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Il carattere personale del consenso
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In linea di principio, stante la necessità del requisito della “personalità” del consenso informato non è valido il consenso espresso dai congiunti del malato, ad esempio, maggiorenne e capace di intendere e di volere1. Tuttavia, l’intervento dei parenti del paziente sembra essere opportuno nei casi in cui il malato, pur maggiorenne e capace di intendere e di volere, possa avere difficoltà nel decidere consapevolmente sul rapporto tra rischi e benefici di un trattamento sanitario, anche solo per l’età avanzata o per particolare emotività di carattere2. In tali situazioni, l’intervento dei parenti non può sostituire la manifestazione di volontà del malato, essendo quest’ultimo capace di intendere e di volere. Quindi il medico agisce correttamente se acquisisce il consenso informato direttamente dall’interessato, senza coinvolgere i parenti. Per adempiere, però, in modo pienamente diligente all’acquisizione del consenso, è opportuno che egli coinvolga nel suo rapporto con il paziente, previo consenso di quest’ultimo, una persona di fiducia, anche estranea alla cerchia di parenti, che lo aiuti ad entrare in comunicazione con il malato, affinché questi possa raggiungere una decisione effettivamente consapevole3.
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L’effettività del consenso informato
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La dottrina discute sul controverso problema se il consenso presunto sia sufficiente ad esentare il medico da censure di responsabilità professionale o se, invece, sia necessario acquisire dal malato un consenso esplicito, reale e certo4. Per “consenso presunto” si intende la presunzione che il paziente, se avesse potuto esprimere la propria volontà, avrebbe sicuramente deciso di sottoporsi all’intervento medicalmente necessario5. Il riferimento è ai casi in cui il paziente non è in grado di dare il proprio consenso nel momento in cui si presenta la necessità di eseguire un intervento medico, in mancanza di tutti i presupposti richiesti dall’art. 54 c.p.6 Evidente è infatti che, se tale intervento fosse giustificato dallo stato di necessità, il problema della rilevanza del consenso presunto non sussisterebbe7. La presunzione può essere riservata ai parenti o ad altre persone scelte dal malato stesso – i quali conoscendolo bene sono i soggetti più idonei ad interpretare la sua volontà – oppure può essere compiuta dal medico. Egli, però, non avendo di solito un pregresso rapporto di amicizia con il paziente, può basare la propria decisione solo sull’effettiva idoneità dell’intervento ad arrecare un beneficio alla sua salute e su quanto gli riferiscono i parenti circa la presumibile volontà del malato8. Se, tuttavia, il compito di presumere cosa avrebbe deciso il malato, qualora fosse stato capace di prestare il consenso, è affidato al medico, allora l’istituto diventa pericoloso: per il paziente, il quale rimarrebbe in balia della discrezionalità del sanitario, e per il medico, che, in caso di querele o citazioni, sarebbe rimesso alla valutazione soggettiva del giudice circa la presumibile volontà del malato9. Anche la dottrina sostiene la rilevanza giuridica del consenso presunto, considerandolo “uno strumento da usare con la dovuta parsimonia”, ed in particolare “da ancorare ad elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” e sempre “nell’interesse esclusivo del paziente”10. Tuttavia, secondo questa tesi è lecito l’ulteriore intervento rispetto a quello programmato, eseguito senza il consenso informato del paziente perché anestetizzato, se si può ricostruire la presumibile volontà del malato attraverso le dichiarazioni di persone dallo stesso scelte ed indicate nominativamente nella cartella clinica. Questo vale nell’ipotesi in cui il paziente non abbia accettato il diverso intervento11. Tale impostazione appare poco rispondente agli effettivi interessi del malato ed alla realtà della situazione clinica ed operativa che si verifica nella fattispecie di cui si discute. Infatti, se si attribuisse rilevanza giuridica al consenso presunto, il medico, oltre a dover valutare la decisione migliore per la salute del paziente, dovrebbe preoccuparsi di contattare le persone indicate dal malato ed attendere le loro decisioni in merito a ciò che il loro caro avrebbe scelto se non fosse stato sotto anestesia12. Ne seguirebbe, come conseguenza, la perdita di tempo prezioso o si costringerebbe, così, il medico, per timore di farsi carico di gravi responsabilità, ad astenersi dall’intervenire, con danni irreparabili alla salute e alla vita stessa del paziente. Inoltre, il consenso presunto, categoria non rispondente ad alcuna disposizione normativa, appare difficilmente adattabile ai trattamenti sanitari13. Parte della dottrina, infatti, rileva che, al pari del consenso esplicito, anche quello presunto è inapplicabile agli interventi chirurgici in ragione del limite di cui all’art. 5 c.c.14 In secondo luogo, per essere giuridicamente rilevante, il consenso presunto deve presentare caratteristiche obiettive, tra cui la “presenza di tutti i presupposti richiesti (…) per un consenso valido ed operante”15. Ciò significa che il consenso presunto deve essere effettivo, libero ed attuale, deve avere ad oggetto un diritto disponibile e provenire dalla persona che ne è titolare, la quale deve anche avere la capacità d’agire16. In campo sanitario, tuttavia, la libertà di fare una scelta autentica, non viziata da errore, dolo o violenza, vuole una specificazione. Infatti, nei trattamenti sanitari sulla persona, l’effettiva libertà del consenso presuppone che il paziente riceva le informazioni necessarie a consentirgli di prendere una decisione consapevole. Dunque, poiché il consenso non informato non è valido, ne consegue l’irrilevanza giuridica del consenso presunto, proprio perché non informato in quanto il paziente non può ricevere le informazioni17. Ove, invece, si ritenga che, in questi casi, la mancanza di informazione al paziente sia surrogata dall’informazione data ai parenti, chiamati dal medico a presumerne la volontà, l’irrilevanza del consenso presunto sembra derivare dalla mancanza di potere rappresentativo in capo ai familiari stessi18. La rilevanza, quindi, del consenso presunto appare da circoscrivere ad ambiti diversi da quello sanitario, come emerge dalla casistica teorizzata in dottrina19. Quando il consenso ha ad oggetto prestazioni sanitarie che comportano conseguenze permanenti per la salute del soggetto su cui sono eseguite, è difficile concretamente che i parenti possano essere certi che egli accetterebbe di sottoporsi ad un intervento che, in caso di esito fausto, cura la patologia in atto , ma determina una menomazione permanente20. Nell’ipotesi di esito infausto, invece, riduce il periodo di sopravvivenza del malato rispetto a quanto avverrebbe se si lasciasse la malattia fare il proprio corso21. Differente è la questione del consenso non in forma orale, ma per facta concludentia, ossia mediante un qualsiasi comportamento incompatibile con la volontà di rifiutare il trattamento, come la spontaneo accondiscendenza verso l’intervento prescelto dal medico. Mancando un divieto normativo, secondo parte della giurisprudenza, valido è questo tipo di consenso, sostanzialmente implicito22.
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La revocabilità
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Il consenso informato può essere revocato dal paziente in qualsiasi momento, fino all’inizio dell’intervento. Tale principio non è mai stato contestato, considerando che se si escludesse la possibilità di revocare il consenso si imporrebbe un trattamento sanitario come obbligatorio, al di fuori dei necessari presupposti ex art. 32, comma 2, Cost. e si entrerebbe in contraddizione con la ratio e con la natura del consenso informato23. Infatti, poiché il paziente ha il diritto di scegliere consapevolmente se e a quale trattamento medico sottoporsi, sarebbe incoerente ed illogico impedirgli di revocare il consenso dato. Tuttavia, se la validità del consenso presuppone l’informazione del paziente, così la revoca, per essere valida e vincolante per il medico, deve esser consapevole ed informata24. Dunque, sembra rientrare nei canoni di diligenza e di prudenza portare a conoscenza del paziente il rapporto tra i costi ed i benefici non solo del trattamento e delle sue alternative diagnostico-terapeutiche, ma anche della mancanza di terapia25. Il medico deve insistere nel ricordare al paziente le conseguenze della sua decisione perché medio tempore il malato potrebbe divenire meno lucido rispetto al momento in cui aveva manifestato il consenso26. Se, invece, il consenso del paziente si è formato solo in relazione al rapporto tra costi e benefici del trattamento propostogli e delle alternative terapeutiche, senza alcun accenno alle conseguenze cui andrebbe incontro in mancanza di ogni terapia, la successiva revoca del consenso darebbe al medico l’occasione di integrare tali informazioni precedentemente omesse27. In caso contrario, oltre all’invalidità della revoca, sembra essere non valido neanche l’originario consenso parzialmente informato, perché, essendo funzionale a realizzare “il diritto del paziente a privilegiare il proprio stato attuale”28, la sua validità non può prescindere dalla completa informazione anche sui pericoli e sulle conseguenze della scelta di non sottoporsi ad alcun trattamento diagnostico o terapeutico.
1 G. M. Vergallo, op. cit., 152 ss.
2 G. M. Vergallo, op. cit., 152 ss.
3 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.
4 V. Zambrano, “Interesse del paziente e responsabilità medica”, in P. Stazione, S. Sica, “Professioni e responsabilità civile”, Bologna, 2006, 1041 ss. R. De Matteis, “La malpractice medica”, in Cendon P., A. Baldassarri, “Il danno alla persona”, Bologna, 2006, 1332. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.
5 In realtà, nella dottrina penalistica, che ha trattato questo tema in prospettiva generale, e non circoscritta al trattamento medico, quest’aspetto è controverso. Secondo un autorevole orientamento, infatti, poiché tutte le cause di giustificazione previste dall’ordinamento hanno contenuto oggettivo, non è necessaria la convinzione dell’agente circa il fatto che l’avente diritto avrebbe consentito qualora avesse potuto manifestare la propria volontà. Anzi, affinché abbia efficacia giustificante, sono necessarie la presenza di tutti i presupposti oggettivi necessari per la validità del consenso presunto, al pari di quello reale, e la contrapposizione tra due o più beni giuridici dell’avente diritto, di cui quello prevalente viene protetto, mentre quello di minor valore viene leso. Si veda R. Riz, “Il consenso dell’avente diritto”, Padova, 1979, 199 ss. Tuttavia, poiché nel trattamento medico gli interessi del paziente rivestono particolare importanza, giungendo persino ad esorbitare dal limite di cui all’art. 5 c.c., e le conseguenze possono essere permanenti, come tipicamente avviene negli interventi chirurgici, la rilevanza giuridica del consenso presunto non può prescindere dall’accertamento che il paziente avrebbe sicuramente acconsentito qualora avesse avuto la possibilità di esprimersi. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.
6 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.
7 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.
8 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.
9 A. Fiori, “Medicina legale della responsabilità medica”, Milano, 1999; A. Manna, “Considerazioni in tema di consenso presunto”, in Giust. pen., 1984, 168. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss
10 M. Bilancetti, “La responsabilità penale e civile del medico”, op. cit., 317 ss; Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.,
11 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss
12 Peraltro, oltre a non essere chiaro fino a quale grado di parentela sia necessario coinvolgere i familiari, appare evidente che se si richiede, ai fini della validità del consenso presunto, l’unanimità dei consensi dei parenti interpellati, ne risulta ampiamente ridotta la rilevanza applicativa dell’istituto. Del resto, se si ammette la possibilità di considerare valido il consenso espresso a maggioranza, si perde l’utilità di questa procedura in termini di tutela della libertà di autodeterminazione, perché, essendoci una parte di parenti dissenziente, rimane il dubbio che il paziente avrebbe espresso una volontà diversa da quella della maggioranza. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss
13 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss
14 A. Manna, “Trattamento sanitario “arbitrario”: lesioni personali e/o omicidio, oppure violenza privata?”, in Ind. Pen., 2004, 453. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.
15 R. Riz, “Il consenso dell’avente diritto”, op. cit., 203; M. Bilancetti, “La responsabilità penale e civile del medico”, op. cit., 317, secondo i quali, altri e due requisiti del consenso presunto sono la mancanza di una manifestazione effettiva di volontà e la concreta situazione di contrasto tra due o più beni dell’avente diritto, il quale porta l’agente a sacrificare il bene di minor valore per salvaguardare quello prevalente. Il Bilancetti introduce anche la mancanza del dissenso da parte del paziente. G. M. Vergallo, op. cit., 169 ss.
16 F. Mantovani, “Diritto penale. Parte generale.”, op. cit., 262 ss. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 169.
17 G. M. Vergallo, op. cit., 169 ss.
18 M. Bilancetti, “La responsabilità penale e civile del medico” op. cit., pag. 299. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 169.
19 R. Riz, “Il consenso dell’avente diritto”, op. cit. 209; G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 1995, 229. Si veda M. Vergallo, op. cit., 169 ss
20 G. M. Vergallo, op. cit., 169 ss
21 Cass. pen., n. 5639/1992. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 169 ss
22 G. M. Vergallo, op. cit., 169 ss.
23 G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.
24 G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.
25 G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.
26 G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.
27 G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.
28 Cass. pen., n. 5639/1992. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.
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