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Tra filosofia e scienza e tra identità e differenza

10 Apr 23

A cura di Sarantis Thanopulos

È uscito da poco un bel libro di Davide D’Alessandro collaboratore di punta di Huffington Post. Il libro si intitola Guendemia: i peggiori anni della nostra vita 2020-2022” (Moretti&Vitali Editori). È una raccolta di interviste fatti con esponenti della cultura italiana che hanno come loro oggetto la comprensione di ciò che sta accadendo tra di noi e dentro di noi in tempi di guerra e di pandemia. L’autore è molto attento sia a esplorare in modo accurato il territorio della sua indagine indiretta sia a mettere i suoi interlocutori nella condizione migliore per esprimere le loro idee. Delle tante questioni che il libro mette in campo due si impongono di più all’attenzione: il confronto tra filosofia e scienza e il legame tra l’identità e la differenza. 

La sufficienza di una parte degli scienziati nei confronti della filosofia, la esprime bene Edoardo Boncinelli: “Il filosofo non cava un ragno dal buco, lo scienziato si adopera per risolvere i problemi e lentamente, provando e riprovando, ci riesce”. Il genetista si schiera con la tecnoscienza che “ha letteralmente cambiato il mondo rendendolo più efficiente”. Attraverso le interviste traspare chiaramente il dissenso tra chi pensa che il sapere vero è appannaggio della tecnoscienza e chi sostiene che il pensiero critico, quello che guardando l’albero non perde di vista il bosco, è il fondamento di ogni conoscenza. 


 

L’efficienza è diventata religione e la riduzione della scienza in tecnica sta restringendo il campo conoscitivo nello studio della realtà materiale, svilendo la riflessione sulla soggettività dell’esperienza vissuta (che dà senso alla nostra esistenza) e sulle relazioni umane. La “scienza naturale” ne soffre per prima. Le scoperte che rivoluzionano la sua prospettiva affondano le loro radici sia nel terreno dell’osservazione che misura con calcoli precisi la realtà oggettiva sia nel terreno della contemplazione intuitiva del mondo umano. Così riesce a riflettere il mondo materiale nell’esperienza umana e viceversa. 

La tecnoscienza risolve tanti problemi materiali della nostra vita e può rendere più  accogliente il nostro ambiente, ma serve spesso cattivi padroni. Niente sa dello stato di eccezione alla vita (guerre e sradicamenti di popolazioni inclusi) in cui stiamo sprofondando ed è usata  per indurre la falsa credenza che possiamo creare una realtà a nostra immagine e somiglianza. È scriteriato rigettare la protezione dei vaccini, ma essi nulla possono dirci sulla qualità della nostra esistenza. Senza le scienze umane, l’arte e la poesia la tecnologia non ci salverà dall’autodistruzione. 

L’ossessione identitaria che minaccia il nostro futuro, origina dalla dissociazione tra l’identità e la differenza. Dell’identità dà nel libro una buona definizione di partenza Francesco Remotti: “L’identità di una cosa è ciò che di essa permane nel tempo è ciò che le è proprio e non condivisibile con altre cose”  

La definizione rende esplicito il limite del narcisismo identitario, ma non risolve la questione della distinzione tra noi e gli altri che rende esprimibili e vivibili le differenze. La nostra materia psicocorporea è fatta di elementi che condividiamo con gli altri (come accade con il nostro organismo biologico e i geni). La differenza che ci costituisce come individualità la fa la loro combinazione in noi, la base della nostra “cifra” personale (nessuno è uguale a un altro). Questa combinazione è profondamente relazionale, prende forma nell’intesa delle differenze che ci consente di essere desideranti, psichicamente vivi. È fondata nel principio della continuità nella discontinuità, sul gioco tra la persistenza e la trasformazione. Il vino non ha una sua identità se non persiste e non ha una complessità se non si trasforma. Il nostro vero problema è il distanziamento tra di noi che non crea identità, ma dis-identità, entità anonime indifferenziate. 

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