“Grazie ragazzi” è un bel film con uno splendido Albanese come protagonista, ma anche con un contorno di attori molto convincenti nella parte di detenuti che cercano una motivazione per evadere mentalmente dal regime carcerario. La trovano scegliendo di partecipare a una breve esperienza teatrale, non certo per vocazione, quanto per evitare altre esperienze meno “virili” dal loro punto di vista (“lo yoga è roba da froci”).
Il film, remake del film francese "Un triomphe" di Emmanuel Courcol (2020), ha un dichiarato intento sociale sposando il messaggio – piuttosto abusato in realtà – che si possono attivare qualità espressive inaspettate nelle persone semplici che vivono ai margini, e che attraverso queste qualità tali persone possono ottenere un riscatto sociale. Ma avviene proprio così? Io qualche dubbio ce l'ho.
Siamo nella casa circondariale di Velletri e ad Antonio Cerami (Albanese), attore fallito che vive a stento doppiando film porno, viene offerta la possibilità di tenere qualche ora di insegnamento teatrale. Dopo un iniziale tentennamento, Antonio accetta ma al primo appuntamento si presentano solo cinque detenuti. Il lavoro comunque inizia e l’interesse nel gruppo cresce così che anche Antonio comincia a crederci. Decide così di mettere in scena l'opera teatrale con la quale aveva debuttato, il capolavoro del Teatro dell'assurdo di Samuel Beckett Aspettando Godot. Il lavoro del gruppo si svolge in mezzo a mille difficoltà. Il carcere non fa sconti, e le brutalità nonché i conflitti tra detenuti e quelli con le guardie carcerarie sono continui. Vige ovviamente la legge del più forte, tanto che uno degli aspiranti attori è costretto a rinunciare perché un boss vuole lui la sua parte. Antonio non può fare niente per cambiare questo ordine delle cose, ed anche la direttrice del carcere è piuttosto impotente oltre che poco convinta di tutta l’operazione.
Come commedia vuole, il gruppo un poco alla volta si impratichisce e consegue qualche successo locale, cui seguono altri successi in teatri più importanti, sino alla rappresentazione finale al teatro Argentina di Roma, dove tra gli spettatori c’è anche il ministro dell’Interno.
Se tutto andasse liscio, il film sarebbe una favola buona ma espressivamente piatta. L’intento sociale sarebbe raggiunto e gli spettatori potrebbero tornare a casa rincuorati. Invece, come molti critici non hanno rilevato, la storia è solo apparentemente a lieto fine.
Si deve partire dagli sguardi reciproci tra il capocomico Antonio Cerami e i detenuti-attori. Cosa ha capito Antonio del loro modo di pensare, di che grado è stata la sua “mentalizzazione”, ossia la sua capacità di comprendere i loro pensieri e sentimenti e le loro motivazioni, e quale è la forza del legame intercorso tra i membri del gruppo? Alla fine comprendiamo che si è trattato di un equivoco, comprensibile certo ed anche meritorio per molti versi, ma comunque destinato a rivelare la sua natura. Antonio crede nella sua missione di attore tanto da non accettare compromessi, ed è questo il suo limite maggiore (intuibile motivo del fallimento della sua carriera). Egli crede di avere instillato lo stesso fuoco sacro ai componenti del gruppo, ma ognuno di loro conserva in realtà una classifica di motivazioni personali diversa, dove quella di diventare attore sta sempre dietro a quella di uscire di prigione. E per quest’ultima motivazione si può anche tradire chi ti aveva dato fiducia.
In questo senso, non volendo qui spoilerare il finale, il film certo porta Antonio Cerami ad un successo personale, ma gli altri protagonisti tornano al punto iniziale, ed anche in condizioni peggiori. Il messaggio sociale allora rischia a ben vedere di essere il contrario di quanto viene dichiarato. Ciò che risulta ad una analisi critica è che il riscatto sociale non esiste e la intrinseca natura umana di ognuno ha la meglio sui buoni propositi. In fondo, i "cattivi" rimangono irrimediabilmente cattivi. E allora perché “Grazie ragazzi”? Perché in ogni caso la vicinanza con le persone ce le fa sentire vive, e comprenderle fino in fondo è un modo per dare un significato alle esperienze vissute insieme.
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