Annalisa Piergallini "Libro 1, a Melville per “Moby Dick”, (dettaglio) 2007

 
           
« Non[1] ci sono controindicazioni alla psicoanalisi », scrive nel suo testo « Les contre-indications au traitement psychanalytique »[2] Jacques-Alain Miller, il quale continua precisando che se non ci sono controindicazioni alla psicoanalisi, la cosa è da considerarsi almeno a priori, e che, in ultima analisi, non ci sono controindicazioni almeno per quanto riguarda l’incontro con uno psicoanalista. In tal modo Jacques-Alain Miller mette l’accento su una disgiunzione tra lo psicoanalista e la psicoanalisi. Forse la psicoanalisi potrebbe rivelarsi non utile a un soggetto ma, ad ogni modo, lo è sicuramente l’incontro con un « tipo inedito di soggetto »,[3] soggetto in cui si riassume lo psicoanalista freudiano, soggetto inventato da Freud, in quanto non è altro che un « oggetto-psicoanalista » e che, effettivamente, si è rivelato e si sta sempre più rivelando « straordinariamente versatile, disponibile, chiamiamolo pure multi-funzionale ».[4]
            L’accento messo da Jacques-Alain Miller mi sembra si ispiri all’assioma lacaniano in risposta a che cosa sia una psicoanalisi. « Una psicoanalisi, tipo o no, è la cura che ci si aspetta da uno psicoanalista ».[5]
Vorrei però prendere la questione a partire da un’altra angolatura : che cosa ci si potrebbe aspettare dalla psicoanalisi, considerata come un sapere articolato che concerne la struttura ? E’ ben probabile, se non sicuro, che anche in questa nuova ottica l’operatività della psicoanalisi è succedanea alla posizione soggettiva di un qualcuno che abbia saputo incarnarla. Non è forse in questo senso che Lacan poteva dire, nel Seminario Il rovescio della psicoanalisi che per fare un’etnografia degna di questo nome ci sarebbe voluto uno psicoanalista ? Oppure che per fare il politico sarebbe necessaria un’analisi ? « Non dovrebbe esserci il minimo dubbio – dice Lacan in un’intervista – che, se uno è Presidente del Consiglio, si è sicuramente fatto analizzare a un’età normale, cioè da giovane… ».[6]
Consideriamo la questione, dunque, sotto un’altra angolatura. Non quella in cui si deve collegare ogni operatività della psicoanalisi alla formazione degli psicoanalisti e che potrebbe essere formulato in questi termini : che ce ne sia almeno uno capace di testimoniare di un’analisi pura da cui prenderà avvio ogni forma di psicoanalisi applicata, foss’anche a livello, ancora inedito, del sociale o a livello del politico, come è auspicato dallo stesso Lacan.
L’angolatura che vorrei prendere si dice dunque in questi termini : che cosa possiamo aspettarci dalla psicoanalisi ?
La questione qui mi sembra debba essere considerata a due livelli : c’è il livello in cui la psicoanalisi è un sinomino del sapere sulla struttura. E’ un livello ampio e articolato che quasi coincide con una Weltanschauung se non fosse per il fatto che una Weltanschauung è una lettura a priori del funzionamento e dell’organizzazione umana e per questo non meno esente, più di altre letture, da tracce di delirio. Ciò che la psicoanalisi ci dice del funzionamento e dell’organizzazione umana – che è il funzionamento e l’organizzazione del linguaggio – non è un dato a priori ma è un dato a posteriori e si basa, nell’après-coup, sulla validazione, sempre eventualmente da riverificare, dei dati della clinica. A questo livello la psicoanalisi è coestensiva del campo del linguaggio e la sua operatività si estende quindi, almeno teoricamente, fino ai confini stessi del campo del linguaggio.
C’è poi un altro livello che riguarda l’operatività della psicoanalisi sul versante dei soggetti. Sebbene tutti i soggetti siano implicati nel campo del linguaggio e quindi della psicoanalisi, non tutti i soggetti risultano essere ugualmente recettivi all’esperienza analitica. E’ un dato di fatto.
E’ a questo livello che sono stati applicati generalmente i termini di indicazioni-controindicazioni. Ed è qui che generalmente la letteratura analitica si sofferma per indicare, propriamente o impropriamente, i limiti dell’efficacia analitica. Senza nemmeno ricorrere alla psicopatologia, risulta evidente che non si tratta della stessa esperienza analitica – così come Freud l’ha evidenziata e così come Lacan l’ha inquadrata in matemi – quando si ha a che fare, per esempio, con adulti o con bambini.
E’ a questo punto che la distinzione lacaniana, rimessa in voga da Jacques-Alain Miller, tra « psicoanalisi pura » e « psicoanalisi applicata » puntalizza la problematica, aprendo contemporaneamente a nuove prospettive.
In modo conciso si potrebbe dire che, sul versante del soggetto che si accosta all’esperienza analitica, ci siano delle indicazioni precise affinché abbia luogo una « psicoanalisi pura ». Indicazioni che riprenderemo in altra sede. Per contro, piuttosto che parlare di controindicazioni si potrebbe parlare di condizioni insufficienti affinché ci sia una psicoanalisi pura. Condizioni insufficienti che a volte sono soggettive e altre volte strutturali, ma dovrebbero essere prese in considerazione anche quelle sociali e politiche.
Per quanto riguarda la « psicoanalisi applicata », in modo ancora più netto, non si vede, a priori, quali controindicazioni potrebbero essere invocate per limitarne il campo. Anche qui però dovranno essere considerate le condizioni specifiche, e si dovrà operare a partire da tali condizioni.
A questo livello sarà la posizione del soggetto a fare da metro affinché ci si adegui a modalità di intervento tali che l’applicazione della psicoanalisi sia, sebbene in campi limitati e in tempi precisi, operante.
Prenderò come esempio, ancora una volta, ciò che Jacques-Alain Miller ha chiamato la pratique-à-plusieurs. Tale pratica risponde a precise posizioni soggettive e non meramente istituzionali – nel caso specifico si tratta del bambino autistico. Per questo, in altre posizioni soggettive, sarà da inventare o reinventare una pratica diversa – come la pratique-en-équipe, per esempio – , una pratica che sappia rispondere differentemente, senza ricorrere aprioristicamente a schemi o standard, alle esigenze che la struttura richiede in altre situazioni soggettive.
 

[1] Testo di Antonio Di Ciaccia, del 2003.
[2] J.-A. Miller, « Les contre-indications au traitement psychannalytique », in Mental, n. 5, juillet 1998, p. 16.
[3] Ibidem, p. 13.
[4] Ibidem, p. 14.
[5] J. Lacan, « Varianti della cura-tipo », in Scritti (1966), Einaudi, Torino, 1974, p. 323.
[6] J. Lacan, « Intervista », La Psicoanalisi, n. 10, 1991, p. 22.

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