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LA FORMAZIONE DI BASE E LA PROFESSIONE DI PSICOLOGO

9 Gen 13

Di FRANCESCO BOLLORINO

di Liliana Signorini

Ricercatore universitario confermato. Istituto di Psicologia Generale e Clinica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Siena

 

L'articolo costituisce il secondo contributo di Liliana Signorini nell'ambito della definizione del ruolo e della formazione dello psicologo.
L'autrice approfondisce e discute le tematiche inerenti la strutturazione dei nuovi corsi di laurea, avendo come punto di riferimento l'attività e le funzioni che lo psicologo dovrà svolgere una volta entrato nel mondo del lavoro.
In particolare, viene messo a fuoco e discusso, il livello di concreta formazione, definito come il "saper fare", derivante dagli studi universitari.
La problematica inerente le competenze concrete del "saper fare", viene, infine, approfondita anche valutando aspetti inerenti le caratteristiche, reali e potenziali, del tirocinio post-lauream.

Liria Grimaldi di Terresena

 

1 – Premessa

Con questo scritto non faremo probabilmente altro che aggiungere inchiostro ai considerevoli fiumi già versati da Autori senz'altro molto autorevoli. Ma d'altra parte non è possibile fare lo psicologo e lo psicoterapeuta (con tutto quel che ne consegue) e tacere quando qualcuno ti offre l'opportunità di non farlo.

Per dovere storico ricordiamo che nel 1999 è stato presentato lo schema del D.M. relativo alle nuove lauree triennali tra cui la Psicologia che appartiene alla classe n. 34 cioè alla "classe delle lauree nelle scienze psicologiche". Già questa catalogazione della Psicologia potrebbe far versare ulteriori fiumi di inchiostro, ma le classi di laurea sono poco più di quaranta e di queste quasi trenta sono classificate "scienze". Si direbbe che quasi tutte le lauree, e comunque più di due terzi siano diventate "scientifiche"!

D'altra parte il Documento della Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Psicologia (Emiliani F., 1999) riportava la forte volontà di collocarsi nell'area scientifica pagando questa collocazione a caro prezzo perché come dice Emiliani (1999) "pur di vedere riconosciuta la Psicologia come scienza "dura", al pari della chimica e della biologia, abbiamo reso irriconoscibile l'oggetto del nostro conoscere". Gli psicologi dovrebbero, infatti, portare avanti il punto di vista di "scienza naturale" che non significa considerare solo i fenomeni biologici e fisiologici ma anche i fenomeni cognitivi e sociali (Legrenzi P., 2000).

 

2 – Le nuove norme

Il Decreto articola i titoli di studio in: laurea (tre anni), laurea specialistica (cinque anni), master universitario di I e II livello, specializzazione e dottorato di ricerca. Esplicita inoltre quattro grandi obiettivi che sono: 1) l'autonomia ossia l'assunzione di responsabilità da parte delle Facoltà e dei corsi di studio per definire cosa insegnare; 2) convergenza con il modello europeo e conseguente assimilazione dei titoli di studio; 3) immissione dei crediti nell'impianto scolastico; 4) flessibilità dei corsi di studio. Come si evince il Decreto sembra ipotizzare la costruzione dei nuovi corsi di laurea "dal basso" cioè sulla base delle competenze progettuali sia dei Docenti che delle Facoltà che copriranno la preparazione delle lauree professionali (ex Diplomi Universitari) a lauree a preminente formazione professionale. Parafrasando Giacomo Vaciago (1999) possiamo dire che se nessun Paese con sistema universitario ottimo vuole imitare il nostro, allora proviamo noi ad avvicinarci a quello degli altri Paesi.

Esaminando la riforma sulla base della didattica, della ricerca e del trasferimento delle conoscenze alla societò e all'impresa , si sostiene da più parti che il raggiungimento di questi obiettivi è reso più facile da una gestione che distribuisce le conoscenze e le decisioni. Hayek (1999) descrive i sistemi incompatibili con una pianificazione centrale come aventi le seguenti caratteristiche: a) ogni attore o componente del sistema possiede necessariamente solo una piccola parte delle conoscenze; b) vi è un continuo processo di crescita e di elaborazione della conoscenza innescato dai tentativi di falsificare il punto di vista altrui; c) la conoscenza è spesso distribuita nel sistema in modi non direttamente osservabili. Se questa descrizione è sovrapponibile a quella dell'Università questa sembra già possedere un forte grado di innovazione (Fiori S.,1999).

Proseguendo nelle riflessioni possiamo aggiungere che dobbiamo riselezionare i contenuti scientifici e professionali per permettere un buon "padroneggiamento" dei metodi. Insomma tutto quello che è compreso nelle attività formative deve essere in linea, congruente e finalizzato agli obiettivi dichiarati.

Naturalmente finalizzare gli obiettivi significa avere ben presenti le caratteristiche delle figure finali di riferimento. Chi si laurea in Psicologia con una laurea specialistica (3+2) deve professionalmente rispondere sia ai formatori universitari,sia agli ordini professionali, sia agli utenti. Significa anche rendersi conto che essere laureati in Psicologia non è la stessa cosa che essere psicologi perché la capacità professionale non coincide con la laurea conseguita ed anzi è un processo lungo che quasi sempre avviene fuori dall'università. D'altronde come abbiamo già avuto modo di dire (Signorini L., 2000) le psicologie sono numerosissime come le sue applicazioni e le competenze e/o prestazioni professionali sono spesso sovrapposte e a volte, non compatibili tra loro.

 

3 – "Il saper fare"

E in ultimo, argomento "caldo", arriviamo al "saper fare" che è relativo alla preparazione accademica soprattutto per quegli insegnamenti chiamati "teorie e tecniche" che dovrebbero lavorare in gran parte con laboratori, stages (obbligatori) e quant'altro considerato sotto la dizione Esperienze Pratiche Guidate possa essere utile a creare equilibrio tra le conoscenze e "l'apprendere facendo" per poter parlare di padronanza di metodi, di abilità di utilizzo, etc. Si dovrebbero creare le occasioni per un primo approccio tra lo studente e gli aspetti operativi della professione come per es. contatti con realtà extrauniversitarie o esercitazioni didattiche con esperti del mondo del lavoro per riuscire a fare una didattica più concreta. Ma il "saper fare" riguarda anche altre attività formative comprese sotto il termine tirocinio post-lauream.

I primi tirocini cominciano nel 1992 e da subito misero in luce una serie di problemi che riguardano sia la professione di psicologo nella sua funzione di Tutor, sia il neo-laureato in qualità di tirocinante. Facciamo solo un accenno alla "qualità" per esempio sia del tirocinante che riguarda sia lui come persona che il suo curriculum, che quella del tutor per formazione teorica e quindi metodologia diagnostico-terapeutica usata, aggiornamento, serietà professionale, libertà ed autonomia nelle proprie mansioni. La qualità del tirocinio dipende anche dall'ente in cui viene svolto anche per l'organizzazione e le regole di funzionamento dell'ente stesso e un'altra grande differenza è fatta tra le Università, che considerano il ruolo del tutor come funzione didattica (D.P.R. 348/83 e 270/87) e le strutture socio-sanitarie che dopo la trasformazione in azienda non legano la professione del tutor alla produttività dei servizi erogati all'utenza. A tutto questo aggiungiamo il tristemente noto "sfruttamento" del tirocinante, tra l'altro poco controllabile, e il conseguente spirito con il quale il neo-laureato affronta l'anno di tirocinio che è del tutto simile a quello con il quale si affronta il servizio militare.

 

 

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