesso. Il maschile è un concetto (un insieme); dice quel che è; il femminile è una classe propria; non è concettuale; non sa dire quel che è. Il femminile esce dall’ontologia. In altri termini, il maschile si può unificare nel rappresentante unitario, cioè nella sua proprietà caratteristica ontologica; il femminile no, perché non ha caratteri specifici per definirlo come elemento di qualche classe. Non essendo un concetto, il femminile non è del tutto comprensibile non solo per i maschi ma anche per le femmine. Al fondo il femminile resta un mistero per tutti. Ignorando i termini moderni, Lacan si basa su Aristotele, filosofo molto vicino a Freud; le classi proprie, tipica la femminile, sono dei “non tutto” (mé pantes); manca loro la specifica unità che le renda un “tutto”, cioè categorie concettualmente definite.
Come tradurre questa teoria nella pratica clinica? Non è difficile. Il maschile è unificato dal Padre primordiale, portatore del fallo ed esterno alla massa dei fratelli castrati; detto in lacanese, il padre primordiale, der Urvater, ek-siste alla fratria; è l’Uno non castrato che “da fuori” definisce i maschi come castrati. La castrazione va intesa simbolicamente come non possesso della madre, cui accede solo il padre. Negli ultimi tempi, per invocare il padre, Lacan inventò la giaculatoria y a d’l’Un, dove il partitivo sincopato indica bene che si tratta di Uno non “tra” molti ma “per” molti. Assumere il sesso maschile vuol dire, secondo Freud, riconoscere il padre come portatore del fallo. Nell’omosessualità maschile l’operazione fallisce.
Il femminile, invece, non è unificato da nulla, neppure dalla castrazione, che pure riguarda tutte le femmine ma senza definirle. La castrazione delle donne è propriamente pleonastica; in certune funziona in via nevrotica come invidia del pene (der Penisneid), ma non è un tratto universale della femminilità; Bourbaki direbbe che la femminilità non è “collettivizzante”. In altri termini, il maschile appartiene ai maschi; il femminile non appartiene neppure alle femmine. Insomma, del maschile ci si può appropriare, del femminile no; rimane sempre qualcosa di estraneo al discorso comune. Assumere il sesso femminile è più complicato di riconoscersi maschio. L’omosessualità femminile è più complessa della maschile.
Lo sanno bene i dittatori, che usano la violenza per sottomettere la femminilità ai propri ideali. Sanno che è “barbara”; presso i Greci antichi era straniera. Medea era barbara, non solo perché nativa della Colchide. Era predestinata in via femminile alla tragedia, a prescindere dai rapporti umani, tipicamente dal rapporto sessuale, che propriamente non esiste; era tragicamente disumana in quanto donna troppo donna, fuori dalle regole della convivenza civile. Per gli antichi Medea fu una maga, nipote del Sole; disponeva di un sapere fuori dal comune, accecante ma inutile, che non ci è stato tramandato, perché non concettuale, quindi non simbolizzato.
Medea, maga senza inconscio
Fuggita da Corinto dopo l’infanticidio – testimoniando che il femminile non si riduce al materno – senza nutrire i sensi di colpa inconsci che accecarono Edipo, Medea si rifugiò ad Atene presso il re Egeo. Il quale tentò di sfruttare i suoi poteri magici per fini politici. Niente da fare. Il sapere magico non si finalizza. Non serve a nulla. Non costruisce bombe atomiche come lo scientifico. Siamo a un altro livello. Tragico, appunto. Ma quella di Medea fu una tragedia sui generis, la tragedia originaria della civiltà, che non sopporta classi proprie, in particolare il femminile, in quanto irriducibili a qualche ideale. Tutto il movimento femminista si inscrive in tale impossibilità reale.
A questo punto, lo psicanalista si chiede la differenza tra le tragedie di Edipo e di Medea. Perché Freud scelse il mito di Edipo e non di Medea? Al liceo classico si insegnano entrambi. Di seguito c’è la mia congettura, anzi ci sono le mie ipotesi, perché sono due. In seconda battuta lo stesso psicanalista con un minimo di cultura si chiede perché Freud abbia fondato la psicanalisi sul mito di Edipo e non di Medea. Non ponendosi la domanda, le scuole di psicanalisi non rispondono. A partire dal loro maestro, non riconoscono che la Medea senza inconscio rende l’ipotesi dell’inconscio confutabile, in effetti confutata, quindi scientifica. Freud non lo capì.
La mia prima considerazione (o meglio congettura) è intra-psicanalitica. Edipo si acceca perché arriva a sapere quel che non sapeva, cioè di avere ucciso il padre, volendo ucciderlo senza saperlo. Accecandosi non vuole vedere il misfatto che ha commesso, avendo voluto commetterlo. L’ipotesi di Freud, per cui il medico di Vienna resterà famoso, è l’esistenza del sapere inconscio che non si sa di sapere, ma con il lavoro di analisi si può portare alla coscienza. A Medea questa ipotesi non si applica. Sa benissimo di voler uccidere i propri figli, per punire Giasone della sua infedeltà, e li uccide senza pentirsi. A differenza di Edipo Medea non fu freudiana.
La mia seconda congettura è extra-psicanalitica. Medea non soffre di sensi di colpa inconsci; su di lei non si può avviare il lungo lavorio di scavo psicologico, perché non ha inconscio. Giustamente, nella favolosa trasposizione filmica della tragedia di Medea Pasolini non cede alla tentazione dello “scavo psicologico”. Medea uccide i figli per vendicarsi di Giasone che la tradì per sposare Glauce e diventare re di Corinto. Punto. Il senso di colpa è materia edipica, non medeica. (Stavo per scrivere “medica”).
Medea non aveva inconscio – ho appena detto – quindi non interessava Freud. Ma avrebbe dovuto interessarlo, perché riguardava la confutazione della psicanalisi. Freud non si interessava alle confutazioni. Cercava conferme; ignorava che la scienza opera confutando congetture; lo insegnava Popper nella Vienna del suo tempo. C’è però da considerare la rilevanza del fattore collettivo: le conferme creano adepti, le confutazioni li respingono e creano avversari. Freud rimase di mentalità storicista, fissata alle conferme. Si sentiva più sicuro confermando che confutando: un infantilismo teorico, coniugato a un’opportunità politica. Il successo iniziale del movimento psicanalitico fu dovuto alle conferme edipiche, per il collettivo molto più convincenti delle confutazioni. Il collettivo è infantile.
Venendo alla clinica psicanalitica, c’è da credere che Freud optasse per il mito di Edipo, trascurando Medea, perché su Edipo, non su Medea, poteva impostare il lungo processo di ricostruzione della storia soggettiva, fatta di rimozioni e riprese, vincendo le resistenze al sapere. Il fatto è in sé singolare e incongruente. Freud inventò la psicanalisi grazie alle isteriche. È naturale chiedersi perché non abbia adottato una mitologia femminile, ma si sia fissato a un mito maschile, riducendo il femminile al materno. L’invenzione della psicanalisi fu forse il sintomo di Freud?
La mia ipotesi è che Freud fu e rimase medico, interessato alla terapia psichica, anche in polemica con i medici, sia con chi esercitava la psicanalisi da non analizzato, i “selvaggi”, sia con i “civili”, laureati in medicina, quindi autorizzati a esercitare la professione psicanalitica. A difesa dello psicanalista non medico Th. Reik scrisse un saggio sull’analisi “laica”, per non dire scientifica, tradotto ufficialmente “condotta da non medici”. Nella postfazione del 1927 Freud si augurò che “la terapia non uccidesse (erschlägt) la scienza”. È inutile cercare la citazione nella traduzione ufficiale delle Opere di Sigmund Freud, dove si legge che la terapia “non soverchi” la scienza. Freud intendeva la “scienza medica”. (Questa è un’altra fallacia freudiana, per altro molto comune, di autorità ippocratica, che non mi dilungo a confutare, perché richiederebbe un altro saggio).
Se la mia analisi è corretta, la conclusione è semplice: per Freud la psicanalisi è la vera medicina scientifica, che può e sa intervenire sulle cause delle psiconevrosi, come il medico sa e può intervenire sulla causa del tifo rimuovendola. Allora il mito di Edipo, non quello di Medea, offrì a Freud il contesto eziologico su cui intervenire in modo terapeutico, da bravo medico eliminando la causa del morbo. Alla terapia freudiana basta riportare alla coscienza il complesso inconscio del parricidio e della castrazione, magari trascurando le componenti psichiche propriamente femminili, e il giochino eziologico, cioè medico, è fatto: si guarisce dalla nevrosi.
Detto questo, è naturale chiedersi quanto il mito di Medea possa interessare allo psicanalista, visto che non interessò a Freud. Alla domanda do una risposta personale, che esito a esporre, perché so di destare le resistenze del senso comune. Ma ci provo e chiedo tolleranza, cominciando dal titolo.
Medea, madre dell’anoressia
Oggi sulla genesi dell’anoressia, tema non trattato da Freud, circolano diverse ipotesi, basate su stereotipi culturali che esaltano il modello di magrezza delle top models. Non le discuto. Possono essere vere, ma non mi interessa. Mi interessa, invece, sviluppare un’altra ipotesi, cioè affrontare un’altra realtà, forse meno realistica ma più reale, nel senso lacaniano che non cessa di non scriversi. Allora provo a scriverla.
Semplificando affermo che l’anoressia è un prodotto materno; la madre anoressizzante è una Medea che, delusa dal compagno, vuole ucciderne la prole, di preferenza femminile. Non riconosce il padre dei propri figli, con grave loro danno. Dell’ipotesi che il maschio non sia all’altezza della femmina si possono dare poi le più bizzarre versioni topologiche. Le femmine non fanno entrare alcunché di maschile nella loro cavità, non necessariamente la vagina, organo sconosciuto a molte donne. Ho infatti conosciuto anoressiche con intensa attività sessuale. Nell’anoressia è in ballo la penetrazione simbolica del cibo. Nel suo discorso medico, Freud parlerebbe di regressione allo stadio orale, ma poi non saprebbe dire perché funzioni a rovescio come rifiuto del cibo. Per quale soddisfazione pulsionale? Come soddisfa la pulsione orale respingere l’oggetto? Si aggiunga che, in quanto fenomeno simbolico “in assenza”, l’anoressia non è anatomica; non distingue tra i sessi organici, quindi sfuggì a Freud.
Quasi cinquant’anni fa, il mio primo analizzante fu un anoressico con fantasma di gravidanza; era identificato alla madre, la capofamiglia in una famiglia dove il padre si illudeva di avere il bastone del comando ma di fatto non “bastonava”. CB, queste le sue iniziali, iniziava con un preciso rituale di evacuazione mattutina: tre scariche diarroiche, per essere sicuro di essere ben vuoto dentro (non gravido); aveva un esatto menù alimentare giornaliero, osservato con ossessività da ingegnere, più ossessivo che ingegnere. L’ossessione era stabilire quando era finita la digestione del cibo precedente per fare posto al successivo, come se due gravidanze non potessero sovrapporsi. Era questo il suo assioma fantasmatico, trasferito al cibo, analiticamente confermato nell’orario delle sedute fissate intorno a mezzogiorno. All’analista tocca in questi casi fare sembiante di cibo; le sedute di analisi sono pasti totemici virtuali. Secondo il matema lacaniano, il significante epistemico S2, deve segnalare al soggetto quando c’è posto per il significante S1, il significante principale, in questo caso il cibo, l’oggetto con le stesse consonati del soggetto, CB. Dopo l’analisi, che richiese anche un ricovero ospedaliero, dove CB si gonfiò in un edema generalizzato, detto dai medici anasarca, che poteva far pensare a una patologia renale, CB mise la moglie incinta di due gemelli (gravidanze sovrapposte). Il fantasma di gravidanza anoressico – più frequente nelle femmine – si rappresentava in CB nell’eruzione del Vesuvio come parto mortifero: la morte all’origine della vita. Una partoriente deve sapere di generare figli alla morte. Maggiori dettagli clinici si trovano nel sito www.sciacchitano.it.
È l’unica storia clinica che abbia scritto. Con il tempo ho capito che la narrazione del caso singolo si adatta male allo spirito scientifico della psicanalisi. Anche Lacan non scrisse casi clinici; si leggono come novelle, ma non hanno il marchio dell’autentica scientificità; lo riconobbe Freud già negli Studi sull’isteria. Lacan si rese conto che la singolarità del caso clinico non rende la potenziale variabilità scientifica della psicanalisi, come dimostrano le seconde e terze analisi. I casi clinici hanno solo funzione didattica. Sono strumentali. Servono a insegnare la professione di psicanalista, trasmettendo i principi dall’esperto all’allievo. La chiamano formazione; in realtà è la conformazione all’ortodossia di scuola, dove l’allievo acquisisce il titolo che lo autorizza a definirsi psicanalista e a esercitare la psicanalisi, che resta in ogni caso un mestiere senza insegnamento.
L’anoressia obbliga a ripensare in psicanalisi la funzione del complesso di Edipo e del conseguente complesso di castrazione. CB non aveva complessi di castrazione. Sin da piccolo, giocando con la cuginetta, sapeva che il suo cosino serviva a entrare lì. Certo il complesso di Medea, se esiste, è difficile da stanare perché è un fantasma dell’altro, non dell’analizzante. A ciò si aggiunga che il desiderio femminile, qui materno, non si concettualizza. Questa è la ragione teorica per cui Freud non considerò il mito di Medea nella sua psicanalisi. Con la teoria del desiderio come desiderio dell’altro, Lacan superò l’impasse freudiana. Con pazienza e rigore se ne viene a capo. Certo, ci sono le numerose interruzioni dell’analisi, ad esempio i ricoveri ospedalieri, ma in generale se ne esce. C’è però da dire che in genere i medici, essendo tecnici che applicano procedure codificate, non aiutano lo psicanalista nel suo singolare lavoro scientifico, di regola innovativo.
Dall’anoressia alla scienza
L’esperienza dell’anoressia mi è servita a iniziare la revisione scientifica del freudismo, che ha buone basi scientifiche, ma sepolte sotto la paccottiglia metapsicologica di stampo medico, per esempio la teoria eziologica delle pulsioni intese come forze costanti, al limite tra lo psichico e il somatico. Non esistono forze costanti in biologia ma solo equilibri oscillanti come quello tra prede e predatori, tra alimento e alimentato, descritto dal sistema di equazioni differenziali di Volterra-Lotka (1925-26). Le cause psichiche vanno ripensate, ma indebolite da come le concepiva Freud, afflitto dalla nevrosi dell’“imperativo bisogno di causalità”, come riconobbe nel terzo saggio sull’Uomo Mosè e la religione monoteista (1938).
Del freudismo non butto via tutto. Conservo qualcosa di più scientifico della metapsicologia; Freud la chiamava la sua strega, che amava perché rispondeva ai suoi perché infantili. Da freudiano non ortodosso escludo la metapsicologia delle cause pulsionali, che producono l’effetto psichico della soddisfazione sessuale; ritengo scientifiche tre ipotesi di Freud e una di Lacan.
La principale è l’esistenza dell’inconscio, inteso come sapere non autoriferito, cioè che non si sa di sapere (letteralmente das Unbewusste, da wissen, sapere). La ritengo un’ipotesi scientifica proprio per la confutazione di Medea, la strega senza né inconscio né metapsicologia. La seconda ipotesi è la rimozione primaria (die Urverdrängung) dei significanti non rigettati dalla coscienza individuale, che abitano nella coscienza collettiva, perché alla coscienza dell’individuo non sono mai arrivati, pur producendo effetti individuali, che l’individuo non riconosce come propri; è un’ipotesi che non sapremo mai da dove sia venuta in mente a Freud. Last but not leastc’è l’acquisizione differita del sapere, die Nachträglichkeit; il sapere è acquisito a posteriori, ricalcato sull’inizio in due tempi della sessualità umana, separati dal periodo di latenza. A queste aggiungo l’ipotesi lacaniana del transfert come tempo di sapere, supposto nell’altro in forma deformata e articolato da Lacan nelle tre fasi del tempo epistemico: il tempo di vedere, il tempo di comprendere (ma è meglio dire “spiegare”) e il tempo di concludere.
Oggi Medea si chiama Egbertus
C’è ancora tanta materia da elaborare, problemi da chiarire, soprattutto in tema di femminilità. Questo è solo l’inizio di un lavoro, che devo a Medea, la mala femmina che distrusse i suoi figli e i freudiani ortodossi. Concludo provvisoriamente e brevemente con una domanda: chi oggi prolunga il pensiero di Medea? Oso dirlo, rimandando ad altra occasione l’opportunità di ripensare il pensiero intuizionista. Intendo il pensiero di Egbertus Luitzen Brouwer, matematico e topologo, ideatore dell’intuizionismo (1908), scopritore di teoremi come l’invarianza della dimensione degli spazi vettoriali e il teorema del punto fisso per funzioni continue che applicano un insieme su sé stesso. Il suo pensiero è poco tradizionale; potrebbe interessare lo psicanalista perché sospende la verità (aristotelica) del principio logico del terzo escluso, cioè A vel non A non è sempre vera. Infatti A e il suo complemento non A sono in generale classi proprie, di cui non si può in linea di principio predicare la verità. Si può affermare A vel non A solo se prima o si dimostra A o si dimostra non A. Quello di Brouwer, non essendo binario, è un pensiero “naturalmente” psicanalitico. Brouwer inaugurò una logica non ontologica, diversa dall’aristotelica, che identifica il vero con ciò che è e il falso con ciò che non è. La logica intuizionista è epistemica; ospita il sapere nella mancanza a essere di un soggetto che, come l’io freudiano, “non è padrone a casa propria”; perciò non fu ben accolto dalla comunità scientifica dell’epoca – agli albori del secolo scorso – di tradizione ontologica.
Brouwer come Medea? Come istituisco il confronto? Brouwer chi uccise?
Brouwer non uccise nessuno; fu ucciso da una macchina che l’investì per strada. Lo dico con le parole del suo allievo, Heyting, che scrisse un libro introduttivo all’intuizionismo. Brouwer la fece finita con la certezza a priori della matematica, a prescindere dal soggetto che la pensa. Brouwer era olandese e mistico. Spinoza fu il filosofo che lo ispirò, distinguendo tre gradi ascendenti di conoscenza: sensoriale, intellettuale e intuitiva.
Secondo Brouwer l’intuizione è quella del matematico che “immagina” che una certa proprietà valga per la serie dei numeri naturali. Ma esistono proprietà, da Brouwer dette “sfuggenti”, che sfuggono all’intuizione e non si sa se valgano o no. Ad esempio, Brouwer considera la sequenza 1234567890. Non si sa se ricorra nello sviluppo decimale di p. Nessuno ha mai dimostrato che non esiste e nessuno l’ha mai trovata nei primi miliardi di cifre di p, generati al computer; potrebbe essere in qualche miliardo successivo. Per le proprietà sfuggenti non vale il principio del terzo escluso. Non si sa se siano o vere o false qui e ora: tertium datur in un tempo futuro. Insomma, l’intuizionismo rispetta l’infinito; non lo forza nello schematismo binario. Lo colloca nel tempo epistemico, il tempo di sapere della psicanalisi. Ammette solo le affermazioni costruttive, anche infinite, che si possono effettivamente realizzare in via algoritmica. Le dimostrazioni esistenziali, dedotte per assurdo dal principio di non contraddizione, neppure le censura, perché non esistono le corrispondenti costruzioni effettive.
La cosa sembrò un omicidio ai formalisti alla Hilbert. Per questo misfatto il buon senso matematico condannò Brouwer, il cui costruttivismo sembrava impoverire la matematica. In ciò Brouwer fu affine a Medea: un’azione negativa come l’infanticidio. In verità, quello di Brouwer non fu un vero e proprio omicidio; per lo psicanalista esiste il luogo, dove il principio di non contraddizione non vige: è l’inconscio freudiano. Che è il luogo dove i figli di Medea esistono e non esistono, senza bisogno di ucciderli. I figli non nati abitano lì. Comunque Brouwer fu espulso dalla comunità matematica come Medea dalla psicanalitica.
Per costruire il suo inconscio Freud non convocò Medea; avrebbe potuto farlo con un po’ di coraggio intellettuale in più. Tocca a noi sopperire alla timidezza freudiana. L’operazione ha un prezzo: l’abbandono delle certezze a priori dell’essere che è e del non essere che non è. Nell’inconscio l’essere esiste ma poco. Esiste se si sa costruirlo e solo dopo averlo costruito. L’epistemologia intuizionista precede l’ontologia. Come per Cartesio, il cogito precede il sum; il sapere implica l’essere, non viceversa; per Brouwer il sapere costruisce l’essere, se e quando riesce. Lacan sapeva del pensiero di Brouwer. Nel III seminario affermò che l’inconscio ha statuto pre-ontico, essendo etico; nel XX si espresse a favore del costruttivismo intuizionista. A differenza di Freud, Lacan conosceva bene Cartesio, evocato in ogni seminario. Brouwer fu cartesiano, perciò ereditò l’avversione del pensiero idealista per il dubbio sistematico.
Fermo qui queste brevi note, sapendo che si può e si deve andare più a fondo nell’analisi di certi misfatti, che riproducono a livello intellettuale quelli più reali di Medea.
San Vito di Cadore, agosto-settembre 2022.
“-E che fini strumenti di
“-E che fini strumenti di osservazione abbiamo nei nostri sensi! (…) Noi possediamo esattamente tanta scienza, per quanto abbiamo deciso di accettare la testimonianza dei sensi- e per quanto abbiamo appreso ad acuirli, ad armarli, a completarli col pensiero. Il resto è aborto e non ancora scienza: voglio dire metafisica, teologia, psicologia, teoria della conoscenza. Oppure scienza formale, teoria dei segni: come la logica, e quella logica applicata che è la matematica. In esse la realtà non compare affatto, neppure come problema; e tantomeno vi appare la questione di quale valore abbia in generale una convenzione di segni, quale la logica é. –
Da “La “ragione” nella filosofia ne “Il Crepuscolo degli Idoli” (F.W.Nietzsche)