E così, dopo la parentesi dei governi Conte 2 e Draghi, pare che qualcuno stia proprio gongolando: la guerra ai poveri della quale abbiamo scritto una prima volta su questa rubrica, era il giorno 1 dicembre 2018 (vai al link), è ripresa, più stupida e feroce di prima. Guerra non alla povertà, ma guerra ai poveri. E tra loro ai più poveri, i migranti, in primo luogo.
Non che si fosse mai interrotta, certo, questa guerra; semplicemente, aveva conosciuto una tregua il suo inasprimento che ora pare riprendere con il ritorno al governo delle destre.
In mare, secondo dati dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, un’agenzia dell’ONU, morti e dispersi accertati nel tentativo di attraversare in Mediterraneo centrale dal 2014 a oggi, cioè in quasi dieci anni, sono stati circa 17.000. Diciassettemila uomini, donne, bambini che avevano un volto, un nome. Per compiere una traversata che sarebbe possibile fare in tutta sicurezza in poche ore in traghetto, in meno ancora in aereo. Poi ci sono quelli non accertati, chissà quanti.
Sento quello che in questi giorni accade nelle regioni orientali dell’Ucraina, sento quello che accade nella Palestina occupata, penso ai bambini delle bidonville del sud del mondo e ho difficoltà a usare l’espressione “la civiltà”, quando parlo di noi uomini di questo tempo. In ogni caso, diciamo così, quel briciolo di civiltà che è riuscito a farsi spazio nella generale barbarie che viviamo ha imposto delle regole. Non è possibile, a chi va per mare, passare accanto a chi rischia di annegare senza soccorrerlo, così come non è possibile, a chi va per strada, vedere qualcuno che è stato vittima di un incidente stradale e tirare oltre. È la legge del mare, è la legge della strada. Non è possibile, se un soggetto privato desidera organizzarsi per prestare soccorso a chi va per mare su imbarcazioni precarie in un tratto dove sono frequenti i naufragi, impedirgli di far questo. Non è possibile a uno Stato respingere la richiesta di aiuto di chi gli si rivolge per averne protezione, senza averla prima esaminata.
Fin qui qualche buona regola che il consesso degli Stati si è dato, convenendo di derogare su questi pochi punti alla cattiveria, alla prepotenza e all’odio per i poveri che è oggi la regola generale che governa il mondo.
Ma si sa come va per l’Italia: l’Italietta furba, miserabile, astuta, l’Italia di Azzeccagarbugli e di certi personaggi di Alberto Sordi, l’Italia feroce con i deboli e servile con i forti, l’Italia che se ne frega, l’Italia che si arrangia. Fatta la legge, trovato l’inganno. Se queste sono le leggi che proteggono i poveri, per esacerbare la guerra ai poveri bisogna scovare il modo di aggirarle. Così noi non vietiamo i soccorsi in mare da parte di imbarcazioni private: però li rendiamo artificiosamente più lunghi nel percorso di ritorno a terra, perché possano fare meno viaggi. Troviamo ogni scusa per tenerle ferme nei porti, e magari per indebolire le loro finanze colpendole con multe. Inventiamo regole assurde, bizzarre, contrarie al più banale buon senso: vietiamo che si faccia più di un soccorso per volta. Siamo il potere: non siamo tenuti a spiegare percvhé. Lo faceva notare qualche giorno fa il responsabile dell’imbarcazione di Medici senza frontiere: occorre giustificarsi, pubblicamente e a volte penalmente, per avere salvato vite altrimenti a rischio di annegare. Bisogna giustificarsi, chiedere scusa. Ma non ci si rende neppure più conto che siamo all’assurdo?
Qualcuno ha voluto rendere tutto questo un gioco a premi, un percorso ad ostacoli abilmente studiato. Ma il gioco è feroce: perché la posta è la vita. Diciassettemila morti in meno di dieci anni. Un centinaio di morti, un mese e mezzo fa, sulla spiaggia di Cutro, il rimpallo delle responsabilità e subito l’appello assurdo a non “strumentalizzare” (ma cosa c’era da strumentalizzare? Non sono morti, non erano migranti?), il cinismo supponente e arrogante del ministro, lo strazio dei familiari; e poi la cronaca se li è già dimenticati.
Bisognerebbe darsi da fare, rimboccarsi le maniche, rendere grazie a questi soggetti generosi che corrono a salvare dove gli Stati non arrivano. Corrono a fare quello che gli Stati dovrebbero fare, e non fanno. Un amico, che vi ha preso parte, mi ha raccontato episodi surreali intorno ad alcuni di questi salvataggi: e intanto in mare si muore. Mentre questi giocano, giocano alla guerra ai poveri con il ghigno sadicamente stupido, feroce, autocompiaciuto di chi si diverte a torturare un animale, a fare lo sgambetto a un vecchio. Senza pietà, così, tanto per fare, per sentirsi essere perché altro modo non hanno, per sentirsi forti, potenti, furbi col farsi beffe, con italica ipocrita astuzia, delle regole che quel poco di pietà che ha spazio nella politica internazionale loro imporrebbe. Di quella poca pietà della quale oggi il mondo è capace. Così sono i nostri governanti. E così è anche quella quasi-maggioranza di noi italiani che li ha scelti. Così: passano il tempo a giocarsi tra loro le vite degli altri.
Come in mare, così in terra. Ma li avete mai incontrati, i migranti una volta sbarcati, accolti nei nostri centri di accoglienza senza sapere nulla del loro futuro, oppure persi per strada? Io li incontro ogni giorno, è il mio lavoro, quelli più fragili tra loro, quelli la cui mente è malata, o quelli ai quali la povertà fa ammalare la mente. Lasciati senza lavoro e senza denaro. Arrivati qui, a volte, dopo avere attraversato il deserto e l’inferno che le bombe NATO hanno reso la Libia, portando nel loro cuore i segni delle umiliazioni, le sofferenze, la violenza subita. I corpi lacerati, le famiglie lacerate. Costretti a stringere i denti e a lottare per tutto: documenti, casa, cibo, lavoro, qualche piccola cosa da mandare a chi è rimasto a casa nell’Africa e nell’Asia della miseria, e sanno che nonostante tutto sta peggio di loro. A volte costretti a mendicare, ai bordi della strada. Oppure costretti a lavorare, i fortunati che trovano un lavoro e possono così partecipare di pochi spiccioli della nostra ricchezza, pagare la sicurezza delle nostre pensioni di domani con la loro insicurezza di oggi, in condizioni disperate, che nessun italiano potrebbe accettare; per salari miseri. Costretti a lavorare per poche ore e a guadagnare pochi soldi, perché più lavoro non c’è. Costretti a pietire dignità dalla nostra infernale e stupida burocrazia, per ottenere permessi che ritardono, e così poco dopo ottenuti scadono di nuovo, e bisogna rifarli, e chissà se sarà possibile rifarli perché nel frattempo qualcuno può avvere deciso di dare una nuova "stretta" alle regole. Caduti nel girone infernale del nostro sistema giudiziario per reati banali, i reati dei poveri, quelli ai quali la povertà può costringere, senza denaro per poter essere difesi come dovrebbero, senza casa dove poter fruire di misure alternative, nell'inferno delle nostre carceri.
Basta una frase in un decreto per distruggere le speranze di migliaia di uomini e di donne che hanno un viso e un nome, per rendere la loro vita ancora più infernale, in bilico, ancora più precaria, senza sicurezza, diritti, speranza. Per farli riprecipitare indietro dalle minime mete faticosamente raggiunte. Giocano: i nostri governanti giocano ferocemente con le vite degli altri. Come in mare, così in terra. Perché abbiano chiaro il fatto che, qui, abbiamo dovuto accoglierli perché quel minimo di umanità, solidarietà che le regole del mondo impongono ci costringono a farlo, ma non li vogliamo. Non sono voluti, perché devono continuare a scontare altrove, laggiù, lontani dagli occhi, dai cuori e dalle coscienze la colpa inemendabile di non essere nati italiani, europei, di essere nati poveri, figli e nipoti di poveri. Da generazioni, figli e nipoti di schiavi, di sudditi coloniali, di forza lavoro costretta al migrare. Di non essere figli ed eredi dei ricchi, quelli che nei secoli hanno rapinato e violentato il mondo con la tratta degli schiavi, lo sfruttamento coloniale, le migrazioni economiche quando erano richieste. Noi popoli ricchi dell’Europa oggi non accettiamo che gli scarti delle nostre rapine osino essere qui, a chiedere una piccola parte di una ricchezza, di un’eredità che un sentimento di giustizia ci dice che è in massima parte la loro. Perché è stata accumulata con i frutti rubati alle loro terre, lo sfruttamento del lavoro e dei corpi dei loro antenati.
Adesso sono qui, una piccola parte della parte più grande dell’umanità, e non sappiamo che farne. C’è crisi dell’economia, non c’è lavoro. E il primo a essere sacrificato è il loro lavoro. Perché non hanno dignità, non hanno diritti. Perché le loro vite non contano, contano molto meno delle nostre. Come in mare, così in terra.
Leggiamo sui giornali di questi giorni di una “stretta sui migranti”. Leggiamo di due partiti che fanno a gara a quale dei due sa fare la faccia più feroce, con i più poveri, con i più deboli. Come in mare, così in terra. Che vuol dire che l’esistenza di queste persone sarà resa ancora più difficile, di quanto già non sia difficile. La loro condizione più ingiusta, di quanto non si ingiusta. Senza pietà.
Se esiste un tribunale di Dio, o della storia, dobbiamo solo sperare che abbia, quello sì, pietà di noi per tutto questo. Pietà della nostra mancanza di pietà, perché ne avremo senz'altro bisogno.
Altri articoli sulla questione migratoria su questa rubrica: Corpi eccedenti, corpi violati. Le donne di Colonia e i (vecchi e nuovi) fantasmi d’Europa. Monologo sull’Europa, 19/1/2016 (vai al link); Politiche migratorie. Preoccupazioni dalla svolta estiva, 23/8/17(vai al link): “Non sono razzista, ma”. Luigi Manconi a Genova, 23/10/17(vai al link); Noi e altri. A proposito d’identità e differenze, 16/2/18 (vai al link); L’abisso nel mare, e dentro di noi, 2/3/18 (vai al link); Politiche migratorie. Mar Jonio: umanità contro la barbarie. Una questione anche culturale e psicologica, 6/10/18 (vai al link); Migranti: dal Rio Bravo a Lampedusa, passando per Tajoura, 5/7/19 (vai al link); Diario da Lampedusa, 25/1/20 (vai al link); Migranti: nell’inferno di Lesbo. Intervista con Giulia Berberi, 1/2/20 (vai al link).
Nel video: Un dibattito sulla migrazione al Palazzo Ducale di Genova (2023).
Non che si fosse mai interrotta, certo, questa guerra; semplicemente, aveva conosciuto una tregua il suo inasprimento che ora pare riprendere con il ritorno al governo delle destre.
In mare, secondo dati dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, un’agenzia dell’ONU, morti e dispersi accertati nel tentativo di attraversare in Mediterraneo centrale dal 2014 a oggi, cioè in quasi dieci anni, sono stati circa 17.000. Diciassettemila uomini, donne, bambini che avevano un volto, un nome. Per compiere una traversata che sarebbe possibile fare in tutta sicurezza in poche ore in traghetto, in meno ancora in aereo. Poi ci sono quelli non accertati, chissà quanti.
Sento quello che in questi giorni accade nelle regioni orientali dell’Ucraina, sento quello che accade nella Palestina occupata, penso ai bambini delle bidonville del sud del mondo e ho difficoltà a usare l’espressione “la civiltà”, quando parlo di noi uomini di questo tempo. In ogni caso, diciamo così, quel briciolo di civiltà che è riuscito a farsi spazio nella generale barbarie che viviamo ha imposto delle regole. Non è possibile, a chi va per mare, passare accanto a chi rischia di annegare senza soccorrerlo, così come non è possibile, a chi va per strada, vedere qualcuno che è stato vittima di un incidente stradale e tirare oltre. È la legge del mare, è la legge della strada. Non è possibile, se un soggetto privato desidera organizzarsi per prestare soccorso a chi va per mare su imbarcazioni precarie in un tratto dove sono frequenti i naufragi, impedirgli di far questo. Non è possibile a uno Stato respingere la richiesta di aiuto di chi gli si rivolge per averne protezione, senza averla prima esaminata.
Fin qui qualche buona regola che il consesso degli Stati si è dato, convenendo di derogare su questi pochi punti alla cattiveria, alla prepotenza e all’odio per i poveri che è oggi la regola generale che governa il mondo.
Ma si sa come va per l’Italia: l’Italietta furba, miserabile, astuta, l’Italia di Azzeccagarbugli e di certi personaggi di Alberto Sordi, l’Italia feroce con i deboli e servile con i forti, l’Italia che se ne frega, l’Italia che si arrangia. Fatta la legge, trovato l’inganno. Se queste sono le leggi che proteggono i poveri, per esacerbare la guerra ai poveri bisogna scovare il modo di aggirarle. Così noi non vietiamo i soccorsi in mare da parte di imbarcazioni private: però li rendiamo artificiosamente più lunghi nel percorso di ritorno a terra, perché possano fare meno viaggi. Troviamo ogni scusa per tenerle ferme nei porti, e magari per indebolire le loro finanze colpendole con multe. Inventiamo regole assurde, bizzarre, contrarie al più banale buon senso: vietiamo che si faccia più di un soccorso per volta. Siamo il potere: non siamo tenuti a spiegare percvhé. Lo faceva notare qualche giorno fa il responsabile dell’imbarcazione di Medici senza frontiere: occorre giustificarsi, pubblicamente e a volte penalmente, per avere salvato vite altrimenti a rischio di annegare. Bisogna giustificarsi, chiedere scusa. Ma non ci si rende neppure più conto che siamo all’assurdo?
Qualcuno ha voluto rendere tutto questo un gioco a premi, un percorso ad ostacoli abilmente studiato. Ma il gioco è feroce: perché la posta è la vita. Diciassettemila morti in meno di dieci anni. Un centinaio di morti, un mese e mezzo fa, sulla spiaggia di Cutro, il rimpallo delle responsabilità e subito l’appello assurdo a non “strumentalizzare” (ma cosa c’era da strumentalizzare? Non sono morti, non erano migranti?), il cinismo supponente e arrogante del ministro, lo strazio dei familiari; e poi la cronaca se li è già dimenticati.
Bisognerebbe darsi da fare, rimboccarsi le maniche, rendere grazie a questi soggetti generosi che corrono a salvare dove gli Stati non arrivano. Corrono a fare quello che gli Stati dovrebbero fare, e non fanno. Un amico, che vi ha preso parte, mi ha raccontato episodi surreali intorno ad alcuni di questi salvataggi: e intanto in mare si muore. Mentre questi giocano, giocano alla guerra ai poveri con il ghigno sadicamente stupido, feroce, autocompiaciuto di chi si diverte a torturare un animale, a fare lo sgambetto a un vecchio. Senza pietà, così, tanto per fare, per sentirsi essere perché altro modo non hanno, per sentirsi forti, potenti, furbi col farsi beffe, con italica ipocrita astuzia, delle regole che quel poco di pietà che ha spazio nella politica internazionale loro imporrebbe. Di quella poca pietà della quale oggi il mondo è capace. Così sono i nostri governanti. E così è anche quella quasi-maggioranza di noi italiani che li ha scelti. Così: passano il tempo a giocarsi tra loro le vite degli altri.
Come in mare, così in terra. Ma li avete mai incontrati, i migranti una volta sbarcati, accolti nei nostri centri di accoglienza senza sapere nulla del loro futuro, oppure persi per strada? Io li incontro ogni giorno, è il mio lavoro, quelli più fragili tra loro, quelli la cui mente è malata, o quelli ai quali la povertà fa ammalare la mente. Lasciati senza lavoro e senza denaro. Arrivati qui, a volte, dopo avere attraversato il deserto e l’inferno che le bombe NATO hanno reso la Libia, portando nel loro cuore i segni delle umiliazioni, le sofferenze, la violenza subita. I corpi lacerati, le famiglie lacerate. Costretti a stringere i denti e a lottare per tutto: documenti, casa, cibo, lavoro, qualche piccola cosa da mandare a chi è rimasto a casa nell’Africa e nell’Asia della miseria, e sanno che nonostante tutto sta peggio di loro. A volte costretti a mendicare, ai bordi della strada. Oppure costretti a lavorare, i fortunati che trovano un lavoro e possono così partecipare di pochi spiccioli della nostra ricchezza, pagare la sicurezza delle nostre pensioni di domani con la loro insicurezza di oggi, in condizioni disperate, che nessun italiano potrebbe accettare; per salari miseri. Costretti a lavorare per poche ore e a guadagnare pochi soldi, perché più lavoro non c’è. Costretti a pietire dignità dalla nostra infernale e stupida burocrazia, per ottenere permessi che ritardono, e così poco dopo ottenuti scadono di nuovo, e bisogna rifarli, e chissà se sarà possibile rifarli perché nel frattempo qualcuno può avvere deciso di dare una nuova "stretta" alle regole. Caduti nel girone infernale del nostro sistema giudiziario per reati banali, i reati dei poveri, quelli ai quali la povertà può costringere, senza denaro per poter essere difesi come dovrebbero, senza casa dove poter fruire di misure alternative, nell'inferno delle nostre carceri.
Basta una frase in un decreto per distruggere le speranze di migliaia di uomini e di donne che hanno un viso e un nome, per rendere la loro vita ancora più infernale, in bilico, ancora più precaria, senza sicurezza, diritti, speranza. Per farli riprecipitare indietro dalle minime mete faticosamente raggiunte. Giocano: i nostri governanti giocano ferocemente con le vite degli altri. Come in mare, così in terra. Perché abbiano chiaro il fatto che, qui, abbiamo dovuto accoglierli perché quel minimo di umanità, solidarietà che le regole del mondo impongono ci costringono a farlo, ma non li vogliamo. Non sono voluti, perché devono continuare a scontare altrove, laggiù, lontani dagli occhi, dai cuori e dalle coscienze la colpa inemendabile di non essere nati italiani, europei, di essere nati poveri, figli e nipoti di poveri. Da generazioni, figli e nipoti di schiavi, di sudditi coloniali, di forza lavoro costretta al migrare. Di non essere figli ed eredi dei ricchi, quelli che nei secoli hanno rapinato e violentato il mondo con la tratta degli schiavi, lo sfruttamento coloniale, le migrazioni economiche quando erano richieste. Noi popoli ricchi dell’Europa oggi non accettiamo che gli scarti delle nostre rapine osino essere qui, a chiedere una piccola parte di una ricchezza, di un’eredità che un sentimento di giustizia ci dice che è in massima parte la loro. Perché è stata accumulata con i frutti rubati alle loro terre, lo sfruttamento del lavoro e dei corpi dei loro antenati.
Adesso sono qui, una piccola parte della parte più grande dell’umanità, e non sappiamo che farne. C’è crisi dell’economia, non c’è lavoro. E il primo a essere sacrificato è il loro lavoro. Perché non hanno dignità, non hanno diritti. Perché le loro vite non contano, contano molto meno delle nostre. Come in mare, così in terra.
Leggiamo sui giornali di questi giorni di una “stretta sui migranti”. Leggiamo di due partiti che fanno a gara a quale dei due sa fare la faccia più feroce, con i più poveri, con i più deboli. Come in mare, così in terra. Che vuol dire che l’esistenza di queste persone sarà resa ancora più difficile, di quanto già non sia difficile. La loro condizione più ingiusta, di quanto non si ingiusta. Senza pietà.
Se esiste un tribunale di Dio, o della storia, dobbiamo solo sperare che abbia, quello sì, pietà di noi per tutto questo. Pietà della nostra mancanza di pietà, perché ne avremo senz'altro bisogno.
Altri articoli sulla questione migratoria su questa rubrica: Corpi eccedenti, corpi violati. Le donne di Colonia e i (vecchi e nuovi) fantasmi d’Europa. Monologo sull’Europa, 19/1/2016 (vai al link); Politiche migratorie. Preoccupazioni dalla svolta estiva, 23/8/17(vai al link): “Non sono razzista, ma”. Luigi Manconi a Genova, 23/10/17(vai al link); Noi e altri. A proposito d’identità e differenze, 16/2/18 (vai al link); L’abisso nel mare, e dentro di noi, 2/3/18 (vai al link); Politiche migratorie. Mar Jonio: umanità contro la barbarie. Una questione anche culturale e psicologica, 6/10/18 (vai al link); Migranti: dal Rio Bravo a Lampedusa, passando per Tajoura, 5/7/19 (vai al link); Diario da Lampedusa, 25/1/20 (vai al link); Migranti: nell’inferno di Lesbo. Intervista con Giulia Berberi, 1/2/20 (vai al link).
Nel video: Un dibattito sulla migrazione al Palazzo Ducale di Genova (2023).
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