“Caro vecchio mio – scrive Félicien Rops all’amico François Teelemans nel 1878 – ti invio la Tentazione. Il soggetto si capisce facilmente: il buon sant’Antonio, assediato da visioni libidiche, si precipita sull’inginocchiatoio, ma in quel frangente, Satana – un buffo monaco rosso – si fa burle di lui: gli toglie il suo Cristo dalla croce e lo rimpiazza con una bella donna. […] Devi assolutamente togliere dalla testa della gente ogni idea di attacco alla religione o di eroticità. Una bella donna […] può essere ritratta senza alcuna idea di licenziosità. Il nudo non è erotico. Per quanto riguarda la religione, essa non viene affatto attaccata”.[1]
Edmond Picard comprerà l’opera e la terrà ben coperta nel suo appartamento dell’avenue de la Toison d’or a Bruxelles. Pochi potranno vederla. Con questo quadro l’artista, a suo dire, “aveva voluto dipingere un’epoca”. L’epoca è quella del diciannovesimo secolo, in cui “occorreva resistere alla colpa per mezzo della colpa stessa” e “vivere la propria coscienza nel male”: coscienza bifronte che nella crocifissione inchiodava, facendo cadere insieme – ‘cadere insieme’ è in greco l’etimologia del termine sintomo – ciò che doveva invece rimanere separato.
Era anche l’epoca di Freud, che aveva avuto modo di interessarsi a questo quadro, presentato in due sole occasioni, nel 1884 e nel 1887. Scrive Freud nel 1906 nel suo testo sulla Gradiva:  “Una nota acquaforte di Félicien Rops illustra, in modo assai più chiaro di quanto si possa fare con numerose spiegazioni, questo fatto così poco osservato e così degno invece di considerazione [ossia che “proprio ciò che è stato scelto come mezzo di rimozione diventa il portatore di ciò che ritorna; nel rimovente stesso e dietro ad esso si afferma alla fine vittorioso il rimosso”], e precisamente lo illustra per il tipico caso della rimozione nella vita dei santi e degli asceti”.[2]
In fondo, si tratta, ancora una volta, di una versione del complesso di edipo: dietro la figura dell’ideale che cade trafitto si profila il godimento interdetto che ritorna con insistenza. Forse Freud è spaventato della sua scoperta. Senza saperlo farà di tutto per rimettere in sesto il Cristo sulla croce. Per questo Lacan potrà dire che la visione di Freud è cristocentrica: come se il suo compito ultimo fosse stato quello di salvare il Padre. “Imitando Gesù Cristo. Modestamente, certo”.[3]
Finché il Cristo crocefisso rimane l’icona dell’ideale e la donna crocefissa quella della libido i margini di manovra sono ridotti. Per questo motivo la maggior parte dei seguaci di Freud si sono impegnati a restaurare il Padre. Da parte sua la Chiesa ha a lungo tuonato contro il pansessualismo freudiano, cieca anche lei sulle vere poste in gioco – ma non era compito suo vederci chiaro in questo settore.
Tutti questi fili saranno ripresi da Lacan. Dire che lo fa in modo palese sarebbe un eufemismo. La rotta è stata da lui solo indicata, ma la strada è tutta in salita. Il problema non si risolve con l’opposizione tra l’ideale e il godimento, poiché sono due facce della stessa medaglia.[4] Per questo Lacan potrà dire che  Dio e La donna sono lo stesso genere di droga. Ma da questo farmacon non si constata solo la ineluttabile necessità del male, come già aveva saputo fare sant’Agostino, ma Lacan ne ricava anche l’obbligo di superare quella logica che si attesta su una visione fallocentrica del godimento. Ecco perché egli può arrivare a dire: “E perché non interpretare un volto dell’Altro, il volto Dio, come quello che è sostenuto dal godimento femminile?”[5]
Qualche anno dopo, Lacan si spingerà a dire che “la grande necessità della specie umana è che ci sia un Altro dell’Altro. È quello che generalmente si chiama Dio. Ma che l’analisi svela essere semplicemente La donna”.[6]
Ora, come si risolve questa “necessità della specie umana” con il fatto che non c’è l’Altro dell’Altro, che Dio non esiste e La donna neppure?
Per quanto riguarda l’esperienza psicoanalitica Lacan indica quel filo rosso che permette all’analizzante di sintonizzarsi su ciò che gli è più personale, e che realizza il suo più intimo rapporto con il godimento: il sinthomo.
Ma così come la pone Lacan, la problematica è più vasta e va al di là dell’operazione analitica, poiché tocca ogni credenza e ogni pratica che si appoggia su un’ideologia o una teoria. Per questo motivo si tratta di una faccenda che concerne non solo la religione, e non unicamente quella cristiana, ma la società e addirittura la scienza. 



[1] Lettera ripresa da Sébastien Clerbois, “La tentation de Saint Antoine”, in AA. VV., Félicien Rops. Rops suis, aultre ne veulx estre, Complexe, Bruxelles, 1998, pp. 135-36.
[2] S. Freud, “Il delirio e i sogni nella Gradiva di Wilhelm Jensen, Opere, vol. 5, Boringhieri, Torino 1972, p. 286. Freud parla di acquaforte ma si tratta di una “détrempe en petit” che evoca l’effetto delle incisioni a colori.
[3] J. Lacan, Il seminario. Libro XX. Ancora, Einaudi, Torino 2011, p. 103.
[4] Cfr. J.-A. Miller, “I sei paradigmi del godimento”, in I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma 2001.
[5] J. Lacan, Il seminario. Libro XX. Ancora, cit., p. 72.
[6] J. Lacan, Il seminario. Libro XXIII. Il sinthomo, Astrolabio, Roma 2006, p. 124.

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