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Il principio platonico-aristotelico di “non contraddizione” come fondamento dell’ordinamento giuridico

29 Mag 23

Di FRANCESCO BOLLORINO
TORNA ALL’INDICEL’elaborazione sul piano teorico della struttura del reato e la sua rappresentazione attraverso i singoli elementi costitutivi rappresentano un presupposto fondamentale dello studio delle norme di parte generale del diritto penale ed inoltre forniscono le coordinate necessarie per l’analisi di singole forme di manifestazione delle

species facti di reato. D’altronde il giudice penale per addivenire alla sua res iudicata deve dar seguito all’operazione di sussunzione (nota ad ogni giurista) del fatto concreto, oggetto del giudizio, nella fattispecie penale astratta, imputata al reo1. Terminata la raccolta del materiale istruttorio e l’attività di accertamento, è necessario, ai fini della decisione, verificare se il fatto storico-materiale posto in essere corrisponda effettivamente alla fattispecie raffigurata dal legislatore, in ossequio ai principi di legalità, tassatività, precisione, chiarezza e determinatezza. Dunque quanto appena introdotto impone di destrutturare la norma incriminatrice nei singoli elementi costitutivi affinché sia verificata la loro sussistenza nella realtà empirica2. Questo procedimento, che può risultare in un primo momento astratto e speculativo, è fondamentale per accertare il reato e si snoda attraverso un iter logico che comporta, in primis, l’accertamento di una condotta che abbia rilevanza penale3; tuttavia, è possibile che la condotta del soggetto non dia la prova che l’imputato sia stato l’autore dell’illecito o persino che venga dimostrato che altro soggetto l’ha compiuta4. Quando invece risulti accertato il dato oggettivo, riconducibile all’imputato, e la sua corrispondenza al dato normativo, il giudice penale deve proseguire in ordine agli accertamenti relativi al carattere illecito della condotta: la cosiddetta “antigiuridicità”, verificando che non risulti autorizzata da una norma giuridica o dalla persona offesa, consentita dall’ordinamento o imposta dalla legge; qualora il giudice dovesse riscontrare la presenza di una di suddette ipotesi, che integrano le c.d. scriminanti o cause di giustificazione, non potrebbe pronunciare una sentenza di condanna e sarebbe tenuto ad assolvere l’imputato “perché il fatto non costituisce reato”5; nel mentre lo iudex deve verificare la rimproverabilità del reo, capace quindi di intendere e di volere, imputabile, il quale allora dovrà aver commesso il fatto previsto come reato con dolo – intenzionalmente – ovvero, nei casi previsti dalla legge, con colpa o preterintenzione; se dovesse mancare il requisito dell’imputabilità e cioè il reo non sarebbe in grado di comprendere il significato e di valutare le conseguenze del proprio agire ovvero di autodeterminarsi in modo consapevole nella commissione dell’illecito, il giudice lo assolverà con la seguente formula: “ Perché il fatto è stato commesso da persona non imputabile”6. Vi è poi il caso in cui si ricorra alla formula “perché il fatto non costituisce reato” per difetto dell’elemento soggettivo (medesima per il fatto scriminato o non colpevole), oppure “perché l’imputato non è punibile”, ex art. 131 bis c.p., ed infine “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” nell’ipotesi di abolitio criminis o di depenalizzazione7. Successivamente e alla luce di questo breve excursus sull’ operato procedurale del giudice, è necessario introdurre una delle teorie dottrinali elaborate e condivise sulla struttura del reato e nelle sue ripartizioni interne: la teoria tripartita, la quale riconosce le tre fondamentali componenti del reato nella tipicità, antigiuridicità e colpevolezza8. La tipicità, come meglio si illustrerà in seguito, attiene all’elemento oggettivo del reato ed in modo particolare agli elementi che costituiscono le condotta del reo. Tra questi vi è il nesso causale, il quale nei reati cc.dd. di evento consente di imputare oggettivamente l’evento lesivo alla condotta del reo. L’antigiuridicità attiene invece alla qualificazione giuridica del fatto tipico posto in essere dal reo e permette di stabilirne la rilevanza penale9. Il carattere illecito del fatto, infatti, dipende dalla contrarietà all’ordinamento complessivamente inteso (concezione sistemica), dato che si esclude che la legge possa imporre o consentire il comportamento incriminato (per il principio di non contraddizione). Infine la colpevolezza è costituita dagli elementi soggettivi del reato, in modo che si possa muovere un rimprovero al reo per il suo comportamento penalmente rilevante10. È una categoria complessa dato che vi afferiscono elementi soggettivi della responsabilità penale, primo fra tutti l’imputabilità del reo, la sua capacità di intendere e di volere. Dei cenni introduttivi ed esplicativi della “Teoria del reato” sono prodromici alla comprensione del diritto penale e della seguente trattazione: essa, la teoria, presenta diverse varianti a seconda dei diversi tipi di sistemi penali e da questi dipende la scelta tra le possibili soluzioni interpretative11. La storia del diritto penale si caratterizza, per alcuni aspetti, per la contrapposizione dialettica tra un diritto penale oggettivo ed un diritto penale soggettivo, con le sue combinazioni intermedie di un diritto penale misto, oggettivo-soggettivo12. Un diritto penale oggettivo puro funziona essenzialmente come un sistema di norme-valutazione, poste a tutela di determinati beni. Si incentra sull’obiettiva lesione di tali beni con le seguenti implicazioni: 1) porre al centro “condotta”, l’ “evento”, legati tra loro dal nesso di causalità, esistente ogni qual volta l’agente abbia posto in essere una condicio sine qua non del fatto stesso cagionato; 2) attribuire il reato al soggetto sulla mera base del nesso di causalità tra condotta ed evento, senza distinzione tra soggetti imputabili e non, tra dolo, colpa e responsabilità oggettiva; 3) determinare la gravità del reato e della sanzione esclusivamente in base alla effettiva lesione del bene protetto, a prescindere dalla valutazione del grado della colpevolezza o della personalità del soggetto; 4) non conoscere gli istituti del tentativo, del reato continuato e della compartecipazione psichica nel reato, dandosi rilievo al solo concorso materiale nell’esecuzione; 5) riconoscere l’analogia, essendo la tassatività coessenziale alla norma come comando e non come mera valutazione della lesione di certi beni giuridici; 6) classificare i reati secondo l’importanza del bene leso13. Tutto questo comporta la centralità dell’offensività del reato. Tutt’altro attiene al diritto penale soggettivo puro, che a sua volta richiede delle differenziazioni. Il diritto penale soggettivo repressivo(o della volontà) funziona essenzialmente come un sistema di norme-comando, cioè si incentra sulla volontà, con i seguenti corollari: 1) si pone al centro la colpevolezza e non la lesione, che è sintomo della volontà criminosa, rilevando il bene giuridico come obiettivo di tutela; 2) si distingue tra soggetti capaci ed incapaci di ubbidire al comando, tra coloro che non vogliono ubbidire e coloro che disubbidiscono per negligenza, derivando le categorie giuridiche degli imputabili e non, del dolo, colpa, errore, aberratio; 3) si riconoscono gli istituti del tentativo, della compartecipazione morale, del reato continuato e delle circostanze soggettive; 4) si concede ampio spazio al carattere “punitivo” della sanzione; 5) si fa divieto al ricorso all’analogia e si creano i limiti connaturali, logicamente, alla norma intesa come comando (stato di necessità, scriminanti putative, ecc.)14. Il risultato di ciò è dato dal rilievo concesso alla colpevolezza. Segue un diritto penale soggettivo preventivo (o della pericolosità), che funziona essenzialmente come un sistema di norme-garanzia contro i soggetti pericolosi e, dunque, si incentra sulla pericolosità del soggetto, con le seguenti conseguenze: 1) la sanzione viene irrogata in funzione del pericolo che il soggetto rappresenta per l’ordine sociale; 2) si attribuisce alle sanzioni (misure di sicurezza) soltanto lo scopo di rendere innocuo il soggetto o di riadattarlo, se possibile, alla vita sociale; 3) si adeguano, conseguentemente, tali misure alla personalità del delinquente, cosicché la legislazione sia orientata verso “una tipologia di delinquenti”; 4) l’attribuzione ai fatti lesivi, alle circostanze, al tentativo, alla compartecipazione, il semplice valore di “sintomi” rilevatori di tendenze interne al soggetto; 5) l’ammissione dell’analogia e la considerazione delle sole scriminanti che si fondano sull’assenza della pericolosità15. Viene naturale concludere che il prodotto di ciò è la prevalenza della capacità a delinquere. Tuttavia questi due sistemi appena sviluppati nei loro tratti caratteristici sono ideali, mentre nella realtà storica si riscontrano sistemi penali misti, in cui le istanze soggettivistiche ed oggettivistiche si combinano e contemperano, funzionando la norma come tutela dei beni, come comando della volontà, come garanzia contro i soggetti pericolosi16. Per il reato, e per ogni accadimento, due sono i modi fondamentali di comprensione: o si considera il reato razionalmente-analiticamente (il reato “va capito”) o emotivamente-unitariamente (il reato va “sentito”). Dunque, nella storia del diritto penale si sono sviluppate: 1) la c.d. concezione analitica del reato, per la quale il reato va scomposto e studiato nei suoi elementi costitutivi. Questo tipo di studio rappresenta un’esigenza connaturale alla nozione formale del reato e al sottostante principio garantista del nullum crimen sine lege e della certezza giuridica. Solo individuando ed interpretando i singoli elementi costitutivi della fattispecie legale è possibile stabilire con sicurezza ciò che è effettivamente vietato dalla legge e se il fatto commesso concretamente sia conforme ad essa e quindi punibile17. 2) La concezione unitaria del reato, per la quale il reato è un insieme inscindibile che può presentare “aspetti”, ma che non si lascia dividere in singoli “elementi”18. Essa fu un “punto di passaggio” del processo di soggettivizzazione del diritto penale tedesco, che ebbe come “punto di partenza” la critica alla concezione classica del reato, per poi arrivare al progressivo rifiuto della analisi razionale dell’illecito penale e l’accoglimento di una concezione unitaria del reato, ed infine la concezione di tipo normativo d’autore19. Si parte infatti dalla concezione classica, fondata sulla tripartizione del reato in Tatbestandsmäßigkeit (conformità al fatto tipico), Rechtswidrigkeit (antigiuridicità) e Schuld (colpevolezza) ed espressione garantista dello Stato liberale di diritto20. Poiché ogni considerazione unitaria del reato sospinge nel campo delle intuizioni e delle apprensioni irrazionali, il metodo analitico resta lo strumento irrinunciabile nello studio del reato21. Antolisei, sul punto in questione, sottolinea che il reato non può essere studiato solo sinteticamente , e cioè nella sua unità e nelle note comuni, ma occorre individuare ed esaminare gli elementi che lo compongono. Infatti la dottrina adottò un approccio metodologico analitico , la cui esasperazione ha portato ad astrazioni tali da spezzare la fattispecie criminosa in diverse entità indipendenti, come quid dotati di vita autonoma22. Una concezione meccanica ed atomistica che non coglie l’organicità e l’unitarietà essenziale di un oggetto (il reato) non frazionabile: una unità inscindibile ed organicamente omogenea. Tutto ciò è dimostrato da un evidenza: le note essenziali del reato sono collegate tra loro in modo indissolubile, che nessuna di esse può essere compresa, se non considerata in rapporto alle altre23. Nello studio analitico del reato bisogna distinguere gli elementi essenziali dagli elementi accidentali. Sono essenziali quegli elementi che costituiscono l’essenza del reato, senza i quali esso non può esistere24. Detti anche “elementi costitutivi”. Gli “accidentalia delicti”, sono quegli elementi la cui presenza o assenza non influisce sulla esistenza del reato, ma sulla gravità e più in generale sull’entità della pena: sono le cc.dd. “circostanze del reato”. Questi ultimi a loro volta si distinguono in generali e speciali, a seconda che caratterizzino tutti gli illeciti o specifiche figure di reato25. Alla luce di quanto introdotto, la concezione analitica del reato ha dato luogo a due teorie fondamentali: la “tripartita”, per cui il reato è un “fatto umano, antigiuridico e colpevole” e la “bipartita”, per cui il reato è un “fatto umano commesso con volontà colpevole”. Per la prima26, sorta in Germania e seguita anche in Italia e che ha favorito gli eccessi analitici menzionati, il reato si compone di tre elementi che rappresentano i tre grandi capitoli della teoria generale del reato: 1) il fatto tipico (Tatbestand), inteso come fatto materiale restrittivamente, comprensivo dei soli requisiti oggettivi (condotta, evento, causalità) e non come fatto lato sensu, comprensivo degli elementi soggettivi ed oggettivi; 2) l’antigiuridicità obiettiva (Rechtswidrigkeit), con la quale si intende designare non l’antigiuridicità penale globale (che investe l’intero fatto in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi e quindi non può essere elemento del reato), ma soltanto la contrarietà del fatto materiale all’ordinamento giuridico e, quindi, l’esistenza di un momento di “torto obiettivo” nella fattispecie, indipendentemente dall’elemento psicologico; 3) la colpevolezza (Schuld), cioè la volontà riprovevole nel suo diverso atteggiarsi27. Sul piano sistematico, la concezione tripartita espresse soprattutto l’esigenza di introdurre, accanto al fatto materiale ed alla colpevolezza, un terzo elemento, l’antigiuridicità obiettiva, per poter così dare una adeguata sistemazione dogmatica al requisito negativo dell’assenza di cause di giustificazione. Infatti, è nello studio delle cause giustificatrici che ha preso vita e corpo il requisito dell’antigiuridicità28. Tuttavia a tale teoria fu contestato l’autonomia dell’antigiuridicità obiettiva, risolvendosi essa nel dato meramente negativo dall’assenza delle scriminanti; nonché di spezzare l’unitaria valutazione espressa dalla norma penale, nei due giudizi parziali e tronconi dell’antigiuridicità e riprovevolezza soggettiva29. Ed essa entrò in crisi con la scoperta degli elementi normativi del fatto (che contraddicevano la pretesa natura avalutativa del fatto tipico), degli elementi subiettivi dell’illecito (che, attenendo alla stessa realizzazione di certi fatti di reato, ne ponevano in dubbio la pretesa natura oggettiva), nonché degli elementi obiettivi della colpevolezza (che, previsti come elementi costitutivi della fattispecie, ma sintomatici di una certa colpevolezza, sembrano presentare questa come non riducibile alle sole circostanze psichiche)30. Secondo l’Antolisei, mentre la dottrina ravvisava nel reato due soli elementi generali, quello oggettivo e soggettivo (la forza fisica e la forza morale, secondo la terminologia del Carrara), successivamente da molti si ritenne in Italia che gli elementi essenziali del reato fossero tre: fatto, l’antigiuridicità, colpevolezza31. Per tale sistematica, tedesca, essendo il reato un fatto umano antigiuridico e colpevole, lo studio deve ripartirsi in tre indagini distinte. Tra il fatto e la colpevolezza, che in sostanza rappresentano l’elemento materiale e psicologico del reato, viene posta quale requisito distinto ed autonomo, l’antigiuridicità, la quale si desume da due note: l’una positiva (la conformità del fatto concreto al modello astratto di reato configurato dal legislatore) e l’altra negativa (la mancanza di cause di giustificazione)32. Anche se questa tripartizione, rappresentativa di un notevole sforzo per la sistemazione razionale degli elementi del reato, non può essere seguita per la degradazione dell’antigiuridicità, quest’ultima non è altro che un giudizio, in particolare di relazione. Quando si parla di antigiuridicità si emette un giudizio sul fatto: si riconosce, cioè, mediante una valutazione, che il fatto è in opposizione con un precetto del diritto33. Ma se così è, allora non è possibile affiancare l’antigiuridicità al fatto dell’uomo ed alla colpevolezza , in quanto cose che per la loro eterogeneità non sono suscettibili di essere coordinate34. Tanto il fatto quanto la colpevolezza, invero, sono fenomeni esistenti nel mondo naturale, mentre non è tale un giudizio di relazione. La conferma dell’esattezza di questo rilievo si ottiene scomponendo il fatto delittuoso nei suoi elementi strutturali35. In questa operazione noi troviamo un fatto umano ed un atteggiamento psichico del soggetto; non troviamo l’antigiuridicità perché essa non è un quid che si distingua dagli altri e due e possa isolarsi, quale entità a sé stante, dagli stessi, ma la loro risultante. La teoria in esame da un lato ha visto un sostanziale ritorno di alcuni suoi seguaci al bipartismo quando ha ridotto il concetto di antigiuridicità oggettiva all’assenza di cause di giustificazione; dall’altro è caduta in un eccessivo frammentarismo quando ha proposto la separata analisi di quattro categorie di reati: commissivi dolosi, commissivi colposi, omissivi dolosi ed omissivi colposi36. Quanto si è detto per la sistematica si riscontra anche in Marinucci e Dolcini che hanno ravvisato nel reato quattro elementi: il fatto, l’antigiuridicità, la colpevolezza, e la punibilità e37, in passato, dal Battaglini38, il quale sostenne che nel diritto positivo italiano la punibilità deve considerarsi elemento costitutivo del reato, giungendo così alla tripartizione. Le due teorie presentate prestano il fianco all’obiezione che la punibilità può essere concepita in due modi soltanto: come caratteristica generale del reato, oppure come applicabilità della pena, e cioè come possibilità giuridica di irrogare questa sanzione. In entrambi i casi non è logicamente consentito ravvisare nella punibilità un elemento che concorre all’esistenza del reato39. Al contrario la teoria bipartita del reato scinde l’illecito penale in due parti, distinguendo l’elemento oggettivo del reato dall’elemento soggettivo. Il primo comprende, come abbiamo già avuto modo di illustrare, la condotta del reo ed i presupposti del reato mentre il secondo attiene all’imputazione soggettiva del fatto al reo e alla sua imputabilità40. Più nel dettaglio, l’elemento oggettivo è costituito, secondo i sostenitori di questa concezione41, dalla condotta posta in essere dal reo, dall’evento cagionato – se previsto dalla norma incriminatrice – dal nesso eziologico che lega l’evento all’azione od omissione del reo, nonché dall’antigiuridicità del fatto commesso, in termini, ormai ben noti, di assenza di cause di giustificazione. L’elemento soggettivo, nella teoria che stiamo discutendo, comprende ogni profilo attinente alla sfera psicologica del reo, nei termini di capacità di intendere e di volere e di elemento soggettivo in senso stretto (dolo, colpa, preterintenzione o forme di responsabilità miste)42. Anche qui l’Antolisei afferma che in ogni reato si può rinvenire un fatto materiale, e per essere più precisi un comportamento esteriore dell’uomo, perché il diritto è norma dell’operare, è regola di condotta, destinata a disciplinare i rapporti della vita sociale. Per conseguire i suoi fini lo Stato proibisce determinate azioni e ne prescrive altre. Un fatto esterno dell’uomo quindi, è sempre indispensabile perché si abbia reato43. Ma nel reato vi è sempre un elemento di natura psichica: un atteggiamento della volontà che ha dato origine al fato materiale. Il diritto è un complesso di imperativi che si dirigono agli uomini come esseri forniti di coscienza e volontà. La norma penale, di conseguenza, non viene violata se il fatto esterno non è espressione del volere del soggetto. Senza la partecipazione della volontà il reato non può esistere44. La dicotomia prospettata ha un solido fondamento logico. Dato che l’uomo si compone di spirito e materia, in quel fatto umano che è il reato sono individuabili un elemento materiale o fisico ed un elemento morale o psichico. Questa distinzione si presentò alla mente dei criminalisti non appena si accinsero allo studio analitico del reato, e non poteva essere diversamente, dato il dualismo nella natura delle cose. La seguente bipartizione oltre ad avere una base logica risponde meglio alle esigenze della scienza del diritto, costruendo il fulcro del contenuto del reato attorno ai due poli, oggettivo e soggettivo (fatto materiale e volontà colpevole). Corrisponde anche alla necessità pratica della scienza giuridica, che si muove sempre su quel binario e mai ha sentito il bisogno di allontanarsene45. La teoria bipartita è stata elaborata nell’ordinamento tedesco e si caratterizza per la netta ripartizione della struttura del reato tra elemento oggettivo e soggettivo: nel primo, come ben sappiamo, è ricompresa l’antigiuridicità46. La natura negativa di questo presupposto, che consiste nell’assenza dell’elemento giustificativo, pone dei problemi sul piano dell’accertamento e del riparto dell’onere della prova. In forza, infatti, della presunzione di innocenza, prevista nel nostro ordinamento dall’art 27, comma secondo, Cost., spetta al Pubblico Ministero dimostrare la sussistenza del reato, ivi compresa l’assenza delle cause di giustificazione, secondo questa concezione47. Nella prova dell’elemento negativo, la relativa dimostrazione in giudizio assume carattere di probatio diabolica, dal momento che impone alla parte processuale onerata di prendere in considerazione ogni possibile causa di esclusione dell’antigiuridicità e dimostrane la mancanza. Ulteriori profili problematici attengono all’operatività in materia penale del principio di legalità e dei suoi corollari, i quali impongono una fonte strettamente legislativa – fanno eccezione i casi di integrazione tecnico-scientifica – delle norme penali e non ammettono una formulazione vaga degli elementi costitutivi del reato, né tantomeno il ricorso all’analogia48. D’altronde sono molteplici i casi in cui il legislatore consente di escludere l’antigiuridicità della condotta che integri gli estremi di un reato, facendo ricorso ad altre branche dell’ordinamento – ovvero a fonti di rango secondario o consuetudinario (se si condivide questo orientamento dottrinale). La stessa formulazione delle cause di giustificazione comuni, disciplinate agli artt. 50 ss. c.p. fa ricorso spesso a clausole generali, che non rispondono appieno alle esigenze della fattispecie penale49. Tali considerazioni hanno pertanto suggerito di espungere l’antigiuridicità dall’elemento oggettivo del reato e di assegnare a tale elemento autonoma rilevanza nella struttura del reato. Ciò ha condotto alla struttura tricotomica dell’illecito penale, che affianca, come abbiamo precedentemente affermato, all’elemento oggettivo del reato, la tipicità, e all’elemento soggettivo, detto colpevolezza, un terzo ed autonomo elemento, consistente nell’antigiuridicità del reato50. Dunque le cause di giustificazione assumono autonoma rilevanza nella struttura dell’illecito51. La collocazione autonoma dell’antigiuridicità consente di giustificare la rilevanza legislativa assegnata alle fonti extra-penali, anche di rango secondario o estese analogicamente. Si superano, inoltre, così i problemi relativi al riparto dell’onere probatorio: secondo l’impostazione tripartita graverà quest’ultimo sulla pubblica accusa, in misura esclusiva o totale, con riferimento all’elemento oggettivo o soggettivo del reato, laddove, con riferimento all’antigiuridicità, spetterà all’imputato allegare l’esistenza di una causa di giustificazione, senza provarla, e rimettendo al p.m. l’onere di dimostrarne l’inesistenza52. I sostenitori della teoria tripartita osservano che l’opposta teoria bipartita nasce in un ordinamento – tedesco – in cui non rileva espressamente l’errore del reo circa l’esistenza di una causa di giustificazione, con la necessità conseguente di attrarre l’antigiuridicità del fatto nell’elemento oggettivo del reato per consentire al reo di valersi della disposizione che, al contrario, riconosce rilevanza all’errore sul fatto, escludendo la responsabilità penale53. Nel nostro ordinamento, diversamente, le due ipotesi di errore trovano autonoma e distinta disciplina, ex artt. 47 e 59 c.p.; il primo infatti assegna efficacia scusante all’errore incolpevole sul fatto, laddove l’art. 59 c.p. consente al reo di beneficiare dell’effetto scriminante delle cause di giustificazione che questi abbia ritenuto sussistenti per un errore incolpevole54. Attenendoci al dettato della disposizione dell’art. 59, ultimo comma, c.p., è dunque possibile assegnare autonomamente rilevanza all’antigiuridicità, non essendo necessario riferire tale elemento costitutivo all’elemento oggettivo del reato perché l’errore incolpevole del reo possa escludere la punibilità. Inoltre, nell’accertamento della responsabilità penale il giudice è chiamato dapprima a verificare la sussistenza della tipicità del reato e solo in un momento successivo, che presuppone l’integrazione degli elementi costitutivi della condotta criminosa, procede a verificare se sussista o meno una causa di giustificazione55. Infine, anche il Codice di procedura penale, all’art. 530, disciplina in autonoma sede la sentenza di assoluzione per mancanza di antigiuridicità o di dubbio in merito alla sussistenza di una causa di antigiuridicità, prevedendo al terzo comma che “Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull’esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione”56. Diversamente l’insussistenza del fatto, inteso come elemento oggettivo del reato, è disciplinata ai commi primo e secondo dell’art. 530 c.p.p.; è necessario evidenziare che il secondo comma dell’articolo in questione prevede l’assoluzione quando “manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste”, laddove il terzo comma fa riferimento al mero dubbio circa l’esistenza della causa di giustificazione57. La diversa formulazione delle citate disposizioni processuali conferma dunque l’autonomia e la distinzione tra tipicità ed antigiuridicità, evidenziando il diverso regime processuale dell’accertamento del fatto rispetto all’esistenza di una causa di giustificazione: la pubblica accusa è infatti tenuta a provare, al di là di ogni ragionevole dubbio – ex art. 533 c.p.p. – la responsabilità penale del reo, compresa la tipicità del fatto commesso (cioè la sussistenza in concreto di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie penale astratta); diversamente, con riferimento alle cause di giustificazione, la prova richiesta al Pubblico Ministero è in negativo ed è volta a dimostrare l’inesistenza delle scriminanti che l’imputato adduca a propria difesa; in questo caso, dunque, solo la piena prova e non il solo superamento del ragionevole dubbio circa l’assenza di una causa scriminante potrà condurre ad una sentenza di condanna, dovendo altrimenti emettersi una sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p.58 La giurisprudenza, specie di legittimità, su tutt’altro versante, non ha preso una posizione decisiva in merito alla struttura del reato: nel 1995 la Corte di Cassazione si limitava a far cenno all’antigiuridicità, prospettando in via ipotetica l’autonomia dell’antigiuridicità “per chi accetta la teoria tripartita, che non ha avuto seguito in giurisprudenza” (Cass.16 novembre 1995, 11240), ma vent’anni più tardi ha riconosciuto tale impostazione come alternativa alla teoria bipartita, contrapponendo all’elemento oggettivo la nozione di fatto tipico “se si accede alla concezione tripartita” (Cass. 6 febbraio 2007, n. 4675)59. Altri recenti interventi sono seguiti con la sentenza del 21 luglio del 1978 n. 9991, della prima sezione, in cui si afferma che “le cause di giustificazione si configurano come elementi negativi di un reato perfetto in tutti i suoi aspetti (tipicità, antigiuridicità e colpevolezza)”, così aderendo alla teoria predetta; nel mentre la Corte aveva già manifestato l’adesione con la sentenza n. 2161, del 7 marzo del 1970, contrapponendo la “categoria delle cause di non punibilità in senso stretto, correlata a presupposti non riconducibili al reato, e cioè nella categoria di quelle cause che per particolari ragioni di politica criminale esimono il reo dalla responsabilità penale e dalla pena (cosiddette condizioni negative di punibilità)” a “ quelle elaborate sulla base degli elementi costitutivi del reato, delle cause di esclusione del fatto o della tipicità, di esclusione dell’antigiuridicità (cause di giustificazione), e di esclusione della colpevolezza (scusanti o scriminanti)”60.

1 F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag. 193; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 450.

2 F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag. 193; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 450.

3 Diversamente il giudice farebbe ricorso alla formula: “Perché il fatto non sussiste”. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.

4 La sentenza assolutoria del giudice in questo caso è: “Perché l’imputato non l’ha commesso”. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.

5 F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag. 193; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 450.

6 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.

7 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

8 G. Marinucci, “Fatto e scriminanti. Note dogmatiche e politico-criminali”, in Riv.it.dir.proc.pen, 1983, 1190 ss.; G. Vassalli, “Il fatto negli elementi del reato”, Milano, 1984, 529 ss.; M. Romano, “Commentario”, cit., 267 ss.

9 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

10 F. Caringella- A. Salerno, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 409 ss.; vedi anche G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte generale.”, Torino, 2014, pag 157 ss.

11 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.

12 Vedi F. Mantovani, op. cit., pag. 97; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

13 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

14 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

15 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

16 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

17Ad opera del pensiero giuridico liberale nel diciannovesimo secolo ebbe inizio l’analisi del reato nella sua funzione garantista, ma la dottrina, in nome di un concettualismo raffinato e di un esasperato formalismo, ha finito per pervertire il metodo analitico, frantumando il reato in una serie di elementi, posti sullo stesso piano e visti come entità tra loro indipendenti; per perdere di vista la concezione unitaria e dar luogo ad una concezione analitica, atomistica, frammentaria, che degrada il reato ad una somma di elementi disparati eterogenei. La Babele degli istituti e delle lingue”. Si veda anche F. Mantovani, op. cit., pag. 99; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

18 “Essa sorse come reazione agli eccessi del formalismo analitico e sotto la spinta di una concezione sostanzialistica del reato. E, prendendo poi le mosse dall’irrazionalismo filosofico e dalla conseguente sfiducia verso la conoscenza per concetti, detta concezione trovò la sua estrema espressione in quell’intuizionismo, che caratterizzò il pensiero giuridico nazionalsocialista e per il quale l’analisi per concetti sezionerebbe l’essenza del reato in frammenti privi di vita ed impedirebbe di cogliere il fenomeno criminoso nella sua concreta individualità. Sicché solo attraverso il procedimento intuitivo sarebbe possibile attingere l’essenza del reato, sentireil reato in ogni suo elemento ed in ogni elemento tutto il reato.”. F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 99; si veda anche G. Bettiol, “Sul metodo della considerazione unitaria del reato”, in Riv.it, 1938, 513. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

19 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

20 F. Mantovani, “Diritto penale”, 2019, Milano, 100 ss.; F. Carnelutti, “Teoria generale del reato”, Palermo 1933, pag. 72; F. Antolisei, “Lo studio analitico del reato”, in “Scritti di diritto penale”, Milano, 1955; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87. Si veda anche F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

21 Ciò sia per ragioni scientifico-sistematiche, in quanto è una legge del pensiero umano che la sintesi segua l’analisi e perché sull’intuizione, per il suo soggettivismo, incomunicabilità e incontrollabilità, non può fondarsi una vera scienza; sia per ragioni didattiche, perché l’unitarietà del reato, fondata sull’intuizione, in quanto incomunicabile non è suscettibile di insegnamento e di apprendimento; sia per motivi pratico-garantisti, essendo l’analisi la premessa necessaria per poi stabilire se il fatto concreto presenti o meno tutti gli elementi costitutivi della fattispecie legale, costituendo reato. Si veda F. Mantovani, “Diritto penale”, 2019, Milano, 100 ss. Si veda anche F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

22 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

23 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

24 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

25 “Chi, pertanto, nello studio analitico del reato non voglia smarrire la diritta via, non deve mai perdere di vista l’intima, profonda connessione che esiste tra i vari elementi che lo compongono; in altri termini, non deve mai dimenticare che il reato costituisce una entità essenzialmente unitaria ed organicamente omogenea. L’analisi quindi non deve essere fine a se stessa, ma va considerata soltanto come uno strumento per meglio perseguire l’indagine di questa unitaria entità”, F. Antolisei, “Manuale di diritto penale, parte generale”, Milano, 2003, pag. 210; sul punto rileva Petrocelli, “Riesame degli elementi del reato”, cit., p.9: “La considerazione analitica, come ogni operazione della mente, tende ad una sua finalità; e questa è appunto la considerazione, meglio ancora, la visione unitaria del reato, cioè la visione della sintesi e dell’unità attraverso l’analisi”. Si veda anche F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

26 Per la tripartizione: Delitala, Maggiore, Petrocelli, F.Alimena, Bettiol, Vassalli, Romano, Fiandaca-Musco, Padovani, Riz, Fiore, Palazzo, Romacci, Cadoppi-Veneziani, G.A De Francesco. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

27 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

28 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

29 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

30 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

31 Tra i seguaci si veda anche: G. Delitala, Il fatto, Padova, 1930, pag. 13 ss.; B. Petrocelli, “Principi, Napoli, 1964, pag. 237; G. Bettiol- L. Pettoello Mantovani, “Dir. Pen.”, Padova, 1986, pag. 248 ss.; T. Padovani, “Dir. Pen.”, Milano, 2019, pag. 124; R. Riz, “Lineamenti, Padova, 2012, p. 189; Santoro, Frosali, Bellavista. Il Grispigni è seguace della sistematica germanica; G. Vassalli, “Il fatto negli elementi del reato”,in Riv.it., 1984, pag. 529 ss. Vedi F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

32 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

33 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

34 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

35 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

36 Questa suddivisione è stata adottata in Italia da Fiandaca e Musco. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

37 G. Marinucci e E. Dolcini, “Corso”, Milano, 2001, pag. 467 ss. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

38 G. Battaglini, “Gli elementi del reato nel nuovo cod. pen.”, in Annali, 1934, 1089. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

39 Il Carnelutti ha sostenuto che il reato, al pari di ogni atto giuridico, risulta di due note soggettive: la capacità e la legittimazione e di tre requisiti oggettivi: la causa illecita, la volontà colpevole e la forma vietata. La causa sarebbe l’interesse attivo che spinge l’agente al reato: interesse da valutarsi in maniera oggettiva, è perciò da non confondersi con lo scopo. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

40 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

41 Per la bipartizione: Carrara, Manzini, Florian, Paoli, Rocco, Santoro, Ranieri, Antolisei, Pisapia, Nuvolone, Gallo M., Pagliaro, Bricola, Grosso, Marini, Fiorella, Caraccioli, Ronco, Giunta. Vedi F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

42 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

43 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

44 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

45 F. Antolisei, op. cit., pag. 215; F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

46 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

47 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

48 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

49 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

50 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

51 G. Fiandaca- E. Musco, “ Diritto penale. Parte Generale”, Bologna, 2018, 267; F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, 233; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale”, Milano, 2018, 196; Padovani, “Diritto penale”, Milano, 2019; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87.

52 F. Mantovani, op. cit., pag. 100. ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

53 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

54 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

55 F. Mantovani, op. cit., pag. 120; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

56 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

57 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

58 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

59 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., pag. 450.

60 F. Caringella- A. Salerno, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 513 ss.; G. Conso- V. Grevi-M. Bargis, “Compendio di procedura penale”, Padova, 2018, 739 ss.; Antolisei, “Manuale di diritto penale”, Milano, 2018, 196; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, pag. 87 ss.

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