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Migranti, richiedenti asilo e blocchi navali: facciamo chiarezza.

16 Ott 22

A cura di Emilio Robotti

Presto avremo il nuovo governo, che vedrà tra i Ministri certamente Meloni e Salvini. E abbiamo già La Russa Presidente del Senato, Fontana della Camera. Si riproporrà il tema dell Blocco navale” già evocato in campagna elettorale da Meloni. Iniziamo da questo: sarebbe concretamente possibile praticare un blocco navale? Sarebbe legittimo? La risposta è NO.

 

Il blocco navale (naval blockade) è infatti una  misura di guerra volta a impedire l'entrata o l'uscita di qualsiasi nave dai porti di un belligerante.

La prassi del blocco è disciplinata, escludendo la Dichiarazione di Parigi del 16 aprile 1856 sui Principi della Guerra Marittima da norme di natura consuetudinaria, non essendo mai entrata in vigore la Dichiarazione di Londra del 26 febbraio 1909 sul diritto della Guerra Marittima, anche se i principi di tale Dichiarazione sono stati recepiti nell'ordinamento italiano dalla Legge di Guerra del 1938 (R.D. 1438/1938)

Il blocco navale deve essere formalmente dichiarato e notificato agli Stati terzi ed è disciplinato anche dalle Convenzioni di Ginevra sul Diritto Umanitario.

 

Da questi pochi cenni, (tratti dal Glossario di Diritto del Mare di F. Caffio per “Rivista Marittima”) si può capire che una attività di contrasto alla immigrazione irregolare via mare non può essere attuata mediante un “blocco navale”: esso costituisce un atto di guerra vero e proprio e significherebbe sostanzialmente dichiarare guerra agli stati di bandiera delle navi ed imbarcazioni ai quali di applicherebbe il blocco.

 

Ma si potrebbe legittimamente fare qualcosa di leggermente diverso dal blocco navale, che abbia però l’effetto di “bloccare” imbarcazioni e navi che traportino migranti? Anche qui, la risposta è NO. E questo è l’ignobile motivo per cui l’Italia da anni sottoscrive e proroga accordi con la Libia e l’Unione Europea sovvenziona Erdogan per fermare i migranti lontano dai propri confini, ad esempio. O per cui è stata creata una zona SAR Libica fittizia, per dare la possibilità alla guardia costiera libica di fare il proprio sporco lavoro. Che è quello di riportare i migranti nei campi di concentramento sul suolo libico.

 

Non esistono norme di diritto internazionale, consuetudinarie o pattizie, che qualifichino il traffico e trasporto illegale di migranti da uno stato ad un altro come illecito internazionale.

 

Diverso sarebbe il caso della tratta degli schiavi, previsto dall’art. 99 dell’UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea – Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare) che giustifica l’operazione di polizia di alto mare. Ma azioni di questo tipo sono legittime, appunto, nella tratta di persone in condizione di schiavitù.

Condizione prevista dalla Convenzione di Parigi del 1956 e corrispondente allo “stato o condizione di un individuo sul quale si esercitano le prerogative del diritto di proprietà”.

Stato e condizione che sono diverse da quelle quelle, comunque terribili, sofferte nel traffico e trasporto dei migranti.

I migranti, a differenza degli “schiavi” scelgono infatti volontariamente l’immigrazione illegale attraverso un percorso doloroso, in particolare per le donne ed i minori, per cercare condizioni di vita migliori rispetto al paese di origine o per richiedere asilo e protezione internazionale.

 

Il traffico illecito di migranti è previsto dal protocollo di Palermo (Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria) entrato in vigore il 28 gennaio 2004 e ratificato dall’Italia con la L. 16 marzo 2006, n. 146.

Il traffico illecito di migranti NON è un crimine internazionale (crimen juris gentium) e non si prevede nella convenzione e nel protocollo di Palermo la possibilità per gli stati parte (tra i quali appunto l’Italia) di porre in atto provvedimenti come il blocco navale o il dirottamento verso il porto di partenza della nave dedita al trasporto illegale di migranti o di un altro stato parte della Convenzione del protocollo.

Inoltre, la Convenzione e il protocollo di Palermo prevedono l’obbligo per lo stato che adotti iniziative di contrasto al traffico di migranti “di assicurare la sicurezza ed il rispetto dei diritti umani delle persone trasportate, tenendo nel dovuto conto, nello stesso tempo, delle esigenze di tutela ambientale e di non pregiudicare gli interessi commerciali dello Stato di bandiera o di altri Stati interessati” e “la non interferenza del Protocollo con le altre fonti di diritto internazionale compreso il diritto umanitario internazionale, i diritti umani e la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati che prevedono diritti ed obblighi per gli stati parte”.

 

Il blocco navale non è quindi praticabile nel senso auspicato da Meloni in nessuna forma: nè come atto di guerra, ovviamente, nè diversamente in forma più morbida in base alle convenzioni internazionali, ratificate dall’Italia con legge, per arrestare il traffico dei migranti. Inoltre, in base al diritto dell’Unione Europea, al diritto internazionale e al diritto italiano, anche i migranti trasportati illecitamente hanno il diritto di chiedere lo status di rifugiato.

 

Sotto questo aspetto, l’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 prevede che “Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”.

E’ il principio di non refoulment, di non respingimento, previsto dallarticolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea (Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione), secondo il quale “Le espulsioni collettive sono vietate” e «Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti». Analogamente  la CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) nell’art. 4  protocollo n. 4 della convenzione prevede il divieto di espulsione collettiva per i 47 stati parte (compresi tutti i 27 stati dell’Unione Europea) tra i quali l’Italia.

 

La CEDU ed il suo protocollo n. 4 si applicano, secondo la Corte di Strasburgo, a tutela dei diritti non solo delle persone già sul territorio dello stato parte, ma anche al di fuori di esso (e quindi in mare, in acque internazionali). In casi come questi, l’Italia (ma anche altri Stati che affacciano sul mediterraneo, come ad esempio la Grecia) è stata condannata più volte (sentenza Hirsi e altri c. Italia, Khlaifia e altri c. Italia) dalla Corte di Strasburgo.

 

Insomma, il “blocco navale” contro il traffico di migranti è un’asinata: si tratterebbe di azione illegittima, a maggior ragione se attuata nei confronti di navi che abbiano raccolto a qualsiasi titolo dei naufraghi, per i quali il diritto del mare prevede il soccorso secondo un principio plurimillenario che è norma inderogabile del diritto internazionale.

Quindi, anche il “blocco navale” inteso come blocco dei porti italiani alle navi che abbiano prestato soccorso in mare salvando naufraghi o persone abbandonate su barchini in acque internazionali, o colpendo direttamente o indirettamente le navi delle ONG che pattugliano il mediterraneo e prestano soccorso, è illegittimo.

Lart. 98 della Convenzione Unclos del 1982, titolato “Obbligo di prestare soccorso”, prevede infatti che ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, lequipaggio o i passeggeri, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo e proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa. L’obbligo di soccorso in mare e la collaborazione tra Stati sono previsti anche da altri trattati internazionali, tra i quali la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (Solas) e la Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare (Sar).

 

Lo stesso ex Ministro dell’Interno Salvini, per le operazioni di blocco dei porti italiani alle navi che avevano soccorso i migranti naufraghi, ha incassato una archiviazione in un caso (Gregoretti), ma è ancora sotto processo penale per un altro (Open Arms). E ad oggi, i casi portati all’esame dei tribunali hanno ritenuto legittime, invece, le operazioni di salvataggio compiute dalle navi delle ONG e prima ancora dai pescatori siciliani, talvolta sottoposti per anni a processi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e poi assolti.

 

Il reato di solidarietà non esiste in uno stato di diritto.

 

Eppure, senza nulla togliere ai passati, presenti e futuri demeriti di Meloni e Salvini, abbiamo da anni l’illegittimo memorandum Italia – Libia, accettato dai governi di qualsiasi colore politico che si sono succeduti dalla loro originaria stipula; accordo che scade a febbraio 2023 e si rinnoverà automaticamente per altri tre anni: secondo Amnesty International, “grazie” a questo accordo “oltre 85.000 le persone sono state intercettate in mare e riportate in Libia: uomini, donne e bambini andati incontro alla detenzione arbitraria, alla tortura, a trattamenti crudeli, inumani e degradanti, agli stupri e alle violenze sessuali, ai lavori forzati e alle uccisioni illegali”.

 

Abbiamo la politica dell’Unione Europea verso la Turchia di Erdogan, che svolge il compito di gendarme contro i migranti, un ruolo profumatamente pagato.

Abbiamo gli abusi contro i migranti di Frontex, agenzia dell’Unione Europea, talmente gravi e conclamati da essere stati portati dalle ONG al vaglio della Corte di Giustizia U.E.

 

Triste che non si dibatta invece di  superare l’attuale normativa relativa ai migranti, per arrivare all’apertura di corridoi legali di immigrazione (ad oggi praticamente inesistenti), da anni richiesti da un’Agenzia dell’U.E. come FRA – Fundamental Rights Agency.

 

Il fenomeno dell’immigrazione è inarrestabile e riguarderà nei prossimi decenni centinaia di milioni di persone nel mondo: le stime sono trai duecento e i trecento milioni di migranti entro il 2030.

 

E i cambiamenti climatici faranno la loro parte per aumentare questi numeri: pensiamo solo che le recentissime piogge in Pakistan hanno provocato in pochi giorni più di 33 milioni di sfollati.

 

Occorre un cambio di rotta. E la direzione non è quella dei “blocchi navali”, ma quella contraria.

Non è negando i diritti altrui che si affermano i propri, non è nascondendo o rinviando le sfide che si costruisce il futuro.

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