Prima dell’avvento degli psicofarmaci, alle RS per l’ansia si chiedeva di saper distinguere i pazienti psichiatrici rispetto ai soggetti normali e, fra i pazienti psichiatrici, quelli con ansia da quelli senza ansia. Non infrequente era il riscontro di item che facevano riferimento ad ipotesi psicodinamiche e che esploravano aspetti "indiretti" o "mascherati" dell’ansia. Con l’avvento degli psicofarmaci, sono nettamente cambiati i criteri ai quali le RS devono rispondere poiché si richiede loro di distinguere tra un farmaco attivo ed un placebo o, addirittura, tra due farmaci attivi con caratteristiche farmacologiche abbastanza simili; si è resa necessaria, perciò, una radicale revisione dei vecchi strumenti e la creazione di nuovi, più rispondenti alle necessità della ricerca. Ancora oggi, nonostante le evoluzioni a cui sono andate incontro, le scale di valutazione dell’ansia richiedono una maggiore attenzione per quello che concerne i loro aspetti psicometrici, per la natura stessa dei disturbi d’ansia, soggetti come sono, ora ad una marcata variabilità e fluttuabilità, ora ad una notevole stabilità. Una delle caratteristiche psicometriche fondamentali delle RS è, come abbiamo visto, l’affidabilità (reliability) ed in particolare la test-retest reliability; nel caso dell’ansia, che è spesso, per sua natura, molto variabile, un alto coefficiente di correlazione al test-retest può essere dovuto, più che alla stabilità della scala, alla misurazione di un tratto invece che di uno stato e, per contro, un basso coefficiente di correlazione può esprimere soltanto la notevole fluttuabilità della sintomatologia ansiosa. Molti Autori, perciò, ritengono poco pertinente porsi il problema dell’affidabilità al test-retest di questi strumenti, a meno che non si valutino pazienti cronici, poco suscettibili di cambiamento, o forme più stabili dei disturbi ansiosi come, ad esempio, il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). Più appropriata è perciò, per i disturbi d’ansia, l’inter-rater reliability mentre, per verificare l’affidabilità di una scala nella valutazione del cambiamento, un test appropriato può essere la split-half reliability sulle variazioni dei punteggi tra una valutazione ed un’altra. Per quanto riguarda, poi, il problema della validità, si deve tener conto del fatto che mancano spesso reali criteri esterni di validazione (per molti disturbi e, fra questi, tipicamente per il disturbo ossessivo, l’unico riscontro "obiettivo" è ciò che riferisce il paziente!) tanto che, secondo alcuni Autori, le tecniche di valutazione sono, in questi casi, solo un modo per consentire al paziente di esprimere le sue esperienze disturbanti in maniera appropriata. Nel campo della psicofarmacologia clinica, essendo richiesto agli strumenti di valutazione di cogliere, come abbiamo appena detto, le differenze tra l’effetto di un farmaco attivo e quello del placebo, il criterio esterno di validazione potrebbe essere quello "clinico", la capacità, cioè, di rilevare tali differenze. La sensibilità al cambiamento è, in questo campo, una componente fondamentale della validità: uno strumento che non sia capace di cogliere la diversa risposta al farmaco attivo ed al placebo può essere anche valido, ma certamente sarà di scarso interesse e/o di impiego limitato. Questo è vero, naturalmente, se il farmaco in studio è superiore al placebo; la sensibilità di una scala, pertanto, deve essere valutata utilizzando farmaci di provata efficacia: solo se questo test è positivo, lo strumento può essere impiegato nello studio di farmaci sperimentali. Le scale che valutano l’ansia-tratto sono tutte più o meno scarsamente sensibili al cambiamento e non si prestano pertanto all’impiego nei trial psicofarmacologici clinici; queste scale, inoltre, sono altamente correlate tra loro per cui la scelta di una piuttosto che di un’altra può rispondere più a criteri esterni (disponibilità, comprensione da parte del paziente, maneggevolezza, eccetera), che non alle caratteristiche intrinseche dello strumento. Il problema della sensibilità è ancora maggiore per le scale di autovalutazione per le quali gli item, oltre a rispecchiare nel contenuto la sintomatologia ansiosa, devono essere espressi in una forma tale che tenga conto del grado di cultura e di comprensione verbale di pazienti eterogenei per cultura, scolarizzazione, età, eccetera. È necessario anche tener presenti alcuni problemi tecnici:

• le scale dicotome (presente/assente; sì/no), per raggiungere un buon livello di validità, devono avere, generalmente, un numero di item maggiore rispetto a quelle in cui gli item hanno una gamma più vasta di risposte possibili;

• quando le possibili risposte ad un item sono più di quattro, la sensibilità della scala tende a ridursi poiché aumentano le probabilità di errore;

• ancor più che con le scale di eterosomministrazione, è necessario definire con precisione il periodo di tempo indagato, che deve essere comunque limitato per evitare la valutazione dell’ansia-tratto che, come abbiamo detto, è scarsamente influenzabile dal trattamento; è opportuno usare perciò, negli item, il tempo presente ("Ti senti agitato in questo momento?") o passato prossimo ("Ti sei sentito agitato negli ultimi tre o quattro giorni?"), anche per evitare possibili errori, più che di memoria, di valutazione quantitativa di sensazioni passate.

Per quanto sia opinione generale che le scale di eterovalutazione siano più sensibili di quelle di autovalutazione, la maggior parte degli Autori consiglia di associare nelle ricerche i due tipi di strumenti per compensare i limiti delle une con i vantaggi delle altre. Le scale di eterovalutazione, infatti, oltre a rendere necessaria la "traduzione" della comunicazione verbale e non verbale del paziente in termini di psicopatologia (e prestarsi per questo a distorsioni), sono più influenzabili dall’opinione che il valutatore, in funzione degli effetti terapeutici e di quelli collaterali, e grazie alla sua esperienza, ha (o si crea) del trattamento al punto da poter rompere la doppia cecità. Le scale di autovalutazione, invece, se da un lato si prestano ad essere, consciamente o inconsciamente, manipolate del paziente allo scopo di ricevere maggiore attenzione o di rendersi socialmente più accettabile, sono però le sole che consentono di vedere i problemi dalla parte del paziente e forniscono un accesso diretto al suo stato emotivo ed alle sue esperienze interne senza alcuna mediazione, inferenza od interferenza esterna. Non dobbiamo dimenticare, infine, che ansia e depressione sono strettamente correlate tra di loro sul piano clinico e che esiste una vasta area di sovrapposizione tra i due ambiti nosologici, tanto che può essere difficile separare nettamente i sintomi di un disturbo da quelli dell’altro (molte scale -e di alcune abbiamo già fatto cenno parlando della depressione- contengono, infatti, item che esplorano entrambe le dimensioni); è perciò consigliabile, soprattutto nella ricerca psicofarmacologica clinica, l’impiego congiunto di scale per la valutazione dell’ansia e della depressione.

Loading

Autore

sommario

Parte generale

Parte speciale

CAPITOLO 29 - Gli effetti indesiderati dei trattamenti psicofarmacologici