Il gruppo è stato condotto dal Dottor Raffaele Barone. I partecipanti al gruppo erano 14 con diverse specificità, competenze e ruoli professionali.

 

Il gruppo ha riflettuto su numerosi temi proponendo alcune aree che potessero fungere da dimensioni riassuntive rispetto a quello che è stato affrontato nel corso della discussione.

 

La prima questione sembra essere rappresentata dalla necessità di affrontare il disagio infantile-adolescenziale in un’ottica preventiva, sottolineando la necessità di una diagnosi precoce, di un intervento di prevenzione attuabile fin dalle prime fasi in cui il problema si palesa.

 

Si è sottolineato come sia indispensabile, rilevante e utile rispetto agli obiettivi che ci si dà l’idea di costruire dei percorsi e delle regole di negoziazione che tengano conto dei processi che si attivano nei servizi e nelle prese in carico quando avvengono precocemente. Sembra altresì importante riuscire a costruire una sorta di alleanza stabile riconoscendo alla Neuropsichiatria infantile e ai servizi per l’adolescenza la necessità di avere un’identità chiara, definita, in modo tale che nel territorio si sia in grado di leggere la domanda con chiarezza, immediatezza e quindi si riesca a rivolgersi con più facilità ad un servizio che deve erogare una risposta specifica.

 

È risultato necessario pensare ad un lavoro di rete, riprendendo alcuni temi emersi anche nel primo seminario, attuare dunque una logica di rete all’interno dei servizi e anche una logica di confronto con altri saperi necessari di fronte alla complessità della problematica. Dunque la prevenzione è stata intesa come un sistema in grado di rispondere anche ad un’emergenza: laddove c’è prevenzione non è detto che l’emergenza scompaia, essa è sempre presente e bisogna essere in grado di affrontarla e di governarla.

 

Si è parlato, inoltre, molto approfonditamente, della scuola e si è discusso, soprattutto in relazione all’esperienza di Napoli, sul fatto che la scuola si è spostata nel territorio: la scuola va nella strada ad incontrare chi è in difficoltà o chi ha qualche diversità, consapevole di non essere più la sola istituzione, insieme alla famiglia, che costruisce delle identità.

 

Si è parlato, inoltre, della difficoltà di essere ragazzi oggi. Probabilmente tutte le difficoltà che i giovani oggi portano a partire dall’infanzia fino all’adolescenza forse sono frutto di quei "bombardamenti" mass-mediatici, anche pubblicitari, che svolgono un ruolo importante nella costruzione dell’identità. Dunque la difficoltà che vivono oggi i ragazzi riflette anche la difficoltà che vivono i servizi nel senso che anche i servizi tendono ad erogare molte risposte diverse tra loro e a volte contraddittorie.

 

Rispetto alle diverse esperienze nazionali emerse in gruppo, non c’è una linea chiara con cui affrontare il malessere di fondo. La figura dell’adolescente di oggi è stata descritta dal gruppo come estremamente sensibile all’ambiente che lo accoglie, primo tra tutti quello costituito dalla famiglia. A tal proposito si è sottolineato più volte come sia importante prestare attenzione anche alla formazione all’essere genitori, ricordando come sia il contesto il più delle volte ad essere disfunzionale e non il bambino o l’adolescente.

L’adolescente è stato concepito anche come un portatore di storie: le sue problematiche sono peculiari della sua esperienza di vita, per cui ogni adolescente è diverso dall’altro e non può esistere un piano operativo che stabilisce in maniera pedissequa cosa fare. Bisogna piuttosto stabilire delle linee di azione e di processi che di volta in volta vengono tarati in base alla soggettività di chi si ha di fronte. Contano, dunque, più i principi dei contenuti.

 

Si è parlato di tessuto cittadino per indicare quanto siano importanti tutte le reti formali e informali – compreso il ruolo svolto dagli enti locali – che costituiscono il contesto di vita degli adolescenti; in particolare è emerso come gli adolescenti di oggi e i bambini siano il riflesso di un tessuto cittadino che è cambiato, si diceva non esiste più la piazza, non esiste più la possibilità di interfacciarsi e di relazionarsi con una memoria storica che è rappresentata dal contatto con le generazioni precedenti. Si è discusso, inoltre, dello stile di vita di molti adolescenti che in qualche modo scardina gli equilibri e i ritmi degli adulti: la notte la fa da padrona, non esiste più il giorno, ci si sveglia tardi, si mangia ovunque capita. Manca un contesto, uno spazio educativo vissuto come un punto di riferimento, non c’è più la dimensione del focolare, dell’intimità legata al ritrovarsi in famiglia, ad esempio, in un giorno di festa.

 

I partecipanti al gruppo hanno utilizzato diverse immagini per rappresentare il proprio ruolo e la propria appartenenza professionale, in particolare un neuropsichiatria infantile ha posto al gruppo il seguente quesito: "dovremmo forse essere una creatura tentacolare che cerca di agguantare in ogni modo possibile la domanda che ci viene fatta? Oppure sarebbe meglio rendere chiara l’offerta dei servizi in modo tale che sia più facile anche per le famiglie individuare a chi ci si deve rivolgere?".

 

Sono stati anche sottolineati i legami del territorio con l’Università: i giovani operatori che si trovano oggi a lavorare nei servizi sono stati definiti dal gruppo "alieni" per sottolineare proprio questa distanza, questo sradicamento dal territorio che dovrebbe rappresentare invece il proprio contesto lavorativo. Un altro tema importante è stato quello dell’ascolto: se si concepisce l’adolescente come un giovane in formazione, un’identità in costruzione, lo si concepisce come portatore di storie. L’intervento per essere efficace e costruttivo dovrebbe tener conto dell’unicità di questa esperienza di vita e questo tipo di accoglienza nei servizi può essere realizzata solo attraverso un ascolto attivo di chi ai servizi si rivolge.

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Calensario seminari progetto salute mentale