Per fornire al clinico dei punti di riferimento per valutare la maggiore o minore urgenza dell’intervento, possiamo fare riferimento allo schema sintetico, proposto da Cutter (1991), delle principali caratteristiche (o eventi), remote e attuali, cui legare il rischio di suicidio (Tab. 18.I). Le caratteristiche prese in considerazione sono ordinate in tre gruppi (o fasi), precoce, intermedio e terminale, che danno al medico il senso di ciò che avviene prima o dopo nella "carriera" del suicida.

Gli eventi che fanno parte della "fase precoce" sono quelli legati alle esperienze infantili ed all’azione plasmante esercitata dai genitori e dalle figure significative; problemi precoci in casa, a scuola e, successivamente, nel lavoro, nell’adattamento alla vita familiare o a quella coniugale, sono spesso premesse per problemi psichici successivi (tra cui, appunto, il suicidio). Naturalmente nessuna esperienza di questa fase è direttamente responsabile di atti suicidari, così come non tutti i suicidi hanno questo tipo di esperienze nella loro vita, anche se la correlazione tra i due ambiti è elevata. Anche gli altri eventi di questo gruppo, per quanto non correlati con i precedenti, possono essere considerati segni precoci di rischio. La presenza di questi segni, anche in assenza di ideazione suicidaria attuale, deve essere tenuta in considerazione dal medico, in quanto espressione potenziale di rischio futuro.

Quando sono presenti gli eventi o i sintomi della "fase intermedia", anche quelli della fase precoce acquistano maggiore significato in quanto si associano ad eventi recenti correlati positivamente a comportamenti suicidari. Anche in questo caso il soggetto può non presentare una chiara e cosciente ideazione autolesiva, ma il clinico, rilevando la presenza di sintomi delle due prime fasi, deve considerare il soggetto ad alto rischio e mettere in atto i necessari interventi atti a scongiurare il maturare dell’idea, il suo emergere alla coscienza e la sua possibile attuazione.

I sintomi della "fase finale" sono generalmente sovrammessi a gravi disturbi psichici e sociali e sono altamente significativi di rischio elevato ed imminente anche se, apparentemente, le condizioni obiettive non sembrano gravemente compromesse.

È evidente che, passando da una fase all’altra, si riduce progressivamente il margine di tempo per pianificare e mettere in atto le strategie di intervento ed è necessario uno sforzo crescente per ottenere i risultati desiderati.

TAB. 18.I – EVENTI DELLA VITA CORRELATI CON UN ELEVATO RISCHIO DI SUICIDIO

Fase precoce

Lutto prima dei 13-15 anni ed altre perdite significative

Suicidio di genitori biologi e non ad ogni età

Morte inattesa o prematura di un genitore dopo i 16 anni

Evidenti problemi emotivi o comportamentali prima dei 16 anni

Disadattamento nella scuola, sul lavoro o da militare

Problemi coniugali

Per un uomo anziano, vivere da solo

Avere meno di 35 anni

Anamnesi positiva per trattamenti psichiatrici

Vita senza significato

Dipendenza da alcol o sostanze

Problemi cronici di dolore, peso, sonno, pelle, intestino, eccetera

Adattamento al trattamento di malattie croniche (per es. il diabete)

Fase intermedia

Insorgenza di malattie che minacciano la vita, come cardiopatie, cancro, stroke

Insoddisfazione per comportamento dipendente

Nuove perdite

Due o più gravi accidenti, compresa l’overdose

Istituzionalizzazione (in ospedale, in prigione, eccetera)

Fase finale

Corportamento autolesivo a bassa letalità

Esaurimento delle risorse personali

Perdite significative negli ultimi due anni

Perdita di speranza

Segni dell’avvicinarsi della morte

Elevata conflittualità con persone significative

Mancanza di scopo, frequentare irregolarmente le agenzie operanti nella comunità

Depressione acuta o recente

Disabilità e/o disoccupazione

Uno o più atti autolesivi di letalità crescente

Identificazione del mezzo autolesivo preferito

Ha fatto dei progetti avendo la disponibilità del mezzo

Si ripropone, quindi, il problema della prevenzione del suicidio.

Le idee, i propositi, le minacce, i tentativi di suicidio, sono certamente segni che un soggetto è ad alto rischio e perciò, quando sono presenti, sono di per sé elementi di valutazione sufficienti a richiedere un intervento immediato. Ma quando mancano (o non sono immediatamente evidenziabili) questi segni, e la storia clinica evidenza sintomi o eventi delle tre fasi che abbiamo appena descritto (Tab. 21.I) e/o è presente una patologia psichiatrica, è necessaria un’attenta valutazione che fornisca attendibili informazioni circa la presenza di propositi o di preparativi di suicidio e, in caso affermativo, quanto determinati e potenzialmente letali siano.

Non eccezionalmente l’unico sforzo in questa direzione è quello di chiedere al paziente:

"Ha idee di suicidio?", domanda certamente cruciale, ma troppo diretta e, per questo, facilmente suscettibile di risposte manipolative in entrambi i sensi (negative, se le idee sono presenti, in modo da evitare di essere ostacolati nel proposito suicidario; positive, se assenti, per attirare maggiormente su di sé l’attenzione). Già meglio, se raccogliendo la storia del paziente vengono riferiti eventi stressanti, chiedere: "Tutti questi eventi, l’hanno portato a desiderare di essere morto?" e, in caso affermativo, "Ha anche pensato a come poterlo realizzare?"; domande, queste, che possono avviare un discorso più ampio nel quale possono entrare eventuali precedenti tentativi, i progetti attuali e la possibilità di attuare una prevenzione.

L’evento suicidario, a dispetto di ogni sforzo di predizione, rimane, tuttavia, un evento inatteso al punto da indurre alcuni a sottovalutare l’importanza della valutazione del suo rischio con la giustificazione che la maggior parte dei pazienti, alla fine, non mette in atto comportamenti suicidari o, anche quando li mette in atto, non muore: quello che conta, invece, è il fatto che alcuni tentano il suicidio e che qualcuno, non importa se tanti o pochi, muore! Per questo ogni fatalismo terapeutico è ingiustificato ed il clinico deve fornire il suo supporto ai pazienti ad elevato rischio di suicidio, sia nella fase acuta, sia a lungo termine.

Pur avendo una chiara coscienza della aleatorietà dei criteri predittivi del suicidio, non solo a lungo termine (da 2 a 24 mesi), ma anche, seppure in grado minore, a breve termine (fino a 60 giorni), non si può disconoscere l’utilità degli strumenti standardizzati di valutazione nell’identificazione dei soggetti a rischio e nella predizione della gravità del rischio.

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Parte generale

Parte speciale

CAPITOLO 29 - Gli effetti indesiderati dei trattamenti psicofarmacologici