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Il ritorno di Casanova, cinema della senilità

11 Apr 23

A cura di Matteo Balestrieri

Il “ritorno di Casanova” riprende il noto romanzo omonimo di Arthur Schnitzler per operare una riflessione sul cinema, anche se purtroppo senza molta originalità.
Il giudizio su questo film non può evitare la sottolineatura di quanto vi sia di tristemente senile nel racconto. Senilità intesa in questo caso nel senso più negativo, in contrapposizione alla vitalità che si vorrebbe nei personaggi e nei protagonisti reali. Gabriele Salvatores, un’icona del film italiano, si raggomitola in età ormai non più giovanile su riflessioni piuttosto stantie su quanto la realtà sia meglio del racconto della realtà. Egli ci propone la narrazione del blocco ideativo e motivazionale di Bernardi (Toni Servillo), regista di età avanzata, nel mezzo del montaggio di un film su Casanova (Fabrizio Bentivoglio) nel momento del decadimento fisico di un’età pure avanzata (per lo meno per l’epoca, dato che nel romanzo di Schnitzler aveva appena 53 anni). Il tutto risulta di una tristezza infinita e non aggiunge alcunché ad una riflessione sull’età che avanza o sul significato e il ruolo del cinema.
Anche se come sempre la recitazione di Servillo e Bentivoglio è di grande bravura, si deve anche dire che le loro note di autocompiacimento attoriale sono per fortuna bilanciate da un asciutto ed efficace Natalino Balasso nella parte del montatore del film, il quale giustamente rivendica l’importanza del proprio ruolo nella resa finale del film su Casanova. Di contorno vi sono poi le due splendide fanciulle Silvia e Marcolina (Sara Serraiocco e Bianca Panconi) che danno una nota di freschezza ad un racconto di uomini anziani che non sanno fare i conti con la propria storia.
Segnalo ad ogni buon conto anche le due note che vivacizzano in qualche modo il film, il duello in tenuta adamitica di Casanova con il suo sfidante giovane, e la sintonia tra gli strumenti ipertecnologici che governano la casa di Bernardi e i suoi stati di umore, tanto che i primi vanno in tilt parallelamente al progressivo sbandamento dell’equilibrio emotivo del regista.
Il gioco di rendere negativamente i personaggi nelle loro piccole invidie sulla giovinezza perduta si risolve in qualche modo nel finale, quando Bernardi ammette la sconfitta del suo film al Festival di Venezia, riconoscendo la bravura del regista giovane che lo ha battuto. Finale in ogni caso piuttosto decadente, sulla spiaggia del Lido di notte, contrapponendo la morte insita nel rimando scenico al viscontiano “Morte a Venezia” alla vita presente nel grembo di Silvia, generata dal suo incontro con il regista Bernardi.

 

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