“Allocuzione sulle psicosi infantili”[1] fu il discorso di chiusura di un congresso a cui portarono il loro contributo analisti della scuola lacaniana, come Françoise Dolto e Maud Mannoni, che ne era l’ispiratrice, e analisti di altri orizzonti, come Ronald David Laing e David Cooper.
Si tratta di un discorso di difficile lettura, ma di rara bellezza per misurare il divario, non solo tra la teoria di Lacan e le altre teorie, ma tra Lacan e i suoi allievi. Un esempio è offerto dal tema della presenza dell’analista, tema che fa da cornice all’intervento. Esso ci ricorda che fu pronunciato solo due settimane dopo la “Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola”[2], magna charta della formazione dello psicoanalista. Nella nota aggiunta Lacan chiosa, tra il serio e il faceto, sulla sua presenza al congresso, a parer suo di troppo, e commenta, amaro e sarcastico, sull’ottusità degli analisti (e delle analiste), in cui il termine presenza è sinonimo di immaginario e non, come dovrebbe, di reale.
L’architettura dell’intervento è data dall’assioma, mai pronunciato, “l’inconscio strutturato come un linguaggio”. Lacan offre anche qui un esempio di divergenza tra la sua teoria e le altre, tra lui e i suoi. Solo l’inconscio strutturato come un linguaggio permette di articolare bambino, psicosi e istituzione. Ma il linguaggio non vuol dire comunicazione, verbale o preverbale, perché il linguaggio, in quanto struttura dell’inconscio, è il campo dove il soggetto (del significante) si articola con l’oggetto (del godimento), come dimostrano il sintomo e il fantasma. Ai suoi allievi poi egli ricorda che la loro lettura del suo assioma riduce il linguaggio al ‘tutto è significante’, quando ormai da anni egli pone l’accento sull’elemento non-significante del linguaggio, l’oggetto a.
Lacan inizia il suo intervento ricordando un passaggio del suo “Discorso sulla causalità psichica”, del 1946[3], in cui egli critica Henry Ey. La follia non è, come sostiene la psichiatria, una ferita che offende l’essere integro dell’uomo, per il fatto che l’essere umano è per sua essenza ferito: la divisione del soggetto non è il risultato del cattivo, ma del normale funzionamento sull’uomo di ciò che Freud chiama sessualità. La psichiatria, quando si illude di riparare questa divisione, ignora la scoperta freudiana: non si rabbercia un soggetto, che deve invece fare i conti, sempre, con questa sua divisione che Freud chiama castrazione. Non è l’ideologia della libertà che può scongiurare la follia, ma la clinica di questa divisione, che è frutto, anche nel caso del bambino psicotico, di quell’operazione simbolica che lo costituisce come soggetto: anche per produrre un bambino psicotico, ci vuole il lavoro, simbolico, di almeno due generazioni che lo precedono.
Si tratta di un discorso di difficile lettura, ma di rara bellezza per misurare il divario, non solo tra la teoria di Lacan e le altre teorie, ma tra Lacan e i suoi allievi. Un esempio è offerto dal tema della presenza dell’analista, tema che fa da cornice all’intervento. Esso ci ricorda che fu pronunciato solo due settimane dopo la “Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della Scuola”[2], magna charta della formazione dello psicoanalista. Nella nota aggiunta Lacan chiosa, tra il serio e il faceto, sulla sua presenza al congresso, a parer suo di troppo, e commenta, amaro e sarcastico, sull’ottusità degli analisti (e delle analiste), in cui il termine presenza è sinonimo di immaginario e non, come dovrebbe, di reale.
L’architettura dell’intervento è data dall’assioma, mai pronunciato, “l’inconscio strutturato come un linguaggio”. Lacan offre anche qui un esempio di divergenza tra la sua teoria e le altre, tra lui e i suoi. Solo l’inconscio strutturato come un linguaggio permette di articolare bambino, psicosi e istituzione. Ma il linguaggio non vuol dire comunicazione, verbale o preverbale, perché il linguaggio, in quanto struttura dell’inconscio, è il campo dove il soggetto (del significante) si articola con l’oggetto (del godimento), come dimostrano il sintomo e il fantasma. Ai suoi allievi poi egli ricorda che la loro lettura del suo assioma riduce il linguaggio al ‘tutto è significante’, quando ormai da anni egli pone l’accento sull’elemento non-significante del linguaggio, l’oggetto a.
Lacan inizia il suo intervento ricordando un passaggio del suo “Discorso sulla causalità psichica”, del 1946[3], in cui egli critica Henry Ey. La follia non è, come sostiene la psichiatria, una ferita che offende l’essere integro dell’uomo, per il fatto che l’essere umano è per sua essenza ferito: la divisione del soggetto non è il risultato del cattivo, ma del normale funzionamento sull’uomo di ciò che Freud chiama sessualità. La psichiatria, quando si illude di riparare questa divisione, ignora la scoperta freudiana: non si rabbercia un soggetto, che deve invece fare i conti, sempre, con questa sua divisione che Freud chiama castrazione. Non è l’ideologia della libertà che può scongiurare la follia, ma la clinica di questa divisione, che è frutto, anche nel caso del bambino psicotico, di quell’operazione simbolica che lo costituisce come soggetto: anche per produrre un bambino psicotico, ci vuole il lavoro, simbolico, di almeno due generazioni che lo precedono.
"Collasso spazio-tempo" Giulio Paci
Ma se anche lo psicotico ha a che fare col simbolico, questo non vuol dire che tutto è significante. Il risultato del ‘tutto è significante’ è la segregazione, a cui porta il progresso della scienza, slegando il soggetto dal suo rapporto col godimento. Secondo Lacan, la segregazione, che acquista una dimensione sempre più vasta, arreca nell’analisi che opera sotto l’egida del ‘tutto è significante’ quell’infantilizzazione dell’essere parlante che egli designa, verso la fine del suo intervento, col termine di bambino generalizzato.
Il soggetto infatti è soggetto per il fatto che un significante lo rappresenta (per un altro significante), ma ciò che lo muove non è un affare di significante, ma di godimento. Per questo la psicoanalisi non concerne gli ideali, ma il godimento, e non si riduce a un problema di tecnica, ma, come se ne accorse Freud, a un problema di etica. E Lacan ricorda ai suoi che è per questo motivo che aveva dedicato il seminario VII, del 1959-60, all’etica della psicoanalisi, prima di affrontare il transfert (1960-61), poi l’identificazione (1961-62), e infine l’angoscia (1962-63). In questi seminari, che sfociano nel 1964 con quello sui quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Lacan articola i punti nodali della psicoanalisi non già col significante, ma con quell’oggetto del desiderio freudiano[4] a cui darà la definizione più appropriata di oggetto causa del desiderio.
Quest’oggetto è essenziale: è quest’oggetto non-significante (reale) che è, allo stesso tempo, centrale ed escluso nella costruzione significante (simbolica) dell’inconscio.[5] Per questo Lacan ironizza su lacaniani e non che credono che ‘l’inconscio strutturato come un linguaggio’ voglia dire accontentarsi dell’emissione di belle parole. Al contrario esso è la condizione necessaria e sufficiente per sapere come funziona ciò che Freud ha chiamato inconscio e per rendere operativo l’intervento dell’analista. Questi due elementi che si escludono a vicenda sono, insieme, il nome dell’umano (parlêtre): il significante, del godimento simbolizzabile nella parola, e l’oggetto, del godimento che resta non-simbolizzabile ma che è il suo complemento di essere. La loro articolazione, che è alla base della topologia lacaniana, si presenta clinicamente nel sintomo (da dissolvere) e nel fantasma (da costruire).
Fantasma: questo è il campo operativo della psicoanalisi. Ma il fantasma non è il fantasticare del paziente né l’immaginare teorico dell’analista, poiché il fantasma è ciò per cui il sintomo implica godimento per un soggetto. Da sempre l’analisi si muove su questa linea: non c’è sintomo senza fantasma. E l’oggetto del fantasma non è l’oggetto parziale (che è dell’ordine del significante) né l’oggetto transizionale (che è dell’ordine dell’immaginario) ma quest’oggetto reale che si deve situare nel registro, logico, della causa.
Com’è implicato quest’oggetto nel bambino psicotico? Secondo Lacan, quest’oggetto non è separato dal corpo del bambino: nella psicosi infantile c’è simbiosi, ma non tra il bambino e la madre, ma tra quest’oggetto e il corpo del bambino, per il fatto che il significante non funziona per separarli (forclusione della metafora paterna).
Quest’oggetto non diventa esterno (pur rimanendo centrale), ma è presente come ‘reale’. In questa chiave si potrà leggere l’automutilazione del bambino psicotico come tentativo di operare quella divisione che lo stacchi dalla posizione di oggetto del fantasma dell’altro (materno) e che lo faccia esistere attraverso la rappresentazione del significante. Nel bambino psicotico il corpo è il campo in cui si manifestano i fenomeni psicotici, ma è anche il campo in cui opera ogni intervento destinato a staccare questo corpo dal godimento. E la pratica clinica mostra che più il significante opera, più il corpo del bambino psicotico diventa fragile, atto della malattia, permeabile al dolore.
Si annuncia così il terzo periodo di Lacan sul bambino e la psicosi: per essenza ogni formazione umana frena il godimento. Lacan chiamerà più tardi discorsi queste formazioni umane. Essi sono i quattro modi di relazione tra significante e oggetto. I tre impossibili di Freud[6] acquistano in Lacan lo statuto di legami sociali: il discorso è il dire di una pratica che rivela un che di reale, segnato quindi dal marchio dell’impossibile. Ora, se il bambino psicotico è nel linguaggio, come testimonia il suo stesso mutismo, non è però nel discorso. E cioè, sebbene il bambino psicotico abbia a che fare con il significante e con il godimento, come tutti quanti, non li articola tra di loro per fare legame sociale. E non solo nel legame sociale particolare che è il discorso dell’analista, ma anche il legame sociale comune, che Lacan chiama discours du Maître. Questo obbliga da un lato a rendere conto dell’operatività specifica di ogni discorso, soprattutto nel discorso dell’analista, e dall’altro a interrogarsi sulle condizioni di possibilità perché il bambino psicotico possa ‘dirsi’ soggetto ed elaborare un certo qual rapporto col godimento.
[1] J. Lacan, “Allocuzione sulle psicosi infantili”[1] (1967), in Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, pp. 357-366
[2] J. Lacan, in Altri scritti, cit., pp. 241-256.
[3] J. Lacan, in Scritti, Einaudi, Torino, 1978, pp. 145-187.
[4] S. Freud, “Progetto di una psicologia”, (F.O., 2, p. 231), “L’interpretazione dei sogni” (F.O., 3, p. 516) e “La negazione” (F.O., 10, p. 198). Purtroppo la traduzione italiana non mette in risalto la differenza tra i due termini di ‘cosa’ (Sache e Ding). Lacan sottolinea il rapporto tra Sache e Wort (parola) e tra Ding e Nebenmensch/Fremde (prossimo/straniero), preludio dell’Oggetto (cfr. J. Lacan, Il seminario, VII, III, IV e V, Einaudi, Torino.)
[5] J.-A. Miller, Extimité, corso (1985-1986) al Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII.
[6] Governare, educare, psicoanalizzare (vedi F.O., 11, p. 531) diventano le discours du Maître, le discours de l’Université, le discours de l’Analyste ai quali Lacan aggiunge le discours de l’Hystérique.