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3 MODI DI INTENDERE LA DISSOCIAZIONE: DA UN INTERVENTO DI BENEDETTO FARINA

12 Dic 23

A cura di Raffaele Avico

Qualche mese fa FCP ha organizzato un incontro corale per tracciare i confini dell’eredità teorica di Giovanni Liotti.

Durante questo incontro sono stati interpellati diversi studiosi del lavoro di Giovanni, di cui abbiamo spesso scritto su questo blog e che è senza dubbio stato uno dei più grandi terapeuti che l’Italia abbia conosciuto, in particolare in relazione agli studi sull’origine traumatica della dissociazione.

Liotti è stato un vero punto di riferimento per la teoria sulla dissociazione traumatica. In questo incontro corale vediamo Bruno Bara (purtroppo anche lui mancato pochi giorni fa), Lucia Tombolini (allieva di Liotti, curatrice di questa rubrica su Psychiatry on Line), Antonio Onofri, Monticelli: tutti nomi conosciuti da chi frequenti gli ambienti della psicoterapia cognitivo costruttivista/evoluzionista di “terza onda”; in particolare vogliamo qui riprendere l’intervento di Benedetto Farina, autore insieme a Liotti del famoso Sviluppi traumatici.

L’intervento di Farina lo si può ascoltare qui, in formato podcast.

Cerchiamo di estrapolare alcuni punti di interesse:

  • Farina distingue nel percorso di Liotti due grandi fasi, due periodi del suo lavoro di ricerca: prima e dopo il 2007/2008. Farina fa notare come nella prima fase del suo lavoro di ricerca, Liotti si spese per diffondere una delle sue idee più centrali e illuminanti, l’origine cioè traumatica dei disturbi dissociativi in seno al tema dell’attaccamento. Come su questo blog già approfondito (si veda per esempio qui), Liotti sosteneva (per esempio nel suo La dimensione interpersonale della coscienza) che la compresenza di sistemi motivazionali opposti e tra di loro incompatibili nel corso dei primi anni della vita di un individuo in relazione al suo caregiver (attaccamento + difesa, nei casi in cui il caregiver si dimostrasse spaventante), fosse la causa prima della creazione di modelli operativi interni incompatibili e multipli nella mente del bambino, che in seguito avrebbe sviluppato una dissociazione strutturale della personalità, la compresenza di aspetti di sé inconciliabili e riproposti all’interno delle relazioni per lui/lei significative. Nel secondo periodo di Liotti, Farina ci insegna, questo si spese per ampliare e complessificare il concetto di dissociazione, arrivando insieme ad altri autori a ipotizzare la presenza di una dimensione dissociativa, un gradiente relativo alla dissociazione, con modi di esprimersi diversi, e diversi approcci clinici
  • Farina a proposito di questo parla della complessità del costrutto teorico dissociativo, e porta un modello triplice della dissociazione, una tripla modalità di concettualizzare la “patogenesi dissociativa”.

Farina, riprendendo Liotti, parla di 3 processi patogenetici in grado di innescare sintomi dissociativi: 1) la disintegrazione post-traumatica, 2) i fenomeni di distacco/detachment (che di solito chiamiamo depersonalizzazione e derealizzazione) e 3) la dissociazione vera e propria, caratterizzata da fenomeni di segregazione di contenuti e modi del pensiero, affine al concetto di dissociazione strutturale della personalità per come la intende Van Der Hart.

Su questo è di recentissima pubblicazione questo articolo, che illustra e approfondisce i 3 “modi” di espressione della dissociazione.

Vediamoli un po’ più nel dettaglio.

  1. Desaggregation / DISINTEGRAZIONE POST-TRAUMATICA: la disaggregazione o disgregazione post traumatica rimanda al concetto janettiano di desaggregation, un deficit delle funzione mentali superiori atte a sintetizzare i contenuti di pensiero e le emozioni veementi, in particolare quando il soggetto sia colpito da una sindrome post traumatica. I sintomi dissociativi si presentano in questo caso come increspature, discontinuità dello stato della coscienza, oppure prendono una forma somatica non collegata a un problema medico di origine organica. Il punto centrale in questo primo aspetto relativo alla patogenesi dissociativa, è che la disaggregazione interviene ad alterare in modo generico le funzioni integrative del cervello, diffondendosi in modo dimensionale in molti altri quadri clinici, e prendendo forme diverse (Farina elenca: “disregolazione delle emozioni e del comportamento, discontinuità del sé, fallimenti del monitoraggio metacognitivo, emersione di memorie traumatiche non controllate”).
  2. REAZIONI DI DISTACCO: come introdotto da Farina nel suo intervento, esiste una seconda forma dissociativa, che conosciamo comunemente come depersonalizzazione/ derealizzazione, che riguarda lo schema corporeo e la percezione. Nell’intervento prima citato di FCP, Farina le chiama “reazioni di distacco“. Farina le spiega come reazioni “comuni” volte a “minimizzare gli effetti emotivi nelle situazioni di minaccia estrema”. Per capire come possa intervenire una reazione di distacco, è utile rifarsi al “modello a cascata” di cui abbiamo qui scritto, che spiega l’andamento delle reazioni dissociative “peri-traumatiche”. L’idea è che la mente tenti di elaborare i percetti post-traumatici o “difficili” fino a una certa soglia, e che in seguito produca una reazione di “collasso” (da qui l’immagine della cascata o del “dente di sega”, nel senso che c’è un innalzamento della soglia dell’arousal, e un collasso seguente, uno “spegnimento” del sistema di difesa o una sua “implosione”, che nell’esperienza del soggetto equivale appunto all’esperienza di “distacco”/ depersonalizzazione/ detachment).
  3. VERA E PROPRIA DISSOCIAZIONE (STRUTTURALE DELLA PERSONALITÁ): Liotti (nel 1992) ipotizzò che la compresenza “nefasta” di sistemi motivazionali antagonisti e attivati contemporaneamente nei confronti della figura di attaccamento, porterebbe alla creazione di sotto-personalità e modelli operativi interni separati, “compartimentalizzati” all’interno della psicologia dell’individuo. Questo equivale ad una spaccatura verticale della personalità, e porta a una compresenza di “modi” del Sè, modalità di pensiero ed emozioni diversificate, così come teorizzato da Liotti stesso e in seguito da Van Der Hart (teoria della dissociazione strutturale della personalità).

Il fatto che esistano delle modalità differenti di sviluppare ed esprimere sintomi dissociativi, ci invita a riflettere sul fatto che debbano esistere tre processi patogenetici distinti alla base della dissociazione, e diverse modalità di intervenire in senso clinico, come illustrato nella seguente immagine.

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