Percorso: Home 9 LA VOCE DELL'INDICIBILE 9 Chi disprezza non può capire, non può fare poesia, non può curare

Chi disprezza non può capire, non può fare poesia, non può curare

5 Ago 23

A cura di Sabino Nanni

La poesia “Il canto dell’amore (Una domenica dopopranzo al cinematografo)” illustra il vivo rapporto di Umberto Saba con una folla con cui, pure, egli non può confondersi:


Amo la folla qui domenicale,
che in sé stessa rigurgita, e se appena
trova un posto, ammirata sta a godersi
un poco d’ottimismo americano.

Sento per lei di non vivere invano,
di amare ancora gli uomini e la vita.

Il Poeta avverte, nella gente comune, ingenuità e, al tempo stesso, tendenza a mentire a sé stessa, allo scopo d’alimentare una visione illusoria, ottimistica, della vita: quella dei film hollywoodiani. Egli ama la gente, perché, a differenza di chi la disprezza, sa cogliere, al di là dell’ingenuità e delle bugie, qualcosa di autentico: la passione per la vita. Ciò gli riporta alla mente il suo sentimento per l’ingenua e bugiarda Erna:


E le lacrime salgono ai miei occhi,
e mi canta nel cuore una canzone:

“Dì, non ricordi una maglia arancione,
e dello stesso colore un berretto,
che la faceva simile a un’arancia?
Dì, non ricordi la piccola Erna?”

È ancora viva la piccola Erna;
anzi è più viva e più allegra di allora.
Io la credevo altrove, e qui non sola
la vidi, e in compagnia per me non bella.

“Ero – mi disse poi – con mia sorella
e col suo sposo”. Ed io non t’ho creduto.
O buona, o cara, o piccola bugiarda,
mai t’ho creduto. E di crederti ho finto.

La consapevolezza che le dichiarazioni d’amore e fedeltà, da parte di Erna, sono bugie che servono ad alimentare una bella illusione, permette al Poeta d’avvertire sentimenti autentici di dolcezza e d’infelicità. Gli permette di cogliere quelle “intermittences du cœur” con cui sempre si manifesta l’amore:


Fummo, un poco, infelici. E quando estinto
lo credi, il cuore a battere ritorna.
E mai non batte così come quando
a lui morto cantavi un miserere.

Non sono cose dolcissime e vere
che ho dette? E non son forse io un solitario?
Ed un poeta? E insieme anche qualcosa
d’altro e di meglio? Or questo a che mi vale?

Ritornando, dal caso particolare di Erna, al suo contatto con la gente “normale” (superficiale, bugiarda ed entusiasta della vita), il Poeta deve ammettere che, se tale rapporto non esistesse, egli non potrebbe avvertire sentimenti autentici; non potrebbe, traducendoli in parole, essere il Poeta che li trasforma in qualcosa di bello e comunicabile. La Poesia nasce dal rapporto dialettico fra verità sconsolata e menzogna allettante, fra la ragione che coglie la precarietà ed il carattere illusorio d’ogni cosa e le pulsioni di vita tenaci, incuranti della realtà, ma che contengono in sé l’ottimismo ostinato della possibilità del loro soddisfacimento. Se gli mancasse il contatto con questo elemento primitivo (con la folla domenicale) il Poeta non sarebbe più un Poeta. Se avesse posto fra sé e la folla una barriera di disprezzo, per cui il modo di essere rozzo e ingenuo della gente (che, almeno un poco, appartiene anche a lui) gli apparirebbe estraneo e incomprensibile, gli mancherebbe quel dialogo con i suoi simili e con sé stesso da cui nasce la sua Arte:


Se questa folla qui domenicale
Mi fosse estranea, mi fosse remota,
un cimbalo sarei che, senza grazia
risuona, un’eco vana che si perde.

Loading

Autore

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia