con dei genitori di preadolscenti
R.E, 1999
Il concetto di temporalità ci è così familiare da non meritare l’attenzione dei profani. In psicologia però, così come in precedenza avveniva in filosofia, la dimensione temporale assume una rilevanza assoluta sia in molti ambiti della ricerca sia nell’esercizio della professione.
Partiamo da ciò che appare più ovvio: i nostri orologi, i nostri calendari, le nostre agende. Pomian, uno dei più grandi studiosi contemporanei della temporalità ha messo in evidenza che essi – così come lo stesso concetto di tempo – sono una invenzione dell’uomo, una ‘utile’ invenzione dell’uomo, che serve fin dalla notte dei tempi a dare senso e a stabilizzare la nostra immagine del mondo e di noi stessi.
Una grande psicoanalista, Marie Bonaparte ha detto che è facile rannicchiarsi nello spazio, cioè delimitare uno spazio piccolo e domestico, sentirlo come nostro; e così non avere tanta paura dello spazio infinito che ci circonda. Mentre è molto più difficile rannicchiarci nel tempo, poiché questo passa inesorabilmente e segna con il suo trascorrere la nostra mortalità. E molti psicologi sono d’accordo nel dire che diventare adulti significa accettare la nostra mortalità, cioè la dimensione precaria del nostro essere. Ciò che il bambino, con il suo egocentrismo e l’adolescente con il suo slancio ideale non riescono a cogliere. Quindi ragionare sul significato del tempo significa mettere il dito nelle piaga dell’uomo, riflettere su una parte essenziale della nostra psicologia.
Se ci chiediamo come il tempo (e lo spazio, che non è altro che una porzione sincronica di ciò che sul piano diacronico chiamiamo ‘tempo’) nascono dentro di noi dobbiamo andare in termini ontogenetici all’immagine del poppante e prima ancora a quella del bambino che vive ancora nel ventre materno. Finché il bambino vive in questo stato di simbiosi fisica con la madre tutti i suoi bisogni sono soddisfatti meccanicamente e perfettamente dal corpo materno. I ‘guai’ cominciano, dopo la nascita, allorché la madre non è più in grado di soddisfare perfettamente il bambino e questo deve sperimentare la fame, i disagi e i dispiaceri derivanti dal freddo, dal caldo dai rumori, etc.-
E’ allora, a partire da questo stato di imperfezione, che nasce lentamente nel bambino l’idea di passato, come luogo mitico della perfezione assoluta, e quella di futuro come luogo delle sue speranze e dei suoi timori, prima e dei suoi progetti, dopo, allorché sarà diventato grandicello. E su questa base, come dice sempre Pomian, nascono lentamente tre modelli di temporalità in ciascuno di noi che ci attraversano e sono fra loro in continua tensione.
Una temporalità centrata sul passato, che tende ad essere mitizzato e idealizzato, ed alla quale si vorrebbe uniformare, direi fissare il presente: è l’idea di temporalità tipica delle società statiche, dei soggetti dipendenti dalle imago genitoriali del passato.
Una temporalità centrata sul presente, che dimentico del passato e non preoccupato del futuro si sente appagato dall’oggi e si spende nell’oggi: è l’immagine della temporalità del ragazzo preadolescente e del giovane che, specie in una società dinamica come la nostra, deve liberarsi dei lacci e lacciuoli del passato, e non sente ancor su di sè il peso delle responsabilità per l’incertezza del futuro. Ed è anche l’immagine della temporalità tipica di quelle situazioni di effervescenza creativa chiamate ‘di stato nascente’ in cui un gruppo sociale o un singolo stanno creando il nuovo, in cui tutto sembra essere riassunto nel qui e ora della creazione.
Infine vi è una terza dimensione della temporalità, centrata sul futuro, che è tipica ad esempio della società industriale e complessa, che deve programmare il futuro pena il proprio deperire. In questo terzo tipo di temporalità ciò che importa è la programmazione, cioè l’uso del passato e del presente in funzione del futuro.
In termini psicologici questi tre tipi di temporalità, come dicevamo prima, sono compresenti dentro di noi. Si intrecciano e ‘dialogano’ fra di loro in maniera più o meno intensa a seconda del nostro carattere e del momento della nostra vita.
Certo è che nei momenti di passaggio da una fase ad un’altra della nostra esistenza tutte le nostre concezioni, tutti i nostri equilibri – compresi quelli che nascono dal dialogo fra queste tre dimensioni della temporalità – sono messi in discussione. Ciò risulta molto evidente in quell’opera di continua ricostruzione del nostro passato: cioè della nostra storia personale e sociale. Passato che viene continuamente trasfigurato dalla memoria individuale e collettiva (Halbwachs) in funzione del presente e del futuro. E ciò non per un’opera di falsificazione, ma per una importantissima ragione che attiene al nostro essere, che con Erikson potremmo definire: “rimanere se stessi nel cambiamento”: cioè continuare a darsi senso e a ricollocarci dentro quella stanza dalle pareti sfuggenti che è la nostra appartenenza generazionale, la nostra appartenenza culturale, il nostro essere nel tempo.
Bibliografia:
– Bonaparte M., L’inconscio ed il tempo, in: AA.VV.,1979, Il tempo in psicoanalisi”, Feltrinelli, Mi
– Erikson E.,1966, Infanzia e società, Armando, Roma 1
– Halbwachs M.,1987, La memoria collettiva, Unicopli, Mi
– Pomian K.,1992,L’ordine del tempo, Einaudi, Torino.
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