I MODELLI TEORICO-APPLICATIVI NELLA PRASSI OPERATIVA DELLA U.O. DI CLINICA PSICHIATRICA II DELL'UNIVERSITA' DI GENOVA
ABSTRACT
L'area tematica cui si rivolge la presente tesi riguarda la gestione strategica delle risorse umane; si è scelto di delimitare in essa, come ambito specifico di studio e di ricerca, quello dello empowerment organizzativo riferito alla realtà operativa di una struttura ospedaliera complessa per ricovero e cura dei disturbi psichiatrici gravi.
La cultura dell'empowerment in psichiatria nasce e si sviluppa come metodologia di intervento sui pazienti (e sui famigliari) rivolta al recupero e al potenziamento dell'autonomia e della responsabilizzazione, alla capacitazione delle loro risorse personali in una linea di indirizzo che utilizza come condizioni operative di base la matrice relazionale, la presa in carico del paziente, la negoziazione dei trattamenti e ha come obbiettivo il miglioramento dell'efficacia e della appropriatezza degli interventi, la qualità dei trattamenti e la soddisfazione dell'utente. Ciò ha comportato la realizzazione di percorsi curativi per promuovere il passaggio del paziente da una condizione di learned helplessness, caratterizzata da mancanza di iniziativa, bassa capacità relazionale e di accesso alle risorse – chiave della comunità, incapacità/inadeguatezza a dominare gli eventi e da sentimenti quale la sfiducia, lo sconforto l'hopelessness a una condizione di self-efficacy e di mastery.
Soltanto in un momento successivo questa cultura è stata introdotta nel campo delle organizzazioni e del management ponendosi come uno dei punti di riferimento significativi per lo sviluppo delle potenzialità individuali delle risorse umane per il miglioramento delle prestazioni e dei risultati.
Ciò quindi ha comportato in psichiatria un notevole ampliamento degli orizzonti operativi per cui il processo diagnostico e clinico è andato oltre il riconoscimento del disturbo puntando anche all'identificazione delle strutture e del funzionamento psicologico e relazionale del paziente, delle sue risorse e delle sue eventuali disabilità nonché delle risorse del servizio e dell'operatore idonee a fronteggiare la complessità del problema presentato ed esplorare le possibilità emancipative dell'approccio.
In generale la gestione manageriale dell'azienda sanitaria attribuisce particolare importanza alla relazione e alla comunicazione non soltanto nei riguardi del paziente ma anche nella gestione ottimale degli operatori sanitari e del gruppo di lavoro. Questo aspetto in psichiatria si è sviluppato indipendentemente e in maniera sistematica con l'apporto delle teorie fenomenologiche, sociogenetiche e con l'applicazione della psicoanalisi allo studio dei fenomeni istituzionali e dei disturbi mentali in chiave ermeneutica e relazionale. Quindi l'incontro della cultura manageriale, riguardante la gestione delle dimensioni comunicativo-relazionali nel gruppo di lavoro, con l'organizzazione del lavoro della psichiatria istituzionale fondata oltre che sull'applicazione delle conoscenze scientifiche basate sull'evidenza anche sulla conoscenza prodotta dalla matrice relazionale e sulla presenza dell'équipe come fattore strutturale e procedurale fondamentale per la prassi operativa, ha rilevato punti di contatto come se nella seconda, pur su presupposti teorici ed epistemologici differenti fosse possibile trovare aspetti di convergenza con la prima, e mettere in evidenza l'esistenza di organizzazioni di lavoro già attrezzate per sviluppare processi di empowering organizzativo e di potenziamento e capacitazione delle risorse umane coinvolte nel lavoro.
Nella ricerca, oggetto delle presenti tesi, è stata utilizzata la metodologia della rilevazione sistematica, effettuata attraverso la revisione del modello operativo della U.O. di Clinica Psichiatrica 2^ dell'Università di Genova, di dimensioni procedurali del lavoro dell'équipe curante significativamente correlate con i processi di capacitazione e di responsabilizzazione degli operatori.
Tali dimensioni sono state così individuate: la funzione ecologica del gruppo, la capacitazione dell'identità professionale nei gesti della quotidianità, il teatro istituzionale e la scena modello. L'esame di questi ambiti ha consentito di determinare le coordinate utili per la lettura dei processi attraverso cui le funzioni di empowering si sviluppano e si autoalimentano.
La funzione ecologica del gruppo rappresenta una condizione fondamentale per promuovere la salute mentale degli operatori al lavoro e ridurre i fenomeni di burn-out; essa garantisce l'utilizzazione più appropriata delle risorse riducendo il gap che si produce tra conoscenze scientifiche teoriche e il loro campo applicativo dove si attivano variabili aspecifiche di tipo umano e relazionale che non seguono le leggi predefinite dalle evidenze statistiche e dalle prove di efficacia. Il gruppo garantisce un luogo fisico e mentale dove possono essere gestite queste variabili favorendo utilmente un miglioramento dell'organizzazione e conseguentemente anche quello della pratica clinica e assistenziale. Visto da questa prospettiva il gruppo curante può essere considerato un empowered work team (Wellins et Al., 1991): l'incontro con il paziente rappresenta sempre una nuova sfida per la ricerca di conoscenza e per concepire gli obbiettivi e i processi operativi. Gli obbiettivi all'interno di questo gruppo di lavoro assumono il valore di vision del gruppo nella misura in cui vengono coinvolti la motivazione e l'espressione delle potenzialità personali, l'autonomia e le capacità di pensiero del singolo operatore per giungere ad una meta futura che riguarda non semplicemente la guarigione della patologia presentata ma quel particolare tipo di guarigione per quel particolare tipo di persona malata; in altre parole la costruzione di un trattamento su misura implica una vision del gruppo curante che oltre a possedere le caratteristiche delineate sopra assume su di sé il rischio di generare un processo curativo in quell'area indeterminata esistente tra conoscenze teoriche e acquisizioni cliniche basate sull'evidenza da una parte e conoscenze emergenti dalla matrice intersoggettiva del paziente e degli operatori dall'altra.
Su questa condizione di base può essere strutturato l'empowering delle potenzialità personali degli operatori con l'attivazione delle riserve terapeutiche significative attraverso la rivalorizzazione dei gesti della quotidianità e la condivisione degli obbiettivi del gruppo rivolti a sviluppare modelli di lettura e di organizzazione degli stati mentali del paziente, derivando dalle esperienze emotive tratte dalla relazione di ciascun operatore con il paziente un modo per rappresentarsi come in una scena il mondo interiore del paziente (scena modello). Questo metodo operativo basato sul processo di utilizzazione delle risorse emotive e cognitive potenziali di ciascun operatore, del coinvolgimento, nel gruppo curante, dell'area della soggettività nella produzione della conoscenza specifica, consente inoltre di fornire l'opportunità di verifica delle capacità attitudinali per svolgere il proprio ruolo lavorativo con questa particolare professionalità e di mettere l'operatore in condizione di scegliere con sufficiente consapevolezza un diverso ambito operativo; per esempio questa metodologia di lavoro è risultata molto utile per la selezione del personale infermieristico di nuova ammissione che, per mezzo del percorso di lavoro che trova così strutturato, è messo in grado di acquisire capacità di autovalutazione per le proprie attitudini personali verso questo o un altro ambito lavorativo all'interno dell'ospedale.
Per concludere si può affermare che, per quanto concerne l'ambito di trattamento dei disturbi mentali gravi a livello istituzionale, queste metodologie garantiscano una gestione proficua delle riserve potenziali terapeutiche delle risorse umane in questo campo. L'applicazione di metodi conoscenza che raccolgono con maggior adeguatezza e pertinenza le variabili effettivamente in campo, risponde alle leggi della complessità che regolano l'accadere psichico. E' probabile che l'intervento sia più breve e coronato da maggior successo, se è in grado di identificare tutte le variabili presenti in quel paziente con quel problema, in quel momento e in quel particolare contesto, dando risposte diversificate e comprensive con un'azione aggiuntiva e sinergica.
INTRODUZIONE
Il processo di cambiamento sviluppatosi nella Sanità italiana nell'ultimo decennio ha modificato profondamente le regole di organizzazione, di gestione e di governo clinico. La rivoluzione sancita con le diverse riforme normative ha introdotto la aziendalizzazione come modello di riferimento per la organizzazione dei servizi, la gestione delle risorse e la valutazione dell'efficienza, dell'efficacia e dell'appropriatezza delle prestazioni erogate. Tali innovazioni hanno contribuito ad arricchire l'ambiente culturale della medicina moderna i cui progressi scientifici e tecnologici hanno generato nuovi paradigmi evolutivi, dalla medicina basata sull'evidenza alla cultura del consenso informato, in un contesto di integrazione delle conoscenze e delle prospettive di intervento con l'autonomia dell'individuo malato, e di consapevolezza della malattia come fenomeno regolato dalle leggi della complessità.
Il modello dell'aziendalizzazione ha quindi interessato anche l'ambito della salute mentale che in Italia come è noto è stato caratterizzato da cambiamenti radicali dopo la riforma del 1978 che ha eliminato la discriminazione del paziente con disturbi mentali dagli altri pazienti e ha dato vita alla psichiatria di comunità. Le problematiche connesse all'organizzazione dei servizi sono sempre state una delle questioni centrali dei sistemi di assistenza psichiatrica, e questo per diversi motivi: la complessità dei fondamenti epistemologici di questa disciplina e le contrapposizioni, spesso ideologiche, tra orientamenti teorici diversi biologici, psicologici e sociali , il prevalere per molto tempo di modelli custodialistici su modelli ermeneutici, la mancanza di tecnologie forti, la molteplicità delle professionalità coinvolte, il ruolo della committenza e del mandato sociale nella definizione delle funzioni e degli assetti dei servizi. A differenza delle altre discipline mediche la psichiatria fonda le proprie radici su prospettive di conoscenza diverse tra di loro: il modello delle scienze naturali che riduce i fenomeni psicopatologici a entità misurabili e produce categorie diagnostiche e procedure di intervento standardizzate, il modello sociologico e sociogenetico e infine quello ermeneutico-psicologico in cui il disturbo psichico si relativizza e la conoscenza si sviluppa nell'ambito della comprensione dell'esperienza interiore del singolo individuo. Queste diverse anime della psichiatria hanno da tempo determinato l'esigenza di sviluppare mentalità professionali capaci di funzionare in maniera allargata integrando faticosamente le diverse fondazioni metodologiche e i diversi modelli del conoscere per poter offrire al paziente interventi che coniughino il sapere scientifico con la singolarità dell'esperienza del tutto personale della sofferenza psichica. Pertanto l'incontro della psichiatria, o almeno di quella parte di essa che è riuscita a sviluppare questa mentalità attraverso la cultura fenomenologica e la attitudine ermeneutica della psicoanalisi, con l'aziendalizzazione ha trovato nuovi stimoli di condivisione degli obbiettivi di cura fornendo al contempo proposte e criteri gestionali adeguati alle esigenze della disciplina stessa. Ci sono aspetti della cultura aziendale e della gestione manageriale della sanità che attribuiscono alla relazione, alla comunicazione e alla informazione il significato di valore fondamentale per il raggiungimento degli obbiettivi e per il miglioramento continuo delle prestazioni dando particolare importanza alla dimensione del gruppo di lavoro e alle metodologie di gestione della relazione interpersonale al suo interno. Questo aspetto per il professionista psichiatra esperto che non riduce la conoscenza dei disturbi della mente soltanto a mere formule diagnostiche e a correlati biologici, rappresenta un ambito di conoscenza, di ricerca e di operatività essenziale per coniugare il sapere scientifico con le variabili relazionali (da alcuni relegate al rango di fattori aspecifici) e poter fornire un trattamento taylored. Si tenga conto inoltre che la disciplina psichiatrica non necessita, almeno allo stato attuale delle conoscenze, di supporti tecnologici se non nel processo di diagnosi differenziale o di valutazione della comorbidità somatica e che per raggiungere gli obbiettivi di cura e migliorarli deve saper produrre modelli avanzati di organizzazione dei servizi e modelli di moltiplicazione delle potenzialità delle risorse umane impegnate. Le risorse umane rappresentano quindi uno dei due principali capisaldi della operatività nel campo della salute mentale sia per la multiprofessionalità a cui essa fa riferimento sia per il significato fondamentale che la relazione interpersonale possiede nella gestione dei conflitti generati dall'istituzione curante e dalla psicopatologia , e nel coordinamento dei differenti livelli di intervento da parte delle diverse figure professionali coinvolte nella rete sanitaria e assistenziale. La cultura della presa in carico individuale del paziente, della continuità terapeutica e della mentalità di lavoro in gruppo viene a costituire una framework che delimita il campo operativo in cui si possono coniugare le teorie scientifiche e i loro correlati tecnico-applicativi con le variabili comunicativo-relazionali derivanti dall'incontro con le manifestazioni individuali della psicopatologia e le esperienze emotivo-affettive e comportamentali dell'equipe curante. Su queste premesse appare di particolare interesse l'incontro con il modello manageriale in tema di politica sanitaria soprattutto per quanto riguarda la sua declinazione nella gestione delle risorse umane e della comunicazione nel gruppo di lavoro. La definizione di Drucker (1990) del compito del manager esprime con estrema chiarezza la qualità di questa dimensione operativa: "rendere i propri collaboratori capaci di realizzare performance cooperative attraverso la definizione di obbiettivi comuni, comuni valori, la giusta struttura organizzativa e il training e lo sviluppo culturale necessari per operare cambiamenti e rispondere attivamente e in modo partecipato ad esso". Obbiettivi e valori comuni, idonee strutture organizzative, training e sviluppo professionali coerenti, potere e autonomia decisionali sufficienti per svolgere i propri compiti , ragionare con valori e mete ideali condivisi da tutti coloro che lavorano nell'organizzazione, appaiono tutti fattori che informano il campo di lavoro istituzionale per la tutela e il recupero della salute mentale, fondato appunto sulla formazione degli operatori alla responsabilità individuale nella gestione del caso singolo e allo stesso tempo alla necessità di fare riferimento al proprio gruppo di lavoro per attivare forme di conoscenza e di comprensione mediate esclusivamente dal coinvolgimento dei colleghi che collaborano nel trattamento. La conoscenza scientifica più aggiornata che produce metodologie di intervento di documentata efficacia (vedi evidence based psichiatry, linee guida per il trattamento, etc.) rappresenta soltanto una parte del processo di valutazione e di cura; esiste infatti un altro tipo di conoscenza che si sviluppa nella conduzione del caso singolo e che deriva e si genera dalla matrice relazionale dell'incontro terapeutico. La relazione terapeutica e la relazione all'interno del gruppo di lavoro di équipe producono pertanto fattori di training continuo e di evoluzione costante della conoscenza di tutti i membri dello staff per mezzo del contributo di esperienza e di osservazione di ciascuno di essi relativamente al proprio ruolo, e al confronto e alla verifica di esso all'interno del gruppo. Si pensi soltanto che una delle condizioni ritenute oggi indispensabili per produrre competenza nel trattamento dei pazienti gravi è la presenza di un'équipe curante la cui struttura organizzativa preveda spazi operativi ben definiti (audit clinici quotidiani p.e.) per rappresentare gli stati mentali del paziente e utilizzare le potenzialità dei singoli operatori al fine di generare conoscenza e interventi condivisi sintonici con le variabili complesse dell'esprimersi psicopatologico (Correale, Rinaldi ,1997; Berti Ceroni, Correale, 1999). Questo tipo di struttura organizzativa e le metodologie operative che la informano sono in grado di sviluppare processi di empowerment degli operatori e dei pazienti nella misura in cui basano il loro funzionamento su processi di potenziamento delle capacità individuali nella produzione di risultati, derivanti dalla generazione di progetti terapeutici condivisi.
L'APPROCCIO EMPOWERMENT
L'empowerment storicamente nasce negli anni cinquanta del ‘900 in seguito allo svilupparsi di iniziative di difesa dei diritti dei pazienti per ottenere atti legislativi favorevoli e migliori trattamenti. Negli anni sessanta empowerment è stata una parola d'ordine di molti gruppi che chiedevano più libertà e più diritti in loro favore, per esempio il diritto al lavoro dei pazienti psichiatrici (Geller, 2000). Negli anni settanta si definì compiutamente il principio fondamentale del modello dell'empowerment che contrapponendosi alla istituzione totale medicalizzata del manicomio nella gestione della malattia mentale affermava il diritto alla produzione e al controllo dei servizi sanitari da parte dei consumer. Nel 1984 il Community Support Program costituito nel 1977 dal National Institut of Mental Health indicò nell'autodeterminazione un principio guida e dichiarò che l'empowerment dei consumer era una delle proprie mete fondamentali (Mencacci, Straticò, 2003). Sempre negli anni settanta la cultura dell'empowerment riversò i propri contenuti al di fuori del campo in cui si era sviluppata, nell'ambito delle organizzazioni, del management e della ricerca sulla qualità totale (con l'enfasi sulla centralità e la soddisfazione del cliente). In Italia il modello dell'empowerment ha assunto declinazioni diverse: quello di responsabilizzazione secondo il significato attribuito da Scott e Jaffe (1997), quello di sviluppo di possibilità che secondo Piccardo (1995) riguarda il "processo di sviluppo dell'individuo, membro della polis, al più alto livello delle proprie possibilità professionali", e quello proposto da Straticò (2001) di capacitazione facendo riferimento alla capacità intesa non soltanto come "saper fare e sapere come si fa […..] ma anche il senso di essere capaci, quindi fino all'autostima" (Castelfranchi, 2002), cioè come self-efficacy e quindi come vissuto di fiducia nella capacità di agire in modo efficace con altri per definire e conseguire con successo fini e obbiettivi personali. L'approccio empowerment rappresenta in sintesi una cultura che partendo dalla centralità della persona tende all'affermazione di mature espressioni della soggettività, all'ampliamento delle libertà e dei diritti, allo sviluppo delle potenzialità, della padronanza (mastery), della responsabilizzazione e della capacitazione. "E' una cultura le cui logiche sono di tipo inclusivo ed anti-autoritario, integrative e per questo non riduzioniste, che si propone quindi come aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a preesistenti saperi e ai diversi modelli di intervento" (Mencacci, Straticò, 2003). Secondo Bruscaglioni (1994) empowerment è una parola duplice (achievement verb) che definisce sia uno stato di risultato (il livello empowerment di una persona o di una organizzazione rispetto ad un'area che li riguarda) sia il processo operativo attraverso cui tale condizione-risultato viene raggiunto; questo termine è stato adottato per definire elementi e fenomeni di natura intrinsecamente diversa. Questo autore pone particolarmente in rilievo come l'aggregazione di questi elementi abbia condotto allo sviluppo di una cultura vera e propria in cui egli evidenzia soprattutto alcune componenti costitutive significative:
- un costrutto psicologico, una caratteristica cioè del soggetto nella sua interazione con l'ambiente; l'approccio empowerment come costrutto psicologico è quella che, studiata prevalentemente in psicologia di comunità, forse meglio aiuta a raggiungere le dimensioni costitutive e a capire la natura profonda dell'empowerment, dando spessore e consistenza anche alle successive applicazioni operative più pragmatiche;
- un processo operativo, percorrendo il quale il soggetto sviluppa-aumenta il suo livello di empowerment rispetto ad uno specifico oggetto-area.
- un approccio applicativo orientativo, che guida metodologicamente e processualmente nel fare operativo.
L'empowerment psicologico è secondo Zimmerman (1990) "il senso di padronanza e controllo su ciò che riguarda la propria vita", farebbe riferimento a qualcosa di intrinseco al soggetto in relazione con il mondo, qualcosa di soggettivo (un sentimento, un vissuto di sé) che attiene l'uso che l'individuo sente di sapere e di potere fare delle proprie risorse personali e delle risorse che può acquisire. Naturalmente, afferma ancora Bruscaglioni (1994) l'empowerment in senso completo sarà dato dalla somma e dalla sinergia dell'empowerment psicologico e dall'empowerment soggettivo-ambientale rappresentato dalle risorse e dalle possibilità fornite/consentite dall'ambiente.
Zimmerman e Rappaport (1988) hanno elencato una serie di dimensioni che costituiscono il costrutto dell' empowerment psicologico:
- attribuzione al sé di risultati ed effetti del proprio agire (internal locus of control) cioè la tendenza a interpretare i risultati e gli effetti delle proprie azioni come determinati dai propri comportamenti più che da forze esterne indipendenti;
- percezione di auto efficacia (perceived self-efficacy) come tendenza a percepire sé come persona capace di scegliere e mettere in atto, di fronte a certe situazioni, i comportamenti più adeguati tra quelli disponibili;
- percezione di competenza come tendenza a valutare positivamente le proprie capacità e skills rilevanti rispetto ad un'area specifica di attività;
- tendenza motivazionale all'azione, alla gestione e a desiderare di avere padronanza e controllo sui fattori in gioco;
- tendenza alla speranza (hopefullness) come attitudine a ritenere che variabili, fenomeni, eventi sono gestibili e controllabili e quindi indirizzabili verso esiti sperati;
- ideologia della potenzialità di influire sugli avvenimenti e sui cambiamenti, e della responsabilità verso sé stessi e verso gli altri.
In psichiatria l'empowerment può essere definito tanto verso il paziente che per i componenti del gruppo di lavoro come una consapevole e responsabile progettualità generativa della persona. Per quanto riguarda il paziente l'empowerment può essere proposto come obbiettivo generale della presa in carico che si esprime in un percorso di cura che ha come obbiettivo non soltanto la guarigione del disturbo ma anche l'attivazione complessiva di un soggetto interagente nel suo ambiente sociale e comunitario. In questa sede non vengono ulteriormente approfondite le diverse metodologie di empowering centrate sul paziente, promosse dalle politiche sanitarie a livello nazionale/regionale o facilitate da interventi attuati dai servizi a livello locale, mentre verrà preso in considerazione e sviluppato l'approccio empowering del gruppo di lavoro. Mencacci e Straticò (2003) affermano a questo proposito che l'approccio empowering al paziente sarà più facilitato, e sorretto da una più salda motivazione, quanto più i singoli componenti del gruppo di lavoro avranno potuto vivere all'interno dell'organizzazione un'analoga esperienza emancipativa, di cui avranno colto il senso, i valori, le logiche e gli ingredienti trasformativi. L'organizzazione punterà sulla persona, promuovendone e facilitandone l'elevazione, l'autodeterminazione e la responsabilizzazione verso i processi, i prodotti e i clienti. Quinn e Spreitzer (2000) peraltro affermano che tocca ai collaboratori scegliere di essere empowered, di voler intraprendere un percorso che da una condizione di powerlessness, caratterizzata da marginalità nel processo decisionale, passività, scarsa autonomia esecutiva, bassa produttività, sfiducia nelle proprie capacità, giunga ad una condizione empowered riscontrabile in quell'operatore che sia capace di assumere iniziative e di portarne la responsabilità e sia considerato non più "dipendente", fattore di costo da razionalizzare, o risorsa da gestire e controllare, ma partner affidabile, creativamente positivo e responsabile, e a sua volta generatore di empowerment. Il gruppo di lavoro informato a questo principio non si avvale della cultura burocratica del comando e del controllo necessaria per fare eseguire un lavoro sentito come dovere.
EMPOWERMENT ORGANIZZATIVO E COMPETENZA INDIVIDUALE NEI MODELLI OPERATIVI DELLA U.O. DI CLINICA PSICHIATRICA 2^ DELL'UNIVERSITA'DI GENOVA
In questo contributo viene preso in esame il modello operativo dell'assistenza psichiatrica nella U.O. di Clinica Psichiatrica 2^ dell'Università di Genova, reparto di degenza femminile distinto dal Servizio di Diagnosi e Cura esistente nella stessa Azienda Ospedaliera ma dipendente dalla ASL Genova 3. Ad esso affluiscono pazienti provenienti dal pronto soccorso dell'Azienda Ospedaliera, dai servizi di salute mentale, da comunità terapeutiche e da altri servizi psichiatrici della Regione. Vengono trattate prevalentemente patologie gravi intendendo con questo termine quei disturbi in cui il Sé è più o meno gravemente compromesso e cioè tutti i disturbi psicotici e i disturbi di personalità (borderline e narcisistici gravi). Il trattamento psichiatrico, comprendente cure psicofarmacologiche e altre tipologie di intervento somatico specifico e generale, ha un orientamento psicodinamico derivante da una trentennale esperienza applicativa della psicoanalisi alla prassi psichiatrica istituzionale (Conforto, Marcenaro, 1989; Marcenaro, 1998); ciò ovviamente non consiste nell'uso della tecnica psicoanalitica come trattamento ma nella formazione degli operatori a ricondurre i tradizionali strumenti del curare psichiatrico ad una dimensione relazionale ove è possibile sviluppare una comprensione significativamente correlata ai versanti profondi dei movimenti psicopatologici e degli interventi curativi. In altre parole la prassi psichiatrica consistente nella valutazione diagnostica e nel trattamento psicofarmacologico secondo le linee guida , nell'applicazione di trattamenti somatici, generali e psicocorporei (accudimento corporeo continuativo, trattamento fisioterapico, etc.), e riabilitativi viene integrata con la presa in carico individuale e in équipe, con l'allenamento all'ascolto e alla percezione psicoanalitica (Speziale-Bagliacca, 1980; Marcenaro, 1989) che consentono di cogliere e sfruttare, al di là della concretezza degli interventi connotati in senso medico e pragmatico, la dimensione comunicativo relazionale verbale e non verbale, e orientare le tappe e la tipologia del percorso terapeutico. Gli obbiettivi del trattamento mirano al recupero del benessere del paziente e della autostima, al miglioramento dei sintomi psicopatologici nel rispetto delle capacità attuali di tolleranza del cambiamento, al miglioramento relazionale familiare, lavorativo e socioambientale, allo sviluppo dell'alleanza terapeutica, della condivisione dei programmi terapeutici sviluppati durante la degenza e della aderenza ai progetti di cura successivi al ricovero.
L'esperienza clinica e organizzativa della prassi operativa della U.O. di Clinica Psichiatrica 2^ suggerisce che devono esistere a livello strutturale determinati criteri, intesi come norme predefinite di qualità, perché il trattamento psichiatrico integrato istituzionale (psichiatrico-psicoterapeutico) risulti appropriato. Esaminando gli aspetti organizzativi e procedurali del trattamento possono essere evidenziati alcuni fattori di base significativamente correlati con la funzione curativa dell'intervento psichiatrico integrato istituzionale; essi sono:
- l'unita funzionale del setting (concetto mutuato da Grimberg,1981) intesa come organizzazione di base contenente criteri ordinatori, sia della valutazione psicopatologica e della scelta degli interventi, che funzionano mediante l'attivazione di meccanismi di feed-back tra standard predeterminati e lo sviluppo di azione correttive;
- il contesto facilitante intersoggettivo (concetto mutuato da Stolorow e Atwood, 1992) inteso come funzione assunta dall'ambiente istituzionale opportunamente riconosciuto e utilizzato per le sue proprietà di promozione dei processi di reintegrazione del Sé;
- l'equipe curante e alcuni suoi modelli funzionali, intesa come riserva potenziale di conoscenza dei meccanismi psichici che regolano le manifestazioni psicopatologiche, che può essere attivata dalla rielaborazione delle interazioni e dei comportamenti che ciascun membro del gruppo curante mette in atto nella relazione terapeutica e di accudimento. Ciò in particolare risulta di estrema utilità e insostituibile strumento per sviluppare la capacità di cogliere i "momenti critici", che non si improvvisa e che rappresenta una qualità dell'operatore addestrato dal training continuo sui processi di conoscenza relazionale intersoggettiva.
Questa sintetica descrizione degli elementi organizzativi della prassi operativa su cui si sviluppano le procedure terapeutiche e gli interventi ha in questa sede la funzione di cornice di inquadramento; tutti i fattori sunnominati concorrono a determinare il funzionamento complessivo e sono complementari tra di loro. Nella trattazione in oggetto, tenendo conto di questa premessa, verrà preso in considerazione soltanto il terzo fattore riguardante l'equipe e i suoi modelli funzionali in quanto rappresentano il campo preminente dell'indagine sull'empowerment delle risorse umane, obbiettivo della presente tesi.
La metodologia che viene utilizzata per questa ricerca consiste, facendo riferimento alle considerazioni strutturali e procedurali di base svolte in precedenza, nella rilevazione sistematica di alcune dimensioni della prassi operative del lavoro di equipe che rappresentano modelli di capacitazione degli operatori, di sviluppo continuo della loro professionalità realizzato attraverso la coniugazione della conoscenza scientifica con le potenzialità soggettive di ognuno. I percorsi formativi attraverso i quali sono state sviluppate queste riserve di capacitazione degli operatori derivano prevalentemente dalla formazione psicoanalitica del leader, del capo dell'istituzione curante e dei suoi collaboratori a loro volta formatisi con training psicoanalitici, e dall'apprendimento alla utilizzazione della percezione psicoanalitica come attitudine a sviluppare forme di conoscenza dai differenti livelli di interazione istituzionale (operatore-operatore, operatore-équipe, paziente-operatore, paziente-équipe, paziente-paziente, etc.), dai momenti di criticità e di impasse comunicativo-relazionale.
La funzione ecologica del gruppo.
L'esistenza dello staff curante costituisce un attributo terapeutico caratteristico dell'istituzione in generale e consente funzioni non esplicabili dal terapeuta che cura da solo. E' ormai un dato acquisito che l'équipe è uno strumento di elaborazione intellettiva, emotiva per il curante singolo che ha in carico il paziente; essa quindi esplica una funzione ben precisa e perde il significato di dimensione concreta in cui semplicemente convivono e si sommano gli interventi condotti ai diversi livelli dai diversi operatori (Feinsilver, 1986; Correale, 1991; Boccanegra, 1993). L'impatto con il paziente grave comporta nei curanti stati mentali del tutto specifici che un'ampia letteratura ha descritto (Giovacchini, 1979; Zapparoli, 1988; Berti Ceroni, Correale, 1999); l'intensità, la pervasività, la frammentarietà e la confusività di tali esperienze rendono insufficiente la preparazione e la competenza del curante singolo. La funzione del gruppo istituzionale risulta pertanto fondamentale come potente organismo di contenimento, di supporto e di elaborazione degli stati affettivi e delle criticità comunicativo- relazionali del singolo curante e degli altri operatori; cioè il gruppo svolge funzioni di restauro, di mantenimento, di rinforzo e arricchimento del singolo curante e degli operatori coinvolti con il paziente. Al leader spetta la promozione della funzione ecologica del gruppo affinché per mezzo di essa ciascuno possa usufruire di sostegno emotivo, di rifornimento e di rivitalizzazione del proprio assetto mentale all'interno di uno spazio protettivo, propizio e sufficientemente vivibile. La funzione ecologica del gruppo produce per esempio il recupero dell'autostima di fronte a stati mentali di perdita di fiducia e di speranza ma soprattutto concorre a restituire senso, significato e valore per la conoscenza e per l'arricchimento professionale, a esperienze emotive dolorose, disturbanti, destabilizzanti che derivano dalle interazioni istituzionali. Per il curante e per gli operatori l'esistenza del gruppo può rappresentare un'area di sensazioni ed esperienze di carattere fisico oltre che emotivo e fantasmatico. Esso può fornire la sensazione di appartenere ad un comune terreno condiviso e di far parte di un unico corpo indistinto e unificato. Questo tipo di esperienza, ovviamente se non è ipertrofica, è una condizione favorevole per lo svolgimento di un buon lavoro perché permette di provare un senso di protezione, appartenenza e sostegno quando di fronte all'impatto con il paziente c'è bisogno di ritrovare un luogo con connotati di vitalità, calore e fiducia per il senso di minaccia percepito nei riguardi del proprio Sé, cioè uno spazio fisico, ma anche psichico e affettivo, la cui presenza rappresenta una sorta di apparato di base di rifornimento affettivo e di sostegno. Correale (1995) delinea gli attributi che da questo punto di vista il gruppo di lavoro deve possedere per esprimere un'adeguata funzione terapeutica: deve essere un gruppo omogeneo con coordinate affettive comuni di solidarietà, sostegno, sincerità e capace di viversi con orgoglio consapevole della propria storia comune, con coerenza di obbiettivi e non solo come macchina per produrre risultati. Questi ultimi infatti sono tali se rappresentano il frutto dell'esperienza condivisa di lavoro dove ciascuno ha la consapevolezza di avere partecipato oltre che con il proprio bagaglio culturale anche con le proprie potenzialità personali. In questo processo assume particolare rilevanza la funzione del leader che deve avere la capacità di coordinare il gruppo, rifornendolo di un sentimento di continuità e modulando opportunamente prescrittività e discrezionalità.
La capacitazione dell'identità professionale nei gesti della quotidianità
Esiste in tutti gli esseri umani una matrice esperienziale elementare e comune derivante dalle origini della vita individuale : si tratta di tutto ciò che ha avuto a che fare con le cure materne relative all'accudimento più elementare grazie al quale è stata garantita la reale sopravvivenza fisica. In seguito con l'apprendimento della "sicurezza" trasmessa dagli affetti si è sviluppata una vita mentale più complessa e organizzata che si può immaginare sorretta da quest'area della quotidianità sensoriale arcaica corrispondente alle cure materne più antiche. Quest'area indifferenziata è comune, pur nelle differenze individuali, a pazienti e operatori (Boccanegra, Russo, 1999). Molte delle cure mediate dalla concretezza dell'azione assistenziale risultano efficaci mentalmente perché inseribili in quest'area parafamiliare materna. Osservata da questa prospettiva la vita di un'istituzione deve poter risentire in senso positivo anche del patrimonio delle "buone" esperienze familiari degli operatori che la compongono (Russo,1997). Se una dedizione sincera entra al momento opportuno nella composizione dell'atmosfera emotiva, anche il gesto porta le tracce della sintonia mentale tra due persone e rappresenta una potenzialità per sviluppare pensieri. Tutto ciò ha inizialmente un carattere inquietante per i singoli operatori se non sono resi progressivamente consapevoli, attraverso una continua elaborazione comune e condivisa, dell'importanza evolutiva per alcuni pazienti del riproporsi di comportamenti specifici , chiari e ragionevolmente "buoni" , che siano tuttavia rispettosi del momento "critico" del paziente e dei suoi tempi evolutivi. La capacità di cogliere i momenti critici non si improvvisa e costituisce il vero segreto del lavoro accudente. L'addestramento dell'operatore ad utilizzare le proprie potenzialità per raggiungere momenti di sintonia relazionale a valenza riparativa e acquietante con il paziente, passa attraverso un'esperienza nel gruppo di rivalutazione, nei gesti automatici della propria esistenza, delle componenti a forte carica emotivo-affettiva-relazionale di cui erano stati privati nel corso dell'acquisizione di conoscenze formative professionalizzanti. Questo processo di riconoscimento (nel senso di conoscere di nuovo) possiede una notevole potenzialità di capacitazione verso la propria identità professionale quando si tratti di porre in evidenza sia atteggiamenti e comportamenti destabilizzanti per il paziente sia quelli sintonizzanti e rivitalizzanti per il Sé frammentato del paziente.
Una paziente con un gravissimo quadro di stupor melanconico caratterizzato da stato confusionale, subeccitamento, perdita delle funzioni escretorie, opposizione agli interventi per il recupero dell'alimentazione e prognosi riservata quoad vitam per l'incipiente instaurarsi di alterazioni metaboliche, del funzionamento degli emuntori, necessitava di interventi invasivi per la ripristinare le funzioni vitali (alimentazione assistita con sondino nasogastrico, eventualmente cateterismo in succlavia,etc.); un'anziana infermiera di fronte all'ennesimo tentativo di alimentarla iniziò a mimare il gioco dell'aeroplano con il cucchiaio che veniva da lontano e rombando si avvicinava alla sua bocca (era un gioco che si faceva ai bambini per calmarli quando non volevano mangiare); accompagnandosi alle cantilene che la paziente soleva canticchiare come una Ofelia impazzita dal dolore, fu in grado di non trovare più alcuna resistenza in lei, di trovare un punto di contatto con lei, di ripristinare l'importante funzione vitale evitando procedure invasive e di rialzare il morale di tutta l'équipe.
Il teatro istituzionale e la scena modello
A differenza del passato in cui l'istituzione nella sua versione totale dell'Ospedale psichiatrico è stata considerata (e anche utilizzata) come istanza disumanizzante, apparato ossessivo burocratico,un sistema di difesa dal riconoscimento del dolore, della sofferenza e della morte, gradualmente, con lo svilupparsi del lavoro di equipe al suo interno, ha assunto il significato e la funzione di luogo di relazione in cui si articola il rapporto tra un paziente grave e il gruppo di curanti che si prende cura di lui. Il gruppo istituzionale ha dunque assunto il ruolo di importante teatro, dove fantasmi fortemente carichi di affettività prendono corpo, un grande spazio attrezzato dove tutti gli eventi sono sotto gli occhi di tutti e quindi possono essere avvicinati e studiati (Correale, 1999). Si tratta perciò di un campo secondo l'accezione di Lewin, dove ciò che accade al suo interno ne rimane delimitato e senza il quale molti messaggi comunicativi andrebbero perduti; se si considera che nei disturbi mentali gravi la comunicazione è affidata all'azione e che spesso l'azione è tangenziale e periferica, si comprende che la concezione di campo rappresenta le potenzialità possedute dall'istituzione di riacquisire e ricomporre particolari. I disturbi mentali gravi consistono essenzialmente in un grave disturbo delle coordinate di base del senso di sè, in particolare della sua coesione, continuità e vitalità. In altre parole è soprattutto compromessa l'esperienza mentale di fondo che normalmente essendo presente e funzionando con continuità e stabilità non viene percepita, cosi come normalmente se tutto funziona all'interno del corpo gli organi lavorano in silenzio esplicando la propria funzione vitale. La compromissione di questa struttura mentale di fondo trova nella presenza del gruppo di lavoro istituzionale addestrato ad osservare, registrare, a dare senso alle azioni dei pazienti e degli operatori, una struttura mentale di base sostitutiva dove il materiale raccolto nell'esperienza quotidiana di interazione nella cura e nell'assistenza, può essere continuamente riversato e utilizzato per costruire una rappresentazione di ciò che sta avvenendo nel paziente. Il curante e tutti gli operatori coinvolti con i loro diversi ruoli nei confronti del paziente, partecipano ciascuno con la loro esperienza diretta o indiretta a riportare gli eventi interattivi all'interno di uno spazio fisico e mentale definito dal gruppo, contribuendo alla costruzione di una sorta di rappresentazione teatrale (vedi ‘scena modello', Lichtenberg, 1992) in cui i singoli eventi psichici acquistano progressivamente una coerenza e una possibilità di comprensione. Con questa attività il gruppo curante svolge una funzione di organizzazione psichica; essa consiste essenzialmente nel selezionare, nella massa di notizie e di informazioni portate nel gruppo, una scena speciale- un sogno, in ricordo, un evento, un episodio collocato nel presente o nel passato- che abbia la capacità di rendere chiaro a tutti uno stato affettivo di base vissuto dal paziente (Lichtenberg, 1992). La scena che emerge dalla massa del materiale svolge quindi una funzione di sintesi e di raccordo, ma soprattutto permette a tutti una identificazione con il vissuto del paziente e non soltanto una sua osservazione.
Il punto cruciale dal punto di vista dell'empowerment degli operatori riguarda l'opportunità che continuamente si produce di acquisire conoscenza: l'operazione complessiva che il gruppo compie consiste in una trasformazione della condizione mentale dei curanti, che va dalla reazione emotiva a un comportamento fino all'identificazione affettiva di uno scenario. L'effetto complessivo è quello di dare sostanza e vitalità al materiale che proviene dall'esperienza interattivo-comunicativa con il paziente. Affinché questa funzione possa venire prodotta, sono necessarie alcune condizioni: la consapevolezza da parte di tutto il gruppo curante di voler raggiungere questo obbiettivo, la presenza di un clima democratico dove gli affetti possano circolare, ancorché sgradevoli, e dove la produzione di immagini e ricordi sia facilitata e non inibita, e infine che il leader garantisca una capacità di condensare efficacemente gli affetti circolanti e di proporre al gruppo una scena che dia senso a ciò che tutti hanno contribuito a rappresentare. L'avvenuta integrazione non determina necessariamente nuove vie terapeutiche ma rifornisce il gruppo di carica e vitalità, di curiosità ed energia, tali che il gruppo trova poi, in vari modi, nuove vie per operare.
CONCLUSIONI
L'esperienza di cura e di assistenza di pazienti con patologie mentali gravi informata ai modelli del trattamento psichiatrico integrato a orientamento fenomenologico e della psicoanalisi applicata alle istituzioni ha consentito di porre in evidenza, attraverso la revisione degli aspetti costitutivi della prassi operativa, alcuni fattori strutturali e procedurali significativi nell'ambito della cultura manageriale e dell'empowerment organizzativo promossa dall'aziendalizzazione dei servizi sanitari pubblici. E' stato quindi possibile rilevare alcune metodologie del lavoro istituzionale dotate di funzioni di capacitazione dell'identità professionale degli operatori e delle potenzialità individuali, attraverso metodologie di lavoro che coniugano la conoscenza scientifica con la condivisione di esperienze relazionali e di partecipazione a processi generativi di conoscenza attivati dalla relazione con il paziente e dall'apporto del gruppo di lavoro.
La funzione ecologica del gruppo rappresenta una condizione fondamentale per promuovere la salute mentale degli operatori al lavoro e ridurre i fenomeni di burn-out; essa garantisce l'utilizzazione più appropriata delle risorse riducendo il gap che si produce tra conoscenze scientifiche teoriche e il loro campo applicativo dove si attivano variabili aspecifiche di tipo umano e relazionale che non seguono le leggi predefinite dalle evidenze statistiche e dalle prove di efficacia. Il gruppo garantisce un luogo fisico e mentale dove possono essere gestite queste variabili favorendo utilmente un miglioramento dell'organizzazione e conseguentemente anche quello della pratica clinica e assistenziale. Visto da questa prospettiva il gruppo curante può essere considerato un empowered work team (Wellins et Al., 1991): l'incontro con il paziente rappresenta sempre una nuova sfida per la ricerca di conoscenza e per concepire gli obbiettivi e i processi operativi. Gli obbiettivi all'interno di questo gruppo di lavoro assumono il valore di vision del gruppo nella misura in cui vengono coinvolti la motivazione e l'espressione delle potenzialità personali, l'autonomia e le capacità di pensiero del singolo operatore per giungere ad una meta futura che riguarda non semplicemente la guarigione della patologia presentata ma quel particolare tipo di guarigione per quel particolare tipo di persona malata; in altre parole la costruzione di un trattamento su misura implica una vision del gruppo curante che oltre a possedere le caratteristiche delineate sopra assume su di sé il rischio di generare un processo curativo in quell'area indeterminata esistente tra conoscenze teoriche e acquisizioni cliniche basate sull'evidenza da una parte e conoscenze emergenti dalla matrice intersoggettiva del paziente e degli operatori dall'altra.
Su questa condizione di base può essere strutturato l'empowering delle potenzialità personali degli operatori con l'attivazione delle riserve terapeutiche significative attraverso la rivalorizzazione dei gesti della quotidianità e la condivisione degli obbiettivi del gruppo rivolti a sviluppare modelli di lettura e di organizzazione degli stati mentali del paziente, derivando dalle esperienze emotive tratte dalla relazione di ciascun operatore con il paziente un modo per rappresentarsi come in una scena il mondo interiore del paziente (scena modello). Questo metodo operativo basato sul processo di utilizzazione delle risorse emotive e cognitive potenziali di ciascun operatore, del coinvolgimento, nel gruppo curante, dell'area della soggettività nella produzione della conoscenza specifica, consente inoltre di fornire l'opportunità di verifica delle capacità attitudinali per svolgere il proprio ruolo lavorativo con questa particolare professionalità e di mettere l'operatore in condizione di scegliere con sufficiente consapevolezza un diverso ambito operativo; per esempio questa metodologia di lavoro è risultata molto utile per la selezione del personale infermieristico di nuova ammissione che, per mezzo del percorso di lavoro che trova così strutturato, è messo in grado di acquisire capacità di autovalutazione per le proprie attitudini personali verso questo o un altro ambito lavorativo all'interno dell'ospedale.
Per concludere si può affermare che, per quanto concerne l'ambito di trattamento dei disturbi mentali gravi a livello istituzionale, queste metodologie garantiscano una gestione proficua delle riserve potenziali terapeutiche delle risorse umane in questo campo. L'applicazione di metodi conoscenza che raccolgono con maggior adeguatezza e pertinenza le variabili effettivamente in campo, risponde alle leggi della complessità che regolano l'accadere psichico.E' probabile che l'intervento sia più breve e coronato da maggior successo, se è in grado di identificare tutte le variabili presenti in quel paziente con quel problema, in quel momento e in quel particolare contesto, dando risposte diversificate e comprensive con un'azione aggiuntiva e sinergica.
L'approccio empowering consente di affermare l'importanza che assume nell'organizzazione dei servizi , per la loro efficienza e per l'efficacia dei risultati, la qualità dei metodi di gestione delle risorse umane e non soltanto la loro forza numerica. Come afferma Saraceno (1990) "la nozione di risorsa viene spesso considerata in modo restrittivo come se fosse esprimibile soltanto in termini quantitativi, ossia come puro conteggio di risorse umane e logistiche a disposizione di un servizio. E' invece chiaro come numerose variabili interne allo staff o ad esso esterne possano costituire o costituiscano elementi decisivi che possono agire come moltiplicatori (o demoltiplicatori) delle risorse".
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