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I luoghi dell’emarginazione e i luoghi dell’integrazione ieri ed oggi a Reggio Emilia

4 Apr 23

A cura di Leonardo Dino Angelini

di Leonardo Angelini e Deliana Bertani
[Relazione tenuta all’interno della Settimana della salute mentale, Simap di Reggio Emilia, Settembre 2009]

 


“Ricordate che le nostre conquiste sono state da voi ereditate,
ma non sono ereditarie!”
 
 
 
1. Le lotte dei movimenti anti-istituzionali nel ’68 reggiano
 
Nel 1976 Foucault, a proposito dei movimenti che intorno al ‘68 si svilupparono a livello locale praticamente in tutto il mondo, diceva:
 
“Da 10 o 15 anni quello che emerge è la proliferante criticabilità delle cose, delle istituzioni, delle pratiche, dei discorsi; una specie di friabilità generale dei suoli, anche e soprattutto di quelli più familiari, più solidi e più vicini a noi, al nostro corpo, ai nostri gesti quotidiani.”[1]
 
Anche a Reggio Emilia è successo: tutta una serie di movimenti, composti essenzialmente da giovani mostrano anche qui, in quegli anni, una improvvisa ed assolutamente non prevista “friabilità dei suoli”.
 
Di fronte a loro – per limitarci ad un’analisi dei luoghi reggiani dell’esclusione, in cui sono ricoverati centinaia di bambini e di ragazzi – in piena luce c’è solo la classe normale: luogo peraltro in cui, come ha già dimostrato proprio in quegli anni Lettera ad una professoressa, agiscono meccanismi di insegnamento e di valutazione “di classe” (come si diceva allora). Meccanismi che, sia pure in maniera meno evidente, erano figli della stessa logica dell’esclusione che era alla base delle istituzioni totali.
Da questo luogo più solare – la classe normale – si dipanano in sequenza, via via sempre più celati al pubblico, vari gironi dell’esclusione: si va dalle classi differenziali, alle scuole speciali ( via Fontanelli, Villa Gaida , etc.), alle istituzioni totali, quali il De Sanctis, reparto del manicomio in cui sono ricoverati bambini e ragazzi “matti“, il Marro, il Golgi, etc.; giù giù fino alle istituzioni promiscue che, sullo stile ancora delle prime istituzioni metropolitane nate nel ‘600, accolgono indistintamente bambini, ragazzi e adulti con qualsiasi problema.
 
È contro questo complesso e variegato sistema dell’esclusione e della segregazione che si muovono i movimenti nati in città e in provincia intorno al ’70. Si tratta:
– dell'Associazione per la lotta contro le malattie mentali che svolge una critica pratica al De Sanctis, e agli altri luoghi dell’esclusione in cui sono reclusi “matti“ e disabili;
– dei  Comitati Scuola e Società nati in molti quartieri cittadini, che svolgono una intensa attività contro le bocciature, contro i libri di testo faziosi, per l’istituzione del tempo pieno, per la chiusura delle scuole speciali e degli altri “luoghi dell’esclusione” e per l’inserimento di tutti i bambini nelle classi normali;
– dei comitati degli operatori delle colonie che lottano contro i metodi e gli stili da caserma allora in auge anche nelle colonie comunali e cooperative;
– e, prima ancora, dei comitati dei genitori e dei cittadini di molti quartieri contro gli Asili Onmi e per la istituzione delle scuole materne comunali.
-della nascita dei gruppi di insegnanti collegati con l’ MCE
 
È a partire da queste lotte che a Reggio nel ’69:
– nascerà il CIM di Jervis, chiamato a Reggio da Velia Vallini, che si doterà subito di un Gruppo-Infanzia all’interno delle cui viscere poi si formeranno la maggior parte degli operatori psichiatrici e della  riabilitazione dell’età evolutiva operante in provincia che nel ‘75 chiuderanno il De Sanctis e gli altri luoghi dell’esclusione, inizieranno il lavoro di inserimento delle centinaia dei bambini e dei ragazzi,  in famiglia e nella scuola, e faranno nascere i nuovi servizi territoriali nonché le strutture intermedie per i più gravi;
– si svilupperanno sia in città che in provincia importanti esperienze di tempo pieno ed un forte movimento di genitori e di insegnanti mirante a rifare la scuola;
– nasceranno le nuove istituzioni estive del comune, compresi gli allora nascenti campi gioco  basati su criteri non più assistenziali ma educativi/formativi;
– e soprattutto, sempre sul piano educativo, l’importantissima esperienza degli asili nido e delle scuole per l’infanzia comunali.
Contro questo insieme di fermenti e di movimenti ben presto anche a Reggio si svilupperà sia in ambito psichiatrico che formativo una controffensiva mirante, come afferma sempre Foucault nello scritto appena citato, a produrre un “effetto inibitore“. Fra gli elementi che impediranno il prosciugarsi della spinta al cambiamento e che anzi condurranno, come vedremo, al consolidarsi di un insieme di pratiche e di discorsi sulle pratiche (usiamo qui il termine “discorso” proprio in termini foucaultiani: e cioè come metafora di un atteggiamento riflessivo sulla pratica), fra questi elementi ci preme sottolineare la continua opera di amalgama, di formazione e di qualcosa che oggi chiameremmo “accompagnamento” e “supervisione” degli operatori che operavano nei vecchi luoghi dell’esclusione, e che allora appariva come una continua opera di discussione, a volte anche aspra, fra “vecchi” e nuovi operatori, fra operatori della scuola e della sanità, fra vecchie e nuove professioni, e fra tutti questi e la città, le famiglie.
I luoghi del welfare locale reggiano per l’età evolutiva nascono così in quegli anni in base a questo lavoro di critica pratica e di continua riflessione sulla pratica che conducono, in ogni luogo, alla nascita ed allo sviluppo di istituzioni incentrate su discorsi e protocolli che permangono nel tempo mai uguali a se stessi ed anzi sempre esposti e disposti ai cambiamenti suggeriti dai poderosi processi di trasformazione cui andrà incontro in questo quarantennio la società reggiana e dalla riflessione che è stata fatta mano a mano sui nuovi bisogni reali e sulle nuove priorità emergenti. All’interno di questo percorso è possibile distinguere varie tappe:
 
 
2. La fase della sperimentazione e del “missionariato sociale” (fine anni ‘60 – fine anni ’70)
 
Innanzitutto, per tutti gli anni ’70, vi è un momento di sperimentazione all’interno del quale nascono e si forgiano praticamente tutte le nuove istituzioni “territoriali “
– c’è il prevalere, specie in un primo momento,  di un vis polemica molto forte che, più che a favorire il confronto, mira a produrre uno scontro con le vecchie istituzioni;
– poi il lento delinearsi di un insieme di profili professionali capaci di “andare oltre”: altrove,( prendendo a prestito un termine di Diego Napoletani)abbiamo denominato queste nuove soggettività professionali con il termine forte, di “operatori di frontiera”, capaci di entrare in contatto con l’altro da me per quanto perturbante esso sia, di non disporsi nei suoi confronti come dei doganieri pavidi che non lasciano “passare” nessuno per tema di esserne sconvolti, ma al contrario di dialogare con esso, di lasciarsi contaminare dai messaggi che da esso provengono, di cogliere i suoi bisogni di salute e di crescita;
– il delinearsi quindi di un insieme di identità professionali nuove, o meglio di tratti identitari nuovi che attraversano sia le nuove che le ”vecchie” identità professionali che operano sul piano del nuovo welfare reggiano dei servizi per l’età evolutiva e della scuola tratti che potremmo definire come: curiosità, propensione all’osservazione e alla lettura sempre aggiornata da una parte di ciò che il soggetto o la comunità dei soggetti che ho di fronte mi chiede, dall’altra – specie alla fine di questo primo periodo – dei limiti del mio fare e del mio sapere.
Le attività principali che caratterizzano quest’epoca sono:
– la nascita delle equipe territoriali;
– l’opera di deistituzionalizzazione, e cioè di chiusura dei vari luoghi dell’esclusione da esse perseguita (la chiusura del De Sancits, in cui erano ricoverati 156 reggiani e quasi altrettanti ragazzi provenienti da tutta Italia, da sola implicherà sei anni di lavoro);
– le conseguenti attività: – di inserimento di soggetti in età evolutiva che erano in quei luoghi in scuola o nei CFP; – e di integrazione nelle equipe territoriali di tutti gli operatori che in quei luoghi lavoravano;( de Sanctis, scuole speciali, istituto ciechi)
– e, da parte della scuola, in un primo tempo la predisposizione dell’accoglienza di tutti questi bambini e ragazzi in assenza di leggi ad hoc e solo dal ’77 attraverso l’uso dei primi insegnanti di sostegno non ancora specializzati;
Ha preso forma a partire da questi anni passo dopo passo, con alti e bassi con difficoltà e anche conflittualità l'integrazione fra operatori sanitari e operatori scolastici, una realtà che si è realizzata con grandi difficoltà appoggiandosi su una dinamica continuamente oscillante di andata e ritorno fra bisogni di differenziazione e bisogni di integrazione.
Realtà che è stata  ed è un tassello indispensabile per quel movimento di idee ed esperienze sull'integrazione dei ragazzi portatori di handicap e via via della diversità sempre più articolata negli anni che  ha progressivamente e inevitabilmente coinvolto, come in un gioco di cerchi concentrici, tutta la comunità sociale .
– sempre in questo periodo la nascita del rapporto con i pediatri di base ,la disponibilità da parte degli Asili e delle Scuole per l’infanzia comunali ad accogliere in età precoce i bambini problematici, l’approntamento degli ambulatori territoriali in cui prendersi cura degli aspetti più specialistici e del counselling per le famiglie, permetterà di individuare e “seguire” precocemente, in maniera del tutto nuova e con esiti che poi si riveleranno molto proficui i bambini piccoli e piccolissimi;
– mentre i primi rapporti con i CFP ci permetteranno poi di porre le basi per un lavoro sugli adolescenti che si svilupperà poi nella fase successiva.
 
 
 
3. La fase dell’”alleanza per” (dagli anni ‘80 alla fine della prima repubblica)
 
Segue un secondo periodo che durerà – grosso modo – fino alla fine della prima repubblica e che sarà contraddistinto da ciò che in un altro lavoro abbiamo denominato “alleanza per”. Si tratta di un periodo che nasce proprio dal lento emergere in ogni ambito professionale della coscienza dei propri limiti, coscienza che si acuisce mano a mano che i nuovi spazi territoriali si espandono e le nuove istituzioni crescono
Anche qui prevale in un secondo tempo, e grazie a quella tendenza alla riflessività di cui parlavamo all’inizio, un atteggiamento meno ansioso e più riparativo nei confronti del lavoro; meno pretenzioso e più autoriparativo nei confronti di se stessi. Atteggiamento che, nel momento in cui gli operatori del welfare reggiano di quei tempi colgono, con maggiore realismo rispetto a quanto facevano prima, il limite “odierno” (e perciò superabile!) del proprio sapere e del proprio operare, si rifletterà sul piano operativo definendo i presupposti di quella “alleanza per” che li condurrà verso la costruzione di una efficace rete di reti interistituzionale( con la scuola soprattutto )e con le famiglie che ancor oggi è funzionante.
Gli elementi che caratterizzano questo periodo sono:
–  la definizione più netta ed autoconsapevole dei vari profili professionali, con una conseguente maggiore coscienza dei propri limiti e con una altrettanto conseguente maggiore disposizione alla complementarità non solo fra sanità, assistenza e scuola, ma anche fra le varie figure professionali in ognuno di questi tre comparti;
– l’incontro dei nuovi operatori di frontiera con l’altro da me in questo clima avvenne sotto il segno della riparazione e dell’autoriparazione: è questo il momento in cui comincia ad es. – ben prima che il ministero lo richiedesse – quel lavoro comune con la scuola sul piano della osservazione e della programmazione che permise la definizione di percorsi di crescita dei casi segnalati individualizzati ed autentici.
– ed è in questo clima che avviene la costruzione di quella rete di reti cui accennavamo prima, che si dispone, potremmo dire, alla determinazione di veri e propri percorsi di complementarità, ad esempio attraverso la definizione delle intese fra Usl e scuola e comuni
E' stata la necessità di elaborare strategie  capaci di: 1)rivelarsi efficaci nelle risposte da proporre al bambino disabile nella globalità dei suoi problemi e delle esperienze di vita condotte negli ambiti per lui significativi 2) coinvolgere l'organizzazione stessa delle istituzioni interessate per renderle più adeguate  3) affrontare  nuovi problemi che la società sempre più complessa ci poneva e ci pone  davanti ( immigrati, terzo mondiali, richieste sempre più massicce di interventi che vadano oltre la formazione e l'educazione scolastica tradizionalmente intesa.).
 
Queste le attività principali che caratterizzano questa seconda parte del percorso di integrazione:
– lo sviluppo delle strutture intermedie per i gravi e contemporaneamente di una riflessione sul significato di queste strutture sul piano dell’integrazione;
– l’estensione del rapporto con la scuola ai temi del disagio ed all’area dei problemi psicologici;
– l’arrivo dei primi insegnanti di sostegno specializzati che e Reggio coincide, quasi, con l’approntamento da parte del Provveditorato (su impulso soprattutto dell’ispettore Masini) di un insieme di corsi formativi per il sostegno che vedono impegnati insieme tecnici della sanità, della scuola e del sociale;
– la stesura delle intese con prescuola, scuola dell’obbligo ed infine scuole superiori come luoghi di negoziazione, di programmazione  di verifica;
– l’apertura di ambulatori territoriali specialistici e  gratuiti in grado di dare delle risposte sul piano psicoterapeutico;
– la nascita nei servizi o nei loro immediati paraggi di luoghi di riflessione sulla realtà reggiana ed emiliana (ci piace qui ricordare i percorsi di supervisione con Marcella Balconi, la Del Carlo Giannini, Ammanniti, Lai e da ultimo Raul Melandri, nonché la rivista “Pollicino: bambini e società in Emilia e Romagna”) esperienze a partire dalle quali poi sono nate varie idee e progetti che si svilupperanno poi nella terza ed ultima fase
 
 
4. La fase della aziendalizzazione (dalla crisi della prima repubblica (1993\94) ai giorni nostri)
 
Segue una terza fase –quella attuale- che vede, con la riforma De Lorenzo, la nascita delle aziende e con esse  anche a Reggio comincia un’opera di esternalizzazione che sul piano dell’età evolutiva, però, assume in molti comparti caratteristiche peculiari che ci piace qui riassumere e che riassuntivamente potremmo definire come modello soft di esternalizzazione.
Si tratta infatti di un processo che, incentrato sul “pubblico” avviene sotto la guida e  del pubblico e all’interno del discorso del “pubblico”, con una più chiara propensione a questo tipo di soluzione laddove l’esperienza accumulata non feticisticamente, ma creativamente nei decenni e negli anni scorsi è sta più marcata ed evidente.
Vediamo ora come abbiamo fatto prima, quali sono a nostro avviso gli elementi di fondo che hanno caratterizzato questo terzo ed ultimo periodo:
– la trasmissione di un discorso e di un metodo che hanno continuato a permettere incontri con l’altro da me nei vecchi e nei nuovi luoghi di frontiera in cui si ha la ventura di operare: come è noto Reggio, nel frattempo, è diventato un crocevia in cui svariate culture altre si incontrano e si dispongono alla convivialità e allo scambio;
– capacità di rifondazione di questi discorsi all’interno di quei luoghi, come la scuola, in cui i processi di esternalizzazione per fortuna ancora non sono così radicati (la sappiamo che la Gelmini ce la sta mettendo tutta), e nei quali però si concentra la parte più delicata del processo di meticciamento sociale;
– ed infine capacità di trasmissione alle nuove generazioni del welfare di questa nostra storia.(tirocinanti, formazione, lavoro con i volontari)
Le attività prevalenti in quest’ultimo periodo sul piano dell’integrazione (andiamo più veloci perché queste attività sono più conosciute):
– la nascita e lo sviluppo di Gancio Originale che affronterà, a partire dal ’90, i temi del disagio;
– la nascita delle Stanze di Dante sui temi dell’immigrazione;
– e quella di Free Student box sul tema del counselling per studenti, genitori e proff;
– la prosecuzione dell’attività di supervisione (in questi ultimi anni importantissimo è stato per tutti noi il rapporto con Pietropolli Charmet) e di scambio con la scuola ed i servizi comunali nei vari ambiti e nei vari tavoli che sulle vecchie e le nuove emergenze sono nati in questi anni.
Con questo non voglio assolutamente fare un quadro idilliaco, sono esistiti ed esistono i problemi perchè oggettivamente il lavoro è difficile, ma penso di poter affermare che a Reggio è stato fatto molto lo dimostra il fatto che sempre più spesso si progettano insieme e si sperimentano nuove soluzioni ,nuove ipotesi di lavoro.
 
 
Perché narrare questa storia? Perché questo seminario?
 
Una femminista storica nel luglio scorso così si rivolgeva alle giovani donne che oggi sorgono all’impegno e si avvicinano ai gradi temi che la questione femminile pone sul tappeto: “ricordate che le nostre conquiste sono state da voi ereditate, ma non sono ereditarie!”.
Anche noi vogliamo salutarvi con questa frase!
Ai diritti conquistati, alle conquiste di civiltà va fatta manutenzione, e narrare la  storia anche la propria va in questo senso.
 

 



[1] M. Foucault, “Difendere la società”, Ponte alle grazie, 1990, Firenze, pag. 21

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