Il 10 Ottobre è la giornata mondiale della salute mentale. Il 13-14 Ottobre si terrà a Roma il Vertice Mondiale della Salute Mentale, organizzato dal Ministero della Salute in collaborazione con l’OMS. I temi principali del vertice sono la “centralità dell’approccio comunitario” e il “coinvolgimento dei diretti interessati e delle loro famiglie nel processo di cura e nel recupero psicosociale”. Essi riprendono l’essenziale della legge 180. Una legge all’avanguardia, fermamente voluta da Franco Basaglia, fortemente disattesa nei fatti. Con il ministro Speranza e con la sottosegretario Zampa l’impostazione basagliana è tornata all’attenzione del governo.
Che fine farà la correzione di rotta voluta dal ministro in uscita? Il governo che si profila non lascia grande spazio alle illusioni. A giudicare dal modo con cui si è comportata un anno fa la regione Friuli-Venezia- Giulia, a guida leghista, che ha preferito affidare la direzione del DSM di Trieste (la città simbolo della riforma Basaglia) a uno psichiatra di orientamento biomedico, escludendo l’esponente della tradizione triestina arrivato primo al concorso, si può prevedere un investimento forte sulla psichiatria contenitiva, repressiva. Il sistema della salute mentale non può più reggere questa prevaricazione del buon senso e della democrazia della cura: la già evidente crisi in cui versa attualmente diventerebbe un crollo che trascinerebbe con sé gli operatori, le persone sofferenti e le loro famiglie e distruggerebbe il già vacillante senso di comunità tra di noi. La mobilitazione di tutte le forze riformatrici che operano nello spazio della cura psichica è necessaria, non più rinviabile e richiede una rinuncia agli egoismi e agli arroccamenti. Richiede anche l’abbandono di ogni retorica e un esercizio di modestia: il dolore psichico mette a dura prova le nostre certezze, interroga il nostro modo di desiderare, sentire, pensare e vivere e non semplicemente il nostro modo di costruire un sapere sulla sofferenza o trovare soluzioni terapeutiche e organizzative.
Ivan Cavicchi, esponente del pensiero critico sulla salute mentale, ha pubblicato in questi giorni il libro “Oltre la 180” (Castelvecchi). Il suo intento è di promuovere la costruzione di una prospettiva in grado di liberare la riforma della psichiatria dalle “secche in cui si arenata da anni”. Per Cavicchi la crisi della riforma non si spiega solo con l’attacco sistematico ai presupposti essenziali della sua applicazione (che sono ben riassunti nei temi del prossimo vertice a Roma). Essa è anche il risultato di una posizione apologetica dei suoi difensori che non hanno colto la grande complessità della situazione politica e socioculturale all’interno della quale la controriforma ha preso forma.
Il mondo è cambiato in peggio da tutti i punti di vista. I legami solidali e i valori comunitari sui quali la riforma Basaglia si fondava sono in grande difficoltà dappertutto e in diverse aree della nostra vita in declino. Cavicchi ha ragione a dire che il limite della riforma è stato il suo slittare progressivo verso un’investimento quasi esclusivo nelle infrastrutture organizzative, puntando soprattutto al miglioramento delle condizioni materiali degli “utenti”. Egli ha il merito di rompere un tabù: andare oltre la 180, non significa abbandonarla, ma migliorare il suo impianto riformatore, ridarle la forza propulsiva che era venuta meno e allontanarla dal rischio di diventare monumento di se stessa.
Bisognerebbe ripartire dall’importanza di una cultura complessiva della cura: l’attenzione ai diritti politici, civili e sociali, ma anche alla libertà e alla creatività dell’espressione soggettiva, ai bisogni materiali, ma anche ai desideri e agli affetti, all’esigenza di un inserimento vero, e non formale, all’interno della propria comunità, ma anche alla richiesta di lenimento del dolore e, soprattutto, di una sua elaborazione.
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