Percorso: Home 9 Psicoterapie 9 LA PRINCIPESSA SUL PISELLO – Il carteggio integrale Freud – Marie Bonaparte

LA PRINCIPESSA SUL PISELLO – Il carteggio integrale Freud – Marie Bonaparte

24 Giu 23

Di Cesare Romano

La pubblicazione di un epistolario è un’operazione editoriale meritevole che consente al lettore di accedere allo scambio non solo scientifico, ma anche umano, tra due intellettuali o comunque due figure rilevanti nella storia della cultura o della civiltà. Troppo spesso si sono pubblicati epistolari parziali, con una scelta di lettere effettuata secondo il giudizio sempre opinabile del curatore, destinati solo a solleticare il voyerismo del lettore privandolo della possibilità di accedere pienamente non solo al terreno intellettuale che coinvolge i due corrispondenti, ma anche alla loro interazione umana ed emotiva. In questo ambito gli editori francesi, che in passato pubblicarono con ampio ritardo le Opere Complete di Sigmund Freud, negli ultimi anni hanno rimediato a tale ritardo pubblicando prima, presso Seuil, la corrispondenza tra Sigmund Freud e la cognata Minna Bernays curata da Élisabeth Roudinesco (Sigmund Freud-Minna Bernays, Correspondance 1882-1938, Paris: Seuil, 2005, (recensita in Psicoterapia e Scienze Umane, 2016, (50)(4):777-779) e ora pubblicando la corrispondenza integrale tra Sigmund Freud e Marie Bonaparte. L’editore Flammarion si è assunto l’oneroso compito di stampare un volume di più di mille pagine che comprende le 900 lettere che i due corrispondenti si sono scambiati tra gli anni 1925 e 1939. Un altro epistolario di Marie Bonaparte con René Laforgue, entrambi appartenenti al gruppo dei dodici fondatori della Società Psicanalitica di Parigi (SPP), è stato pubblicato dalla casa editrice svizzera Champion-Slatkine a cura di Jean-Pierre Bourgeron (Marie Bonaparte et la Psychanalyse à travers ses lettres à René Laforgue et les images de son temps, Genève, 1993).  

L’editore Flammarion ha affidato la cura dell’epistolario tra Sigmund Freud e Marie Bonaparte ad uno dei maggiori e più acuti conoscitori dell’opera e della figura di Marie Bonaparte, Rémy Amouroux, il quale, comunicandomi privatamente l’imminente uscita della corrispondenza, mi confessava anche che il lavoro era stato molto difficile da realizzare. Il curatore è Professore Associato di Psicologia e insegna Storia ed Epistemologia della Psicologia e Psicologia Clinica, e nel 2012 ha pubblicato un interessante e approfondito studio su Marie Bonaparte (Marie Bonaparte. Entre biologie et freudisme, Presses Universitaires de Rennes).  

Cominciamo dunque a sfogliare questa voluminosa corrispondenza tra il fondatore della psicoanalisi e Marie Bonaparte. Devo innanzitutto alcune spiegazioni al lettore sul titolo di questa recensione. Il termine “pisello” ha qui una specifica connotazione sessuale ed indica di fatto il membro virile come viene definito nel linguaggio infantile. La Principessa di cui si tratta è proprio una vera Principessa come nella fiaba di Andersen, ed è precisamente la Principessa di Danimarca e di Grecia, Marie Bonaparte, colei che Celia Bertin (1984) ha definito “l’ultima Bonaparte”.  

Ma per chiarire del tutto la relazione tra la Principessa Bonaparte ed il “pisello”, il lettore deve sapere che Marie Bonaparte, grazie al suo fascino di donna matura e al suo ingente patrimonio, riuscì ad ottenere di entrare in analisi con Sigmund Freud. Ancora non si intravede – dirà il lettore – una relazione tra questa donna altolocata e benestante ed il “pisello”, perché ancora non ho specificato che, con una schiettezza un po’ grossolana, che sembrerebbe più confacente ad una donna del popolo piuttosto che ad una principessa, Marie Bonaparte esordì al suo primo incontro col padre della psicoanalisi, allora prossimo ai settant’anni, con le seguenti parole: «Sono venuta a cercare il pene e la normalità orgastica» (Bertin, 1984, p. 236).  

Del resto, si vedrà presto come il “pisello” e tutto ciò che ruota attorno ad esso, il piacere sessuale, l’orgasmo, la masturbazione, la visione del coito degli aduli, e l’ossessione per la frigidità della principessa, costituiscano i temi dominanti con i quali ebbe a che fare Freud in un turbinio di lettere che lo raggiungevano quotidianamente senza lasciali neppure il tempo di rispondere. Se Martha Freud aveva pensato che suo marito si occupasse più di pornografia che di psicoanalisi, avrebbe potuto trovare conferma al suo sospetto nelle numerose e altrettanto lunghe divagazioni della principessa sui suoi amanti, sulle sue masturbazioni infantili ed adulte, sul suo clitoride capriccioso che ora le procurava il piacere e ora glielo negava, sulla sua vagina ibernata che la Roudinesco definì “la Bella addormentata nel bosco”, sui vari toccamenti con cui la stimolavano senza successo i suoi amanti e sulle posizioni che lei di volta in volta assumeva nel coito, nel vano tentativo di raggiungere l’acme del piacere. Tutto questo Freud dovette leggere per ben 14 anni, dal 1925 al 1939, mentre doveva sopportare i suoi dolori per le numerose operazioni alla mascella devastata dal cancro e tormentata da una protesi rudimentale confezionata dal peggior chirurgo dell’epoca.  

Fortunatamente, vi sono nella corrispondenza anche momenti più distensivi, ma che sempre ruotano attorno a temi sessuali. Sono i momenti in cui questa psicoanalista in formazione, che crede di avere capito la psicoanalisi ma spesso si limita a scimmiottare Freud, il più delle volte fraintendendolo, racconta ed interpreta i propri sogni, e si lascia andare a momenti che lei stessa definisce di “autoanalisi”. Bisogna sapere che l’analisi della principessa fu un’analisi a singhiozzo, ripresa e interrotta varie volte per i molteplici impegni della Bonaparte, non tanto familiari, perché il marito omosessuale era più interessato allo zio che alla moglie, quanto dedicati tutti a far conoscere l’opera del suo Maestro, a costruire la Società Psicanalitica di Parigi e a fondare la Revue française de psychanalyse, il tutto con il suo prezioso quanto generoso contributo economico.  

Il settantenne Freud fu sopraffatto dalla esuberanza della principessa al punto da concederle il privilegio che fosse lei a decidere quando l’analisi sarebbe terminata, sicché nella lettera del 7 luglio 1927 la principessa sentenzia: «Quando la mia frigidità femminile sarà superata, la mia analisi sarà finita» (p. 275). Forse dobbiamo rintracciare qui il lontano stimolo che indusse Freud, dieci anni più tardi, a scrivere il saggio Analisi terminabile e interminabile (1937). Freud, esasperato, e forse anche un po’ disgustato, dalle interminabili lamentele sessuali della sua cara principessa, ad un certo punto le dirà: «Il problema è molto complicato e non si lascia ridurre ad un unico fattore: il clitoride» (p. 253). Ma la Bonaparte non desiste, e rincarerà la dose di confidenze erotico-pornografiche, arricchendole anche di disegni anatomici dei propri genitali. 

Ma vediamo ora qualche aspetto della “autoanalisi” della principessa e di quante interpretazioni selvagge e fraintendimenti questa è costellata. Innanzitutto, mi sembra vi sia un fondamentale fraintendimento su un punto che stava particolarmente a cuore a Freud, il complesso di Edipo. Ad un certo punto la giovane figlia di Marie Bonaparte, Eugenia, si ammala di tubercolosi, e manifesta delle emottisi, e la principessa dice a Freud di avere compreso da qualche giorno «delle cose terribili del mio inconscio (…) Non c’è per me alcun dubbio: mia figlia fu per me il transfert di mia madre, con tutta l’ostilità inconscia che io le avevo portato nel mio complesso di Edipo infantile. Mia madre era senza alcun dubbio tubercolosa, e aveva delle emottisi (…) Ora, io ho sicuramente nel mio inconscio desiderato la malattia di mia figlia. Di là il coraggio con il quale io considero la cosa attualmente. Di là anche le negligenze da parte mia che hanno condotto mia figlia a questo punto» (p. 241). Bisogna sapere che la madre di Marie Bonaparte si ammalò in giovane età di tubercolosi che si manifestava con diversi episodi di emottisi. Ella morì all’età di 22 anni di un’embolia, un mese dopo aver dato alla luce la figlia Marie, la futura principessa. Dunque, Marie Bonaparte non conobbe praticamente la madre, che aveva occasione di vedere tutti i giorni raffigurata sul suo letto di morte in un macabro acquerello appeso nel salone della casa. Dunque, quale ostilità inconscia poteva avere portato verso una madre che non ebbe modo di conoscere e quale complesso edipico poteva sviluppare verso una persona che conobbe solo attraverso la raffigurazione in un quadro? Se a Melanie Klein era stato rimproverato di avere anticipato l’Edipo all’età di un anno, la Bonaparte ha l’audacia di anticiparlo all’età di un mese! In realtà sembra che ella abbia sempre manifestato sensi di colpa verso la madre sentendosi responsabile della sua morte con la propria nascita, e non ostilità verso una persona che non aveva avuto il tempo di conoscere.  

Un altro aspetto da sottolineare è quell’uso improprio del concetto di transfert riferito alla figlia come “transfert della madre”. E’ chiaro che la tubercolosi si manifestava in entrambe con gli stessi sintomi, le emottisi, e sembra che qui la Bonaparte segua la stessa logica di Freud quando questi aveva detto a Fliess che le emorragie di Emma Eckstein erano di origine isterica, per assolvere l’amico dal suo errore chirurgico. La Bonaparte pensa poi di avere un inconscio così potente da poter creare una malattia non nel proprio corpo, ma nel corpo della figlia, forse sempre come effetto di un transfert.  

Ma vi sono altre amenità negli slanci interpretativi della principessa. All’età di 4 anni la Bonaparte stessa ebbe un episodio di emottisi e si pensò che fosse tubercolotica come la madre e destinata anch’essa a morire giovane. «Questa emottisi deve essere stata essenziale per il destino della mia libido, poiché avevo sanguinato dalla bocca, per identificazione con mia madre morta. E la mia libido femminile ha preso questa strada. Il mio esofago e il mio stomaco, da quel momento, sono stati erotizzati. Esofago=retto, vagina. Stomaco=utero. Nell’infanzia, e poi ancora dopo la pubertà, ho sviluppato una grave nevrosi gastrica. E’ là che la mia libido è passata» (p. 273). A parte il non trascurabile dato che il sangue dell’emottisi nella tubercolosi proviene dai polmoni e non dallo stomaco, tutto il ragionamento sulla localizzazione della libido appare viziato da equazioni poco convincenti. Una ancora più lunga sequenza di equazioni la ritroveremo nell’interpretazione della sua claustrofobia. «La mia claustrofobia è una paura della morte. Perché claustrofobia=fantasma dell’utero=fantasma del cadavere=fantasma della tomba=essere sepolta viva. E’ la ragione per la quale sono talmente interessata a Poe, che ce l’aveva anche lui» (p. 279). In realtà l’interesse che la Bonaparte dimostrò per i racconti di Poe non aveva nulla a che fare con la claustrofobia, ma era legato alla morte della madre, ai suoi sensi di colpa e ad un lutto irrisolto che era presente anche in Poe, che aveva anche lui visto morire la madre all’età di 3 anni. Marie Bonaparte interpreterà i acconti di Poe alla luce delle proprie esperienze infantili e della propria nevrosi. Di fatto, era la morte della madre in età precoce che accomunava Marie Bonaparte ed Edgar Poe, non la claustrofobia.  

 Nella lettera del 23 giugno 1927 Marie Bonaparte racconta a Freud il sogno della Dama Bianca, che sembra ispirato ai racconti di Poe, e che sintetizzo con le sue stesse parole. Lei è una commediante che recita nella commedia “La Dama Bianca”. Improvvisamente questa le compare davanti, è imponente, ha un viso arrossato con un’eruzione cutanea, un naso camuso e occhi chiari. E’ vestita di nero, come mia madre in tutte le foto che conosco. Ha un’aria inquietante, ed è una morta. Mi tende la mano, e io devo stringerla. In quel momento avverto una corrente elettrica paralizzante.  Voglio dirle “Siete una morta” ma anche le mie labbra sono paralizzate. Poi mi trovo nella biblioteca di mio padre e la Dama Bianca è al suo fianco, vestita di bianco come uno spettro. Mio padre le tende la mano e lei deve prenderla e anche lui viene paralizzato da una corrente elettrica. Voglio sbarazzarmi di questa dama spettrale. Alzo la mano, paralizzata e pesante come il piombo. Con uno sforzo sovrumano voglio farmi il segno di croce e dirle “Siete una morta” ma anche le labbra sono paralizzate, tuttavia, posso fare questo gesto per tre volte: la prima volta la Dama Bianca diventa piccola, la seconda si adagia a terra, la terza scompare.  

Marie Bonaparte interpreta questo sogno come allusione alle cause psichiche della sua frigidità psichica (frigidità che un tempo aveva considerato come anatomica). «La mia frigidità psichica proviene dal mio complesso di Amleto. Il sentimento di colpa profondo e inconscio all’idea di avere eliminato la madre per avere il padre (…) La madre esigeva la sua vendetta (…) e io dovevo essere punita dalla madre. Ed è così che la madre si è vendicata di me: lei mi ha paralizzato, in particolare le mie labbra, che nel sogno, si sono spostate dal basso verso l’alto! E’ come se mia madre mi avesse maledetto fin dalla culla. E’ la ragione per la quale, da bambina, ero talmente impressionata quando leggevo una storia nella quale una fata cattiva malediceva nella culla, e per tutta la vita, una giovane principessa. In particolare “la Bella addormentata nel bosco” (…) E’ la storia stessa del mio organo genitale femminile» (p. 262). Più avanti aggiunge che la sua bambinaia (Mimo) le cantava un’aria dall’operetta La Dama Bianca che faceva: “State attenti, state attenti! la Dama Bianca vi guarda!” «Questo mi spaventava. Sapevo che la Dana Bianca era un fantasma, una morta (…) Si tratta di una situazione simile a quella dell’Uomo dei lupi (…) Una osservazione del coito invertita! E la “Dama Bianca” è tornata dalla morte per impedirmi il coito, la funzione femminile – la sensibilità vaginale» (p. 263). Freud le risponderà che riconosce che ella ha «superato molte resistenze e compreso tutta la complessità del problema della frigidità, che voi pensavate di risolvere così facilmente, resistenze che sono a loro volta accessibili all’analisi» (p. 264). In realtà la principessa non aveva affatto le idee chiare sulla propria frigidità, perché più avanti dirà: «E’ certamente il fantasma del padre che continua a sbarrarmi la strada in amore» (p. 372).  

Vorrei citare anch’io l’Uomo dei lupi per dire a Marie Bonaparte la stessa cosa che quel paziente pensava di Freud, cioè che le sue interpretazioni fossero “un po’ tirate per i capelli”. Tuttavia, a quel tempo, una principessa nelle grazie di Freud, che per di più finanziava ampiamente il movimento psicoanalitico e contribuiva a tradurre in francese le sue opere, poteva essere incoronata psicoanalista nonostante i suoi grossolani fraintendimenti. Del resto, non è da escludere che Freud, oltre all’ammirazione per la sua allieva, avesse sviluppato un controtransfert erotizzato. Nelle prime lettere Freud aveva preso una certa distanza dalla richiesta della Bonaparte di usare il suo nome e non il suo titolo di principessa, e le aveva risposto: «Mia cara principessa, io non utilizzo la lingua del transfert, non scrivo Maria o a fortiori Mimì, ma non ho intenzione di dissimulare i miei sentimenti cordiali perché penso che la nostra relazione può di fatto esistere indipendentemente dal transfert, anche se è vero che essa non si sarebbe stabilita senza di questo» (p. 29). Più tardi Freud si rivolgerà a Marie Bonaparte con un tono già più affettuoso, chiamandola “mia carissima principessa” (p. 33) e si avvierà presto verso quel “linguaggio del transfert” che solo pochi giorni pima si era rifiutato di utilizzare. In realtà, il transfert prenderà ampiamente piede a partire dal 4 maggio 1927, quando ormai si rivolgerà a lei con “Mia cara Marie”, fino a raggiungere il suo culmine il 10 agosto, quando passerà a “Mia cara Mimì”. Il transfert è non solo compiuto, ma anche “erotizzato” in una intimità inusuale.1 

Nonostante questa intimità, nel corso del 1927 si crea una situazione di elevata tensione tra i due corrispondenti che sembra mettere a rischio l’analisi della principessa, la quale manifesterà anche idee di suicidio. Sullo sfondo vi sono le preoccupazioni per la salute della figlia Eugenia affetta da tubercolosi, che si ristabilirà molto lentamente. Nonostante tali preoccupazioni, prevale nella principessa l’ossessione per la propria frigidità, per cui il 14 aprile 1927 concepisce il progetto di farsi operare dal ginecologo Halban per sottoporsi ad un intervento di avvicinamento del clitoride al meato urinario nella convinzione, espressa in un articolo da lei pubblicato sotto lo pseudonimo di Narjani sulla rivista Bruxelles-Médical nel 1924, che tale intervento avrebbe favorito l’orgasmo e curato la frigidità. Dopo l’intervento, la Bonaparte racconta a Freud di essersi trovata in una situazione simile ad uno stato ipomaniacale a carattere erotico. In tale situazione, che si protrasse per due settimane, la principessa cedette alle avances di Halban che durante una visita ginecologica le chiese: «Lo proviamo?», ed ella ebbe con lui un rapporto sessuale. Freud, che era già contrario all’intervento, la condannò per questo acting out e le disse che aveva compiuto un “atto immorale” e un “crimine di lesa scienza” (Amouroux, p. 222, nota 1). Dopo alcuni giorni, racconterà a Freud di avere sperimentato, per quattro giorni consecutivi, il pieno successo dell’intervento con uno dei suoi amanti. Freud le ricorderà che l’analisi ha due missioni successive da compiere: liberare le pulsioni, poi sottometterle al controllo, e la punzecchia dicendole: «Il primo punto è riuscito bene nel vostro caso, per il secondo non siete ancora andata molto lontano. Se voi praticate l’analisi solo per vostro interesse, fate bene a concedere alle vostre pulsioni altrettanta libertà quanta ne sopportate e quanta il mondo esterno ve ne concede. Dunque, nel vostro caso, una grande quantità. Altrimenti, se volete esercitare l’analisi su altre persone, dovete costantemente consigliare loro la limitazione delle pulsioni, e se vi mettete in contraddizione con le vostre teorie, ciò vi costerà l’autorità presso gli altri e vi svierà nel vostro lavoro. Bisogna riflettere da vicino su questo punto» (pp. 227-228).  

Marie Bonaparte risponderà in maniera molto dura ai rimproveri di Freud, nell’unica lettera che non si conclude con un “vi amo”. Questa la sua replica: «Io non so quale sarà il risultato di questo frammento d’analisi che rimane da fare, ma dubito che comporterà una trasformazione radicale del mio carattere. Il mio carattere è troppo marcato, e forse sono troppo vecchia. In ogni caso, ecco ciò che voglio dire: non avevo capito prima che, per essere analista, bisognava sottomettere sé stessi a delle restrizioni delle pulsioni, come me lo avete chiarito. Sapevo certo, e lo accetto come una cosa naturale, che va da sé, che si deve tenere una grande distanza con i malati, i clienti o le clienti; e io so, del tutto fermamente, che non sarei neppure tentata di avere un altro atteggiamento, i clienti o le clienti mi appaiono essenzialmente, lo confesso, come degli esseri inferiori. Io mi sentirei sempre, ve lo confesso, come analista, in una situazione superiore da cui nulla potrebbe farmi discendere. E’ provando questo che ho considerato, dal punto di vista morale come dal punto di vista intellettuale, che avevo il diritto di pensare e diventare analista. Io mi sentirei disonorata, professionalmente almeno, se essendo analista, agissi diversamene. Ma ve lo confesso: mi è impossibile sentirmi disonorata per le mie altre avventure, anche quelle recenti, a Vienna, che voi avete così severamente rimproverato [il rapporto col ginecologo Halban]. Me la sono presa con me sessa per tutt’altra ragione, per essermi lasciata “sorprendere”, per non averlo fatto con il mio proprio consenso» (pp. 230-231, corsivi aggiunti). 

Dopo questo sfogo di altezzosità megalomanica e di razzismo professionale, la principessa prosegue senza accettare le restrizioni pulsionali raccomandate da Freud. «Voi mi dite che lo scopo dell’analisi è, dopo aver liberato gli istinti incatenati, di sottometterli ad una nuova padronanza. Io non so se raggiungerò questo scopo (…) Il fatto è che le esigenze di cui mi parlate per divenire psicoanalista, sono state per intenderci:  

  1. Non toccare i clienti (questo è chiaro). 

  1. Non toccare i collaboratori (questo, non l’ho mai promesso). 

  1. Restringere i propri istinti in generale, in rapporto a chiunque (è ciò che dice la vostra ultima lettera).  

Ora, su questo, non posso impegnarmi, poiché non prometto ciò che non potrei mantenere. In queste condizioni, devo ancora considerare il mio avvenire d’analista come possibile? Almeno finché i miei capelli non saranno bianchi? Ne riparleremo in autunno [alla ripresa dell’analisi]» (p. 232).  

Poi si lamenta che analisti maschi sono trattati diversamente e le loro avventure erotiche sono tollerate. «La differenza di giudizio verrebbe dal fatto che sono una donna? Questo è proprio quello che non accetto. La natura e la vita, che mi hanno dato un cervello maschile, mi hanno dato anche la forza degli istinti maschili. Io ritengo di avere diritto ad entrambi, e vi assicuro che mi è impossibile avere in ciò la sensazione del male. Quando mi fate la morale, mi ricordate mio padre, che non aveva abbastanza espressioni di sdegno quando parlava delle donne suscettibili d’amore, e che chiamava tutte indifferentemente “gourgaudines” (sgualdrine). Tutto il mio essere si ribella a questo giudizio, ed è questo atteggiamento incomprensibile di mio padre che mi ha spinto alle avventure che ho avuto» (pp. 231-232).  

Freud le risponderà per le rime, non nascondendo la propria irritazione per la rozza franchezza della principessa, insistendo sulla necessità di dominare le proprie pulsioni e avvertendola che «la finzione che l’analizzato sia qualcuno di inferiore non si rivelerà una diga sufficientemente solida» (p. 233) contro il dilagare delle pulsioni. Poi le rinfaccia con franchezza che il suo «narcisismo illimitato che non vuole rifiutarsi niente non è evidentemente compatibile con il rispetto per gli altri» (p. 236), poiché, dopo che lui aveva lavorato per cinque ore, era stato maltrattato per un’ora dal dentista, lei lo aveva trattenuto per cinque ore e un quarto con delle variazioni sull’unico tema compulsivo di Halban. A questa lettera, Marie Bonaparte, che in quel momento si trovava a Pallanza per assistere la figlia ricoverata, risponde: «Non credete che farei bene a gettarmi nel lago?» e conclude: «Penso a voi e vi amo, sebbene siate cattivo» (p. 238).  

Queste lettere ci rivelano anche alcune deviazioni di Freud dalle regole tecniche che egli stesso aveva dettato. Abbiamo già visto la concessione fatta a Marie Bonaparte che fosse lei a decidere la durata dell’analisi. Una seconda deviazione riguarda il primo paziente della principessa. Il 31 marzo 1928 la Bonaparte annuncia a Freud il suo primo paziente e dice di volerlo prendere in analisi il gennaio dell’anno successivo, dopo aver effettuato un’altra tranche della propria analisi. Freud la invita a non farlo attendere e le dice: «Non penso che voi dobbiate respingere il vostro primo paziente. Chi può imparare spesso impara di più dalle sue trasgressioni» (p. 344). La stessa Bonaparte si meraviglia della risposta di Freud e gli chiede: «Volete dire che dovrei prenderlo subito? Io credevo di dover attendere di avere fatto con voi le prime analisi di controllo in autunno. Ma se voi pensate che io potrei già prendere questo paziente per tre mesi prima delle vacanze (…) ne avrò, credo, il coraggio, e anche il piacere!» (p. 345). E Freud risponde: «dovreste prendere in carico senza indugio il vostro primo paziente, questo fornirà il materiale stabile per la vostra stessa analisi» (p. 349). Non era dunque necessario, allora, avere terminato la propria analisi per iniziare la pratica, ancor più nel caso della principessa Mimì. Il paziente avrà la sua prima seduta il 30 aprile 1928. 

Maie Bonaparte aveva anche espresso l’opinione che prima di intraprendere un’analisi ogni paziente avrebbe dovuto essere esaminato dal punto di visa organico da un medico. Freud le dirà che ha «intenzione di rendere questi esami obbligatori a Vienna allo scopo di preparare il collegamento con l’endocrinologia del futuro» (p. 349), affermazione che stupisce lo stesso curatore della corrispondenza (Amouroux, p. 349, nota 1). Il 15 aprile 1928 Marie Bonaparte comunicherà a Freud che farà esaminare la settimana successiva il suo paziente secondo i suggerimenti di Freud, facendogli fare il metabolismo basale. «Sono immensamente contenta di avere questo paziente!» (p. 351).  

Il paziente era Valerio Jahier, di origini franco-italiane, critico cinematografico. La sua analisi durò dal 1928 al 1934 con diverse interruzioni per i numerosi viaggi della principessa, e fu supervisionata da Freud. Nel 1931 Marie Bonaparte lo indirizzò a Loewenstein pensando che nel suo caso un uomo fosse più adatto. Anche la moglie di Jahier, Alice, fu in analisi con Loewenstein dal 1929 al 1931 e successivamente con Marie Bonaparte dal 1931 al 1933, e poi ancora dal 1935 al 1937.  

L’analisi che Marie Bonaparte aveva fatto con Freud si incentrò per lungo tempo sul tema della scena primaria tra lo stalliere del padre e la bambinaia di Marie, cui la bambina aveva assistito dalla culla fino all’età di tre anni. Queste scene furono oggetto, in forma mascherata, di molti racconti e fantasie che la bambina aveva registrato nei suoi quaderni infantili e dai quali Freud aveva intuito l’osservazione di un coito. Amouroux (2010)2 suggerisce che la principessa deve avere condotto l’analisi dei suoi pazienti sul modello della sua stessa analisi, invitandoli a scoprire le scene primarie nei loro ricordi infantili. Fa notare anche che vi è qualcosa di sconcertante nel fatto che Marie Bonaparte e Loewenstein, che erano amanti, si scambiassero i pazienti sotto la supervisione di Freud, e, forse, con il suo consenso. Del reso Freud, abbiamo visto, aveva detto alla principessa che si impara più dalle proprie trasgressioni, ma di queste trasgressioni dovette farne le spese il suo primo paziente, che si suicidò in circostanze sconosciute nel 1939.  

La principessa amava la natura, per cui decise di analizzare il suo primo paziente nel suo giardino, pensando di farvi costruire una tettoia in legno per ripararsi dalla pioggia, e chiede consiglio a Freud sul fatto di pendere appunti durane l’analisi, soprattutto di annotare i sogni. Freud non risponde subito alla domanda, ma le dice: «La vostra pima analisi ha risvegliato potentemente il vostro interesse. Voi vi confronterete con dei nuovi problemi e constaterete, solo allora, tutta la differenza tra l’analisi e la vita ordinaria» (p. 356). Più avanti dirà che è un grossolano errore tecnico prendere appunti durante la seduta (p. 358).  

Le lettere che seguono hanno tutte per oggetto il suo primo paziente e delle richieste di chiarimenti sulla tecnica, non senza menzionare anche i suoi problemi con la frigidità. La principessa continua a condurre l’analisi del suo paziente sul modello della propria, e continua ad avere come riferimento il caso clinico dell’Uomo dei lupi, che sta allora traducendo in francese. Tornando sul tema della frigidità, ripropone il ruolo paterno, e dice: «Ho capito che la censua che esercitano le donne su di me è senza effetto. La frigidità nel mio caso non è andata di pari passo con le interdizioni pronunciate dalle donne, ma unicamente con la fedeltà al padre» (p. 391). Dunque, sembra ricredersi sulla maledizione materna di cui aveva parlato.  

Il suo primo paziente sembra voler abbandonare l’analisi già il 17 agosto, dopo tre mesi e mezzo. Ma anche Marie Bonaparte comincia a dubitare dell’efficacia della psicoanalisi in relazione alla sua frigidità. Dopo avere nuovamente sommerso il suo analista con una serie di dettagli erotici sulle sue insoddisfacenti patiche sessuali, afferma: «Non credo più all’analisi come cura di questo sintomo…Non credo che troverò il coraggio di consacrare a questo lavoro tre o quattro mesi della mia vita, lavoro che mi allontana da ciò che posso ancora avere in quanto donna da parte del mio amico, finché sono ancora giovane, relativamente giovane. Un lavoro che non conduce a nessun miglioramento. Immaginate: è il quino anno» (p. 410). Ora rivaluta nuovamente l’intervento chirurgico di Halban e dice: «L’unico miglioramento che ho avuto è comparso improvvisamene dopo l’operazione» (p. 410). La principessa è ormai convinta che ciò che l’analisi può dare ad un paziente «è principalmente la rassegnazione nei confronti del suo stato di incertezza. Essere così vecchia è forse anche un ostacolo alla cura? Quarantasei anni» (p. 410). La Bonaparte penserà già a una seconda operazione, perché non potrà rinunciare del tutto alla sessualità, e la ricerca ossessiva di testare la sua frigidità con vari amanti l’ha resa quasi ninfomane. Freud le risponderà che con la seconda operazione è sicuramente sulla strada sbagliata.  

La principessa ha nuovamente in analisi il paziente, ma lo trova veramente noioso (almeno quanto doveva essere noiosa lei per Freud con la sua monomania clitoridea), e sogna di avere altri pazienti, ed è orientata verso pazienti che hanno i suoi stessi problemi sessuali irrisolti, una tredicenne onanista inveterata e una donna con problemi di orgasmo. Sarebbe orientata a prendere in analisi la moglie del suo paziente, Alice Jahier, che è «un caso tipico di frigidità, con sensibilità clitoridea» (p. 413). Invece di chiedersi se sia il caso di prendere in analisi una paziente che presenta gli stessi problemi che lei non ha risolto in cinque anni d’analisi (sebbene a singhiozzo), si chiede se lo possa fare avendo in analisi il marito. Freud non le risponderà subito perché «la vostra fisiologia mi ha troppo assorbito» (p. 419), e lei continua ad esprimere dubbi sulla possibilità di essere guarita con l’analisi, soprattutto «con un’analisi frammentata come è la mia» (p. 432). Più tardi, avendo in cura Anna Berman, che in seguito diventerà la sua segretaria ed anche lei traduttrice, una donna «clitoridea esclusiva» (p. 494), si chiederà: «Potrei curare un caso come questo, che fu il mio e ove io mi trovo ancora a metà?» (p. 494). La principessa si dimostra più prudente di Freud stesso. il quale le dice che gli sembra molto interessante che abbia preso in analisi un caso puramente clitorideo, «così potrete ormai osservare anche dall’esterno quanto sia una faccenda oscura e difficile» (p. 495). Oggi nessun analista si azzarderebbe a dare un simile consiglio. Ma Freud le dirà ancora che nutre grandi speranze che da questo caso ella possa chiarire il suo stesso problema, in sostanza che attraverso la sua paziente lei arrivi a curare anche sé stessa.  

Il paziente della principessa è ad un punto morto e sempre noioso, ma Eugénie Sokolnicka, una delle fondatrici della SPP, le invia un giovane studente polacco affetto da nevosi compulsiva che le sembra più interessante, e che giunge proprio in un momento in cui anche lei è afflitta da diversi pensieri ossessivi. Questa analista in formazione, ossessivamente concentrata sugli insuccessi della propria vita sessuale, sulla propria frigidità, su ruminazioni ossessive sui suoi molteplici amanti e affetta da esagerato narcisismo e megalomania, come lei stessa riconosce, non si fa alcuno scrupolo di assumere in analisi pazienti che soffrono di quei problemi che lei stessa non ha ancora risolto, sembra con il tacito consenso di Freud, il quale non la mette sull’avviso delle possibilità di insuccesso in tali casi. Del resto, la principessa si meraviglia che nel caso delle sue ossessioni lei si renda conto, razionalmente, di come stanno le cose, ma le sue compulsioni continuino a rimanere, dimostrando un’ignoranza sul fatto fondamentale che non è sufficiente una comprensione razionale a risolvere un sintomo. Con questa incomprensione di fondo, e con la consapevolezza di essere ancora malata e di avere ancora bisogno d’analisi, Marie Bonaparte si dispone ad accogliere il suo secondo paziente, che ha sviluppato nei suoi confronti un «transfert positivo folgorante» (p. 454).  

Il lettore potrà constatare come la principessa non abbia alcuna idea precisa su quella frigidità che la ossessiona e che ora attribuiva, come abbiamo visto, alla vendetta della madre morta, ora al complesso dell’infedeltà verso il padre, ed ora anche ad una identificazione con la nonna fallica che aveva una forte fobia del fuoco che la principessa interpreta come simbolo della passione amorosa. Di qui si lancia in una serie di simbolismi erotici che vanno dal parafulmine alla capocchia di zolfo del fiammifero e che tutti simbolizzerebbero il suo clitoride. Arriverà alla conclusione, provvisoria, di essere un caso psichico e di non pensare più ad una seconda operazione. «Sono felice perché, per la prima volta, sono realmente convinta che la mia frigidità può essere superata dall’analisi» (p.465).    In realtà, negli anni a venire, farà altre due operazioni, con disappunto di Freud. All’autoanalisi della principessa Freud risponderà che si tratta di un «materiale analitico in sovrabbondanza, molto bello, niente di decisivo per ciò che comprendo» (p.464), facendole intendere in qualche modo la vanità dei suoi sforzi autoanalitici. La principessa non si lascia abbattere e rincara le sue interpretazioni insistendo sulla nonna fallica che aveva paura del fuoco ed aggiungendo al simbolismo del parafulmine e del fiammifero anche quello dei pompieri, «che arrivano generalmente troppo tardi» (p. 465), e parla del suo “complesso del fuoco”. Si dimostra comunque risentita per la risposta di Freud, a causa della sua ipersensibilità per tutto ciò che riguarda la sua frigidità. «Perché, secondo il transfert [paterno], voi siete forzatamente il nemico della mia sessualità, tutto ciò che voi dite, temo, agisce contro il risveglio della mia sessualità femminile. Sebbene io sappia che le cose vanno diversamente, io lo avverto, mio malgrado, in questo modo» (p. 469).  

Più avanti, Marie Bonaparte manifesterà nuovamente pessimismo nei confronti dell’analisi, e dirà: «voi non mi potete aiutare, l’analisi non mi può guarire. Che cosa potrebbe ancora essere scoperto? Il tormento amoroso resterà il mio destino» (p. 499). La principessa pronuncia queste parole proprio nel momento in cui ha in analisi una paziente che soffre del suo stesso disturbo, per cui è da presumere che si senta impotente anche nei suoi confronti. E pensa ora ad una seconda operazione di avvicinamento del clitoride al meato urinario. Freud manifesterà anch’egli una nota di pessimismo e dirà: «Voi potreste facilmente avere ragione dicendo che l’analisi non eliminerebbe il vostro resto di frigidità. Io so da altri casi che si arriva certo ad ottenere dei rafforzamenti e degli ancoraggi psichici,  

ma in seguito si ha, come nell’omosessualità, l’impressione di trovarsi di fronte ad un muro che niente fa cedere, e si tratta probabilmente di un elemento organico ancora sconosciuto» (p. 500). In ogni caso le sconsiglia una seconda operazione che non cambierebbe nulla. Lui stesso confessa di non avere le idee chiare sulla questione della frigidità, e dice che è un problema che dovrete risolvere voi un giorno, «voi, donne dell’analisi» (p. 504). Più avanti la inviterà ad essere prudente, «perché la vostra implicazione personale in questa questione è molto forte» (p. 508).  

Dopo nove mesi, la principessa congeda un paziente fortemente schizoide ritenendolo totalmente inaccessibile all’analisi, e anche per proteggersi da eventuali rimostranze dei parenti che ignoravano che fosse trattato da un’analista profana, tema sul quale era fortemente divisa la Società Psicoanalitica di Parigi (SPP).  

Nel marzo del 1930 il figlio di Marie Bonaparte, Pierre, esprime il desiderio di essere analizzato, e sceglie come suo analista Loewenstein, che lui sapeva essere ancora l’amante della madre. Su questo punto Freud esprimerà la sua approvazione per la decisione di Pierre di essere analizzato, ma nessuna critica viene espressa sulla sconvenienza della scelta dell’analista. Questo epistolario appare interessante anche perché mette in luce le molte approssimazioni e deviazioni dalla tecnica analitica che Freud stesso tollerava. Allora si poteva diventare analisti con una analisi frequentemente interrotta, gli analisti potevano avere relazioni erotiche e scambiarsi tra di loro i pazienti, mandare i pazienti in analisi dai loro amanti per poi condividere le loro vicende analitiche, il tutto con la tacita approvazione di Freud che sembrava tollerare tutte queste deviazioni purché la psicoanalisi trovasse la più ampia platea possibile.  

La tolleranza di Freud indurrà la Bonaparte a decidere di sottoporsi ad una seconda operazione, avendo già 48 anni e nulla da perdere nel caso di un nuovo insuccesso, ed esprimerà nuovamente la sua sfiducia nell’analisi: «Non posso più credere nell’analisi per ristabilire la mia sensibilità vaginale. Potrei essere analizzata ancora due anni, questo non cambierebbe nulla. E nel frattempo, avrei raggiunto cinquant’anni. Non posso farlo!» (p. 518).  

Nell’agosto del 1930 la Bonaparte fece un altro mese d’analisi che giudicò molto difficile ma il più riuscito, sebbene non avesse influito grandemente sulla sua sensibilità vaginale. Come in passato, la principessa oscilla sempre tra l’analisi e la chirurgia per risolvere la sua frigidità: «O un frammento supplementare d’analisi oppure un riavvicinamento minimo del clitoride, questo può funzionare» (p. 539). Nonostante questa posizione contraddittoria, la principessa si impegnerà, pur consapevole della grande responsabilità, in un’analisi didattica con la sorella di Loewenstein, anch’egli analista didatta. Dunque, non solo una analista ancora in formazione poteva prendere in analisi dei pazienti, ma poteva pure praticare analisi didattiche, e questo, apparentemente, senza alcuna obiezione da parte di Freud! 

Durante l’analisi d’agosto si verificò un piccolo incidente. Marie Bonaparte aveva fatto un’escursione in montagna ed era arrivata alla seduta analitica con tre quarti d’ora di ritardo. Freud l’accolse freddamente e la congedò dopo qualche minuto. In conseguenza di ciò la principessa divenne apertamente ambivalente nei confronti di Freud, e pensò di poter finire la sua analisi a Parigi con Odier, uno dei dodici fondatori della SPP. (Amouroux, p. 542, nota 1), «l’unico analista di Parigi dal quale potrei andare, per esempio per vent’anni, se vivo ancora, per rinfrescare la mia analisi» (p. 541). Tuttavia, si sente in imbarazzo, perché Odier le ha chiesto di prendere in analisi sua figlia, che lei, nella sua tipica grandeur, giudica analizzerebbe meglio di quanto potrebbe fare Sophie Morgenstern, una pioniera della psicoanalisi infantile in Francia. Anche in questo caso Freud non ha nulla da obiettare, le consiglia Ferenczi o Eitingon come possibili analisti al posto di Odier, per cui le dice che non avrebbe più motivo di rifiutare la figlia. 3 La sua allieva è quindi promossa anche come analista di una adolescente quindicenne. Da tutto ciò si ricava l’impressione che negli ultimi anni della sua vita Freud fosse maggiormente preoccupato della più larga diffusione possibile della psicoanalisi4 piuttosto che della correttezza delle analisi condotte dai suoi allievi e del rispetto delle regole analitiche. Nei confronti della Bonaparte i vari incoraggiamenti ad assumere nuovi pazienti e a farsi anche analista didatta contrastano palesemente col giudizio negativo che lo stesso Freud aveva espresso al quinto anno d’analisi della principessa, giudicando «a qual punto il lavoro analitico sia stato incompleto, e con esso la sua riuscita. Spero che si potrà ancora fare qualcosa per questo» (p. 531, corsivo aggiunto).  

Nel febbraio-marzo del 1931 Marie Bonaparte farà altri due mesi d’analisi, e approfitterà della presenza di Halban a Vienna per subire una terza operazione di raccorciamento delle piccole labbra vaginali, che le procurerà finalmente la possibilità dell’orgasmo. Ma non tutto procede felicemente sul piano sessuale. Ora è convinta che bisogna trattare l’elemento puramente psichico, poiché l’ostacolo risiede nel fatto che nel coito lei vuole fare la parte dell’uomo (p. 564).      

Da agosto a metà settembre del 1931 la Bonaparte farà altre sei settimane d’analisi, e ne ricaverà l’impressione di una grande svolta nel suo carattere. Anche Freud riporta la stessa impressione, e la convinzione che «potrete aspettarvi un livello di liberazione particolarmente elevato» (p. 574). Tuttavia, la principessa continua imperterrita a importunare Freud con le sue lamentele sessuali e le sue rivendicazioni erotiche, tanto che Freud non potrà astenersi dal manifestarle che «a differenza di voi, che avete conservato la piena giovinezza delle reazioni erotiche, io comincio a trovare tutto questo universo del coito monotono» (p. 585, corsivo aggiunto).  

Per motivi di spazio credo di poter lasciare al lettore di questo voluminoso epistolario la curiosità di percorrere le altre quattrocentocinquanta pagine che rimangono, per non sottoporlo alla stessa monotonia che Freud aveva manifestato a metà di questa corrispondenza. Sebbene la sessualità della principessa rimanga il tema dominante dell’epistolario, il lettore vi troverà anche numerosi riferimenti alle difficoltà relative alla traduzione francese delle opere di Freud, di cui si farà soprattutto carico, con ammirabile zelo, la stessa Bonaparte e pochi altri fidati collaboratori, nonché numerosi riferimenti ad aspetti della vita quotidiana e familiare dei due corrispondenti. 

Oggi, l’opera di questa allieva di Freud, che soprattutto dopo la morte del Maestro, si dimostrò sempre meno ortodossa nel suo pensiero analitico, è pressoché dimenticata e i suoi libri sono reperibili solo presso gli antiquari, sebbene la sua opera maggiore, la psicobiografia di Edgar Allan Poe, trovi ancora un seguito. Marie Bonaparte è ricordata soprattutto per aver salvato la corrispondenza tra Freud e Fliess, per aver contribuito alla traduzione di numerose opere di Freud e alla costruzione del movimento psicoanalitico in Francia, e non da ultimo per avere contribuito a salvare Freud dal nazismo e a consentirne l’emigrazione in Inghilterra.  

 

                                                                                             

 

 

Bibliografia 

 

Amouroux R. (2010). Marie Bonaparte, her first two patients and the literary world. Int.J.Psychoanal.,(91)(4):879-894. 

Andersen H. Ch. Fiabe. Scelte e presentate da Gianni Rodari. Torino: Einaudi, 1970. 

Bertin C. (1982). La dernière Bonaparte. Paris: Librairie Académique Perrin (trad. it.: L’ultima Bonaparte. Torino: Centro Scientifico Torinese, 1984).     

Bourgeron J-P. (1993). Marie Bonaparte et la psychanalyse à travers ses lettres à René Laforgue et les imeges de son temps. Genève: Editions Slatkine.            

Freud S.-Bernays M. Correspondence, 1882-1938. Préface d’Élisabeth Roudinesco. Paris: Seuil, 2005. 

Romano C. (2016). Recensione a Freud-Bernays, Correspondence, 1882-1938. Psicoterapia e Scienze Umane, 2016, (50)(4):777-779. 

Loading

Autore

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia