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Il consenso informato nell’amministrazione di sostegno
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La capacità cognitiva e, quindi, decisionale varia nelle diverse fasi della vita e, “anche se presuntivamente valida sul piano legale, è tuttavia da valutare sul piano dell’etica con problemi di non perfetta coincidenza tra le due diverse sfere di valutazione”1 perché è soggetta al deterioramento cerebrale ed all’involuzione delle funzioni psichiche da qualsiasi causa provocata2. Con l’entrata in vigore della legge n. 6/2004, la quale, dopo un percorso che, more solito, si è rivelato lungo3, ha introdotto l’istituto dell’amministrazione di sostegno, segnando un significativo punto di svolta nel trattamento legale riservato al disabile psichico. Tale legge, infatti, esprime il principio per cui il “sostegno” non si limita alla sfera economico-patrimoniale, ma tiene conto dei bisogni e delle aspirazioni dell’essere umano4. Ne consegue che, quando l’interessato non è in grado di manifestare un consenso o un dissenso, fondato su una valutazione critica della situazione patologica e delle conseguenze che gliene deriverebbero se non vi provvedesse, l’amministratore di sostegno può essere autorizzato dal giudice a sostituire il beneficiario nella manifestazione del consenso informato ai trattamenti terapeutici proposti5. In applicazione della legge, ad esempio, il giudice tutelare ha autorizzato l’amministratore di sostegno ad esprimere il consenso informato in nome e per conto di un soggetto affetto da disturbo delirante cronico che, benché gravemente diabetico, negava la propria malattia al punto di alimentarsi prevalentemente con il miele, dimostrando così di essere incapace di esprimere una autonoma e consapevole valutazione del suo stato6. Autorevole dottrina ha richiamato l’attenzione sulle difficoltà valutative sollevate da questo istituto. Per stabilire se il soggetto necessita o meno di essere interdetto sono sufficienti una o due sedute nelle quali somministrargli semplici strumenti di valutazione delle funzioni cognitive7. Diversamente, poiché l’amministrazione di sostegno ha la funzione di valorizzare le residue capacità del beneficiario, occorre valutare non solo lo stato clinico ed il funzionamento del soggetto, ma anche “le sue capacità relazionali rispetto alla situazione che si determinerà allorché sarà affiancato da una persona che dovrà assisterlo, aiutarlo e sostenerlo, non solo nel suo modo di essere, ma anche in quello di esistere, nel senso più ampio del termine”8. Ne consegue che prima di attribuire a qualcuno l’incarico di amministratore di sostegno, dovrebbero essere oggetto di valutazione anche le qualità personale e relazionali per verificarne la compatibilità con il beneficiario9. Altrimenti “si prefigurerebbe un elevato rischio di imporre ad un soggetto già sofferente, fino alla disabilità, un ulteriore elemento iatrogeno, quasi una forma di vessazione, che non solo potrebbe aggravare il suo stato psico-patologico, ma impedire, od almeno ridurre, la possibilità di un miglioramento o di una qualche forma di emancipazione che, anche se non sufficiente per annullare o sospendere l’affiancamento dell’’istituto, potrebbe consentire alla persona disabile di fruirne in un modo più relazionale e partecipativo, con un senso di auto-compiacimento e di miglioramento del proprio riferirsi sul “Sé” psichico e fisico e quindi con un incremento di un senso di benessere e magari anche di una relativa gioia di vivere”10. Per meglio illustrare l’istituto, come già ho anticipato, l’amministrazione di sostegno è stato introdotto con la legge 6 del 2004, in favore della persona che “per effetto di una infermità, ovvero di una menomazione fisica e psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”11, ex art. 404 c.c. Tale legge non contiene un’esplicita posizione di liceità del consenso informato espresso dall’amministratore di sostegno; pertanto, la soluzione del problema è condizionata dai presupposti di applicazione del nuovo istituto. In particolare, se si aderisce alla tesi per cui l’amministrazione di sostegno presuppone sempre l’abituale capacità di intendere e di volere del beneficiario, ne discende che l’amministratore non può essere investito del potere di sostituire il beneficiario nella prestazione del consenso, e quindi sarebbe invalido il consenso eventualmente da lui manifestato12. Se si aderisce invece alla impostazione che associa necessariamente all’amministrazione di sostegno una sia pur lieve disfunzionalità mentale, il problema del potere sostitutivo in relazione ai trattamenti sanitari deve essere esaminato caso per caso13. Ove la volontà del beneficiario non sia condizionata o viziata da una patologia o da una menomazione che gli impediscano una corretta rappresentazione dell’intervento terapeutico e delle conseguenze della sua realizzazione o omissione, in linea di principio non si potrà intervenire contro la sua libera volontà14. Sarà possibile che i soggetti legittimati ex art. 406 c.c. si adoperino per una corretta opera di informazione e convincimento in modo da indurre il beneficiario a superare tabù, paure o incertezze ingiustificate e a sottoporsi ai trattamenti sanitari15. Tuttavia, né il provvedimento del giudice tutelare né la decisione dell’amministrazione di sostegno possono ignorare una permanente e cosciente espressione di volontà contraria da parte del beneficiario, realizzando, di fatto, un trattamento sanitario obbligatorio in casi in cui non è previsto dalla legge16. Del resto, la dottrina è concorde nel ritenere che la nomina dell’amministratore di sostegno sia non già uno strumento di imposizione o di sostituzione dell’autonomia del beneficiario, bensì il meccanismo attraverso cui superare i condizionamenti ed i limiti conseguenti ad infermità o a menomazione17. Infatti, con riferimento all’art. 410, comma 2, c.c., l’amministratore, che abbia avuto tra i propri incarichi quello di provvedere alla tutela della salute dell’infermo, non può decidere contro il parere del suo assistito, in quanto, in caso di dissenso, egli ha l’obbligo di informare il giudice tutelare18. Appare, pertanto, arduo sostenere che la residua capacità del beneficiario possa essere compressa sino al punto che il consenso ai trattamenti sanitari e terapeutici sia manifestato dall’amministratore di sostegno, in totale sostituzione del paziente19. In virtù di queste considerazioni, il Tribunale di Torino con decreto del 22 maggio 2004, decidendo su un ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno di un soggetto affetto da “tossicodipendenza di grado severo”, ha ammesso che il panorama normativo e giurisprudenziale, alla luce delle disposizioni previste dalla legge n. 833/1978 e soprattutto, a seguito della ratifica della Convenzione di Oviedo, non permette che il consenso ai trattamenti sanitari sia prestato dall’amministratore di sostegno, in totale sostituzione del beneficiario20. Ciò, anche in considerazione del fatto che la legge n. 6/2004 non estende all’amministratore di sostegno l’applicazione dell’art. 357 c.c., che attribuisce al tutore i compiti di curare la persona del minore e di rappresentarlo “in tutti gli atti civili”, tra cui anche il consenso ai trattamenti sanitari21. Dunque, secondo il giudice, la richiesta di nominare un amministratore di sostegno per sostituire il paziente nella manifestazione del consenso informato deve essere respinta perché “se si ritenesse sussistente una residua capacità del paziente e la ricorrenza dei presupposti per l’amministrazione di sostegno, l’amministratore nominato, in ipotesi di contraria volontà del paziente, non potrebbe comunque prestare un valido consenso ai trattamenti terapeutici e riabilitativi ipotizzati dal curante, in sostituzione e per conto del sig. (…)22; per contro, se al sig. (…) non residuasse alcuna capacità e questi non fosse pertanto in grado di autodeterminarsi in ordine ai medesimi trattamenti, ciò comporterebbe la necessità di adozione della procedura di interdizione, essendo l’amministrazione di sostegno “inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario”, ex art. 413 c.c.23 La giurisprudenza prevalente, invece, è favorevole alla possibilità di estendere i poteri dell’amministratore di sostegno alla manifestazione del consenso informato24. In proposito, il Tribunale di Modena, con decreto del 15 settembre del 2004, esaminando il ricorso presentato dai responsabili dei Servizi Sanitari che avevano segnalato la situazione di una persona che, affetta da “disturbo delirante cronico” e da una “forma grave di diabete”, si trovava nella sostanziale impossibilità di provvedere alla propria salute ed anche ai propri interessi, e appurato l’assoluto dissenso del beneficiario di sottoporsi a qualsivoglia terapia di cura della propria salute, ha autorizzato l’amministratore di sostegno, ai sensi dell’art. 405, n. 3, “ ad intraprendere tutte le iniziative che si renderanno necessarie al fine di attuare l’inserimento del beneficiario in una struttura protetta del circondario, ove lo stesso possa seguire le cure e le terapie, anche alimentari, assolutamente necessarie e vitali, ad esprimere, in nome e per conto del beneficiario, il consenso informato ai trattamenti terapeutici proposti dai medici, se ed in quanto richiesto e/o necessario, ovvero adottare tutti i provvedimenti urgenti necessari a tale scopo”25. Occorre rilevare che in questo caso l’incapacità naturale del paziente non è stata desunta automaticamente dal suo rifiuto dei trattamenti sanitari, bensì dal suo stato clinico, dal quale emergeva un “evidente quadro di ideazione delirante con tematiche di grandezza con negazione della malattia diabetica al punto che dichiarava alimentarsi prevalentemente con miele di cui dimostrava numerosi contenitori26. Si conferma, così, che la nomina dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura della persona27; e dunque può ritenersi acquisito dall’ordinamento il principio per cui il “sostegno” non si limita alla sfera economico-patrimoniale, ma tiene conto dei bisogni e delle aspirazioni della persona, includendovi ogni attività della vita civile giuridicamente significativa”28. La soluzione è sufficientemente agevole nei casi di incapacità psichica assoluta, dove la sostituzione nella manifestazione del consenso opera pressoché automaticamente, non essendo il beneficiario in grado di esprimere una volontà cosciente circa la “cura” della propria persona29. Più delicata è la situazione in cui le alterazioni psichiche determinano incapacità critiche circoscritte ad alcuni ambiti dei rapporti tra la persona e le realtà, come accade in numerose patologie psichiatriche30. In tali circostanze, il criterio per un giudizio equilibrato e rispettoso dell’individuo e del suo fondamentale diritto di autodeterminazione sembra essere quello di sostituire la persona nel diritto di esprimere il consenso alla terapia medica esclusivamente nel caso in cui, acquisiti tutti gli elementi disponibili, anche di natura scientifica, si pervenga al convincimento che il dissenso non si fonda su una cosciente valutazione critica della situazione in essere e delle conseguenze del non provi rimedio31. In conclusione, con l’entrata in vigore della legge n. 6 del 2004, è possibile dare adeguata copertura legale, anche in via d’urgenza ex art. 405, comma 4, c.c., ad un intervento terapeutico a favore di qualsiasi persona non in grado di liberamente esprimere il suo consenso, ben al di là del possibile campo di applicazione degli artt. 51 e 54 c.p. e al di fuori della assai opinabile applicazione della teoria dell’ “adeguatezza sociale”32.
1 L. De Caprio, R. Prodomo, P. Ricci, A. De Palma, A. Bove, “Consenso informato e decadimento cognitivo”, in Riv. It. Med. Leg., 1998, 90. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 269 ss.
2 G. M. Vergallo, op. cit., 269 ss.
3 P. Cendon, “Un altro diritto per i soggetti deboli. L’amministrazione di sostegno e la vita di tutti i giorni”, in Riv. Crit. Dir. Priv., 2005, 135. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 269 ss.
4 G. M. Vergallo, op. cit., 269 ss.
5 G. Gennari, “La protezione della autonomia del disabile psichico nel compimento di atti di natura personale, con particolare riferimento al consenso informato all’atto medico”, in Familia, 2006. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 269.
6 Trib. Modena, 15 settembre 2005, in Fam. Dir., 2005. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 269 ss.
7 MMSE e MODA. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 269 ss.
8 G. M. Vergallo, op. cit., 269 ss.
9 G. M. Vergallo, op. cit., 269 ss.
10 A. Marigliano, “L’amministrazione di sostegno” in A. Farneti, M. Cucci, S. Scarpati, “Problemi di responsabilità sanitaria”, Milano, 2007, 93. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
11 Per l’analisi della legge si rinvia a G. Bonilini, A. Chizzini, “L’amministrazione di sostegno”, Padova, 2007: S. Patti, “L’amministrazione di sostegno”, Milano, 2005. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
12 Trib. Torino, 24 maggio 2004, in www.personaedanno.it. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
13 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
14 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
15 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
16 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
17 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
18 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
19 In proposito, la Corte cost., 19 gennaio 2007, n. 4, in www.giurcost.org, ha chiarito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei novellati artt. 407 e 410 c.c. in relazione agli artt. 2 e 3 Cost. Infatti, secondo la Corte, se è vero che tali disposizioni “non subordinano al consenso dell’interessato l’attivazione della misura dell’amministrazione di sostegno ed il compimento dei singoli atti gestionali, o comunque non attribuiscono efficacia paralizzante al suo dissenso in ordine a tale attivazione o al compimento di tali atti”, è altrettanto evidente che il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce e deve tenere conto “compatibilmente con gli interessi e le esigenza di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa”, art. 407, comma 2, c.c. Dunque, il giudice “ha anche il potere di non procedere alla nomina dell’amministratore di sostegno in presenza del dissenso dell’interessato”, qualora ritenga, nell’ambito della propria discrezionalità, che tale dissenso sia “giustificato e prevalente su ogni altra diversa considerazione. Né la sottoposizione del rilievo del dissenso alla condizione della sua compatibilità con gli interessi e con le esigenze di protezione della persona integra la violazione dei parametri costituzionali denunciati, i quali, invece, sono in questo modo realizzati”. Tuttavia, occorre precisare che tale pronuncia non riguardava un caso di consenso ai trattamenti sanitari; quindi, poiché nelle materie di rilevanza meramente patrimoniale è certamente più facile capire quale sia l’interesse della persona, sembra evidente che, a fronte di una richiesta di amministrazione di sostegno per il consenso ad un’operazione chirurgica, il giudice tutelare deve tenere in maggiore considerazione l’eventuale dissenso del paziente. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
20 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
21 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
22 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
23 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
24 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
25 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
26 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
27 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
28 Trib. Milano, 5 aprile 2007, in www.personaedanno.it. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
29 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
30 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
31 Trib. Modena, decreto 15 settembre 2004. Bisogna sottolineare come in tutte queste situazioni, il giudice tutelare possa avvalersi di un CTU ex art. 407, 3º comma, c.c. e debba essere quanto più possibile rispettoso non solo delle indicazioni del beneficiario, 407, 2º comma, c.c., ma anche di quelle dei familiari conviventi, nella prospettiva del maggior coinvolgimento nella decisione. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
32 G. M. Vergallo, op. cit., 157 ss.
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