Il volume a cura di Ford e Courtois (edito in grande formato) si presenta strutturato in quattro ampie parti, con un totale di ventisei capitoli e un ultimo contributo elaborato dai due curatori sugli sviluppi che si possono prevedere nel trattamento dei disturbi da stress traumatico complesso. Le quarantotto firme che compaiono nei diversi capitoli del volume sono rappresentative del panorama internazionale dedicato allo studio e all’intervento sul tema del trauma psicologico e, in specie, dello stress da trauma complesso.
Nell’esaminare il testo inizierei con il dire che il primo capitolo rappresenta una lettura fondamentale per capire, o per aggiornarsi, sull’argomento: qui i due curatori offrono una panoramica del tema, trattano della questione della diagnosi e indicano le linee guida, che sono poi riprese nel terzo capitolo dedicato alle best practices nella psicoterapia rivola agli adulti, in cui si propongono ben trenta principi guida. A proposito della diagnosi, non dimentichiamo che il PTSD complesso è stato introdotto nell’ICD-11 ma non nell’ultima versione del DSM, la quinta, evento di cui parla (rammaricandosene) con cognizione di causa Judith Lewis Herman nella Prefazione: infatti, pur essendo stata chiamata a partecipare ai lavori della versione del DSM-5 proprio sul tema specifico, alla fine i suoi sforzi sono risultati vani, ed è stato deciso di ampliare la categoria tradizionale del PTSD “invece di riconoscere il disturbo da stress post traumatico complesso come entità diagnostica distinta” (p. XVIII).
Sono numerosi i suggerimenti tecnici che costellano le pagine di questo libro e che sono collocati sia nei capitoli dedicati alle psicoterapie, sia nei capitoli di contenuto trasversale. Così, in un paragrafo dal titolo Aree di rischio e loro gestione, il lettore è messo in guarda dal fatto che “forse l’errore più comune è cercare di diventare il buon genitore che il cliente non ha mai avuto, salvandolo e cercando di soddisfare i suoi bisogni di dipendenza rimasti insoddisfatti” (p. 133)
Talvolta appare decisamente ridondante l’insistenza su concetti che dovrebbero ormai essere consolidati in qualunque orizzonte teorico e tecnico delle psicoterapie, come quelli di alleanza terapeutica e di fattori aspecifici (nel senso della rilevanza sia della prima, sia dei secondi), così come pleonastica appare la domanda circa l’importanza della relazione oppure della tecnica. Molte pagine sono spese su argomenti (terapie, sistemi di diagnosi) che rientrano nel comparto evidence-based e un’attenzione particolare è naturalmente dedicata ai soggetti più vulnerabili che sono vittime di traumi psichici, fisici, relazionali, abbandonici e di altro tipo, comprese le varie miscele di fattori traumatici e di distress che molto spesso si vedono nella pratica clinica.
Nel quinto capitolo sono proposti diversi strumenti di rilevazione delle condizioni traumatiche complesse notando che “le risposte ai traumi complessi riflettono l’ampia varietà di potenziali esperienze avverse, e anche le numerose variabili biologiche, sociali, culturali e psicologiche che cercano di limitare l’impatto di queste stesse esperienze” (p. 165). Ma anche i terapeuti che lavorano con soggetti fortemente traumatizzati possono rimanere invischiati in problematiche niente affatto lievi come dimostra l’esistenza della cosiddetta traumatizzazione vicaria alla quale è dedicato l’ottavo capitolo. Con il decimo capitolo si entra nella Parte II del testo, Modelli e modalità di trattamento individuale evidence-based in cui si passano in rassegna numerose e diversissime forme di terapia: dai procedimenti di esposizione prolungata alla terapia dell’elaborazione cognitiva, strettamente collegata alla terapia cognitiva alla quale è dedicato un bel capitolo. Non manca il punto di vista eclettico – capitolo dodici, Psicoterapia eclettica breve, sviluppata per il PTSD – e naturalmente non poteva mancare l’EMDR.
Nel quindicesimo capitolo si illustra l’EFTT – “un approccio terapeutico a breve termine incentrato sul trauma che si focalizza principalmente sulle esperienze di attaccamento negative” (p. 386) a cui seguono spazi dedicati alla IPT – Psicoterapia Interpersonale, nata diversi decenni fa per trattare il disturbo depressivo maggiore, e alla Terapia Cognitivo-Comportamentale.
La terza parte presenta dei modelli di terapia di gruppo che, come ci avverte nel capitolo introduttivo Julian Ford (il quale firma anche un successivo interessante capitolo, La terapia dei sistemi familiari), possono applicare punti di vista e tecniche terapeutiche molto diverse tra loro.
Dato che “i disturbi correlati all’uso di sostanze e gli altri disturbi da addiction sono spesso considerati delle conseguenze frequenti della trascuratezza e degli abusi subiti nel corso della prima infanzia” (p. 555), il capitolo 22 tratta nel dettaglio queste interrelazioni, proponendo anche diversi flash tratti da casi clinici.
Seguono il contributo di Pat Ogden, notissimo esponente della Psicoterapia Sensomotoria che scrive appunto su questo argomento, il capitolo sugli Approcci Esistenziali di Janina Fisher e quello sulla Mindfulness.
Giuseppe Craparo, che aveva firmato la prefazione dell’edizione precedente, propone una riflessione introduttiva di spessore il cui unico punto che lascia perplessi riguarda i riferimenti bibliografici che perlopiù si fermano a una decina di anni fa (solo tre titoli sono più vicini a noi, quelli del 2017, 2018 e 2019). Ma il solo importante appunto che si può fare a questa pregevole traduzione italiana (e che, a dir la verità, accomuna tristemente questo testo ad altri, di altri editori) è l’aver omesso due sezioni che, per un testo di settecento pagine, per di più redatto da diversi autori, appaiono fondamentali: l’Author Index e il Subject Index, che invece chiudono il testo dell’edizione inglese.
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