Si ch’io sfoghi ‘l duol che ‘l cor m’impregna,
Un poco, pria che ‘l pianto si raggeli
Dante, c.XXXIII-IX cerchio, “Il Conte Ugolino”.
Lo scorso 6 ottobre, nel silenzio e nella solitudine della sua dimora alla Verdina di Camaiore, “è andato avanti” Luciano Del Pistoia, il quarto asso del poker della Seconda generazione della Psicopatologia fenomenologica italiana (Ballerini, Callieri, Calvi). Aveva perduto, da qualche anno, il grande amore della sua vita, Elisabeth Nibelle, artista e poetessa alsaziana. Ad entrambi è sopravvissuto il loro magnifico gatto, protagonista irredento di tanti webinar. Carattere squadrato con spigoli taglienti, versiliese puro, forgiato tra le Apuane e il mare, velista di livello agonistico, Luciano si era formato con Fabio Visintini a Parma, era stato ricercatore a Strasburgo con Georges Lanteri-Laura, di cui ha portato il pensiero in Italia. Ha conosciuto Mario Tobino e Franco Basaglia, elaborando una posizione personale del tutto autonoma tra i due, finendo oggetto delle persecuzioni antipsichiatriche durante gli anni di piombo. Ha lavorato nel manicomio di Lucca e poi fondato i Servizi territoriali della Versilia. Anche lui, come gli altri nostri “Maestri senza cattedra”, era del tutto fuori dai circuiti accademici, e fortemente critico della deriva priva di attenzione alla clinica e alla psicopatologia presa dei Servizi di Salute mentale. E’ stato amato da diverse generazioni di giovani psichiatri e psicologi, che lo hanno conosciuto ai Corsi residenziali di Figline Valdarno e ai raduni della SIP giovani. Le sue indimenticabili lezioni, condotte a braccio, senza slide e senza respiro, fortemente venate del suo “parlar tosco” a tratti intriso di parole dirette e crude, di metafore fulminanti, dense di clinica, di storia, di epistemologia e di poesia, ci mancheranno per sempre. Era un grande esperto della Divina Commedia, e aveva effettuato un lettura psicopatologica di alcune figure dell’inferno dantesco. Nel 1994, con Ballerini, Stanghellini, Rossi Monti, Dalle Luche, Gozzetti e Cappellari era stato fondatore della Società Italiana per la Psicopatologia, attualmente presieduta da Giorgio Castignoli. Ultimo suo testo, curato da Mario Rossi Monti e dal Sottoscritto, pubblicato con Alpes, dal titolo “Il dialogo con l’insensato”, nel 2021, riprende le linee teoriche del suo discorso, che provo qui brevemente a sintetizzare in 10 punti.
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La follia è un’esperienza enigmatica insita nella condizione umana, che ha, di volta in volta, nel corso della storia, espresso il suo senso, il quale è stato codificato a seconda del paradigma corrente all’epoca. Quindi mitico, magico, demonologico o religioso. Questa attribuzione di senso alla follia è cessata quando essa è stata ridotta sub specie medica;
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Philippe Pinel è l’anello di congiunzione tra sensatezza ed insensatezza della follia. Pinel decodifica la follia secondo un paradigma organismico e dialettico : la follia è uno squilibrio nell’organismo indotto dal fallimento della dialettica tra passsioni e ragione. Il trattamento è “morale” “psicoterapeutico” ed igienico-ambientale (riabilitativo). Pinel si è mosso sull’onda della rivoluzione francese e del successo delle armate napoleoniche;
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Dopo Pinel Morel, in clima di restaurazione, introduce il concetto di “degenerescence”, che è radicato in una visione cattolica del peccato originale non emendato alla nascita, che si trasmette nelle generazioni. I “degenerati morali” diventano una categoria clinica che nella sistematica tedesca viene sostanziata con l’idea di degenerazione dell’organo cerebrale, che nel frattempo è stato individuato quale base anatomopatologica della follia (Non più organistica ma organica, cioè malattia d’organo);
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Il “demenzialismo” si instaura così nella tradizione psichiatrica, istituendo con essa un abbraccio mortale. La follia viene consegnata alla modernità come una malattia d’organo (il cervello), del tutto priva di senso, cronica, degenerativa ad esito demenziale. La attuale enfasi sul concetto di disabilità e lo spostamento dei mental disorder nell’orbita neuroscientifica rappresentano null’altro che gli esiti di questa linea “demenzialistica”;
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A questo movimento di cementificazione dell’insensatezza si oppone un contromovimento che ha radici filosofiche, la fenomenologia, che si propone attraverso il metodo “eidetico” di interrogarsi sulle strutture portanti dell’esistenza del folle, per comprenderlo e curarlo. Questo movimento è la psicopatologia fenomenologica;
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Jaspers non rappresenta un riferimento del nuovo paradigma, in quanto la sua psicopatologia è soggettiva e si ferma alla accettata soglia dell’incomprensibilità della follia;
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Il soggetto della follia non esiste, o non “lo si incontra per la strada”. Nessuno di noi esiste come soggetto intero, incarnato. Ognuno di noi esiste come soggettività. La soggettività è un’entità astratta, trascendentale, che riesce a sintetizzare in un colpo unico i versi scorci, o profili, o prospettive, o ruoli nei quali appare il “soggetto” a chi lo osserva. Come di un qualunque oggetto nella percezione noi possiamo avere contezza di un solo profilo, di fronte, di dietro o di lato, e mai avere una visione a tutto tondo, se non nella ricostruzione del nostro immaginario, così è per il soggetto, non lo incontriamo mai nella sua interezza;
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La nozione di immaginario, da non confondere con l’immaginazione, è la regione dove si formano le immagini eidetiche degli oggetti, colti nella loro essenza o totalità. Nell’immaginario si formano anche i deliri e le allucinazioni, che non appartengono né alla percezione, non essendo vere percezioni, né al pensiero. Le allucinazioni vengono vissute o verbalizzate come percezioni e i deliri verbalizzati come pensieri, ma in realtà hanno un tronco comune nell’immaginario, dove percezione e memoria si incrociano;
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La psicopatologia fenomenologica rappresenta il paradigma di senso della psichiatria. La semeiotica da sola descrive per accumulazione e per differenza cataste di segni e di sintomi che di per sé non hanno alcun significato, è solo la psicopatologia che li organizza in strutture di significato;
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La formazione dello psichiatra è ben fondata dal punto di vista naturalistico e medico, è invece gravemente carente dal punto di vista delle scienze umane (filosofia, antropologia etc), le uniche che possono conferire rigore al suo metodo di indagine e possono fondare legittimamemte il fare terapeutico.
Di seguito, per chi voglia approfondire il pensiero di questo geniale psicopatologo anticonformista, i titoli delle sue opere reperibili sul mercato italiano:
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Il dialogo con l’insensato, L. Del Pistoia, Alpes, Roma,2021
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Il paradigma Erlebnis, a cura di G. Di Petta e P. Colavero, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 2016;
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Il cielo infranto, F. Rossi Menchetti, Edizioni Universitarie Romane,Roma, 2014;
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I duri veli, Luciano Del Pistoia, Pubmed, Lucca, 2010;
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Saggi fenomenologici, L. Del Pistoia, Giovanni Fioriti, Roma, 2008;
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Il giardino delle statue di sale, L. Del Pistoia, Pacini Fazzi, Lucca, 1998;
Per certi aspetti è innegabile che Luciano Del Pistoia abbia incarnato tutte le stigmate di quella specie etologica “in via di estinzione” descritta da Mario Rossi Monti con ironia e lucidità in “Forme del delirio psicopatologia” (cap.8 : La responsabilità della psicopatologia”, Cortina, 2008), in particolare la vocazione elitaria ed individualistica. Per altri versi, con Luciano Del Pistoia scompare un altro degli esponenti di quella stirpe (novecentesca) di psichiatri-filosofi dell’Europa continentale che hanno costruito la psicopatologia fenomenologica come possibile “comfort zone”, per quei clinici e quei pazienti che si confrontano ed interloquiscono, che si perdono e si trovano, che si amano e si odiano, su quell’assurdo confine tra l’alienazione e la vita. E’ stato per me un momento intenso e significativo quando, oggi, sabato 14 ottobre 2023, ho proiettato a lezione ai corsi “E” ed “H” della Scuola Fenomenologico-dinamica di Firenze, la lezione che Luciano Del Pistoia ha tenuto nel 2021 su “prospettive fenomenologiche sulla soggettività” nell’ambito delle iniziative organizzate dalla Società Italiana di Psicologia Fenomenologica della Professoressa Maria Armezzani, ed ho visto quaranta giovani, tra psicologi e psichiatri, completamente rapiti dal suo discorso. Che, devo dire, ogni volta che lo risento, mi par sempre di sentirlo per “la prima volta”. Dopo oggi ho la certezza che il tuo pensiero, Luciano, non morirà con te, nonostante te stesso.
Addio. E per sempre grazie. Anche per le volte che ci siam presi “a muso duro”.
Un ricordo commovente…
Un ricordo commovente… Grazie Gilberto.