Note di commento con particolare riferimento alle questioni dell’assistenza psichiatrica di Luigi Benevelli – MANTOVA

Premessa

La stragrande maggioranza delle persone da sempre gestisce i problemi inerenti la propria salute mentale da sola, in famiglia, con i pari, i medici di medicina generale, specialisti neurologi, psichiatri e psicologi, esperti di medicine alternative o nel circuito della religiosità popolare dove la speranza di riconquistare la salute passa attraverso la ricerca della salvezza e del miracolo. Quindi si può affermare che quasi sempre le persone, da sole o con il conforto della famiglia e delle amicizie, esercitano la libertà di scegliere circa a chi affidarsi, come e dove curarsi, anche fuori dei circuiti della medicina ufficialmente riconosciuta. A tali comportamenti corrispondono sul "mercato" dell’assistenza psichiatrica offerte di possibilità di opzioni fra trattamenti e titolari di trattamenti diversi. Ciò significa anche che i modelli cui si sono rifatti e si rifanno i servizi pubblici di assistenza psichiatrica, compreso quelli manicomiale e della psichiatria di comunità, non sono da sempre ritenuti i più validi in tutte le situazioni e per tutti i disturbi mentali. In generale si può affermare che oggi, in Italia, i cittadini si rivolgono al servizio pubblico di salute mentale o come prima scelta, o perchè non hanno denaro per sostenere i costi dei trattamenti nel circuito privato, o per le situazioni definite "gravi", quelle cioè più drammatiche dal punto di vista della sofferenza individuale e famigliare, più allarmanti dal punto di vista sociale e a maggior rischio di isolamento ed emarginazione. Sono situazioni che un singolo professionista non è in grado di reggere perché abbisognano di altro e di più rispetto al rapporto a due fra un professionista ed un cliente: che ci si occupi cioè anche di vitto, alloggio, formazione e lavoro, riabilitazione della persona e del suo contesto, accompagnamento. Occorrono gruppi di operatori, professionali e non, capaci di lavorare con continuità anche in ambiti non-ospedalieri, non-sanitari, non-psichiatrici, e, per evitare che la qualità delle pratiche degradi, devono essere loro garantiti tempi e risorse per la formazione permanente.

In particolare voglio sottolineare il fatto che, da quando gli Stati si sono occupati di sanità e di assistenza psichiatrica, essi hanno riconosciuto che le situazioni che ho definito "gravi" necessitano di attività di tutela da parte di un servizio di sanità pubblica: compiti di tutela aveva il manicomio, il titolo dei progetti obiettivo nazionali 1994-96 e 1998-2000 è "Tutela della salute mentale", quello del p.o. regionale lombardo 1995-97 è "Tutela socio-sanitaria dei malati di mente".

E’ stato per fare buona tutela, affrontare tali situazioni col massimo di efficacia e garantendo il rispetto della dignità della persona che anche in Italia, con la critica e il superamento del modello manicomiale, è stata introdotta l’organizzazione dei servizi che si rifà alla Psichiatria di Comunità. La Psichiatria di Comunità prevede l’opera di un’équipe multiprofessionale insediata in un determinato territorio che opera al domicilio, in ambulatorio, in ospedale, in residenze a vario grado di protezione, che è orientata alla riabilitazione psicosociale, si collega con i Comuni e i Distretti Socio-Sanitari, in stretta interazione con le associazioni degli utenti e delle famiglie. I trattamenti intervengono sui livelli biologico, psicologico, sociale e culturale.

Il lavoro per la salute mentale nella psichiatria di comunità si svolge in contesti territoriali definiti e la sua efficacia è favorita dall’esistenza a livello locale di istituzioni, governi e relazioni sociali che supportino l’esercizio dei diritti di cittadinanza. E’ evidente che se in un territorio non sono attive le risposte che dovrebbero essere disponibili, i singoli e le comunità locali finiscono col trovarsi in una situazione di abbandono e costrette ad arrangiarsi. La responsabilità di tali situazioni ricade sulle spalle di chi, amministratori o dirigenti sanitari, non ha attivato, messo a disposizione e alimentato la capacità operativa del servizio. Ma vi è anche chi giudica del tutto inadeguato, se non proprio fallimentare, il modello stesso della psichiatria di comunità, chi nega efficacia terapeutica alla "presa in carico" ed alla continuità assistenziale, esalta trattamenti centrati sulla somministrazione di psicofarmaci che hanno come momento di verifica e validazione non il territorio, la comunità locale, ma i luoghi dove sarebbe disponibile il massimo delle competenze biomediche. Su questa lunghezza d’onda si allineano più recenti proposte ed iniziative di attivazione di servizi specialistici, per lo più in rete con cliniche universitarie o imprese della sanità privata, per i trattamenti dei disturbi del comportamento alimentare o delle depressioni. Altre posizioni di critica radicale imputano alla attuale psichiatria pubblica italiana, così come è stata voluta dalla legge 180 e dai progetti obiettivo nazionali, di essere inadeguata alla gestione delle situazioni gravi. Recenti proposte di modifica della legge 180/1978 in discussione in Parlamento (proposta di legge Burani Procaccini e proposta di legge Cè) da una parte enfatizzano la necessità che al paziente ed alla famiglia sia garantita la libertà di scegliere il curante e dove curarsi e dall’altra chiede con urgenza di consentire ricoveri coatti di lunga durata dei pazienti che tengano condotte violente, in strutture fino a 50 posti letto collocabili anche nelle aree ex-OP recentemente chiuse. Si ripropone così, di fatto, il tema della "pericolosità sociale" dei malati di mente, si nega agli stessi, in quanto pericolosi, potere contrattuale e li si affida ad un circuito neomanicomiale separato dai servizi territoriali.

Per svuotare la psichiatria di comunità delle sue attribuzioni non è necessario oggi aspettare l’approvazione di norme di modifica della 180: basta che nella società si riduca o cada l’attenzione al tema dei diritti degli utenti e dei doveri dei servizi di salute mentale, che le Aziende Sanitarie non siano impegnate dai governi regionali a garantire organici e risorse per il lavoro del DSM, che i servizi territoriali impoveriscano e gli operatori rinuncino a pretendere quanto serve per lavorare e a rendere conto del loro lavoro. Colpi all’esercizio universale del diritto alla salute sono portati dal costituirsi di servizi sanitari regionali che non assumano più la responsabilità della tutela delle persone malate di mente, il metodo, le indicazioni e gli obiettivi della programmazione nazionale. L’esperienza della chiusura dei manicomi pubblici ha dimostrato che, senza la continua messa in tensione da parte della programmazione nazionale e regionale, la capacità operativa dei servizi pubblici, ristretti nella dimensione locale, è frutto solo del potere contrattuale e della qualità delle relazioni fra utenti e DSM e fra DSM e Direzione generale della singola Azienda sanitaria. Quindi, una cattiva regionalizzazione dei servizi sanitari produce il riconoscimento e la legittimazione di tutte le pratiche e gli stili di lavoro, assai difformi fra di loro, dei singoli dirigenti dei servizi di salute mentale. Questo è lo scenario delineato dal piano socio-sanitario regionale lombardo.

Le linee generali del piano lombardo 2002-2004

Il Piano Socio-sanitario regionale lombardo 2002-2004 proposto dalla Giunta Formigoni limita il ruolo di governo della Regione alla indicazione degli incentivi, dei criteri di verifica e alla valutazione dei comportamenti degli attori. Il Piano si propone il progressivo ridimensionamento della Regione nelle sue funzioni di proprietario e gestore della rete pubblica dei servizi. Il piano critica fortemente la legge 328/2000 di riforma dell’assistenza perché imporrebbe modelli che non possono essere validi su tutto il territorio nazionale, violando in tal modo l’autonomia della Regione. In particolare il piano affida le funzioni di programmazione alle sole ASL, quelle dell’integrazione socio-sanitaria ai Dipartimenti ASSI delle ASL anziché ai Distretti socio-sanitari, riconosce alle ASL e non ai Comuni le funzioni di autorizzazione e accreditamento dei servizi socio-assistenziali, nega qualsiasi ruolo alle province. La giunta regionale lombarda, invece, decide di non imporre modelli operativi consentendo a ciascun attore di ricercare le migliori modalità di azione.

Circa i livelli essenziali di assistenza definiti a livello centrale, viene criticato il fatto che essi varrebbero a giustificare i costi sostenuti dal servizio sanitario nazionale più che a definire prestazioni, trattamenti e opportunità su cui il cittadino può contare. La Regione Lombardia, al riguardo, dice di preferire la dizione di "livelli garantiti di assistenza". Sempre la Regione si impegna a determinare modalità e tempi di sperimentazione di livelli di assistenza integrativi rispetto a quelli minimamente garantiti.

La Giunta lombarda conferma i principi ispiratori della legge regionale 31/97: libertà di scelta, piena parità di diritti e doveri tra strutture di diritto pubblico e strutture di diritto privato, separazione fra chi acquista e chi produce, Aziende Ospedaliere trasformate in soggetti di diritto privato, libertà di scelta del cittadino, ASL soggetti pubblici di programmazione, controllo e acquirenti delle prestazioni, garanti dei cittadini. Le ASL sono impegnate ad uscire dalle gestioni delle attività socio-sanitarie (riducendo al minimo l’impegno anche nella prevenzione) affidandole a soggetti esterni.

L’approccio alle fragilità hanno come riferimento non solo il singolo, ma soprattutto la sua famiglia. La famiglia diventa soggetto della politica dei servizi.

Altro soggetto valorizzato sono le imprese sociali.

Il welfare regionale dispone di:

  • una rete di servizi ad elevata integrazione socio-sanitaria, che fa capo alle singole ASL e quindi, per le politiche, alla Giunta regionale;
  • di una rete di servizi sociali di competenza progettuale e gestionale dei Comuni. Obbligo di adozione dei Piani di Zona con la formula giuridica dell’ "accordo di programma". Gli ambiti territoriali sovracomunali sono definiti dalla Regione.

E’ affermata la necessità dell’integrazione fra le reti che fanno capo ai comuni e quelle che fanno capo alla regione. L’integrazione fra le due reti dovrebbe avvenire a livello del Distretto Socio-sanitario della ASL (minimo 100.000 abitanti).

La giunta regionale sceglie di superare le categorie di parzialmente non-autosufficienti (NAP), totalmente non-autosufficienti (NAT) e Alzheimer per la remunerazione dei posti letto nelle RSA e di avviare una nuova remunerazione delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie basata sui parametri di fragilità, qualità delle prestazioni, valutazione degli esiti.

Accesso alle RSA non più per gli ultra65enni, ma per gli ultra75enni.

Gli interventi socio sanitari e sociali sono:

  • di supporto alla famiglia;
  • sostitutivi a livello domiciliare, semiresidenziale, residenziale

Gli obiettivi del piano

Costruzione di una rete ospedaliera gestita da Fondazioni di partecipazione con l’ingresso di investitori pubblici non-profit e privati. Le Aziende Ospedaliere pubbliche sono trasformate in soggetti di diritto privato.

Riduzione della rete ospedaliera per acuti fino a 4 posti letto per 1000 abitanti e trasformazione di 1.500 posti letto in lungodegenze.

L’ospedale per acuti è inserito in una rete di strutture e di professionisti che garantisce media-assistenzalungodegenza (?), cure domiciliari e cure per i pazienti terminali. Fra ospedali e RSA è prevista una rete intermedia di strutture per i trattamenti che prevedano carichi assistenziali medio-pesanti (?).

Ridefinizione della medio-assistenza, riclassificando le attività ospedaliere ed extraospedaliere in riabilitazione intensiva e riabilitazione estensiva (superamento art. 26 l. 833/78 ?).

Nuova definizione delle organizzazioni non-profit e del terzo settore, nuova disciplina delle imprese sociali e del lavoro atipico anche con una discipline fiscale agevolativa.

le proposte per l’assistenza psichiatrica

Le proposte partono dall’affermazione che "le dimensioni epidemiologiche attuali dei disturbi psichici e la rilevanza della quota del Fondo Sanitario Regionale attribuita alla psichiatria contrastano in modo evidente con il fatto che i servizi psichiatrici non sono adeguatamente funzionali ai bisogni della popolazione, scarsamente integrati con i servizi sociali e i competenti organi".

Fra gli 11 obiettivi di salute e benessere sociale, la salute mentale è collocata al 2° posto, dopo il materno infantile, tutela dei minori e adolescenti e vi è una forte sottolineatura della necessità di potenziare i servizi per i minori e gli adolescenti

Si fa obbligo delle Aziende Ospedaliere ad alienare o a destinare ad attività sanitarie territoriali le aree dei 12 Op (1,3 milioni di mq di superficie fondiaria) della Regione.

La psichiatria in Ospedale (SPDC) è inserita fra le specialità a più elevata assistenza insieme a malattie infettive, neonatologia (per le specialità mediche) e a cardiochirurgia e neurochirurgia (per quelle chirurgiche).

Anche la psichiatria pubblica è tenuta a far propri i criteri ispiratori della legge 31/97 (= libertà di scelta, più privato, più non-profit). Da qui discende la scelta di accreditare anche UOP private, dotate di strutture ospedaliere, residenziali, semiresidenziali e ambulatoriali. Non si fa più cenno al Dipartimento di salute mentale e alle sue funzioni.

Si propone che di sperimentare "progetti personalizzati" articolati fra pubblico e privato e con finanziamento sull’esito e non sulla prestazione: creazione di un "circolo virtuoso" tra operatori, pazienti, famiglie, imprese sociali che premi l’innovazione e il dinamismo evolutivo sperimentando finanziamenti che coprano l’intera durata e articolazione del trattamento e non i singoli segmenti.

Il territorio di competenza della ASL, di norma corrispondente all’ambito della Provincia- (e non più quello su cui opera la singola Azienda Ospedaliera) costituisce unamacroarea entro cui è possibile facilitare la libertà di scelta. Questo significa che un utente può scegliere di rivolgersi ad una Unità Operativa diversa da quella competente per territorio.

Sono giudicate particolarmente critiche le attività di riabilitazione in regime di residenzialità: si propone una remunerazione differenziata rispetto all’intensità degli interventi, che i ricoveri siano a termine, che i progetti prevedano il reinserimento sociale e lavorativo

Si chiedono più sinergie e integrazione con i MMG, ASL, Comuni, privato profit e non-profit.

In aggiunta al circuito degli SPDC, si propone di sperimentare degenze post-acuzie in "posti letto ospedalieri in strutture accreditate" che consentano di "impostare adeguati programmi terapeutico-riabilitativi".
 

Osservazioni e commenti

  1. Forte apprezzamento per la sottolineatura della necessità di potenziare i servizi di salute mentale per i minori e gli adolescenti: si tratta di servizi di fondamentale importanza per la prevenzione delle disabilità nell’età adulta. Il documento di piano, invece, accenna di sfuggita al il tema della salute mentale in carcere e ignora completamente la questione OPG pur operando nella Regione le sezioni OPG di Castiglione d/S, la più grande struttura italiana.
  2. Il documento tratta i temi della salute mentale adulti senza alcun riferimento ai dati della situazione attuale dei servizi lombardi, dei quali si afferma che non sarebbero in grado di rispondere alle nuove patologie perché sarebbero culturalmente e professionalmente "arretrati" e perché ancora poco "pervasi" dalla filosofia ispiratrice del modello lombardo di sanità. Si tratta di affermazioni generiche che mostrano la mancata conoscenza da parte della giunta dello stato dei servizi di salute mentale. Tale ignoranza nasce dal fatto che la regione, sulla base delle scelte di riforma della propria sanità del 1997, ha smantellato l’Ufficio Psichiatria che fino a quell’anno aveva costituito un importante centro di osservazione e di intervento, aveva discusso e redatto e gestito le norme di programmazione regionale, vale dire i "progetti- obiettivo regionali". Come istanza unica di conoscenza dello specifico dell’assistenza psichiatrica (al posto dell’Ufficio Psichiatria?), la giunta regionale ha attivato un organismo di consulenza, il "Coordinamento dei Primari psichiatri della Lombardia" che però è assai poco ascoltato e valorizzato. Oggi gli unici dati su cui la giunta regionale è in possesso sono quelli ricavabili da un sistema informativo che documenta singole prestazioni e loro remunerazione, ma non dà l’idea dei problemi e delle aree di difficoltà. La regione Lombardia ha moltiplicato l’offerta di prestazioni e servizi e mettere in concorrenza fra di loro aziende sanitarie, privato profit e non-profit. Questa politica è stata condotta abbandonando il metodo della programmazione.
  3. Con la chiusura delle aree ex-OP è molto cresciuta in regione la rete delle comunità protette. Per propria scelta, per sostenere l’irrobustirsi della presenza della cooperazione sociale, la giunta regionale ha lautamente remunerato i posti letto di queste comunità (320.000 lire al giorno) senza però poi "governare" la situazione. Il privato, in particolare quello profit, interviene dove vi è possibilità di fare guadagni. Infatti, in psichiatria, il privato gestisce la maggior parte delle prestazioni specialistiche ambulatoriali (v. ad esempio le psicoterapie) o alcuni servizi residenziali. Ma non ha affrontato la sfida dei servizi territoriali, non solo per le complessità e l’onerosità del lavoro di rete della psichiatria di comunità, ma anche per la bassissima valorizzazione economica della maggior parte delle prestazioni di psichiatria di comunità. E’ pertanto poco serio che la regione critichi oggi lo stato dei servizi, visto che l’ha determinato con le proprie scelte politiche.
  4. La proposta di piano dà indicazioni, spesso confuse e talvolta oscure circa le intenzioni della giunta, ma non esplicita mai quali siano i soggetti che dovranno gestire l’assistenza psichiatrica. Si conferma così la scelta dell’abbandono del metodo della programmazione, di ignorare le indicazioni del p.o. nazionale "Tutela della salute mentale 1998-2000", di eliminare i vincoli di rispetto degli standard servizi/popolazione. Non vi è nemmeno alcun cenno ai livelli essenziali e uniformi di assistenza. Pare di capire che siano le Aziende Sanitarie Locali a fare le politiche locali, mentre le Aziende Ospedaliere dovrebbero organizzare al meglio le attività a gestione diretta ed i DSM (o chi per essi, visto che non sono mai citati) dovrebbero darsi da fare con privato profit e non-profit, Comuni, associazioni per mettere in pratica la filosofia della legge 31/97. Con quali strumenti e autorevolezza non è dato sapere se si pensa che tutti i soggetti sono messi in concorrenza fra di loro, il socio-sanitario dipende direttamente dalla Regione mentre il sociale dipende dai Comuni., il luogo ipotizzato per l’integrazione è il Distretto, un’agenzia di una ASL che però può solo comperare e controllare evitando di "sporcarsi le mani" con la gestione di qualsiasi tipo di attività.
  5. Già oggi, ma ancora più domani se verrà approvato il testo proposto dalla Giunta Regionale, i DSM lombardi, collocati dentro le Aziende Ospedaliere, non hanno certezza di risorse che devono negoziare (quando accade) con i Direttori Generali e la loro capacità di fare salute dipende dallo stato di salute del bilancio dell’Azienda. Così, da un sistema dove il servizio territoriale di salute mentale dell’Azienda Sanitaria (in Lombardia l’Azienda Ospedaliera) poteva contare su risorse, organici e strutture assegnate ed esigibili, si passa ad un sistema in cui per il servizio non vi è più alcuna garanzia né a livello locale né a livello regionale visto che non vi sono più vincoli, se non quelli di bilancio, per i bilanci della Regione, e quelli dei Direttori Generali delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere.
  6. Non si capisce quale livello di governo e di responsabilità il Piano ponga a garanzia del diritto alla salute delle persone con gravi disturbi mentali. Scarse garanzie può dare evidentemente una ASL che ha compiti di controllo e che non gestisce nessun servizio: che cose può e sa controllare chi non conosce i problemi della gestione di situazioni dove la tutela e l’esercizio dei diritti è sempre difficile? Da quando gli Stati hanno assunto fra i propri compiti l’assistenza psichiatrica prima e la salute mentale poi, è sempre stato particolarmente acuto il problema di dare risposta alle esigenze di tutela di persone e famiglie che non sanno o non possono scegliere, che vanno aiutate a scegliere o sono costrette a subire scelte per mancanza di potere contrattuale.
  7. Particolarmente grave appare l’effetto che la frammentazione delle responsabilità produce sul livello qualitativo dei servizi e dell’assistenza.
     

Conclusioni

Il Piano Socio-Sanitario 2002-2004 della Regione Lombardia, per quanto riguarda l’assetto e gli obiettivi di sviluppo delle attività di salute mentale, si pone fuori dal p.o. nazionale "Tutela della salute mentale 1998-2000": la Regione non dà indicazioni circa investimenti e risorse, abbandona il metodo della programmazione, rinuncia a garantire la tutela nelle situazioni "gravi" in nome di un principio della "libertà di scelta" assunto in modo astratto e del tutto ideologico (come se non esistessero situazioni in cui le persone devono essere sostenute e accompagnate nelle scelte), punta a smantellare i Dipartimenti di Salute Mentale, non si assume alcuna responsabilità delle situazioni locali delegandola alle ASL cui impone come unico vincolo il raggiungimento del pareggio di bilancio. In Lombardia, i servizi di salute mentale adulti rischiano di conseguenza di perdere il carattere di servizi di sanità pubblica di facile accesso, aperti 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno, impegnati a garantire quello che è il "cuore" dell’esperienza italiana di riforma: il lavoro per la tutela e il riconoscimento della pienezza dei diritti della persona a coloro che soffrono di disturbi mentali, soprattutto se "gravi" attraverso la psichiatria di comunità.

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