Solo negli ultimi due decenni la medicina ha incominciato a prendere coscienza che, da sola, non è in grado di determinare la qualità della vita, ma può soltanto aiutare gli individui a raggiungere uno stato di salute tale da consentire loro di coltivare l’arte della vita, ma ciascuno alla propria maniera. È così che, idealmente, ha rispolverato gli insegnamenti di Seneca ed ha incominciato a prendere in considerazione, come elemento di giudizio dell’efficacia della sua azione, la valutazione della Qualità della Vita o, con il termine inglese ormai generalmente usato, Quality of Life – QoL.
Questo non è avvenuto, naturalmente, per una tardiva riscoperta del padre dello stoicismo, ma per il verificarsi di alcuni cambiamenti importanti intervenuti, non soltanto nella medicina, ma anche nella società:
- Praticamente da sempre la medicina ha avuto come obiettivo della propria opera il mantenere in vita i pazienti, ed i formidabili progressi tecnologici verificatisi negli ultimi decenni le hanno ampliato enormemente la capacità di farlo, fino al punto di creare, non di rado, persone biologicamente vive ma socialmente morte.
- Contemporaneamente, è maturata nella popolazione la coscienza dell’autonomia personale e del diritto di decidere del proprio destino.
-
Gli sviluppi della medicina hanno cambiato radicalmente il quadro generale dell’assistenza medica:
- le moderne tecnologie, pur consentendo il trattamento di un numero crescente di pazienti e di malattie, hanno creato, altresì, un numero crescente di pazienti cronici non suscettibili di trarre vantaggio anche dalle più sofisticate tecnologie;
- anche l’invecchiamento della popolazione comporta un incremento della prevalenza di malattie croniche il cui trattamento, non può esitare, per definizione, nella guarigione;
- in molte patologie, l’aumento della sopravvivenza è raggiunto con elevati costi in termini di effetti collaterali o di invalidazioni funzionali.
È per tutte queste ragioni (e per altre ancora) che, progressivamente, è cresciuta la domanda di attenzione per gli aspetti qualitativi della vita, la richiesta di poter vivere la gravità e/o la cronicità delle proprie malattie ad un livello di vita qualitativamente più soddisfacente:
se, infatti, è importante salvare (o prolungare) la vita delle persone, è importante anche che queste persone siano messe nelle condizioni di vivere bene (o almeno dignitosamente) questa vita.
Oltre a queste ragioni, ve n’è un’altra, non meno importante, di natura economico-politica:
lo sviluppo tecnologico verificatosi negli ultimi decenni ha comportato un incremento dei costi dell’assistenza sanitaria tale che, la maggior parte dei paesi occidentali, nei quali l’assistenza assorbe una parte rilevante delle risorse disponibili, ha crescenti difficoltà a farvi fronte; la necessità di contenere tali costi ha spinto le autorità a richiedere con sempre maggiore pressione la documentazione della reale efficacia dei trattamenti. Questo è relativamente facile per coloro che trattano patologie acute per le quali è piuttosto agevole definire indicatori specifici dell’efficacia degli interventi, poiché la correlazione fra il trattamento ed i suoi effetti è molto stretta. Ben diverso, e molto più complesso, è il problema delle patologie croniche com’è il caso, fra le altre, di buona parte di quelle psichiatriche, la cui complessità eziopatogenetica e pervasività psicosociale è tale da rappresentare una seria sfida per chi cerchi di individuare validi criteri di valutazione dell’efficacia dei programmi di trattamento. In queste patologie, infatti, più che un preciso e definito obiettivo terapeutico, il trattamento ha come obiettivo primario la stabilizzazione ed il mantenimento di capacità psicosociali, ed allora gli indicatori di efficacia devono tener conto di complessi sistemi psicosociali e devono fare riferimento a molteplici determinanti piuttosto che ad una chiara specificità eziopatogenetica.
Nel tentativo di dare una risposta alla richiesta di documentazione dell’efficacia dei trattamenti in questa popolazione, gli Autori hanno proposto l’impiego di misure funzionali e, tra queste, quella della QoL. Vedremo più avanti i problemi ed i limiti che questa misura di "outcome" presenta e che possono essere, almeno per la psichiatria, assai complessi.
Com’è facilmente intuibile, alla definizione del concetto di "qualità della vita" contribuiscono molteplici fattori e, in definitiva, tale concetto non può che essere soggettivo. E tuttavia, per utilizzare questo concetto a livello di studio e di ricerca, è necessario definirlo in maniera univoca, in modo da essere ragionevolmente sicuri che, quando lo si utilizza, ci si riferisce ad una stessa entità. Vediamo, quindi, che cosa dobbiamo intendere quando parliamo di "qualità della vita".
IL CONCETTO DI QUALITÀ DELLA VITA
È indiscutibile che ciascuno di noi abbia un proprio concetto di QoL e che ciò che rende vivibile la vita per alcuni sia oggetto di disagio per altri. Questo potrebbe autorizzare definizioni generiche o vaghe quali, ad esempio, "ciò che il soggetto ritiene tale", o "la capacità di vivere una vita normale", o "l’autorealizzazione", o, meglio, "il senso complessivo del soggetto di benessere e di funzionamento nella vita quotidiana".
La genericità e l’approssimatività di queste definizioni è tale da renderle inutilizzabili ai fini dello studio e della ricerca e perciò diversi Autori hanno cercato di fornirne di più complete e pregnanti, basate su modelli teorici dalla QoL.
Il primo modello, proposto da Lehman, è quello basato sulla soddisfazione ed il benessere, secondo il quale la QoL è costituita da tre componenti, le caratteristiche personali, le condizioni di vita in diversi settori dell’esistenza e la soddisfazione per le condizioni di vita in questi diversi settori (Lehman, 1988). Il limite di questo modello è rappresentato dal fatto che, mancando dei parametri di riferimento in base ai quali determinare quali siano i reali bisogni, le richieste e le necessità nel contesto di una determinata popolazione, il grado di "soddisfazione" può essere in rapporto, non solo alla reale corrispondenza tra ciò che il soggetto desidera e ciò che ottiene in una determinata area, ma anche all’importanza che il settore (o i settori) di vita considerato/i ha/hanno per il soggetto, al punto che la sua soddisfazione è variamente influenzata (o non lo è affatto) dalla realizzazione o meno in tale/i settore/i o, addirittura, al fatto che il soggetto abbia adattato le sue richieste ed i suoi desideri a ciò che l’ambiente gli offre (o che egli percepisce che l’ambiente gli offra) e che quindi la soddisfazione sia, in realtà, una rassegnazione. Fra le definizioni della QoL basate su questo modello, possiamo citare quella di Hørnquist:"il grado di soddisfazione dei bisogni nelle aree delle necessità fisiche, psicologiche, sociali, occupazionali, materiali e strutturali" (Hørnquist, 1989), o quella di Oleson:"la soddisfazione o la felicità di vivere in quegli aspetti della vita che sono importanti per il soggetto" (Oleson, 1990) o, ancora, quella di Ferrans:"il senso di benessere di una persona che deriva dalla soddisfazione o dall’insoddisfazione per settori della vita che sono importanti per lui" (Ferrans, 1990).
Un passo avanti rispetto a questo modello, anche se non esente da limiti, è quello proposto da Becker e collaboratori dell’importanza/soddisfazione, in cui la soddisfazione del soggetto in un settore, viene messa in correlazione con l’importanza che quel settore ha per lui (Becker et al., 1993).
Un altro modello ancora, è quello incentrato, invece, sulle teorie della motivazione umana, secondo le quali l’uomo sarebbe guidato o motivato dai suoi bisogni (alcuni innati, altri appresi nel corso del processo di socializzazione), il soddisfacimento dei quali sarebbe fonte di soddisfazione e di adattamento sociale: il livello di QoL sarebbe tanto più elevato quanto più numerosi sono i bisogni soddisfatti (Hunt e McKenna, 1992). Fra le definizioni della QoL basate su questo modello, ricordiamo quella di Engquist:"la misura in cui il soggetto è capace di raggiungere la sicurezza, l’autostima e la possibilità di utilizzare le proprie capacità intellettive e fisiche per perseguire i suoi obiettivi personali" (Engquist,1979). Su questa stessa linea si colloca la definizione della WHO (1995), secondo la quale la QoL è "la percezione che ciascuna persona ha della propria posizione nella vita, nel contesto dei sistemi culturali e di valori nei quali è inserito e in relazione alle proprie finalità, aspettative, standard ed interessi".
Questa della WHO è, come si vede, una definizione ampia, che prende in considerazione numerose variabili tra loro correlate, dalla salute fisica allo stato psicologico del soggetto, dal livello di autonomia ai rapporti sociali, dalle credenze personali al rapporto con l’ambiente nel quale egli vive, e ormai questa definizione è quella più comunemente accettata.
Che si faccia riferimento al benessere, alla soddisfazione o alla realizzazione dei bisogni, la QoL rimane comunque un qualcosa di soggettivo nel quale hanno preminenza le esperienze personali nei loro aspetti affettivi e cognitivi, per cui ogni individuo ha dei valori propri che influiscono variamente sulla QoL. Nonostante la sua soggettività, la QoL non è affatto un’entità semplice, lineare, ma è, invece, un’entità complessa, multidimensionale, nell’ambito della quale la salute (fisica e/o psichica) è soltanto una dimensione, importante quanto si vuole, ma comunque una dimensione che ha significato solo se considerata in un contesto più ampio. Per definire la QoL è necessario, infatti, prendere in considerazione anche altre dimensioni, quali i diversi aspetti del contesto socioculturale di cui il soggetto fa parte e, non meno importanti, le sue aspettative. Da questo deriva, di necessità, che nessuno che non sia l’individuo stesso può essere un valido giudice della propria QoL perché soltanto lui può fornire un giudizio che tenga conto dei suoi standard di vita e delle sue aspettative.
La QoL, abbiamo detto, è un’entità multidimensionale, anche se i diversi Autori non concordano pienamente sul numero e sulla natura delle dimensioni che contribuiscono a definirla. Un primo tentativo di definire un quadro tassonomico di queste dimensioni è quello di Flanagan (1978) che ha individuato 5 aree (Benessere fisico e materiale, Relazioni con gli altri, Attività sociali, comunitarie e civiche, Realizzazione della propria crescita e Svaghi) che si articolano, a loro volta, in 15 dimensioni (Tab. 20.I).
La WHO, invece, per la realizzazione della scala di valutazione da lei proposta, la WHOQOL, ha individuato 6 aree (Fisica, Psicologica, Livello di indipendenza, Relazioni sociali, Ambiente e Spiritualità/Religione/Convinzioni personali) che si articolano in 24
sezioni (Tab. 20.II).
TAB. 20.I – AREE E DIMENSIONI DELLA QUALITÀ DELLA VITA SECONDO FLANAGAN (1978)
Aree |
Dimensioni |
Benessere fisico e materiale |
1. Benessere materiale e sicurezza economica 2. Salute e sicurezza personale |
Relazioni con gli altri |
1. Relazioni col coniuge 2. Avere figli ed educarli 3. Rapporti con i genitori, con i germani o con altri familiari 4. Rapporti con gli amici |
Attività sociali, comunitarie e civiche |
1. Aiutare e sostenere gli altri 2. Partecipare alla vita politica locale e nazionale |
Realizzazione della propria crescita |
1. Crescita intellettuale 2. Conoscenza e pianificazione 3. Carriera nel ruolo professionale 4. Creatività ed espressione personale |
Svaghi |
1. Socializzazione 2. Attività ricreative passive e di osservazione 3. Partecipazione attiva agli svaghi |
TAB. 20.II – AREE E SEZIONI DELLA WHOQOL (1997)
Aree |
Sezioni |
Fisica |
1. Energia e stanchezza 2. Dolore e disagio 3. Sonno e riposo |
Psicologica |
1. Immagine corporea ed aspetto esteriore 2. Emozioni positive 3. Emozioni negative 4. Autostima 5. Capacità di ragionamento, apprendimento, memoria e concentrazione |
Livello di indipendenza |
1. Abilità di spostarsi 2. Attività della vita quotidiana 3. Dipendenza da farmaci e da altri trattamenti medici 4. Capacità lavorativa |
Relazioni sociali |
1. Relazioni interpersonali 2. Supporto sociale 3. Attività sessuale |
Ambiente |
1. Risorse finanziarie 2. Libertà, sicurezza ed incolumità fisica 3. Assistenza sanitaria e sociale: accessibilità e qualità 4. Ambiente domestico 5. Opportunità di acquisire nuove conoscenza ed abilità 6. Partecipazione ed opportunità ricreative e di svago 7. Ambiente fisico (inquinamento, rumore, traffico, clima) 8. Trasporti |
Spiritualità / Religione / Convinzioni personali |
1. Spiritualità / Religione / Convinzioni personali |
Interessante è la concettualizzazione della QoL proposta dalla Quality of Life Research Unit dell’Università di Toronto (1995). Questo gruppo definisce la QoL come "il grado in cui il soggetto prova piacere nelle più importanti possibilità della sua vita", dove le "possibilità" sono la risultante delle opportunità e delle limitazioni che ciascuno ha nella propria vita e riflettono l’interazione tra i fattori personali e quelli ambientali. Sono stati individuati tre settori fondamentali per la determinazione della QoL, Essere, Appartenere, Divenire (Being, Belonging and Becoming), ognuno dei quali articolato in tre sezioni (Tab. 20.III). Il settore dell’Essere, che fa riferimento al "chi si è", comprende la sezione fisica (salute fisica, igiene personale, alimentazione…), quella psichica (salute psichica, adattamento, cognitività, sentimenti, autostima…) e quella spirituale (valori personali, convinzioni spirituali…). Il settore dell’Appartenere si riferisce ai rapporti con il proprio ambiente fisico (casa, quartiere, comunità…), sociale (familiari, amici, persone intime…) e della comunità (livello economico, occupazione, disponibilità di programmi ricreativi e culturali…). Il settore del Divenire, infine, fa riferimento al divenire pratico (attività domestiche, lavoro retribuito, volontariato…), ricreativo (attività che facilitano il relax e la riduzione dello stress) e di crescita (attività che favoriscono il mantenimento o il miglioramento delle conoscenze e delle abilità, la capacità di adattarsi al cambiamento). In questa ottica, la QoL viene intesa come l’importanza attribuita a ciascuna dimensione ed alla capacità di trarre piacere da ognuna di esse.
Ogni Autore (e lo vedremo meglio più avanti) ha identificato, in definitiva, un certo numero di aree essenziali, a suo avviso, per definire la QoL, una parte di queste sono praticamente comuni a tutti (come, ad esempio, la salute fisica, i rapporti sociali o le attività del tempo libero) ed altre, invece, sono prese in considerazione solo da alcuni Autori, ma non da altri. E le differenze aumentano ancora quando il concetto generale di QoL deve calarsi nello specifico delle diverse condizioni morbose che, com’è facilmente intuibile, interferiscono in vario modo sulla qualità della vita stessa.
Questa eterogeneità di opinioni, la mancanza di parametri univoci di riferimento, non deve comunque sorprenderci sia perché solo da pochi anni gli studiosi hanno preso in considerazione il problema della QoL, sia perché, ancora più importante, la sua definizione e valutazione è strettamente soggettiva. La QoL è, infatti, una percezione soggettiva, è un modo di sentirsi, che prescinde, almeno entro certi limiti, dagli standard oggettivi di vita.
Skantze e collaboratori hanno dimostrato che, al di sopra di un certo livello di vita (la soglia di povertà secondo i parametri delle Nazioni Unite), la QoL risulta legata prevalentemente ad esperienze soggettive quali l’autorealizzazione, l’autostima, l’armonia interna, la libertà, il piacere, l’amore (Skantze et al., 1992).
STATO DI SALUTE E QUALITÀ DELLA VITA
Non ci sono dubbi che, quello di QoL, è un concetto generale che riguarda tutti gli individui, sani o malati che siano. Ma se il concetto trascende le condizioni di salute, è altrettanto vero che, nella realtà, la salute, fisica e psichica, è un elemento portante della QoL. Le malattie, infatti, sono un forte elemento di perturbazione della QoL, ma non tutte alla stessa maniera, ciascuna, per così dire, a suo modo. Così, ad esempio, un soggetto immobilizzato a letto da una malattia dell’apparato locomotore non è certamente in grado di andare a far visita agli amici ed ai parenti, ma se questi vanno a fargli visita egli trarrà piacere dallo stare con loro; un depresso, invece, ha la possibilità di andare a trovare amici e parenti ma, se lo fa, difficilmente sarà capace di trarre piacere dalla loro compagnia.
Ancora diverso è il caso di chi, senza alcuna patologia fisica o psichica, è impossibilitato a muoversi per incontrare amici e parenti o ad invitarli a casa propria per il sopravvenire di gravi difficoltà economiche e, magari, evita anche di farlo perché la cosa lo imbarazzerebbe e non ne trarrebbe adeguata gratificazione. In tutti e tre i casi, quindi, c’è una compromissione della QoL, ma gli ambiti compromessi sono molto diversi.
Per questo, nella valutazione della QoL, dopo un’iniziale fase di confusione, si sono distinti due piani, quello generale e quello specifico; il primo prende in considerazione la QoL in generale (overall quality of life – OQOL o global quality of life – GQOL) ed il secondo fa riferimento alle condizioni di salute (health-related quality of life – HRQOL).
Per entrambi questi ambiti sono stati costruiti appositi strumenti di valutazione.
Gli strumenti "generici", quelli che esplorano la GQOL, che non si rivolgono a patologie particolari od a popolazioni specifiche di pazienti, trovano impiego in ricerche nella popolazione generale per valutare un’ampia gamma di settori e sono applicabili a molteplici condizioni di salute e di malattia. Non facendo riferimento ad alcuna patologia specifica o ad alcuna particolare popolazione di pazienti, sono le più usate per condurre indagini generali sulla salute e per confrontare condizioni patologiche diverse. Una variante degli strumenti generici è quella degli strumenti globali che misurano la QoL nella maniera più ampia e globale possibile, strumenti che, con una sola domanda, chiedono al soggetto di valutare la qualità globale della sua vita o, come la Quality of Life Scale (Flanagan, 1978), esplorano la sua soddisfazione mediante 15 domande sulla sua vita.
L’HRQOL può essere definita come "un giudizio personale nel quale si condensano le caratteristiche positive e negative del proprio benessere psicologico, fisico, sociale e spirituale in un momento della vita in cui hanno rilievo le condizioni di salute, le malattie ed i trattamenti" (Padilla et al. 1996). Prima di addentrarci in questo concetto, ci sembra utile e necessario definire alcuni concetti fondamentali come quelli di stato di salute, di stato funzionale e di percezione dello stato di salute.
Lo stato di salute di un individuo è il grado relativo di benessere in rapporto alla presenza di disfunzioni biologiche o fisiologiche, di sintomi o di compromissioni funzionali. La percezione dello stato di salute è la valutazione soggettiva del proprio stato di salute e può non corrispondere allo stato di salute oggettivo. Non è eccezionale che alcune persone percepiscano se stesse come sane nonostante siano affette da patologie acute o croniche, e che altre si percepiscano come ammalate in assenza di qualsiasi elemento che suffraghi questa loro sensazione: per rimanere in ambito psichiatrico, basti pensare ai pazienti maniaci e, rispettivamente, a quelli ipocondriaci. Lo stato funzionale può essere definito come la capacità del soggetto di svolgere le normali attività della vita quotidiana necessarie per far fronte alle necessità di base, adempiere alle funzioni connesse al proprio ruolo e mantenere lo stato di salute e di benessere. Anche lo stato funzionale è in rapporto alla presenza di disfunzioni biologiche o fisiologiche, di sintomi, di alterazioni dell’umore e di altri fattori. Fra questi, importante è la percezione dello stato di salute poiché le capacità prestazionali di un soggetto saranno ridotte rispetto alle sue reali capacità se si percepisce come ammalato anche se oggettivamente non lo è.
La QoL in rapporto allo stato di salute, o HRQOL, può essere definita come il grado di soddisfazione o di benessere per la propria vita in rapporto allo stato di salute ed allo stato funzionale, così come li abbiamo ora descritti. Rispetto alla GQOL, la HRQOL è primariamente in rapporto con i fattori che fanno parte del sistema salute/malattia e che sono oggetto dell’interesse medico-assistenziale. In termini generali, la valutazione della HRQOL rappresenta il tentativo di determinare come le variabili che fanno parte della dimensione "salute" correlino con quelle dimensioni della vita che sono state riconosciute come importanti nella popolazione generale (HRQOL generica) o per i soggetti affetti da una particolare malattia (HRQOL specifica). Gli strumenti che valutano la HRQOL pongono l’accento sull’effetto della malattia in generale o di una particolare malattia (solitamente malattie croniche, somatiche e psichiche) sul funzionamento fisico, sociale, psicoemotivo e cognitivo.
Gli strumenti per la valutazione della HRQOL sono entrati ormai nell’uso sia a livello generale, quando si voglia studiare lo stato di benessere della popolazione, valutare gli effetti delle politiche socio-sanitarie, stabilire l’impiego delle risorse, eccetera, sia a livello più strettamente clinico. Nel primo caso sono più idonei gli strumenti che valutano la HRQOL generica mentre, quando l’interesse è prevalentemente clinico, orientato ad un più completo inquadramento diagnostico e ad un più mirato intervento terapeutico-assistenziale, o ad una valutazione dei risultati degli interventi attuati, o quando si vogliano mettere a fuoco gli aspetti peculiari della QoL in rapporto a particolari condizioni di patologia, sono più adatti quelli che valutano la HRQOL specifica.
Fra gli strumenti HRQOL rientrano anche gli strumenti specifici per le dimensioni, che hanno come obiettivo lo studio di problemi particolari (come il dolore, la sessualità, eccetera) sui quali si vuole verificare l’efficacia dell’intervento.
Il concetto di QoL, infatti, è entrato anche nella ricerca terapeutica clinica e sono, ormai, in numero crescente gli studi clinici che prevedono fra i criteri di valutazione dell’outcome del trattamento anche quello della QoL. Dobbiamo anzi dire che questa misura dell’esito dei trattamenti ha acquisito una tale importanza che l’European Committee for Standardization of Clinical Trials with Psychotropics (ECST) ha costituito, nel 1994, una "task force" specifica per la QoL (ECST Quality of Life working group) coordinata da Per Bech.
QUALITÀ DELLA VITA E PSICHIATRIA
Abbiamo detto, all’inizio di questo capitolo, che l’attenzione verso la QoL è stato il risultato dei notevoli cambiamenti avvenuti nella medicina (ed anche nella società) negli ultimi decenni, non meno che della necessità di documentare la reale efficacia dei trattamenti, onde consentire una più razionale allocazione delle (generalmente limitate) risorse disponibili per l’assistenza sanitaria, visto lo squilibrio crescente fra gli stanziamenti ed i costi.
La medicina generale ha sentito per prima questa esigenza poiché una gran parte della patologia di cui si fa carico è rappresentata da disturbi cronici che i trattamenti oggi disponibili non sono in grado di risolvere in maniera completa e stabile, ma riescono soltanto a stabilizzare lo stato di malattia, o a rallentarne il decorso e/o ad alleviarne le sofferenze con terapie palliative. Queste condizioni hanno, inevitabilmente, un elevato costo sociale che gli enti governativi preposti all’assistenza sanitaria, da cui dipende l’allocazione delle risorse disponibili, possono coprire solo a fronte di un rapporto costi/benefici accettabile che, per questi pazienti, non suscettibili di guarigione, è rappresentato in larga misura dal miglioramento della QoL.
La psichiatria, alla quale non mancano certo le patologie croniche, ha "scoperto" più tardivamente il problema della QoL ed è ancora abbastanza lontana dell’averlo risolto in maniera soddisfacente. Lo ECST Quality of Life working group (di cui abbiamo appena detto) ha pubblicato nel 1997 un rapporto sullo "stato dell’arte" in questo settore, dal quale si ricava un quadro alquanto sconfortante della situazione (almeno a quel momento):
• molti Autori indicano come misure della QoL quelle che sono, invece, misure dell’adattamento sociale (o addirittura dei sintomi) e non del benessere, che è il vero indice della QoL; • scarsa è risultata la documentazione delle caratteristiche psicometriche degli strumenti di valutazione della QoL utilizzati nelle ricerche psicofarmacologiche cliniche controllate (ma anche nel resto della medicina la situazione non è molto migliore!) (Bech e Rylander, 1997).
Nello stesso rapporto si sottolinea, fra l’altro, la necessità di predisporre strumenti specifici di valutazione per la schizofrenia, dato che la maggior parte delle scale disponibili (e soprattutto quelle generiche – GQOL) ha scarsa applicabilità in questa patologia, mentre migliore appare la situazione per quanto riguarda la depressione, nella quale le scale mostrano una maggiore applicabilità, ferma restando la necessità di ulteriori studi per stabilire quali, fra gli strumenti disponibili, siano i più validi ed affidabili.
Dobbiamo sottolineare, comunque, che in psichiatria sono ancora molti i quesiti di fondo ai quali non è stata ancora data una risposta e che i pazienti psichiatrici pongono, rispetto a quelli della medicina generale, problemi particolari:
- come si caratterizza la QoL dei pazienti psichiatrici cronici nei settori della salute, delle condizioni socioeconomiche, del benessere psicologico/spirituale, della vita familiare;
- se e quali differenze esistono tra i diversi tipi di pazienti (schizofrenici, bipolari, depressi, eccetera);
- se e quali differenze esistono tra i pazienti psichiatrici cronici e quelli con patologia somatica cronica con analoghe caratteristiche sociodemografiche;
- se, in questi soggetti, l’autovalutazione sia più o meno affidabile rispetto dell’eterovalutazione.
Ancora non abbiamo delle risposte precise a questi quesiti poiché, i primi, richiedono indagini estese su vasti campioni e, l’ultimo, ripropone, amplificandoli, i problemi di cui abbiamo discusso nella parte generale di questo Repertorio a proposito dell’autovalutazione e sui quali vogliamo tornare brevemente per rilevarne gli aspetti peculiari.
Abbiamo più volte sottolineato che il concetto di QoL non può che essere soggettivo, che ciò che rende vivibile la vita per alcuni può essere oggetto di disagio per altri, e questo ci dice, a priori, quanto sia difficile individuare degli indicatori obiettivi della QoL e come il giudizio soggettivo sia un ineludibile punto di riferimento. La psicopatologia, tuttavia, può colpire le componenti emotive, cognitive e sociali sulle quali si basano generalmente gli strumenti che valutano la QoL al punto da distorcere profondamente l’autovalutazione della QoL stessa.
Jenkins (1992) ha osservato che, sebbene le risposte agli strumenti che valutano la QoL da parte dei pazienti affetti da patologia mentale debbano idealmente riflettere le loro condizioni fisiche, psichiche e sociali, spesso tali risposte sono distorte dalle aspettative del soggetto, dai desideri personali o dallo stato psichico. Si è visto, ad esempio, che la depressione si associa comunemente ad un’ipervalutazione soggettiva, negativa, dell’adattamento sociale e degli eventi di vita, e ad eccessiva insoddisfazione per il ruolo sociale. Un’altra fonte di problemi è rappresentata dalle aspettative e dalla consapevolezza del soggetto: i malati mentali possono non avere coscienza o motivazioni per migliorare le loro condizioni di vita e, se il paziente non ha coscienza dei deficit presenti nei diversi ambiti della sua vita e non è motivato a migliorare, è verosimile che la qualità della sua vita sia alquanto bassa.
Tuttavia, la mancanza di desiderio di cambiare e la mancanza di insight circa l’impatto della malattia sulla sua vita, possono indurre il soggetto a valutare la propria vita in termini più positivi di quanto non lo siano realmente. Non a caso la maturazione dell’insight è generalmente considerata come un nodo cruciale nel trattamento dei pazienti psichiatrici cronici.
Per queste ragioni, alcuni Autori hanno dei dubbi sulla reale utilità dell’autovalutazione in questo tipo di pazienti, soprattutto quando si vogliano individuare indicatori oggettivi della QoL. In effetti, l’errore provocato dalle distorsioni percettive, dalla mancanza di insight, dai deliri, eccetera, può rappresentare un limite per l’autovalutazione e Jenkins (1992), ma anche altri Autori, ritengono che, in questi soggetti, la QoL dovrebbe essere valutata, per quanto possibile, in base a specifici fenomeni osservabili, obiettivabili.
Altri Autori, invece, sostengono fermamente che soltanto il paziente è in grado di fornire informazioni valide circa la qualità della propria vita e che, se si eccettuano gli episodi psicotici acuti, la maggior parte dei pazienti psichiatrici è in grado di utilizzare adeguatamente strumenti per la valutazione della QoL che siano stati opportunamente preparati.
Questo significa che il contenuto degli strumenti di valutazione deve essere percepito dal paziente come rilevante per lui. È necessario, quindi, evitare l’uso di strumenti generici che, contenendo molti item che non hanno alcuna attinenza con gli specifici problemi di salute (ad esempio, un’eccessiva enfasi posta su disturbi e malattie somatiche), sono vissuti come non pertinenti e quindi di scarso interesse; per ottenere la massima collaborazione, è necessario che gli strumenti utilizzati siano pratici, attinenti, brevi, con domande a cui è facile rispondere e con un sistema di valutazione semplice. Gli stessi Autori sostengono che l’uso di informatori è inappropriato perché il loro giudizio può essere influenzato dai propri parametri di valutazione e/o dalla volontà e dalla capacità del paziente di comunicare con l’informatore (McKenna, 1997).
Molto importante è anche la "sensibilità culturale" degli strumenti, che deve essere appropriata alle caratteristiche culturali della popolazione in cui quegli strumenti vengono utilizzati: sarebbe un grave errore pensare che uno strumento costruito per la popolazione americana sia automaticamente valido anche per quella europea o che uno costruito per il nord dell’Europa, se applicato nei paesi mediterranei, fornisca risultati sovrapponibili a parità di caratteristiche sociodemografiche e cliniche della popolazione esaminata.
In questa sede faremo un’ampia panoramica degli strumenti per la valutazione della QoL (Tab. 20.IV), indipendentemente dal contesto culturale nel quale e per il quale sono stati proposti. Sarà compito del clinico che voglia utilizzarli a scopo di studio e di ricerca tener conto della specificità culturale, così come della pertinenza, degli strumenti per la popolazione nella quale intende utilizzarli.