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IL DELIRIO ZOOPATICO

10 Gen 13

Di lodovicocappellari

L.Cappellari – G.Bonifaci

[U.O. Psichiatria – O.C. Camposampiero (PD), Regione Veneto]

 

"Nella multiforme tematica dei deliri e delle allucinazioni, le configurazioni di animali, delle più diverse forme e dimensioni, costituiscono un rilievo di particolare interesse dal punto di vista clinico e cultural psichiatrico". (Callieri , Priori) (1962).

Le situazioni psicopatologiche in cui la presenza dell’animale emerge in modo particolare sono essenzialmente tre: quella zoopatica, quella dermatozoica e quella zooptica.

Nel primo caso è lo spazio interno ad essere impegnato dall’animale; nel secondo caso è lo spazio vicino, cioè quello che possiamo dominare sul nostro corpo ed immediatamente intorno ai suoi confini e alla sua spazialità. Nel terzo caso l’animale, immaginato o allucinato si viene a trovare nel cosiddetto spazio lontano, più o meno lungi dalla nostra portata.

Nella definizione di B. Callieri (2001) il cosiddetto delirio zoopatico è rappresentato in psicopatologia da tutte quelle esperienze deliranti il cui tema è zoopatico, cioè trasformazione in animale, possessione o insessione da parte di animali, influenzamenti, inibizioni tabuiche, significati deliranti riferiti ad animali.

Il riscontro di due casi di delirio di zoopatia interna, osservati c/o il Servizio Psichiatrico di Camposampiero, sono stati lo spunto per il presente lavoro.

Dopo aver esposto gli studi recuperati in letteratura su tale argomento, cercheremo di approfondire le caratteristiche psicopatologiche di questa forma delirante, utilizzando appunto, la descrizione dei suddetti casi.

 

 

Rassegna bibliografica

 

Vittorio Davini in un lavoro del 1952 intitolato "Clinica e psicopatologia del delirio di zoopatia interna" prende in esame la bibliografia italiana sull’argomento, sottolineandone l’estrema povertà.

L’Autore riporta i numerosi contributi riscontrati soprattutto nella letteratura francese, risalenti ai primi 50 anni del 1900 e ormai introvabili.

Egli specifica che la locuzione "delirio di zoopatia interna" fu introdotta da Dupré e Levy agli inizi del ‘900 per indicare la credenza morbosa di avere nel proprio corpo uno o più animali parassiti.

La convinzione delirante della presenza del o degli animali parassiti all’esterno del proprio corpo, o meglio, il rapporto con essi mediante i sensi esterni è stata definita da Dupré come zoopatia esterna.

La distinzione tra le due forme si riallaccia alla vecchia suddivisione di Ritti relativa al delirio demonopatico in: demonomania interna, demonomania esterna e damnomania (timore della dannazione eterna) e non ha solo valore formale, ma trova una sua ragione nella presenza, nella zoopatia interna, dell’elemento"possessione" mentre nella zoopatia esterna si tratta solo di persecuzione.

Altri tentativi di classificazione come quello di formare vari sottogruppi a seconda degli animali parassiti (serpenti, vermi, scorpioni, rane, ecc… in un elenco lungo come l’Arca di Noè), oppure a seconda dell’organo colpito, (ma l’animale tende a passare dall’uno all’altro distretto corporeo) non ebbero praticamente seguito.

Un’ulteriore suddivisione fu fatta a seconda del numero degli animali invasori: i monozoopati e i polizoopati.

L’elemento possessione implicito tanto nel delirio di zoopatia interna che nel delirio di demonopatia interna ha costituito motivo di avvicinamento e di confronto fra le due sindromi da parte di alcuni Autori che hanno trattato l’argomento.

La distinzione fra delirio di zoopatia interna e delirio di possessione demoniaca trarrebbe la sua giustificazione, oltre che dall’apparente diversità del contenuto ideatorio, anche da alcune constatazioni di ordine clinico. Infatti sebbene alcuni Autori (Levy, Seglas, Claude) ritengano che le due sindromi rappresentino le diverse manifestazioni di una stessa malattia, perché a seconda delle epoche e degli ambienti si presenterebbe ora uno ora l’altro tema delirante, la clinica sembra fornire elementi che giustificherebbero una distinzione dei due quadri.

Supposta infatti una certa identità psicologica tra la possessione da parte di un demonio e quella da parte di un animale, anche per il fatto che in molte religioni è facile trovare esempi di demoni incarnati in animali diversi, resta da considerare l’importanza che nella scelta inconscia del persecutore assume la personalità dell’ammalato. Secondo Levy, nella credenza di essere posseduto da un animale, è implicito un atto di modestia, poiché viene ammesso dall’ammalato che i disturbi che lo tormentano sono procurati da una causa naturale, relativamente logica, che non ha nulla di quella componente di grandezza propria della demonomania interna. L’altro elemento che giustifica la distinzione viene fornito dal rilievo clinico che, mentre il malato zoopata è quasi sempre isolato, l’idea della possessione demoniaca è spesso un delirio di molti, per cui, in quest’ultima, la suggestione gioca certamente un ruolo tutt’altro che trascurabile. (…).

I rapporti tra il delirio di zoopatia interna e il delirio zooantropico o di trasformazione in animale sono stati studiati da vari Autori.

Vittorio Davini in un lavoro del 1950 (Contributo alla conoscenza del delirio zooantropico) riporta gli studi presenti nella letteratura psichiatrica del primo mezzo secolo del ‘900 sintetizzando così la relazione tra il delirio zooantropico e il delirio di zoopatia interna. Il primo è ritenuto un delirio metabolico totale, l’altro un delirio metabolico parziale della personalità. Cioè in quest’ultimo l’alterazione della interpretazione dei caratteri dell’io è soltanto limitata, avendosi tuttavia contemporaneamente una modificazione della coscienza della unità e della primitiva integrità fisica dell’io stesso.

Il delirio di zoopatia interna, stando alla letteratura in materia, sarebbe di riscontro molto più frequente che non quello di trasformazione in animale.

Il delirio di zoopatia interna compare di solito secondariamente ad altre manifestazioni patologiche dell’ideazione e della percezione, che né precedono l’insorgenza: dopo un periodo di incubazione che può essere anche lunghissimo, la sistematizzazione del delirio si compie bruscamente, quasi d’amblee, nello spazio di poche giorni e talora di poche ore.

Le idee patologiche che più frequentemente possono precedere o accompagnare il delirio zoopatico sono quelle di persecuzione, colpa e rovina, ma possono essere presenti anche spunti deliranti di più raro riscontro, quali le idee di negazione, di cambiamento di forma, di ostruzione di organi.

Anche disturbi percettivi preludono di solito al delirio zoopatico ed i più frequenti ed importanti sono quelli a carico della cenestesi, che fornirebbero agli ammalati lo spunto per una concezione delirante più elaborata e concreta derivante da un tentativo di razionalizzare o di spiegarsi proprio tali cenestopatie. Alcune delle sensazioni lamentate dai pazienti sono : senso di corpo estraneo, di solletico, di morso, di rodimento, di puntura localizzata nell’interno del corpo. Abbastanza spesso questi disturbi hanno un carattere dinamico, cioè si spostano progressivamente da una zona all’altra, contribuendo con ciò a rinforzare nel malato la credenza di avere dentro di sé un animale vivente. Tuttavia non sono rare vere e proprie allucinazioni uditive e visive, anche senza legame apparente con il contenuto zoopatico.

Nell’ultima parte del suo lavoro, Davini affronta il problema della origine della zoopatia come contenuto delirante.

Per l’Autore, questo sarebbe condizionato dal concorso di quattro elementi fondamentali:1) appartenenza del soggetto ad un ambiente di basso livello intellettuale e culturale nel quale sono presenti antiche superstizioni e credenze; 2) modeste capacità intellettive; 3) presenza di deviazioni o perversioni dell’istinto sessuale; 4) presenza di un carattere mistico, umile, modesto che determinerebbe la scelta di un persecutore o possessore poco appariscente quale l’animale.

Tali elementi, insufficienti se considerati separatamente, creerebbero un nucleo di rappresentazioni più o meno coscienti, che con l’eventuale sostegno di anomalie della cenestesi, conferirebbero al delirio il contenuto zoopatico.

Infine, dal punto di vista esclusivamente nosografico il delirio di zoopatia interna o, più generalmente, i deliri caratterizzati dall’elemento possessione possono rinvenirsi in tutte le malattie che producono deliri, come specifica il Davini. E quindi nella melanconia, nella paralisi progressiva e nella schizofrenia, colorandosi di volta in volta della tinta peculiare della malattia nell’ambito della quale si manifestano.

A questo proposito, citiamo un lavoro di Millefiorini ed Alessandri del 1958, nel quale viene presentato un caso di sindrome di Cotard con delirio di zoopatia interna.

Il tema della presenza dell’animale nel vissuto corporeo è stato ripreso e approfondito da B. Callieri in un lavoro del 1962 scritto in collaborazione con Priori, dal titolo "Contributo allo studio dell’esperienza psicotica dermatozoica, zooptica e zoopatica", e successivamente ripreso nel volume "Quando vince l’ombra" (2001).

Non riporteremo nel nostro lavoro i numerosi contributi relativi alla sindrome di Ekbom, limitandoci a sottolineare quegli aspetti del fenomeno dermatozoico utili nel raffronto e nella comprensione del nostro tema principale.

Così gli Autori, dopo aver distinto l’esperienza zoopatica, quella dermatozoica e quella zooptica, sottolineano la possibilità di passaggio tra l’una e l’altra di queste forme, in un’articolazione tra i vari tipi di spazialità ( es. animali che provengono dall’esterno, vengono a contatto con il corpo e penetrano in esso attraverso gli orifizi naturali, oppure fuoriescono dalla bocca e si allontanano; è evidente il diverso significato di queste opposte direzionalità spaziali).

Dal punto di vista della psicopatologia fenomenologica, l’esperienza zooptica e quella dermatozoica si differenziano profondamente.

Sul piano zooptico l’animale appare come una struttura complessa, ben individuata spazialmente e numericamente. Riguarda il cosiddetto mondo lontano e coinvolge le percezioni a distanza (la sfera visuo-uditiva).

Nel dermatozoico sono interessate le strutture percettive di contatto (la sfera aptica), il cosiddetto "mondo vicino"; e inoltre l’animale perde in strutturazione di forma, in caratteristiche precise e diviene plurimo.

Il contatto con la superficie corporea è in genere vissuto con un "forte senso di essere invasi da", ed il paziente mette in opera una serie di movimenti come lo spulciarsi, lo strofinarsi, il grattarsi, e di azioni come il lavarsi, cospargersi di polveri insetticide, ecc. intesi a strapparsi di dosso il parassita.

Invece sul piano zooptico il rapporto spaziale è molto più lasso, manca il sentimento dell’essere invaso e l’esperienza (visiva) è meno patica.

In questo lavoro gli Autori sottolineano come centrale la questione dello schema corporeo e dello spazio (psicopatologia in chiave di spazialità).

Nella zoopatia l’attività delirante si struttura sicuramente su profondi disturbi della cenestesi; ma è evidente l’intimo rapporto tra queste cenestopatie e "un’alienata capacità di vivere lo spazio interno". L’alterazione dell’esperienza spaziale nella zoopatia ha un significato primario. E ancora "è proprio l’esperienza della spazialità che riesce a dare vita, delirante, al fenomeno allucinatorio".

Nell’esperienza zoopatica inoltre, l’ambito orifiziale rappresenta, come esperienza spaziale vissuta del corpo, il passaggio tra cavità interna del corpo e superficie esterna di essa. E dunque è sul piano orifiziale che si realizza il vero e proprio contatto con l’animale che entra nel corpo o proviene dal corpo, infrangendo barriere considerate insuperabili.

Così, ad esempio, le raffigurazioni di parassiti emessi dall’ano, quelle di antichissime iconografie rappresentanti animali che fuoriescono dal cavo orale, sono tutte espressioni di esperienze culturalmente innestate sulla sensazione dell’impenetrabilità del corpo interno, del dentro.

Ecco quindi l’importanza dell’orifiziale come punto di passaggio dotato, in certe situazioni psicopatologiche di un’ambitendenza essenziale: dal dentro al fuori e viceversa.

Inoltre esistono casi in cui la distinzione netta tra dermatozoico e zoopatico non si mantiene sempre, ma può trapassare dall’uno all’altro piano con significati profondamente diversi, di regressione o di liberazione attraverso gli orifizi.

Le considerazioni di psicopatologia fenomenologica fin qui riportate, vengono poi utilizzate dagli Autori per illuminare i dati offerti dalla clinica. Così, dal punto di vista clinico-nosografico essi distinguono sostanzialmente tre raggruppamenti

    1. il delirio dermatozoico propriamente detto (anche su base alcolica);
    2. il delirio zooptico: acuto (delirium tremens, epilessia) e subacuto (allucinosi alcolica subacuta);
    3. il delirio zoopatico: subacuto (schizofrenico, malinconico) e cronico (parafrenico).

In quest’ultimo caso, che è il tema del nostro lavoro, gli Autori ricordano come il contenuto zoopatico sia di non raro riscontro nell’ambito delle psicosi involutive (malinconia involutiva, parafrenia tardiva, malinconia delirante), confluente comune di disturbi della cenestesi, dell’umore e delle rappresentazioni.

Nella schizofrenia la fenomenologia zoopatica può essere transitoria, oppure irrigidirsi su schemi più duraturi, spesso trapassanti nel piano parafrenico. Nell’ambito depressivo l’esperienza zoopatica si pone sempre sul piano delirante, ma non si riscontra come tema ripetentesi nelle ricadute successive.

Dunque, per gli AA, il concetto di zoopatia interna ha un univoco significato psicotico.

Infine, come già riportato precedentemente da Davini, emerge la possibilità di avvicinare il delirio a tema zoopatico con le demonopatie. (Per un contributo sul problema psicopatologico delle demonopatie vd lavoro di Callieri, Schiavi, 1961).

Nelle antiche credenze e superstizioni sono numerosissimi gli esempi di animali investiti di significato demoniaco-magico e quindi persecutori o protettori degli uomini.

Comunque, anche laddove l’aspetto demoniaco dell’animale non sia espresso chiaramente, si possono riconoscere i caratteri di un’esperienza profondamente ancorata alla tradizione culturale, forse appresa inconsapevolmente (e quindi appartenente alla dinamica dell’inconscio) ed esprimente il rapporto primordiale dell’uomo con l’animale.

Un’ultima osservazione: la nostra ricerca bibliografica relativa all’argomento zoopatico si conclude con i lavori pubblicati fino agli anni ’60. Dal 1972 alla fine del 2004, abbiamo recuperato 80 articoli, riferiti però esclusivamente alla parassitosi delirante, alcuni dei quali pubblicati in riviste importanti quali British Journal of Psychiatry ("Delusional infestation", 1988), e Psychopatology ("100 years of delusional parasitosis: Meta-analysis of 1223 case reports", 1995).

 

Maria

 

Si tratta di una donna nubile, di 43 anni, che vive con la sorella di due anni più giovane, anch’essa non sposata.

La madre ha 59 anni, riferita in buona salute, lavorava come sarta. Il padre svolgeva il lavoro di muratore; risulta essere stato ricoverato nel reparto di neurologia per "psiconevrosi". E’ deceduto nel ’99, all’età di 57 anni per un carcinoma intestinale.

La paziente è primogenita; oltre alla sorella di 41 anni con cui convive, ha tre fratelli maschi, di 37, 32 e 29 anni, tutti sposati.

Maria nacque da parto eutocico ed ebbe uno sviluppo psico-fisico regolare.

La famiglia viveva in una situazione di grave difficoltà economica, tanto che la paziente potè terminare le scuole dell’obbligo solo con le serali. All’età di sei anni subì ripetuti abusi sessuali da parte di un ragazzo più grande di lei, ma non né parlò mai "perché temeva di essere mandata in collegio". Iniziò a lavorare come sarta a 12 anni, continuando in questa attività per i successivi 20.

Quando la paziente aveva all’incirca trent’anni, si trasferì con la sorella in un paese limitrofo a quello d’origine a causa dei gravi contrasti con il padre alcolizzato e violento. Da oltre un decennio Maria e la sorella non lavorano e vivono con il supporto economico della madre e di uno zio.

Prima di proseguire nella descrizione di questo caso clinico, è necessario accennare brevemente alla sorella di Maria, la quale fu seguita presso il nostro Centro di Salute Mentale dal 1982 al 1989. Venne presa in carico all’età di 18 anni, su segnalazione di una psicologa del territorio alla quale si erano rivolti i genitori; era stata già ricoverata tre volte nel reparto di Neurologia per cefalea (insorta quando aveva 13 anni) e per una crisi epilettica.

La paziente presentava un quadro clinico caratterizzato da ideazione persecutoria con tematiche di magia, malocchio e superstizione, e sensazioni corporee cenestopatiche, elementi che, come vedremo in seguito, sono comuni con Maria. All’età di 25 anni, dopo un percorso di cura ambulatoriale e terapia psicofarmacologica neurolettica, essa fu dimessa definitivamente.

Sebbene tra le due sorelle si fosse instaurato un rapporto di chiaro sapore simbiotico, con Maria molto coinvolta nella malattia e nei sintomi lamentati dalla sorella, o addirittura alleata del suo delirio, non fu mai presa in carico.

Di entrambe le pazienti non si ebbe più alcuna notizia fino all’aprile del 2000, quando Maria venne inviata al nostro Servizio per una valutazione da un collega della Chirurgia, al quale si era rivolta per un problema di incontinenza urinaria e fecale.

Descrizione del primo contatto

La paziente è accompagnata dalla sorella: si assomigliano nei tratti somatici e nell’abbigliamento molto dimesso al limite della trascuratezza o dell’indigenza. I capelli lunghi e il viso poco curato conferiscono alla persona un aspetto decisamente vecchieggiante.

Maria racconta al medico della sua sofferenza; la sorella non ha voluto abbandonarla durante il colloquio e rimane presenza muta e alleata.

Accusa dolori nelle parti intime e nella zona del pube, con sensazione che il pavimento pelvico "non regga più". Per questo è costretta a stare sempre seduta, anche perché avverte le gambe doloranti e deboli. I polpacci sono viola, non riesce a stare in piedi per i capogiri e per i mancamenti al cuore. Quando fa alcuni movimenti, oggetti di colore bianco e nero sembrano venirle addosso; e per questo può stare solamente seduta immobile, non può aprire gli occhi o parlare. Non può leggere, prega, pensa e medita. La paziente riferisce al medico che pensa vi sia qualcosa che non va nelle sue parti intime, che non è ancora stato scoperto o che non le viene detto; e aggiunge di aver visto gli stessi sintomi nel padre, morto per un tumore l’anno precedente.

I disturbi sarebbero iniziati nel 1990, e da allora in progressivo peggioramento, né alcuna indagine medica, avrebbe mai dato un riscontro organico.

Maria non si sente creduta nella sua sofferenza ed è molto polemica anche con il chirurgo che l’ha inviata in consulenza, perchè si sarebbe permesso di ventilare una causa traumatica alla incontinenza fecale. Stenica e proiettiva, solo con estrema difficoltà accetta una terapia psicofarmacologica e un appuntamento successivo, al quale tuttavia, come era prevedibile, non si presenterà.

Nel luglio 2003 Maria viene accompagnata dalla sorella all’ ospedale di Camposampiero per una visita urgente, alla quale seguirà un lungo ricovero nel nostro S.P.D.C. e la successiva presa in carico di entrambe le sorelle.

In Pronto Soccorso Maria si presenta molto angosciata perchè alcuni giorni prima avrebbe inghiottito, nascosta nel cibo, una lucertola (o forse due se non tre), che adesso le gira nel corpo, ed è pericolosa poiché potrebbe addentarle qualche organo. E’ "una bestia malefica del demonio" e chiede che le venga estratta, fatta uscire in qualche modo. Ha vissuto gli ultimi giorni nella paura che, durante il sonno, la lucertola passasse da lei alla sorella attraverso la bocca o l’orecchio, e per questo, la notte dormivano a turno. Descrive i tragitti delle "due bestie": una, quella più grande, sarebbe ferma nell’intestino (sente la pancia crepare), ma l’altra, la minore, è annidata tra il collo e l’orecchio sinistro e si diverte andando su e giù. La sente camminare all’interno, "girarsi e mordicchiare".

La paziente chiede di fare degli accertamenti strumentali per provarci che non è matta; pretende una visita O.R.L. per scovare la lucertola, ma probabilmente non servirà, perché l’animale è furbo e si sposterà prima della visita.

Ma il corpo della paziente non è solo perseguitato dalle bestie malefiche, è un corpo in disfacimento, rotto, che "perde", e anche su questi sintomi fisici Maria chiede accertamenti e interventi medici perché si sente sul punto di morte.

Il cuore si gonfia, le gambe sono di ghiaccio e l’intestino è rotto, è bucato, o forse non è nemmeno il suo. La fessura è localizzata nella parte sinistra dell’intestino e causa la fuoriuscita di liquidi ogniqualvolta beve. Ciò provoca "il tetano" lungo tutta la gamba sinistra e per questo, quando beve, deve "tappare" con una mano l’apertura.

Durante il ricovero si svolgono numerosi accertamenti strumentali e medici per tentare di fornire una rassicurazione alla paziente e instaurare una alleanza terapeutica con essa, poiché anche la relazione di cura è vissuta in modo fortemente persecutorio.

Si sente non creduta e derisa dai medici che addirittura la utilizzerebbero per svolgere esperimenti; gli infermieri le fanno i dispetti e la prendono in giro continuamente, denuncia le malefatte degli operatori.

Ma l’aspetto persecutorio non si gioca esclusivamente a livello somatico, la paziente infatti presenta un delirio paranoideo strutturato, forse più antico rispetto il tema ipocondriaco e certamente rispetto quello zoopatico, che sembra insorto d’amblee e con un carico d’angoscia tale da costringere la paziente in Pronto soccorso.

Nel racconto di Maria: quando aveva 20 anni, lei e la sorella si accorsero che "persone più alte, delle alte sfere della Chiesa e della politica decisero per loro una vita orribile, calunniate e derise da tutti. Qualcuno le avvelenava, mettendo sostanze nei cibi e sostituendo il contenuto della medicine con pezzetti di vetro. Questa congiura nei loro confronti continuò negli anni, e continua tutt’ora: addirittura entrano in casa miasmi vivi, da cui spurgano feci, urine e altro, e questo odore ha invaso ogni cosa, armadi e vestiti, rendendo lei e la sorella inavvicinabili.

Nel caso di Maria il tema zoopatico emerge solo nel momento dello scompenso. Dopo il ricovero essa è stata inserita c/o il nostro Centro Diurno Riabilitativo; mantiene una presa in carico ambulatoriale e una terapia psicofarmacologica con neurolettici.Tale progetto ha permesso una riduzione delle cenestopatie e della sintomatologia delirante. La sorella della paziente è pure seguita al C.S.M..

 

 

Nicola

 

Si tratta di un uomo di 42 anni napoletano; è seguito dal Servizio Psichiatrico dell’ospedale di Camposampiero da circa cinque anni, da quando si è trasferito presso la sorella, che risiede appunto con il marito in un piccolo comune dell’Alta Padovana.

Il paziente è l’ultimogenito di cinque figli; la madre, casalinga, è morta nel1988 per una neoplasia polmonare, il padre, dopo il fallimento della salumeria di famiglia, ha sempre lavorato come banconiere in un negozio di alimentari. E’ deceduto nel 2000 per senectus.

Eccetto la sorella che lo ospita, tutta la famiglia risiede a Napoli: un fratello e una sorella sono sposati, mentre il quartogenito vive solo.

Quest’ultimo è in cura presso i Servizi di Napoli per un disturbo schizofrenico, insorto all’età di 18 anni, quando cioè, Nicola né aveva circa 12. Attualmente in fase di discreto compenso, giacchè è in grado di svolgere un lavoro part time in ambito protetto e di vivere solo, pur con il supporto costante da parte dei familiari.

Nicola nacque a termine da parto eutocico; non vengono riferiti problemi nello sviluppo psico- fisico. Non frequentò l’asilo. Molto bravo a scuola, "adorato" dagli insegnanti per l’intelligenza e la sensibilità. Portato per lo sport, all’età di 8 anni iniziò a praticare la pallanuoto, dove ottenne buoni risultati, raggiungendo anche livelli agonistici. A quanto riferito dai fratelli, era un bambino vivace, con molti amici, molto "coccolato" da entrambi i genitori, orgogliosi dei numerosi successi scolastici e sportivi.

Come già riferito, quando il paziente aveva circa 12 anni, il fratello, che era stato fin da piccolo fragile, con un carattere chiuso e solitario si ammalò in seguito ad una delusione sentimentale (o, secondo un’altra versione, dopo aver visto morire improvvisamente uno zio). Cominciò a manifestare idee di riferimento e persecutorie con crisi di angoscia e agitazione psicomotoria; venne ricoverato in un reparto di psichiatria, dove pare fu indagato anche l’aspetto neurologico (per il timore di una neoplasia cerebrale, o di epilessia). Successivamente la causa organica venne esclusa e il paziente fu curato con terapia neurolettica e ansiolitica, trattamento a tutt’oggi ancora in atto.

Dell’esordio della malattia del fratello, Nicola ricorda le crisi di pianto disperato e le domande dei vicini di casa. In quel periodo, a causa degli impegni sportivi o con la scusa di stare in compagnia dei coetanei, cercava di rientrare in casa quando il fratello era già a letto, come un non voler assistere, prendere le distanze, o meglio difendersi.

Dopo le scuole medie, il paziente si iscrisse all’Istituto Tecnico Industriale, diplomandosi alla maturità con 58/60. Trovò lavoro come tecnico in una grossa ditta del meridione di montaggio e manutenzione di antifurti, e contemporaneamente iniziò una relazione stabile (durata otto anni) con una ragazza, un’insegnante.

Nel 1988, mentre il paziente si trovava in Grecia con la fidanzata, la madre fu ricoverata in urgenza in ospedale a causa di gravi difficoltà respiratorie, complicanza di una neoplasia polmonare mai diagnosticata. Morì dopo cinque mesi trascorsi interamente in ospedale.

I fratelli raccontano di una grande dedizione e accudimento da parte di Nicola, che spesso assisteva la madre di notte e nel tempo libero dal lavoro: trascorreva così molte ore in ospedale, rivolgendo attenzioni anche ad altri degenti, interessandosi a quello che accadeva, alla diverse malattie, come se fosse spaventato, ma in qualche modo pure coinvolto da ciò che vedeva.

Circa un anno dopo questo drammatico evento, Nicola cominciò a presentare un’ideazione persecutoria strutturata a partire dall’ambito lavorativo, ma dilagante ai vicini di casa, la fidanzata e perfino, come si vedrà in seguito, al padre e al fratello. Si licenzia dal lavoro, lascia la ragazza con la quale stava progettando un futuro, abbandona lo sport e gli amici.

Fu ricoverato c/o l’S.P.D.C. dell’ospedale Cardarelli e sottoposto ad accertamenti diagnostici per approfondimento clinico. Si tenta una presa in carico ambulatoriale c/o il C.S.M. di competenza e una terapia con neurolettici atipici, che tuttavia il paziente di fatto non assume, a causa di proteiformi e improbabili effetti collaterali.

Anche un programma di visite domiciliari con uno psichiatra privato contattato dalla famiglia va incontro al fallimento. Seguono altri 2 ricoveri in S.P.D.C. a Napoli e l’inizio di una terapia neurolettica depot con Haldol decanoas.

Nel maggio del 2000, la sorella maggiore che risiede in Veneto, utilizzando in qualche modo il vissuto persecutorio sviluppato da Nicola nei confronti dei saniatari partenopei, propone al paziente di stabilirsi per un periodo a casa sua e di consultare uno psichiatra della zona.

Riportiamo dal racconto del paziente:

Nicola fa risalire l’inizio del proprio malessere al 1993 quando lavorava nella ditta di antifurti; egli si descrive come un tecnico capace di svolgere tutte le diverse mansioni, dedito al lavoro e molto più bravo rispetto i colleghi e il cognato del titolare. Proprio l’invidia di quest’ultimo avrebbe dato inizio ad uno "sfottò" generale ad opera degli stessi colleghi, dei compagni della squadra di pallanuoto e della fidanzata, con lo scopo preciso di destabilizzarlo. Chi gli dava un pizzicotto sul gomito, chi sulla schiena: lui era al centro del gioco, bersagliato da tutti.

Nello stesso periodo iniziarono anche le "registrazioni via modem": voci di persone dell’ambiente di lavoro che gli dicevano "hai la testa a posto o no?" oppure "sei matto?".

Decise di stare a casa per un periodo, ma una volta terminato il tempo di malattia, al rientro in ditta il gioco ricominciò, anche più pesante di prima, con i colleghi che arrivarono a distruggergli l’automobile a colpi di spranga. Nicola dice di aver capito in quel momento che doveva accettare di stare a casa.

Nel dicembre ’96 uno psichiatra di Napoli conoscente di suo cognato, dopo 7 colloqui a domicilio avrebbe consegnato allo zio ( che a sua volta lo passò al padre) un animale in forma embrionale. Nicola racconta di averlo ingerito una sera mangiando un piatto di polipi insalata e dunque mescolato con il cibo e mimetizzato con una goccia di olio giallo. Da subito lo sentì scendere lungo la linea delle gambe e il malessere fu tale che venne ricoverato all’ospedale San Paolo di Napoli per degli accertamenti, inizialmente nel reparto di chirurgia e poi trasferito in psichiatria.

Racconta di aver covato l’animale per circa un anno fino a quando non l’ha sentito "picchiare" sotto la colonna vertebrale, e poi muoversi e camminare lungo la schiena su e giù, erodendo gli organi. Pensa che inizialmente gli animali fossero due, piccoli e con tante zampe, non distinguibili tra madre e padre; poi dopo circa un anno né è stato covato un altro più grande e con quattro zampe posizionate dentro la colonna vertebrale. Anche questo prolifera e dà origine ad altri animali giganti.

Nicola racconta che questo animale non si trova comunemente, ma si può ottenere su ordinazione; in genere viene fatto per la Polizia e i Carabinieri, che lo utilizzano sui delinquenti (viene dato ai mafiosi e ai camorristi per farli soffrire). Tutti a Napoli saprebbero della sua esistenza e anche nella sua famiglia e cita le parole di una canzone a riprova di quanto il fenomeno sia conosciuto ("sento qualchecosa che mi brucia dentro…"). E’ stato il padre ha metterglielo nel piatto, ma già da piccolo la madre l’aveva avvertito e lo stesso fratello ammalato gli avrebbe detto le testuali parole "lo coverai per un anno". Non sa perché il padre abbia fatto una cosa del genere, non era una persona cattiva — dice. Arriva addirittura ad ipotizzare che il padre possa aver fatto lo stesso anche con la madre giacchè Nicola riferisce che, non appena ingerì l’animale, provò gli stessi sintomi lamentati dalla mamma, debolezza alle gambe e aggiunge "strano che un tumore al polmone colpisca la deambulazione…". "Hanno fatto a me quello che mia madre patì otto anni prima". Pensa inoltre che anche il fratello sia implicato nel complotto e che su consiglio del padre abbia solo simulato i sintomi psichiatrici, come in una rappresentazione di quanto poi gli sarebbe drammaticamente accaduto. A riprova di questo ricorda alcune parole che il padre gli disse durante un litigio: "l’animale sono io e se non te né vai ti ammazzo".

Il paziente continua il racconto dicendo che per tutto il 1997 stette malissimo, "si trascinavano le gambe"; temeva di avere una grave malattia del sangue, e per questo, nonostante ripetuti esami ematochimici e radiografici negativi, si recò da un oncologo.

Tra i vari accertamenti ricorda con precisione di aver eseguito nel 1998, una TAC total body con il mezzo di contrasto e di essersi svegliato dopo l’esame con tutto il cuoio capelluto unto di materia grigia. Evidentemente il tecnico radiologo gli aveva iniettato qualche altra sostanza (un acido pesante) che ha prodotto un danno cerebrale, percepito dal paziente come vuoti di memoria, perdita della concentrazione e della capacità di fissare le immagini, non sentirsi presente.

Si è preferito riportare con le parole del paziente il nucleo delirante attorno al quale si è organizzata tutta la vita e la quotidianità di Nicola. Esso rappresenta l’aspetto noto, acquisito anche dal curante e denominatore comune di tutti i colloqui ambulatoriali, dove il paziente riferisce soprattutto i sintomi fisici provocati dall’animale e l’aspetto del complotto persecutorio, supportato anche dalle continue allucinazioni uditive.

Così ad esempio: ha un dolore al fianco sinistro, è lancinante e si accentua con il respiro. E’ l’animale che si è spostato. Sente che si è moltiplicato, ora sono cinque, sotto l’ascella sinistra, alle scapole e al cuore. E ancora: prova dolore alla zona lombo-sacrale e alla gamba sinistra, dentro la quale sente muoversi l’animale. Vorrebbe almeno sapere di che specie si tratta, e come può riprodursi, visto che non si accoppia. In un’altra occasione il dolore all’occhio destro sarebbe provocato dall’animale che cammina in mezzo alla testa. Ormai è nel sangue e quindi ovunque; quando raggiungerà il cuore andrà incontro ad un infarto. Dolori in testa perché a tratti percepisce lo scorrere del sangue più veloce. Non può muoversi, deve proteggersi dall’ictus. Ha paura anche ad uscire da solo, perché potrebbe sentirsi male. Sente come una palla dietro la schiena, è l’animale.

Nicola si è di fatto stabilito dalla sorella, ma con cadenza mensile si reca a Napoli per ritirare la sua pensione di invalidità. Questi viaggi sono in genere fugaci, con rientri alla base quasi improvvisi, sull’onda di un’angoscia crescente. A Napoli stanno i persecutori che con registrazioni via modem mandano continui messaggi: è la voce della zia, quella dei colleghi dello sfottò, quelle dei vicini di casa. Alle volte Nicola dice "si sono calmati", ma più spesso riferisce la ripresa dello sfottò e voci che commentano la sua esistenza (resiste ancora oppure né troveremo un altro … di animale, e ancora né fa 24, testa secca non testa secca…), minacciandolo e invitandolo al suicidio (suicidati, noi ci suicidiamo tu cosa fai?). A casa della sorella le registrazioni sono meno intense — dice, e si sente più al sicuro. Teme infatti la solitudine, di stare male e che nessuno lo possa soccorrere. Trascorre una vita molto limitata, ogni minimo movimento risveglia l’animale e i dolori; non pratica ormai da molto tempo alcuna attività fisica, lui abituato a ore di allenamento: ha provato a nuotare, ma è stato peggio. E’ molto ingrassato, ha quasi raddoppiato il suo peso, "sono un’altra persona" e alle volte aggiunge "hanno vinto loro". Quando racconta, Nicola non è angosciato, parla con un certo distacco, sente che può andare avanti, che con la cura la testa è più fresca. Che è migliorata la memoria e l’attenzione e che ha ripreso a guidare dopo oltre cinque anni.

 

Riflessioni e considerazioni

 

Una prima considerazione generale non può non essere legata alla "rarità" dei contributi che su questo tema sono apparsi nel corso degli ultimi 40 anni; l’ultimo lavoro profondo e ricchissimo nelle sue intuizioni è, di fatto, quello di B. Callieri e R. Priori del 1962.

Nel periodo precedente vi sono in letteratura italiana e internazionale, come abbiamo visto, parecchi lavori, molti dei quali riguardanti in realtà la sindrome di Ekbom; tema che anche negli anni più recenti è stato discretamente frequentato.

Il delirio zoopatico, o di possessione animale, sembra invece aver conosciuto un lento oblio, tanto da essere difficile appunto reperire su di esso dei lavori scientifici recenti.

"Prescindendo dall’eventuale rapporto tra il deliroide dermatozoico di Ekbom e le forme zoopatiche parafreniche (problema che ci si propone in base all’analogia nosodromica, giustificante la terminologia di "allucinosi cronica tattile"), va sottolineato che il delirio a temi zoopatici ha sempre costituito un argomento di particolare interesse che, in certi periodi storici, non raramente ha sconfinato nel campo delle demonopatie.

Stando ai recenti apporti dell’etnopsichiatria e della psicologia del profondo, si può affermare che soprattutto per merito della scuola junghiana in generale e di Herzog in particolare è stato messo a fuoco l’intimo collegamento esistente tra il demone della morte e certe configurazioni animali, in particolare il cane il lupo, l’uccello, il serpente, il destriero. Nelle varie mitologie e culture il passaggio dalla configurazione animale a quella umana del demone della morte segna, come fa notare Vetter, un progresso altamente significativo per l’autocomprensione dell’uomo: il demone della morte comincia a divenire divinità della morte." (Callieri, Priori, 1962).

Si può pensare allora che questo delirio sia effettivamente scomparso proprio come risultato di uno Zeitgeist peculiare del nostro tempo, cosa del resto ben nota a tutti quando si parli di contenuti delle idee deliranti: si potrebbe dire che i temi deliranti che rimandano alla zoopatia, alla possessione animale siano divenuti nel tempo sempre più distanti dal sentire proprio della nostra cultura. Essi sarebbero temi tipici della civiltà contadina, temi che poco o nulla entrano a far parte del mondo della tecnologia che oggi sembra imperante.

Molti indicatori (in primis la rarità appunto dei lavori scientifici su questo tema) sembrano dare questa ipotesi per favorita; nella nostra esperienza però ci è capitato più volte di imbatterci in pazienti che, all’interno di una produzione delirante ricca e polimorfa, erano in particolare difficoltà nella esternazione di temi deliranti concernenti la possessione animale, quasi che questa, effettivamente, fosse anche da loro stessi sentita come una prova incontrovertibiledi una radicale trasformazione del Sè.

Potremmo avanzare allora l’ipotesi che effettivamente il delirio zoopatico sia anche per questo motivo "l’ultima spiaggia" dei contenuti deliranti, possibile solo in particolari processi psicotici che comportano non solo l’emergenza del delirio, ma più esattamente la destrutturazione della personalità con emergenza in primo piano dell’elemento possessione e del controllo operato dall’interno del corpo stesso, che non abita ma è abitato.

Una situazione apparentemente analoga, ma in realtà molto diversa, è quella dei pazienti che sostengono che un microchip o un analogo apparato elettronico miniaturizzato, è stato loro impiantato in un dente, nello stomaco durante una E.G.D.S. ecc. ecc.

Anche in questo caso vi è un condizionamento del paziente attraverso l’influenzamento dei suoi pensieri (il fatto che il paziente sente che essi sono diretti dal microchip e che egli non è più libero di pensare ecc.), ma a differenza del delirio zoopatico, manca un aspetto fondamentale: il movimento che è proprio dell’animale e né sancisce la vitalità, movimento che è avvertito dal paziente come un vero e proprio stimolo cenestesico, aggiungendo una componente allucinatoria che di fatto è ciò che maggiormente caratterizza il delirio zoopatico.

L’animale è autonomo dentro il paziente, vive di vita propria; il paziente è un contenitore dentro cui si svolge la vita dell’animale, che può o meno essere sentito come un parassita (cioè come qualcuno che vive a scapito di un altro) o comunque come un vero pericolo "vivente" dentro di sé: l’elemento costitutivo del parassitismo essendo sempre la rappresentazione del profittare subdolo, fino all’inganno vero e proprio, che si concretizza inevitabilmente nel meccanismo paranoide della persecuzione dall’interno, vissuta attraverso i movimenti dell’animale.

Il movimento dunque: il movimento e il percorso che l’animale fa per entrare dentro al paziente, o talora, per fuoriuscirne, percorso che spesso il paziente racconta con la convinzione che proprio l’essere a conoscenza delle modalità di ingresso dell’animale sia la prova incontrovertibile di quanto egli va affermando.

Tutti gli orifizi corporei sono vie d’entrata possibili e sembrano essere vissuti dal paziente esattamente e solamente come vie di ingresso nel proprio corpo, con una netta scotomizzazione della loro funzione: l’orecchio è la via privilegiata per cui piccoli animali possono entrare nel cervello, la bocca permette l’arrivo del o degli animali nell’intestino ecc.. La funzione dell’udito o rispettivamente del gusto ecc. quasi non appartengono più a questi organi , che divengono quindi solo corridoi di comunicazione tra l’esterno e l’interno del corpo.

E’ importante sottolineare l’aspetto della direzionalità spaziale del percorso dell’animale: animali che provengono dall’esterno e penetrano nel corpo, oppure che escono da esso e se né allontanano esemplificano un significato profondamente diverso in rapporto al mondo (Callieri, Priori, 1962). Così nel caso di Maria l’angoscia è provocata dalla possibilità che la lucertola esca dalla sua bocca per entrare in quella della sorella, provocandole immani sofferenze fisiche; ed è necessario vegliare a turno per impedire che questo accada.

E’un’immagine che sintetizza ed esprime in modo quasi folgorante il vissuto della paziente: la lucertola è la lucertola della follia, che passa tra le sorelle infrangendo barriere corporee considerate insuperabili.

E’ un corpo che non può difendersi da queste intrusioni perché il paziente sente di essere totalmente incapace di impedire questo fatto: talora la colpa dell’accaduto viene attribuita (sempre in modo delirante) a qualcuno dell’enturage familiare (vd. Il caso di Nicola), ma più spesso il paziente ha la sensazione che tutto sia "successo" (cioè sia legato a una forza non evitabile). E’ successo, è accaduto che…; qui il si ( man ) diventa il principale protagonista, "giustificando" in primis il totale spossessamento del paziente dalla realtà, in quanto, d’ora in poi, la sua personale realtà risulta per così dire ristretta all’elemento delirante e allucinatorio riferito all’animale che è entrato in lui e che lo domina, spostandosi a suo piacere in varie parti del corpo, spesso degradandole o rovinandole, con totale capacità di movimento, nonostante tutto ciò che il paziente mette in atto per liberarsi di lui o per sottrarsi alla sua influenza.

L’aspetto allucinatorio viscerale assume una importanza fondamentale: il paziente non esprime solo l’idea di avere un animale dentro il suo corpo (come avviene talora con pazienti ossessivi), ma è preda degli aspetti allucinatori che avverte come movimenti o strane sensazioni dentro il suo corpo; gli spostamenti dell’animale sono seguiti dal paziente proprio grazie a queste sensazioni viscerali profonde che costituiscono il nucleo allucinatorio che si sviluppa parimenti alle esternazioni deliranti con cui il paziente "spiega" ciò che sente dentro di lui e ne sembra talora ricercare i motivi.

Così Nicola racconta di aver "covato l’animale per circa un anno fino a quando non l’ha sentito picchiare sotto la colonna vertebrale e poi muoversi e camminare su e giù, erodendo gli organi".

Egli dice poi: " ho un dolore al fianco sx, è lancinante e si accentua col respiro. E’ l’animale che si è spostato" (ecc. vd. descrizione del caso).

Ma quale rappresentazione vi è dell’interno del corpo? Sia in letteratura che nei nostri due casi di oggi, vi è sempre la presenza di un corpo rovinato, rotto, disfatto che la presenza dell’animale/i deteriora ulteriormente.

Maria dice che "il cuore si gonfia, le gambe sono di ghiaccio e l’intestino è rotto, bucato o forse non è nemmeno il suo. C’è una fessura localizzata nella parte sx dell’intestino e causa la fuoriuscita di liquidi ogniqualvolta beve". (ecc.).

E’ in questo corpo rovinato, disastrato quasi, che il delirio zoopatico si instaura prepotentemente; la configurazione paranoide del delirio è costante e quindi l’animale/i comporta sempre un nocumento grave al paziente; " se è lecito trasporre nell’ambito del nostro argomento le valutazioni simboliche e analitico-psicologiche cui abbiamo accennato, vorremmo dire che lo strutturarsi dell’esperienza paranoide nelle varie configurazioni zooptiche e zoopatiche occupa un livello nettamente inferiore di fronte all’esperienza paranoide che si configura in rapporti interumani: come se il rapporto paranoide uomo-animale fosse espressione più profondamente e radicalmente psicotica del rapporto paranoide uomo-uomo (astrazione fatta naturalmente, dai diversi livelli di cultura del malato" (Callieri, Priori 1962).

Callieri e Priori quindi sottolineano in particolar modo l’aspetto regressivo e dis-umanizzato che la possessione animale comporta come aspetto costitutivo del mondo delirante della zoopatia; noi aggiungeremmo che anche l’aspetto formale (il modo con cui viene configurata l’esperienza zoopatica e conseguentemente verbalizzata) risente di una grave disgregazione del sé, propria solo delle più gravi destrutturazioni psicotiche: il mondo della possessione animale è, in questo senso, una articolazione veramente regressiva della soggettività, in cui il rapporto con l’altro è indicato dalla presenza dell’animale in tutta la sua persecutorietà e la presenza (il Dasein) viene coartata all’interno di questa dimensione del continuo e incessante tormento dato dalla presenza animale.

E’ del resto questo stesso tormento che spinge molte volte i pazienti a richiedere aiuto, anche con carattere di urgenza.

Il delirio zoopatico proprio per la sua inestricabile commistione di vissuti allucinatori viscerali e strutturazione paranoide del pensiero rappresenta una icona, quanto mai angosciante, di una persecuzione da cui non si può sfuggire, a cui lo stesso corpo fa da contenitore, dando il via ai polimorfi vissuti di cui prima abbiamo parlato.

Altro aspetto che ci sembra peculiare è che i pazienti costantemente parlano dell’animale che sentono nel loro corpo come di un essere "immondo", "schifoso", " malefico" ecc.; questo aspetto disgustoso e bestiale appunto sancisce la attribuzione all’animale di caratteristiche che suscitano il ribrezzo e il rifiuto. A maggior ragione proprio per queste caratteristiche i pazienti sentono che devono liberarsi di lui/loro.

Gianni, un paziente con una grave psicosi epilettica, era ben noto al nostro S.P.D.C. per questa sua costante richiesta di venire liberato dall’ "essere immondo", come egli definiva l’animale "schifoso" che si annidava nella sua pancia e gli impediva di "comprendere il presente": ci chiedeva di dargli dei farmaci adeguati allo scopo, che lui sapeva essere in commercio. Erano delle compresse capaci di portarlo di nuovo "nel presente" e il loro nome commerciale, diceva Gianni, era "Ideoline": con queste compresse "l’essere immondo" sarebbe stato schiacciato e le sue idee sarebbero tornate.

Nel caso di Gianni è peculiare il legame tra la presenza dell’animale e il blocco del pensiero: l’animale annidato nella pancia, impedisce la capacità di avere nuove idee, di "cogliere il presente" e il rimedio all’assenza di capacità ideative è contenuto nel farmaco il cui nome (un neologismo che Gianni ha sempre mantenuto) rimanda proprio all’angosciante sensazione provata dal paziente e ad un rimedio potente (le compresse di "Ideoline" appunto).

Anche nel caso di Gianni, come negli altri casi osservati, il paziente si sente in balia di, occupato e minacciato da : il vissuto paranoide è quindi costantemente caratterizzato da una presenza attiva, da un animale che non lascia scampo: l’animale presenza vivente e in movimento è portatore di minaccia alla vita psichica e/o fisica del paziente, è portatore di morte. La descrizione che i pazienti fanno di questa presenza non è mai fredda, ma sempre angosciata e carica di elementi timici, che possono poi sfumare e quasi scomparire se il delirio zoopatico cronicizza e diventa uno dei temi di un quadro parafrenico.

Ma quando il tema zoopatico insorge e/o invade il mondo del paziente esso costituisce una formidabile ancora, una zavorra che blocca il paziente su un tema che, come hanno evidenziato Callieri e Priori (1962), proprio a livello della genesi formale della zoopatia, "rimanda ad una alterazione dell’esperienza spaziale, facendo emergere una vera alienazione sulla capacità di vivere lo spazio interno".

Non si può a questo punto non ricordare gli altri due quadri deliranti che hanno come tema centrale il rapporto (persecutorio) tra animale e uomo: il delirio zooptico e il delirio dermatozoico (o sdr. di Ekbom).

Giustamente, Callieri e Priori (1962), evidenziano come l’elemento centrale nella valutazione di queste forme deliranti sia la distanza (intesa come vissuto e non solo come estensione spaziale): se nel delirio zooptico l’animale è lontano e quindi vissuto attraverso lo sguardo, nel delirio dermatozoico gli animali (quasi sempre identificati come piccoli parassiti) invadono la sfera aptica, del contatto: sono fuori dal paziente (ad es. sulle sue braccia) ma vengono avvertiti dapprima attraverso le sensazioni fastidiose che procurano (prurito, fastidio ecc.) e poi identificati dal paziente (e, naturalmente, da lui solo) di nuovo attraverso lo sguardo, questa volta più accurato, insistente, come una sonda che deve tornare e tornare ad accertarsi della esistenza dei parassiti che si sono insidiati nella cute e non la abbandonano, nonostante tutto ciò che il paziente mette in atto (trattamenti, lavaggi ecc.).

In tutte e tre queste situazioni (d. zooptico, zoopatico e dermatozoico) rileviamo degli aspetti comuni:

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    • l’aspetto persecutorio del/degli animali verso il paziente;
    • la trasformazione del vissuto della distanza: vi è sempre un eccesso di vicinanza e il timore del paziente, che è via via più profondo e qualitativamente permeato dal vissuto di invasione, è legato alla incapacità di poter vivere la distanza. Egli è oppresso invece da una vicinanza che scardina i confini: e se nel delirio zooptico ciò è solo una minaccia (gli animali che vedo stanno invadendo il mio spazio), nel delirio dermatozoico la sfera del contatto diviene vissuto del ribrezzo e dell’angoscia che l’elemento del confine rappresentato dalla cute non sia in grado di impedire la penetrazione all’interno con conseguente perdita del controllo; nel delirio zoopatico gli orifizi sono vissuti come elementi di passaggio tra il dentro e il fuori e ne viene quasi scotomizzata la funzione originaria: ma certo, come abbiamo cercato di evidenziare ci si trova di fronte ad una vera alterazione qualitativa della modalità con cui viene vissuto l’interno corporeo.
    • la comune importanza del vissuto allucinatorio (allucinazioni visive, tattili, viscerali profonde).

Peraltro nel delirio zooptico l’atteggiamento del paziente è variabile talora essendo "incuriosito, o sorpreso, atterrito, impaurito: ma per lo più si tratta di reazioni inerenti al significato tradizionale dell’animale: gatto nero, scorpione, drago, cuccioletto, serpente, topolino" (Callieri, Priori, 1962).

Nel delirio dermatozoico e, ancor di più, nello zoopatico l’atteggiamento del paziente è costantemente iscritto all’interno della persecutorietà, della minaccia per l’integrità del Sé corporeo o della vita stessa.

Infine tra queste tre possibili dimensioni di rapporto delirante con l’animale, le prime due (delirio zooptico e dermatozoico) non sono state per così dire abbandonate nelle riflessioni degli psichiatri: ciò è avvenuto solo per il delirio zoopatico e sui possibili motivi di questo "abbandono" ci siamo soffermati non a caso all’inizio di queste nostre riflessioni.

Specifico e caratterizzante senza dubbio il delirio zoopatico è l’elemento della possessione, che rimanda fuor di dubbio alle demonopatie; talora i pazienti stessi fanno questo accostamento, (vd. il caso di Maria che parla della lucertola che sente dentro di lei come di una bestia malefica del demonio), talaltra dalle loro parole emerge invece in primo piano il fatto di essere posseduti dall’animale e quindi di essere spossessati del loro spazio interno: l’animale infatti, sia esso rappresentante del demonio o meno, possiede lo spazio interno del paziente a suo piacimento, cioè di fatto toglie al paziente ogni possibilità di conservare il rapporto di intimità personale (unica e irripetibile) con il suo mondo interno: è solo a questo punto che il suo spazio interno si altera qualitativamente e non tanto perché le descrizioni che il paziente ci fa degli spostamenti dell’animale rimandano ad una anatomia piuttosto improbabile, ma in quanto non esiste più l’anatomia e quando il paziente parla delle sue gambe o del suo intestino rimanda in realtà ad una costruzione allucinatoria carica di simboli ove le gambe indicano la possibilità di esplorare il mondo, l’intestino e i genitali e i loro orifizi sono spesso confusi in una concezione di una sessualità carica di elementi primitivi e talora rinvianti ad aspetti traumatici, il cuore rimanda al mondo delle emozioni, la colonna vertebrale alla possibilità di sostare nel mondo, in piedi e in rapporto paritario con esso, non seduti o sdraiati a causa della presenza di un attacco portato dall’interno e così via, il tutto certo espresso con modalità senza dubbio regressive (ricordiamo quanto detto da Callieri e Priori), ma che in quel momento appaiano essere le uniche possibili che il paziente può usare e che testimoniano il profondo e strutturale cambiamento esistente nel dipanarsi o, meglio, nella impossibilità del dipanarsi dei suoi rapporti con il Mitwelt, il mondo coesistentivo e l’Umwelt, il mondo ambiente.

Callieri e Priori (1962) pongono al centro delle loro riflessioni, come abbiamo accennato, il concetto di orifiziale; essi scrivono: "è proprio l’esperienza della spazialità che riesce a dare vita, delirante, al fenomeno allucinatorio. Dal punto di vista dell’esperienza spaziale vissuta del corpo, l’ambito dermatozoico e quello zoopatico presentano un importante punto di contatto, o meglio, di trapasso: è questo l’ambito che noi chiameremmo orifiziale… Con l’orifiziale ci troviamo di fronte non ad una spazialità di posizione, ma ad una spazialità di situazione".

Anche se Callieri e Priori non lo specificano, sembra ipotizzabile che essi, con il concetto di situazione, si riferiscano al pensiero di von Bayer e soprattutto di Tellenbach;" l’uomo è sempre in situazione e non si tratta più,come per Jaspers,di indagare come un vissuto psichico derivi da un altro,ma come ciascuna situazione derivi dalla precedente.La situagenesi di Von Bayer rimpiazza la psicogenesi e la somatogenesi o almeno gioca un ruolo complementare nella psicosi endogena per rendere conto, se non del suo apparire, almeno del momento in cui appare,del suo essere-ora" (Tatossian,1979); ancora, "ciò che soprattutto interessa la psicopatologia è che in certi momenti della vita dell’individuo la situazione si distacca dal flusso del divenire e cristallizza in un vissuto simultaneo un insieme di dati significativi, ma inaccettabili per il soggetto : in quei momenti, come scrive von Bayer (cit. da Tatossian) "la situazione è la biografia costretta all'immobilità".(Tatossian,1979)

In questo senso possiamo parlare dell’orifiziale come luogo di passaggio, di transito, svuotato dalle sue primitive funzioni che sono per ognuno di noi portatrici di senso, significato e orientamento negli scambi intersoggettivi, non tanto per quello che sono nel concreto, ma per il mondo simbolico infinito cui rimandano e che contribuisce a fondare la ricchezza e la vivacità del nostro pensiero.

Ma, a maggior ragione, dobbiamo anche riferirci alle profonde trasformazioni del Leib, del corpo vissuto, che ogni delirante zoopatico incarna; l’orifiziale e le sue modalità di imporsi quale elemento di collegamento tra il dentro e il fuori, tra il sé e il non-sé, lascia poi spazio ad un corpo deanimato, osservato dal paziente con contrastanti stati d’animo (comunque aventi come denominatore comune l’angoscia persecutoria), che fa dire che nel delirio zoopatico l’elemento centrale è sì l’animale ma lo è solo all’interno di un corpo vuoto, che l’animale percorre in lungo e in largo dando origine ai vissuti allucinatori viscerali, ma che in realtà il paziente non sente più suo: anzi, potremmo aggiungere, proprio questa primitiva trasformazione del vissuto corporeo è la base essenziale perché possa svilupparsi un delirio zoopatico, che ora alla fine del nostro discorso, potremmo a ragione definire una condizione umana di grave psicosi, in cui anche le coordinate cenestesiche e propriocettive sono state inglobate dal processo psicotico, lasciando il paziente veramente privo di riferimenti anche rispetto alle sollecitazioni e agli impulsi provenienti dal Sé corporeo; è questa una trasformazione globale, all’interno della quale l’animale abita una immagine corporea trasformata che colpisce sistematicamente l’interlocutore non tanto o non solo per la "stranezza" dei contenuti deliranti, ma proprio per il vissuto disperante che una corporeità così espropriata comunica: nel delirante zoopatico siamo di fronte ad una corporeità muta, pur nel clamore allucinatorio così vivace e polimorfo; e questa è, forse, l’icona essenziale del delirio zoopatico: un corpo rovinato che è fatto parlare attraverso il linguaggio del dolore e dell’angoscia da una presenza degradata (l’animale), che a ben vedere costituisce la struttura di un mondo autistico peculiare ove la persecuzione (il soggiogamento del Sé) reificata nell’animale fa da specchio al processo di scollamento e progressiva, totale chiusura intersoggettiva da parte del paziente.


 

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