Nel 1915 lo psichiatra tedesco mise in luce i danni psichici provocati dalla Grande Guerra
Conosciuto quasi unicamente per la forma precoce di demenza che porta il suo nome, Alois Alzheimer non fu solamente un brillante psichiatra. Fu anche un ricercatore versatile e una figura di spicco di quella giovane Psichiatria che, tra il XIX e il XX secolo, postulò nelle lesioni dell’ encefalo la causa delle malattie mentali. Seguendo tale assunto Alzheimer, raffinato studioso di citoarchitettura cerebrale, riuscì a individuare sul cervello di una paziente , Auguste Detier, deceduta all’età di 56 anni, quella tipologia di degenerazione neuronale che gli valse l’importante scoperta. Oltre alle classiche “placche” di significato patologico aspecifico, l’occhio attento di Alzheimer focalizzò al microscopio quelle strane alterazioni delle neurofibrille che costituivano il marchio istologico della una nuova malattia. Un “insolito morbo” che rendeva precocemente atrofico il cervello degli alienati, disgregandone via via il comportamento, il linguaggio e la memoria. Le osservazioni fatte su quella povera donna, seguita per anni presso la Clinica Psichiatrica di Francoforte, furono sintetizzate dallo psichiatra in un intervento alla XXXVII Assemblea degli psichiatri tedeschi del sud, svoltasi nel novembre del 1906 a Tubinga. Stranamente, però, a quella breve comunicazione non seguì alcuna discussione. Passò del tutto ignorata. Forse per invidie accademiche o forse perché l’attenzione dei partecipanti, a maggioranza di indirizzo biologico, venne calamitata dagli interventi accesi di un giovane Jung. Per lo psichiatra di Zurigo, sostenitore di Freud, le malattie della mente non erano sempre e solo espressione di una lesione al cervello. La psichiatria del futuro doveva, a suo dire, “studiare le associazioni mentali, le costellazioni psichiche, analizzare i sogni”. Al principio riduzionista mente-cervello, imperante in quel momento storico, si oppose anche il medico italiano Gaetano Perusini. Il valente ricercatore friulano lavorava, insieme ad Ugo Cerletti e Francesco Bonfiglio, nel laboratorio di neuropatologia guidato da Alzheimer a Monaco di Baviera. Una vera fucina di talenti situata all’interno della Clinica Psichiatrica diretta da Emil Kraepelin. Il giovane Perusini, formatosi a Roma sulle lezioni di Ezio Sciamanna, rigettò l’idea riduzionista che “il cervello produce pensieri come il fegato produce bile”. Alzheimer affidò a lui il compito di approfondire gli studi sulla demenza dopo la delusione di Tubinga. Nel 1908, Perusini riuscì a pubblicare, su una rivista in lingua tedesca curata dallo stesso Alzheimer e da Franz Nissl, un ampliamento della casistica, con osservazioni rigorose e più dettagliate (Über klinisch und Histologisch eigenartige psychische Erkrakung des späteren Lebensalters) . Venne così validata e riconosciuta dal mondo accademico la scoperta di Alzheimer. Grazie allo scrupoloso lavoro dell’ allievo. I due, uniti da reciproca stima e da meritata fama, si ritrovarono “separati” dallo scoppio del Primo conflitto Mondiale. Perusini , tornato in Italia, si arruolò nell’esercito prestando la sua opera come ufficiale medico. Alzheimer , trasferitosi nel 1915 a Bratislava per ricoprire il ruolo di professore ordinario di Psichiatria, si occupò , con una pubblicazione dal titolo “ Der Krieg und die Nerven” (“ La guerra e i nervi”), della sofferenza del popolo tedesco scombussolato dalle bombe. La guerra, agli occhi dello psichiatra bavarese, fu una “zavorra di piombo” per la psiche dei soldati e dei civili. “L’incessante fracasso dei grandi cannoni, le snervanti raffiche delle mitragliatrici, il fischio dei proiettili” turbarono la cautela, la tranquillità e la capacità di giudizio dei soldati e dei civili. La guerra faceva vedere spie in ogni dove. Rendeva malinconiche le donne. Spegneva in loro la speranza di matrimonio. I combattenti, anche quelli di buona fibra fisica e nervosa, “ si ammalarono di insonnia, con sogni spaventosi, estrema ipersensibilità contro i rumori, scatti di paura e una tendenza al pianto improvviso e ad un forte sentimentalismo”. Crebbe il numero degli epilettici e degli alcolisti. Si diffusero fra le truppe i casi di isteria. La forte angoscia tolse ad alcuni la parola, l’udito o entrambi. A margine di questa analisi impietosa di Alzheimer sulla guerra compaiono parole che suonano più come un incitamento alla resistenza che non come un’autentica valutazione scientifica. Per l’ Alzheimer patriota, la guerra non genera solo morte e malattia. Al prezzo di qualche ferita, può recare anche giovamento. Può “ rinforzare e temprare i nervi”. Non fu certamente di questo avviso Perusini che , sacrificando la propria vita, smentì questa volta il maestro. In un ospedaletto da campo, l’8 dicembre del 1915 spirò a Cormons, dopo essere stato colpito da una granata nemica nell’atto di prestare soccorso ai sodati italiani feriti. Per lui una medaglia d’argento al valor militare. Solo quella e nulla più.
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