Percorso: Home 9 Rubriche 9 Mente ad arte 9 Lubo, la lotta di un uomo vittima di pulizia etnica

Lubo, la lotta di un uomo vittima di pulizia etnica

13 Nov 23

A cura di Matteo Balestrieri

Il film “Lubo “di Giorgio Diritti propone il tema difficile della pulizia etnica intentata in Svizzera a cavallo della Seconda guerra mondiale. Si è trattato del rapimento sistematico dei figli piccoli delle famiglie Rom, formalmente per indirizzarli ad una migliore educazione, nella realtà per cercare di eradicare questa etnia. Questa operazione ha avuto pochissima risonanza per diversi anni, tanto che solo negli anni ’80 la federazione elvetica ha riconosciuto le atrocità commesse e rimborsato le persone che le hanno subite.
Lubo Moser (Franz Rogowski) è uno zingaro con una piccola famiglia, moglie e tre figli, che si guadagna da vivere con piccoli spettacoli di strada. Poiché la legge svizzera prevedeva nel 1939 che tutti i cittadini maschi dovessero essere reclutati per difendere il confine in un eventuale guerra, Lubo viene reclutato a forza e poco dopo i figli vengono sottratti alla madre, che muore nel corso dello scontro con la polizia. Da qui inizia tutta la vicenda di Lubo che cerca di ritrovare i suoi figli e adotta ogni mezzo per poterli riavere. La narrazione segue il suo viaggio di dolore e rivalsa dopo la perdita traumatica della sua famiglia.
Al di là del tema sociale sui pregiudizi e sulla prevaricazione violenta della società, il personaggio di Lubo offre terreno per l’esplorazione della psicopatologia causata da traumi estremi e ingiustizie. Dopo l’atroce perdita della sua famiglia, Lubo attraversa una trasformazione psicologica profonda. L’isolamento, il dolore incompreso e la rabbia portano Lubo a trasformarsi in un “lupo”, facendo ricorso ad istinti primordiali di sopravvivenza. Ogni traccia di bontà e serenità scompare, per fare posto ad un comportamento omicida e all’inganno. Si introduce indossando la pelle dell’agnello nello “schieramento nemico”, rappresentato dalla burocrazia della infida associazione “Pro Iuventute”, seducendo donne al solo scopo di intrufolarsi nei meandri della burocrazia elvetica, fingendosi persona interessata e caritatevole.
La sua metamorfosi da membro integrato nella sua piccola comunità, pur se ai margini della società “ufficiale” dei buoni cittadini svizzeri, a un essere antisociale è un rilievo toccante sulla disumanizzazione subita dalle vittime di ingiustizie sociali e legali. Non è certo la prima volta che un film tratta il tema della vendetta di fronte all’ingiustizia, si pensi a film come “Il Gladiatore” o Django Unchained”. Qui però il tema non è tanto quello della vendetta, quanto quello della determinazione a riconquistare ciò che è stato perduto e può ancora essere ripreso. Il percorso è trattato con molta pacatezza: dopo un assassinio effettuato con determinazione ma senza rabbia (l’ucciso viene classificato da Lubo come “vittima di guerra”), non vi sono altre violenze personali. Lubo cerca di arrivare al suo obiettivo non con l’aggressione, ma con l’intelligenza e la razionalità.
La ricerca dei figli purtroppo non ha successo e Lubo si deve arrendere. Nello stacco temporale di 10 anni che interviene, il mondo si è trasformato e Lubo è diventato una persona abbiente e apparentemente integrata nella buona società. Vive una vita splendida soggiornando in albergo. Ormai ha perso ogni speranza di ricongiungersi ai figli, anche se continua a raccogliere informazioni. Tutto potrebbe procedere senza scosse, ma interviene l’innamoramento per una ragazza italiana. Questa ragazza (interpretata da Valentina Bellè) ha già un figlio, ma rimane incinta di lui. Lui si innamora ricambiato, e qui interviene la crepa, ciò che fa saltare la finzione di tanti anni. Egli commette un errore, viene scoperto della polizia e condannato per il furto ai danni della persona che aveva ucciso.
A questo punto la rivalsa non può più continuare attraverso il sotterfugio, ma sul piano della giustizia ordinaria. Si rivolge a chi lo ha imprigionato, un vecchio commilitone ora commissario di polizia, che pur condannandolo lo tratta con empatia. Quando il commissario gli fa presente che i Rom, la sua gente, commettono spesso reati, Lubo gli risponde che è giusto sanzionare chi li commette (come sta succedendo a lui) ma per questo motivo non devono essere condannati tutti i Rom. In questo momento Lubo si arrende, tuttavia chiede giustizia in una reciprocità di rapporto tra lui e la società, pensiero che in effetti è il cardine della psichiatria post-riforma.
Che lo Stato svizzero debba occuparsi di quello che successo è un punto fondamentale, anche se i figli di Lubo sono ormai scomparsi. Le resistenze nella vita reale sono state in effetti molte ed è significativo che il regista Giorgio Diritti ci proponga la scena nella quale il giudice al quale il commissario si rivolge per segnalare quanto accaduto gli dica “chissà se tutto questo non sia inventato”, invitandolo a lasciar perdere.
Giorgio Diritti da sempre è impegnato in film di sensibilizzazione sociale. Si ricordi tra gli altri “Il vento fa il suo giro” (2005), “L’uomo che verrà” (2009), “Un giorno devi andare” (2013), “Volevo nascondermi” (2020). Con questo film riesce a creare un potente racconto di perdita, amore, disperazione e lotta per la giustizia. Non solo offre uno sguardo intimo sulla tragedia personale del protagonista, ma solleva anche interrogativi cruciali sull’eredità delle ingiustizie storiche e sulla responsabilità collettiva nel riconoscere e riparare i torti del passato.
Il tema della pulizia etnica rimane purtroppo un argomento dolorosamente attuale. Nonostante sia ambientato in un contesto storico specifico, il film evoca riflessioni su questioni che continuano a essere rilevanti in molte aree geografiche contemporanee in tutto il mondo, dove il rapimento dei bambini fa parte delle strategie di pulizia etnica: Nigeria, Siria, Iraq, Sud Sudan, Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, per non parlare delle accuse di rapimento in Ucraina da parte dei russi.
“Lubo” di Giorgio Diritti va comunque oltre la mera narrazione storica, offrendo uno sguardo profondo sulle conseguenze psicologiche delle tragedie storiche. Attraverso il personaggio di Lubo, il film esplora temi come la perdita dell’identità, la disumanizzazione, e l’impatto del trauma su scala individuale. La potente interpretazione del protagonista e la regia attenta rendono “Lubo” un film non solo educativo ma anche emotivamente coinvolgente, stimolando riflessioni sul costo umano delle ingiustizie storiche e sul bisogno di comprensione di chi le ha subite.

Loading

Autore

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia