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Il fascino e il terrore della morte. Un articolo di Ogden su Robert Frost

18 Lug 24

A cura di Sabino Nanni

        Nel saggio di Ogden che tratta la poesia di Frost “Stopping by woods on a snowy evening” (Sosta vicino ad un bosco in una sera di neve), l’Autore premette che lascerà da parte [ritenendole già note al lettore] le questioni legate all’influenza della poesia sul modo in cui noi terapeuti parliamo e ascoltiamo i pazienti e noi stessi, e quelle legate all’influenza della pratica terapeutica sul modo in cui leggiamo la poesia. Anche il sottoscritto ha sottolineato più volte che l’espressione poetica rappresenta (mutatis mutandis) un modello di come parlare al malato in psicoterapia: essa, a differenza del crudo linguaggio tecnico, è lontana (ma non troppo) dai contenuti dell’inconscio, e vicina alla coscienza. Questo fatto, insieme al sentimento di armonia che tale espressione suscita, la rende più accettabile e comprensibile (Chi è interessato, può trovare l’illustrazione di questi concetti nei saggi del sottoscritto su Baudelaire e su Dante). Nello scritto, che più sotto citerò testualmente, Ogden ci offre un’applicazione ad una particolare poesia del concetto formulato più sopra: c’illustra il modo in cui essa colpisce il lettore. Nei versi che seguono, Ogden avverte piacere e meraviglia (che spera di comunicare a chi legge il saggio) legati, in gran parte, al volto della morte; tema centrale, questo, sia di ogni forma di Arte, sia di ogni cura della sofferenza interiore.
        Seguendo il suggerimento dello stesso Ogden (“il lettore attento diviene il ‘co-autore’ del testo) mi sono permesso di aggiungere, alle sue parole, alcune mie osservazioni. Le troverete qui sotto in corsivo e fra parentesi quadre.
        Ogden premette ai versi di Frost un commento di Randall Jarrel, il primo grande critico letterario che scoprì tutto il valore di questo Poeta:
“La poesia del miglior Frost è come il mondo, in cui troviamo la nostra felicità o non la troviamo affatto (…) in queste poesie le persone non sono solo la gloria, lo scherzo e l’enigma del mondo, ma anche l’abitudine del mondo, la sua strana normalità, la sua normale stranezza…”
        [I fatti che attirano l’attenzione del Poeta (e, di conseguenza, del suo lettore) non necessariamente devono essere eccezionali: eventi gloriosi, o enigmatici, o curiosi al punto da sembrare scherzi del destino, o tragici. Anche ciò che alla gente comune appare come ordinario, visto con gli occhi del Poeta, può produrre sensazioni e fantasie originali, che non rientrano nei luoghi comuni: gli appare la “strana normalità” e la “normale stranezza” del mondo; ci si accorge che, questo mondo, lo conoscevamo solo superficialmente, o non lo conoscevamo affatto.]


Ecco qui la Poesia di Frost: “Stopping by woods on a snowy evening” (Sosta vicino ad un bosco in una sera di neve)

Whose woods these are I think I know.
His house is in the village though;
He will not see me stopping here
To watch his woods fill up with snow.

My little horse must think it queer
To stop without a farmhouse near
Between the woods and frozen lake
The darkest evening of the year.

He gives his harness bells a shake
To ask if there is a mistake.
The only other sound’s the sweep
Of easy wind and downy flake.

The woods are lovely, dark and deep.
But I have promises to keep,
And miles to go before I sleep,
And miles to go before I sleep.

        [Di chi è il bosco penso di saperlo. / Tuttavia la sua casa è nel paese; / non vedrà me che mi fermo / a guardare il suo bosco che si riempie di neve. // Il mio cavallino deve pensare che è strano / fermarsi senza fattorie vicine / tra il bosco ed il lago ghiacciato, / la sera più buia dell’anno. // Egli dà una scrollata ai sonagli / per chiedere se c’è uno sbaglio. / L’unico altro suono è il muoversi del vento / di un vento lieve e di fiocchi ovattati. // Il bosco è attraente, oscuro e profondo, / ma io ho promesse da mantenere / e miglia da percorrere prima di dormire, / e miglia da percorrere prima di dormire.]

 

        L’uso del tempo presente dona alla poesia immediatezza: siamo lì, con il Poeta, nel bosco di notte. “Il primo verso ‘Di chi è il bosco penso di saperlo’ – così dice Ogden – “conferisce autorità a sé stesso. Ma quell’autorità è sminuita dalle parole ‘penso di saperlo’ (‘I think I know’). L’effetto del secondo verso ‘Tuttavia la sua casa è nel paese’ è l’inizio di discese sottili nell’esperienza di essere soli nella vasta oscurità”
        [Supponiamo che esista un “padrone” (un Creatore, un Dio), però sono la nostra libertà e il nostro libero arbitrio che ci lasciano, per certi aspetti, soli, privi della Sua guida e della Sua protezione: tutto dipende dalle nostre scelte.].
        Nell’ultimo verso della seconda strofa, la morbidezza delle parole “snowy evening” (nel titolo della poesia) è sostituita da qualcosa di minaccioso: “the darkest evening of the year” (“la sera più buia dell’anno”). Sia la seconda strofa, sia l’inizio della terza comunicano la sensazione di qualcosa che non va: “He gives his harness bells a shake” (Egli dà una scrollata ai sonagli) che poi diventa una domanda terrificante: “To ask if there is some mistake” (“per chiedere se c’è uno sbaglio”). Questa domanda evoca ad Ogden l’immagine di qualcuno cui viene detto che ha una malattia terminale, e chiede sommessamente se questa diagnosi potrebbe essere solo uno sbaglio terribile.
        [Il cavallino rappresenta la parte infantile e candida del Poeta; parte animata dal puro e animalesco istinto di sopravvivenza. Trova strano che ci si fermi in un luogo buio e gelido, lontano da una fattoria dove si potrebbe trovare ristoro, calore, compagnia di altri esseri viventi; un luogo, insomma, dove c’è vita. È lo stesso atteggiamento, ingenuo e disperato, del paziente che si aggrappa all’illusione di un possibile sbaglio diagnostico nel momento in cui gli viene detto che la sua malattia lo porterà alla morte.].
        Gli ultimi versi della terza strofa “The only other sound’ the sweep / Of easy wind and downy flake” (“L’unico altro suono è il muoversi del vento / di un vento lieve e di fiocchi ovattati”) sono l’inizio di una serie di suoni e immagini che cullano [pur nella solitudine] e hanno il potere di trascinare chi parla e chi legge nell’oscurità e nel “lago ghiacciato”.
        [È il canto affascinante e mortifero delle Sirene ad Odisseo; è quanto esprime anche Dino Campana nei versi: “Intendi chi ancora ti culla / intendi la dolce fanciulla / che dice all’orecchio ‘Più Più’”].
        Il pesante tetrametro giambico di ogni verso – da dum, da dum, da dum, da dum – e la dura rima delle ultime parole del primo, secondo e quarto verso di ciascuna delle prime tre strofe, si combinano per creare la sensazione di una marcia forzata verso l’inarrestabile, l’inevitabile.
        La quarta strofa rispecchia la prima in quanto il verso iniziale ha l’autorevolezza di una frase completa: The woods are lovely, dark and deep” (“Il bosco è attraente, oscuro e profondo”). L’ipnotizzante (lovely: attraente) richiamo dell’inconoscibile (dark: buio), il bosco che tutto consuma [e inghiotte] (deep: profondo) è ora completo. Eppure, il verso che segue inizia con l’opposizione del “but”: “but I have promises to keep (“ma io ho promesse da mantenere”). Il Poeta non se ne andrà volentieri – ha troppe cose da fare prima di sottomettersi alla morte. Il senso della futilità della protesta e il potere assoluto della forza attrattiva del bosco oscuro sono raggiunti in un modo sorprendentemente semplice, assolutamente definitivo: la ripetizione “And miles to go before I slepp” (“e miglia da percorrere prima di dormire”)
        [Qui mi permetto d’esprimere un parziale dissenso rispetto all’interpretazione di Ogden: “troppe cose da fare” potrebbe rimandare a banali questioni di ordinaria amministrazione. Ritengo. Invece, che le “promesse da mantenere”, se hanno il potere di far scegliere la vita, anziché la morte, devono riferirsi a qualcosa di molto più nobile: le promesse fatte a chi ci ama, a noi stessi (e forse al “padrone-Creatore”) di portare a compimento il progetto di vita che ci caratterizza come individui, prima di arrenderci all’inevitabile. A spingerci a proseguire, fino alla fine, il faticoso cammino della vita non possono essere solo le necessità pratiche o i “doveri” (le imposizioni dell’istanza superegoica non preservano mai con sicurezza dal suicidio), ma la tensione verso le mete ideali (il potere dell’ideale dell’Io)].
        Il potere della ripetizione dei due ultimi versi, che crea un senso di assoluta finalità, è rafforzato dal fatto che tutti e quattro i versi dell’ultima strofa terminano con rime dure che creano la sensazione di una proclamazione finale: “deep”, “keep”, “sleep”, “sleep”. La ripetizione della parola “sleep” [dormire che chiaramente sta per il sonno eterno], che chiude la poesia, trasforma l’obiezione in verdetto, la protesta in epitaffio, la temporalità in atemporalità.

 

BIBLIOGRAFIA
  • Campana Dino Il canto della tenebra (in: Canti orfici – Rizzoli 1989)
  • Frost Robert (1923) Sosta vicino ad un bosco in una sera di neve (In: Fuoco e ghiaccio. Poesie (Adelphi 2022)
  • Ogden H. Thomas (2020) Experiencing the Poetry of Robert Frost and Emily Dickinson (Psychoanalytic Perspectives, 17, pp. 183 – 188) – Tradotto in Italiano in “Prendere vita nella stanza d’analisi”, pag. 169 (Cortina 2022)

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