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FREUD GENIO INFEDELE una recensione….

3 Dic 23

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A questo libro di Francesco Marchioro, notissimo storico della psicoanalisi e studioso dell’opera freudiana, ci si accosta con una certa soggezione considerato lo spessore dell’argomento che è trattato ma, fin dalle prime pagine – molto ben introdotte da un’altra figura di spicco della storia della psicoanalisi, Silvia Vegetti Finzi – si è colpiti dalla scorrevolezza del testo e attratti dallo stile narrativo che rende la lettura agevole e sempre più intrigante. È consigliabile leggere i dieci capitoli del libro uno dopo l’altro ma è anche possibile andare direttamente sull’argomento di maggiore interesse per poi riprendere la lettura in modo sequenziale (forse, proprio per la ricchezza dell’opera, un buon Indice analitico sarebbe stato molto utile).

Da queste pagine emerge Sigmund Freud persona, psicoanalista, scienziato, uomo di grande cultura, austriaco-viennese, ebreo di nascita, collocato in quella affascinante Vienna di cui ci hanno parlato persone come Stefan Zweig e Bruno Bettelheim; “egli è mitteleuropeo, tedesco per lingua e per cultura, irreligioso, ebreo e infedele” (p. 165) creando, come sottolinea Silvia Vegetti Finzi, il paradosso di riconoscere la propria origine ebraica, negando al contempo l’appartenenza alla religione dei padri.

Seguiremo un taglio non teoretico dell’analisi, adottando piuttosto un approccio biografico, storico-critico, un incedere altalenante di passi freudiani e di altri autori” (p. 14) avverte Francesco Marchioro che dedica i capitoli iniziali ai primi decenni di vita di Freud.

Subito emerge la questione dell’identità – questione centrale per chiunque abbia la consapevolezza di esistere in questa vita – e con essa il rapporto tra Sigmund e la madre: “per Freud è particolarmente difficile tollerare la presenza di tendenze materne dentro di sé, ha bisogno di essere il capo paterno della propria famiglia, forse in contrasto con l’atteggiamento di suo padre, Jacob” (pp. 53-54) – e qui va ricordato che Francesco Marchioro ha curato l’edizione italiana di Mio padre Sigmund Freud, a firma del figlio, Martin Freud (Il Sommolago, 2001).

Tra le molte ricostruzioni delle varie fasi di vita del Freud dei primi anni si può rimanere sorpresi nel leggere dei rapporti che egli aveva con le lingue, aspetto non secondario dato che l’intera psico-terapia è fondata sulle capacità di ascolto e di parola: infatti, egli “è cresciuto in un ambiente quadrilingue: il ceco, lingua di nascita, l’jiddish, lingua materna, l’ebraico, lingua ‘sacra’ del padre, il tedesco, di cui è uno ‘stilista’… parla il tedesco, il suo linguaggio è la lingua dei grandi narratori dell’Ottocento, capace di tracciare aforismi e metafore illuminanti, l’inglese, il francese, l’italiano, lo spagnolo; conosce l’ebraico, l’jiddish, il dialetto di Vienna, il latino, il greco” (pp. 40-41).

Il terzo capitolo è dedicato all’incontro con Marta Bernays e alla scelta di studiare medicina che, come ha più volte ribadito lo stesso Freud, non era proprio la materia all’apice dei suoi interessi (era molto più interessato alla filosofia e alla psichiatria).

Le grandi riflessioni di Freud ormai maturo sulla religione sono riprese e commentate nei due capitoli seguenti che richiamano due opere centrali del pensiero freudiano come sono Totem e tabù e il Mosè di Michelangelo. In parallelo si segue la nascita del primissimo gruppo di persone che si raccolsero intorno al padre della psicoanalisi nelle serate psicologiche del mercoledì mentre di approfondisce il rapporto con Carl Gustav Jung senza trascurare sia il momento storico in cui le vicende avvengono sia il contesto socio-professionale rappresentato, ad esempio, dall’ambiente della famosa clinica psichiatrica dell’Università di Zurigo, il Burghölzli. Molto opportunamente è qui richiamato il difficile rapporto che intercorse tra Jung e Karl Abraham, il primo analista tedesco, uno dei pochi ad avere (in quel tempo) esperienze di pazienti psicotici, maestro ed analista di un’ampia schiera di colleghi, tra cui Melanie Klein.

Dunque, per Freud, “essere ebreo ha per lui il senso non tanto di condividere la religione ebraica quanto, soprattutto, di far parte del popolo ebraico… Nella identità di Freud possiamo cogliere tre accezioni caratterizzanti: l’ebraicità…la cultura e l’ateismo” (p. 119).

Il penultimo capitolo è dedicato al rapporto tra Freud e la figlia Anna e qui Marchioro si interroga sul ruolo di Anna – vittima o vestale? Come recita il titolo di questo capitolo – seguendo gli ultimi anni della vita di Freud, il patto stretto con la figlia, l’essere stato padre, maestro e persino… analista di Anna (cosa non rara in quei lontani tempi: ad esempio Abraham analizzò la figlia Hilda, divenuta ella stessa psicoanalista della BPS – British Psychoanalytical Society, e autrice del resoconto Mio padre Karl Abraham). Dunque “Anna, rifiutata dalla madre e, maschio mancato, salvata dal padre che la riscatta” (p. 145), fino alla fuga e all’esilio londinese in un quadro in cui Marchioro richiama vari episodi importanti, tra cui il consulto richiesto a Freud (e ottenuto) dal triestino Edoardo Weiss, psichiatra e psicoanalista, non trascurando di ricordare i tanti psicoanalisti che si misero in salvo fuggendo negli USA, in Gran Bretagna ma anche in Francia e in Palestina. Ma non furono solo gli analisti a fuggire, e giustamente sono menzionati illustri esponenti delle arti e delle scienze come, tra gli altri, Stefan Zweig, Rudolf Carnap e Albert Einstein: “otto giorni dopo l’annessione dell’Austria, solamente August Aichhorn e Alfred Freiherr von Winterstein rimangono a Vienna, quindi solo due dei 51 membri ordinari e 17 straordinari afferenti, alla fine del 1937, alla Società Psicoanalitica” (pp. 158-159).

Il libro – sottotitolato Identità di un ebreo tedesco irreligioso – è chiuso da due Appendici che apportano altro materiale di conoscenza e di riflessione; infatti, nella prima appendice si presenta per la prima volta in lingua italiana il saggio di Otto Rank del 1905 L’essenza dell’ebraismo, e nella seconda emerge la figura di Carl Gustav Jung discussa in rapporto alla sua posizione verso Hitler e il nazismo.

Il testo nasce dai preparativi per una mostra dal titolo Ebraismo Freud Memoria che Marchioro stava allestendo alla vigilia della pandemia e che quindi non ha mai avuto luogo; tra gli altri, l’autore ringrazia David Meghnagi, Salvatore Zipparri, Silvia Vegetti Finzi e Michele M. Lualdi e credo sia importante notare che gli ultimi due hanno offerto un significativo contributo alla realizzazione italiana di una recente e importante biografia di Freud: Silvia Vegetti Finzi firmando la Prefazione e Michele Lualdi curando la revisione editoriale del testo tradotto dal tedesco: si tratta del volume Sigmund Freud. Il medico dell’inconscio. Una biografia, di Peter-André Alt, pubblicato dall’editore Ulrico Hoepli di Milano nel 2022.

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