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Sui rapporti fra criminalità, economia, classi sociali

1 Ott 22

A cura di Luigi Benevelli

La criminalità e il fattore economico in Italia
Il 4 aprile 1894 si tenne a Roma la quinta seduta dell’XI Congresso medico internazionale, presieduto, fra gli altri da Cesare Lombroso.
In quella sede Fornasari da Vercelli intervenne con la relazione dal titolo  La criminalità e il fattore economico in Italia riportando e commentando i dati delle statistiche giudiziarie penali per le quali fra i condannati il 13% era costituito da “agiati” e l’86% da “miserabili”, questo a fronte di una popolazione generale composta da un 40% di persone agiate e un 60% di indigenti.
Fornasari commenta che le funzioni psichiche non possono rimanere integre quando tutto l’organismo è impoverito per insufficiente e cattiva alimentazione, l’abitare in case malsane, gli abusi di sostanze alcooliche, i salari meschini, l’insicurezza circa il domani. E le funzioni psichiche superiori sono le prime ad esserne lese.
Sono quindi le combinazioni di fattori economici, ambientali, ozio, mendicità, moralità corrotta a fiaccare i poteri di moderazione e controllo esercitati dai centri inibitori. Tale disequilibrio si trasmette nelle generazioni.
Si può pertanto affermare che la miseria è un fattore predisponente al comportamento criminale, ma non solo predisponente perché anche determinante nella genesi del crimine: dal furto al delitto, ai reati contro il buon costume, specie se si accompagnano all’assunzione di vino ed altri alcoolici. Questo è dimostrato anche dal confronto fra la ricchezza nelle varie Regioni e il numero dei reati commessi: ferite, percosse contro la persona; furti contro la proprietà in rapporto in specie con le vicende che attraversano l’agricoltura; ribellioni e violenze contro pubblici ufficiali spesso collegate all’abuso di vino. In generale, vi sono rapporti strettissimi fra criminalità ed andamento dei prezzi, quelli degli alimentari in particolare, ed emigrazione.
Per queste ragioni al povero si richiede “una forza di resistenza più forte degli istinti impulsivi”. Tuttavia, un’osservazione più accurata prova “che un più o meno parco nutrimento non è causa sufficiente a produrre rialzi o ribassi dei reati” anche perché “un operario più guadagna e più beve, e quando il salario è minore del solito, o il vino è più  caro, egli dà pur sempre il minimo per vivere alla famiglia” e beve meno. Quando però egli preferisce dar quasi nulla alla famiglia per poter spendere tutto ciò che ha in vino e liquori, costringe la moglie e i figli alla prostituzione e al furto.
Le conclusioni:

  • L’azione del fattore economico è indubitabile e forte, ma essa è varia fra le varie forme di criminalità
  • Alcuni reati variano direttamente, altri inversamente, altri indifferentemente alle vicende economiche
  • Il legame che intercede fra reati e vicende economiche è talora strettissimo, talora lento, talora nullo.

E conclude:”Da ciò si può dedurre che il fattore economico , al pari degli altri fattori sociali, non basta a spiegarci la criminalità”.
Nella discussione che ne seguì intervennero Cesare Lombroso per elogiare Fornasari perché aveva dimostrato essere falsa l’accusa che gli “antropologi criminalisti” dimenticherebbero il fattore economico nella determinazione della delinquenza ed Enrico Ferri per aver il Fornasari confermato la natura complessa del fenomeno criminale.
 
Luigi Benevelli (a cura di)
 
Mantova, 1 ottobre 2022
 



 In Atti dell’XI Congresso Medico Internazionale, Roma, 29 marzo- 5 aprile 1894, Psichiatria, Neuropatologia ed Antropologia criminale, pp. 169-174.
 

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