Questo volume raccoglie molteplici contributi di personalità legate alla neuropsicoanalisi, al mondo della psicoanalisi e delle neuroscienze a proposito del concetto psicoanalitico di inconscio non rimosso.
Vi trovano spazio nomi di assoluto spessore nel panorama attuale, da Solms, padre della moderna neuropsicoanalisi, al nostro Giovanni Liotti, a Clara Mucci, a Mauro Mancia.
Il volume è curato da Giuseppe Craparo (che su questo blog abbiamo già incontrato) e Clara Mucci per la collana sul trauma che dirige lo stesso Craparo, edita da Giunti.
Il concetto di inconscio non rimosso si configura come una sorta di evoluzione, o allargamento del concetto freudiano di inconscio. Muove dal concetto “classico” di inconscio freudiano, per il quale veniva ipotizzata la presenza di un atto di rimozione da parte dell’individuo, per descrivere un territorio della psiche caratterizzato da elementi pre-verbali e pre-simbolici, stratificatosi nei primi anni di vita del bambino, entro una dimensione per lo più interpersonale.
Alcune riflessioni a riguardo:
- è indicativo che un libro sull’inconscio non rimosso venga incluso in una collana sul trauma. In effetti, le scoperte più recenti sul trauma convergono con gli studi psicoanalitici inerenti le traumatizzazioni più precoci, neanche arrivate a essere rimosse (essendo, come leggiamo qui, che la rimozioni prevede l’uso del pensiero simbolico e del linguaggio), ma dissociate e depositate in un luogo pre-verbale e pre-psichico o, se vogliamo, entro la memoria “implicita”, incarnata
- l’inconscio non rimosso viene concettualizzato in questo volume come un contenitore, un deposito delle memorie relazionali più precoci; non essendo possibile per il bambino rimuoverle attivamente, queste ultime produrranno molteplici conseguenze sullo sviluppo della sua psiche, ri-attivandosi in condizioni peculiari in senso relazionale, nel contesto del transfert con l’analista, o attraverso enactment (ne avevamo scritto qui). É il capitolo scritto da Clara Mucci a fornircene la definizione più chiara; immaginiamo l’inconscio come un deposito, un contenitore; al suo interno, solo una parte dei ricordi sono ricordi rimossi: larga parte del restante spazio psichico, è abitato da memorie relazioni primordiali, precedenti a ogni possibile rimozione
- I capitoli scritti da Mauro Mancia e Liotti brillano per particolare semplicità, chiarezza e coerenza. Liotti cita Mancia più volte nel suo lavoro; notevole osservare come i due articoli presenti nel volume arrivino presto a convergere: Liotti riprende Mancia proprio sul concetto di inconscio non rimosso, citandolo più volte. Come sappiamo, e come su questo blog più volte abbiamo osservato, Gianni Liotti sapeva attingere da differenti matrici teoriche per formulare idee originali e geniali a riguardo della psicopatologia: all’interno di questo volume, nel suo capitolo, Liotti integra il concetto di inconscio non rimosso al suo modello sui sistemi motivazionali opposti e contraddittori, tipici di uno “sviluppo traumatico”.
Sarebbe infatti la compresenza di sistemi motivazionali opposti verso la madre (paura e attaccamento) a generare nel bambino rappresentazioni di sé dissonanti e conflittuali, riproposte -nella vita adulta- all’interno dei rapporti significativi. Liotti appoggia in pieno il concetto di inconscio non rimosso, apportando ad esso alcune puntualizzazioni, e spingendo per un superamento del modello pulsionale inerente la formazione dell’inconscio (l’inconscio non si costituirebbe come un contenitore di fantasie pulsionali inaccettabili, ma -di nuovo- si formerebbe per via di memorie relazionali primarie, introiettate nei primi anni di vita). Liotti era un bowlbiano convinto, e in questo lavoro lo sottolinea un’altra volta - la comunicazione madre-caregiver-bambino, nei primi, anni, è una comunicazione “tra emisferi destri” (ovvero, tra emisferi dominanti); il capitolo di Schore, autore del volume Psicoterapia con l’emisfero destro, rappresenta un aggiornamento sulle scoperte neuroscientifiche più recenti a riguardo proprio della neuroanatomia della vita relazionale precoce, che coinvolgerebbe per lo più struttura sottocorticali dell’emisfero destro, sede fisica di quelle tracce mnestiche implicite, seminali e iniziali, chiamate qui “inconscio non rimosso”. Sulla dominanza dell’emisfero destro, avevamo scritto estesamente qui recensendo “The master and his emissary”
- il capitolo di Clara Mucci riprende e dilata il contributo di Schore, e rappresenta il “centro di gravità” del volume, essendo che la Mucci contestualizza il lavoro teorico sull’inconscio non rimosso nella cornice dei paradigmi attuali riguardanti la psicoanalisi, con critiche abbastanza pesanti alla visione freudiana, troppo individualistica e intrapsichica, in favore di un paradigma maggiormente relazionale e in linea con le evidenze più attuali in ambito di psicotraumatologia.
La Mucci è conosciuta per il suo lavoro sulle ipotesi eziopatogenetiche dei disturbi di personalità più gravi, in particolare è conosciuta per la sua ipotesi psicotraumatologica nella genesi del disturbo borderline. Nel suo capitolo riprende un modello di mente, e di sviluppo della mente, che avevamo già trovato qui riprendendo idee di Janet.
La patogenesi dei disturbi di personalità più gravi, sarebbe cioè da rintracciarsi nella fase pre-verbale, pre-cognitiva dello sviluppo del bambino, non ancora in grado di “rimuovere attivamente” i contenuti traumatici dalla sua coscienza. Come prima anticipato, il contenitore dell’inconscio sarebbe formato solo in parte dai contenuti rimossi: una larga parte dei suoi elementi costitutivi, sarebbe rappresentata dai contenuti “non rimossi” e implicitamente memorizzati nelle prime, fondamentali fasi dello sviluppo. La stessa pulsione di morte, la Mucci propone, sarebbe da attribuire a introiezioni problematiche di oggetti interni persecutori, una spinta insomma figlia di elementi relazionali inter-psicologici; sarebbe incorretto, seguendo Freud, attribuirla a una spinta “innata”. Inoltre, la Mucci evidenzia un oscurantismo freudiano a proposito del fenomeno clinico della dissociazione, sviluppato come sappiamo da Janet in parallelo a Freud, e poi da altri pionieri del trauma, come Ferenczi. - nel suo capitolo, Craparo distingue in maniera fruttuosa i concetti di acting out da quello di enactment: quest’ultimi sarebbero da imputare a un processo di evacuazione di materiale non rimosso, ad una riattualizzazione in chiave relazionale/intersoggettiva di modalità interpersonali racchiuse -di nuovo- nel “contenitore” dell’inconscio non rimosso.
Per concludere, troviamo nel concetto di inconscio non rimosso un punto di congiunzione, e di saldatura, tra differenti approcci.
Le teorie di Liotti sull’attaccamento disorganizzato e la creazione di rappresentazioni dissonanti di sé, i molti studi sulle esperienze avverse infantili e la patogenesi della dissociazione, il concetto di scissione in età precoce raccontato dagli analisti: tutte queste formulazioni teoriche convergono in questo volume presentandoci l’immagine di un “terreno” psichico entro cui, precocemente, si crearono le prime -implicite- memorie relazionali, in grado di influenzare in modo radicale il successivo sviluppo della mente dell’individuo.
Come osserviamo, Giovanni Liotti ancora una volta si dimostra in grado di incarnare questa integrazione nelle sue formulazioni teoriche, portando la teoria dell’attaccamento e la teoria dei sistemi motivazionali interpersonali (innati) a completamento delle concettualizzazioni psicoanalitiche inerenti la nascita (intersoggettiva) del pensiero. Viene qui illuminata inoltre una concezione dell’inconscio solamente, intrinsecamente interpersonale, post-freudiana, evoluzionisticamente giustificata, svuotata dei suoi aspetti scabrosi inerenti le pulsioni sessuali, “moralmente” bonificata.
Infine, possiamo con questo volume osservare come l’interpsichico preceda l’intrapsichico: sarebbero le relazioni interpersonali a creare il sostrato di memorie implicite che determinerebbero la nostra vita adulta, le nostre scelte relazionali, i nostri transfert e i nostri enactment; l’inconscio stesso sarebbe un contenitore delle memorie implicite più antiche, e -in linea con la letteratura psicotraumatologica- l’ambiente di sviluppo avrebbe finalmente riacquistato una posizione centrale nella sviluppo della mente, con il bambino impegnato ad adattarsi ad esso, spinto da motivazioni innate interpersonali, impegnato nell’eseguire “adattamenti acrobatici” quando lo stesso ambiente fosse problematico, o traumatico.
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