Le rêve d’Aristote, Il sogno di Aristotele, è il titolo dell’intervento che Jacques Lacan tenne al Congresso organizzato a Parigi dall’Unesco nel 1978, in occasione del ventitreesimo centenario dello Stagirita.
In questo testo breve ma complesso, Lacan riprende alcuni punti che aveva già affrontato, per esempio nel Seminario Di un discorso che non sarebbe del sembiante, in uscita il prossimo aprile nella traduzione italiana per i tipi di Einaudi.
Sottolineo solo un punto. Ogni analizzante è un freudo-aristotelico, dice Lacan, poiché crede poter risolvere la propria questione – questione che gli si dispiega nel particolare del proprio sintomo – tramite il ricorso al linguaggio, e quindi all’universale. Insomma, come Aristotele, ogni analizzante sogna: sogna che il linguaggio, ossia l’universale, mettendo in forma il particolare del sintomo dica la verità della propria singolarità. Ecco perché l’analizzante è allievo di Aristotele. Per il semplice motivo che la logica che il grande filosofo era riuscito ad articolare è quella del significante: per Aristotele, come per Freud, l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Irridendo Freud in altri passi e Aristotele in alcuni passaggi del Seminario XVIII, Lacan fa notare che si tratta dello scotto che tutti e due pagano per il fatto di aver connotato l’altra metà del cielo con i sembianti dell’isterica. All’isterica, Lacan sostituisce La donna – al singolare, vale a dire quella che non esiste – e le donne – al plurale, vale a dire quelle che, invece, esistono, eccome!
Da qui, dal punto d’impasse della logica aristotelica, Lacan fa sorgere, come il prestigiatore fa uscire il coniglio dal cilindro, la logica del ‘non-tutto’. Non già che alla logica di Aristotele se ne aggiungerebbe un’altra che si potrebbe chiamare la logica di Lacan. No. Già nella logica di Aristotele ci potrebbe essere la logica del ‘non-tutto’. Ma, per ritrovarla, lo Stagirita avrebbe dovuto svegliarsi, andare al di là del simbolico e volgersi verso il reale. Con quale strumento? Lo aveva forse a portata di mano? Lacan considera che se c’era qualcuno che avrebbe potuto supporre la topologia era proprio lui, Aristotele. E con la topologia avrebbe potuto scoprire che la sua supposta logica del ‘tutto’ richiedeva, necessariamente, in posizione di extimité, il ‘non-tutto’.
Si tratta della logica del rapporto sessuale tra l’uomo e la donna, rapporto che può essere detto ma non può essere scritto. Si tratta della logica della relazione analitica tra l’analizzante e l’analista, relazione in cui l’analizzante blatera ma con lo scopo di cogliere un reale, il proprio.
E, come nel rapporto sessuale non esiste l’universale de La donna sebbene una per una le donne esistano, così nella relazione analitica non esiste l’universale de L’analista ma, uno per uno, esistono alcune persone che si prestano, in logica, alla funzione-analista.
La copertina di questo numero riproduce via dell’Archetto di Roma, opera di Marie-Jeanne Brichard.
In questo testo breve ma complesso, Lacan riprende alcuni punti che aveva già affrontato, per esempio nel Seminario Di un discorso che non sarebbe del sembiante, in uscita il prossimo aprile nella traduzione italiana per i tipi di Einaudi.
Sottolineo solo un punto. Ogni analizzante è un freudo-aristotelico, dice Lacan, poiché crede poter risolvere la propria questione – questione che gli si dispiega nel particolare del proprio sintomo – tramite il ricorso al linguaggio, e quindi all’universale. Insomma, come Aristotele, ogni analizzante sogna: sogna che il linguaggio, ossia l’universale, mettendo in forma il particolare del sintomo dica la verità della propria singolarità. Ecco perché l’analizzante è allievo di Aristotele. Per il semplice motivo che la logica che il grande filosofo era riuscito ad articolare è quella del significante: per Aristotele, come per Freud, l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Irridendo Freud in altri passi e Aristotele in alcuni passaggi del Seminario XVIII, Lacan fa notare che si tratta dello scotto che tutti e due pagano per il fatto di aver connotato l’altra metà del cielo con i sembianti dell’isterica. All’isterica, Lacan sostituisce La donna – al singolare, vale a dire quella che non esiste – e le donne – al plurale, vale a dire quelle che, invece, esistono, eccome!
Da qui, dal punto d’impasse della logica aristotelica, Lacan fa sorgere, come il prestigiatore fa uscire il coniglio dal cilindro, la logica del ‘non-tutto’. Non già che alla logica di Aristotele se ne aggiungerebbe un’altra che si potrebbe chiamare la logica di Lacan. No. Già nella logica di Aristotele ci potrebbe essere la logica del ‘non-tutto’. Ma, per ritrovarla, lo Stagirita avrebbe dovuto svegliarsi, andare al di là del simbolico e volgersi verso il reale. Con quale strumento? Lo aveva forse a portata di mano? Lacan considera che se c’era qualcuno che avrebbe potuto supporre la topologia era proprio lui, Aristotele. E con la topologia avrebbe potuto scoprire che la sua supposta logica del ‘tutto’ richiedeva, necessariamente, in posizione di extimité, il ‘non-tutto’.
Si tratta della logica del rapporto sessuale tra l’uomo e la donna, rapporto che può essere detto ma non può essere scritto. Si tratta della logica della relazione analitica tra l’analizzante e l’analista, relazione in cui l’analizzante blatera ma con lo scopo di cogliere un reale, il proprio.
E, come nel rapporto sessuale non esiste l’universale de La donna sebbene una per una le donne esistano, così nella relazione analitica non esiste l’universale de L’analista ma, uno per uno, esistono alcune persone che si prestano, in logica, alla funzione-analista.
La copertina di questo numero riproduce via dell’Archetto di Roma, opera di Marie-Jeanne Brichard.