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LA “RIABILITAZIONE OBBLIGATORIA”

21 Dic 12

Di andreamazzeo2005@yahoo.com.br

INTRODUZIONE

Il titolo di questo lavoro è volutamente provocatorio; il termine di "riabilitazione obbligatoria" è stato usato da qualche collega nel corso di una discussione sulla mailing-list psichiatrica psic-ita, facente capo all’Università di Genova e gestita dal Prof. Francesco Bollorino.

Il tema di questa discussione concerneva le modalità di intervento nei confronti di pazienti psicotici scarsamente, o per nulla, collaboranti verso le terapie ambulatoriali e domiciliari e le (scarse) attività riabilitative loro proposte dal CSM. Pazienti molto problematici, quindi, che totalizzano un numero elevato di TSO, presentano rilevanti problemi comportamentali, per il persistere della sintomatologia psicotica, con atteggiamenti violenti in famiglia ed anche al di fuori del contesto familiare.

Nel corso di questa discussione segnalai che avevo inserito alcuni casi in comunità riabilitativa senza il consenso del paziente, utilizzando provvedimenti giudiziari (tutela, curatela o amministrazione di sostegno); da qui l’espressione di "riabilitazione obbligatoria" utilizzata da alcuni colleghi e le critiche rivolte a questa modalità di intervento.

Critiche condivisibili sino ad un certo punto se sfrondate dei troppi ideologismi che connotano la psichiatria post-180; le modalità coercitive di intervento devono essere chiaramente limitate il più possibile ma in presenza di pazienti scarsamente collaboranti, con scarsa o nessuna coscienza di malattia, con sintomatologia positiva florida che influenza massivamente il comportamento, o negativa che li porta ad emarginarsi sempre più dai propri contesti di vita, credo che la psichiatria non possa, e non debba, astenersi dall’intervenire, anche in maniera coercitiva, se necessario.

E ciò non per quella "posizione di garanzia" verso il paziente che la recente giurisprudenza assegna agli operatori psichiatrici, ma per una questione etica e deontologica; non è retorica quella di riaffermare la funzione del medico come principale presidio di tutela della salute dei suoi pazienti, nei limiti del consenso informato e astenendosi da accanimenti terapeutici.

Ma, in tema di consenso informato, lo si può ritenere validamente espresso quando influenzato da sintomi psicotici floridi? Il rifiuto verso le cure, espresso dal paziente psicotico scompensato, non ha esso stesso valore di malattia?

 

SCOPO DEL LAVORO

Lo scopo del lavoro è quello di analizzare, attraverso alcuni casi clinici, gli esiti, o, se si vuole, l’outcome, di inserimenti in strutture riabilitative psichiatriche effettuati senza il consenso del paziente.

 

MATERIALI E METODI

 

Le strutture riabilitative psichiatriche nella Regione Puglia sono suddivise in tre tipologie, in base alla diversa intensità assistenziale: Comunità Riabilitative Psichiatriche con assistenza H24, Comunità Alloggio con assistenza H12 e Gruppi Appartamento con accesso orario degli operatori. La decisione di inserire il paziente in una struttura piuttosto che in un’altra viene adottata d’intesa tra il CSM e gli operatori della struttura, dopo adeguata conoscenza del paziente e dei suoi bisogni.

Tali strutture fanno capo in maggioranza al privato accreditato, come già segnalato in un precedente lavoro (1); i casi considerati nel presente studio provengono tutti da queste strutture.

La valutazione dell’inserimento residenziale viene effettuata nella nostra ASL con cadenza semestrale, finalizzata essenzialmente al rinnovo della deliberazione per l’impegno di spesa; da alcuni anni il gruppo di lavoro sulla riabilitazione, insediatosi a livello dipartimentale, ha disposto che nel corso di ciascuna verifica semestrale si provveda a somministrare agli utenti tre scale che dovrebbero fornire dei dati di outcome; tali scale sono la BPRS, il MMSE ed il modulo FPS del VADO.

Personalmente ritengo di scarsa utilità, per valutare un processo di riabilitazione psichiatrica, sia la BPRS, che è una scala psicopatologica, sia il MMSE poiché poco rileva, in quest’ultimo caso, il punteggio riportato al MMSE per valutare l’outcome riabilitativo psichiatrico (non si tratta di pazienti con demenza!).

Ad ogni buon conto, poiché già utilizzavo un mio schema di valutazione prima che fossero introdotti i nuovi strumenti, per omogeneità metodologica, ho continuato, in aggiunta ai precedenti, ad utilizzarlo anche per gli inserimenti più recenti; tale schema comprende la scala BRS, la scala 3-TRE e la CGI.

La scala BRS (Behaviour Rating Scale, di Lucero e Meyer) è una vecchia scala comportamentale composta da 13 item che valutano il comportamento del soggetto in diverse situazioni della quotidianità (dal lavoro al comportamento durante i pasti o nei confronti di altri pazienti, operatori, medici, la cura di sé, ecc); il punteggio per ciascun item va da 1 (normale) a 5 (gravissimo). La scala è piuttosto datata ma mi sembra ancora valida per la valutazione comportamentale.

La scala 3-TRE, di Pancheri, è un agile strumento di valutazione della sintomatologia positiva (alterazione di funzioni), negativa (perdita di funzioni) e comportamentale.

La scala CGI è la classica scala dell’impressione clinica globale, molto agile e di facile somministrazione.

 

 

I casi clinici

 

I casi inseriti in struttura riabilitativa senza consenso esplicito sono stati 10, nel periodo che va dal 2007 al 2010, su un totale di 23 in carico al sottoscritto, presenti nelle strutture al 31 dicembre 2010; come tipologia di struttura solo due casi sono stati inseriti in Comunità Alloggio, i rimanenti otto in Comunità Riabilitativa Psichiatrica proprio per la gravità della patologia e la perdita rilevante delle abilità sociali.

 

Tabella n° 1 – Caratteristiche socio-demografiche del campione

NOME

TIPO

PROVVED.

SESSO

ETÀ

STATO CIVILE

SCOLARITÀ

DIAGNOSI

DURATA

INSER.

DURATA

MALATTIA

DG

NESSUNO

M

49 AA

CEL

L. MEDIA 2° GR.

SCHIZOFRENIA

42 MESI

30 ANNI

BM

AdS

F

46 AA

DIV

L. MEDIA 1° GR.

D. SCHIZOAFF.

38 MESI

25 ANNI

BG

AdS

M

43 AA

CEL

L. MEDIA 2° GR.

D. BIPOLARE

32 MESI

22 ANNI

PG

AdS

M

29 AA

CEL

L. MEDIA 1° GR.

SCHIZOFRENIA

23 MESI

14 ANNI

FA

TUTELA

M

33 AA

CEL

L. MEDIA 2° GR.

DEPR. MAGG. PSICOT.

18 MESI

8 ANNI

CG

AdS

M

42 AA

CEL

L. MEDIA 2° GR.

SCHIZOFRENIA

18 MESI

25 ANNI

CR

AdS

F

43 AA

NUB

L. MEDIA 2° GR.

SCHIZOFRENIA

11 MESI

23 ANNI

PD

CURATELA

M

49 AA

CEL

L. MEDIA 2° GR.

D. BIPOLARE

10 MESI

20 ANNI

AW

NESSUNO

M

29 AA

CEL

L. MEDIA 2° GR.

SCHIZOFRENIA

7 MESI

4 ANNI

NM

AdS

F

45 AA

DIV

L. MEDIA 1° GR.

DEPR. MAGG. e DIPEND. ALCOL

2 MESI

16 ANNI

 

I pazienti sono elencati nella tabella precedente con le caratteristiche socio-demografiche di ciascuno, il tipo di provvedimento adottato, la diagnosi, la durata dell’inserimento espressa in mesi e la durata di malattia espressa in anni.

 

L’inserimento è avvenuto con le seguenti modalità:

 

A) Su richiesta del Tutore: 1 caso

B) Su richiesta del Curatore: 1 caso;

C) Su richiesta dell’Amministratore di Sostegno (AdS): 6 casi;

D) Su richiesta della famiglia ma senza provvedimento: 2 casi;

 

Gli inserimenti effettuati mediante il Tutore ed il Curatore sono più che altro dovuti al fatto che il Giudice Tutelare di Lecce dava in precedenza un’interpretazione restrittiva del provvedimento di Amministrazione di Sostegno, ritenendolo utile solo ai fini patrimoniali e non anche alla tutela della salute. Più di recente il Giudice Tutelare ha ampliato i compiti dell’AdS estendendoli anche alla tutela della salute, e ciò ci ha consentito di sfruttare maggiormente questo provvedimento senza ricorrere a provvedimenti più limitanti (curatela, tutela). Nei due casi inseriti senza provvedimento, il buon rapporto esistente con gli operatori del CSM ha consentito di superare le resistenze dei pazienti, pur persistendo un loro rifiuto "di principio" verso l’inserimento medesimo.

 

Distinti in base al sesso prevalgono i maschi (70%); per lo stato civile c’è un solo caso divorziato, gli altri sono celibi/nubili; come età, calcolata al 31/12/2010, i due pazienti più giovani hanno 29 anni, i due più anziani 49, l’età media del gruppo è di 40,5 anni; per scolarità si ha una prevalenza di utenti in possesso di licenza media di secondo grado (maturità – 70%).

Come diagnosi prevale quella di schizofrenia (50%) seguita dai disturbi dell’umore (40%); in un caso la diagnosi formulata è quella di disturbo schizoaffettivo.

La durata dell’inserimento, anch’essa calcolata al 31 dicembre 2010, va da un massimo di 42 mesi ad un minimo di 2 mesi, con una media di 20 mesi.

La durata di malattia è stata calcolata dalla data della comparsa dei primi disturbi psicopatologici, come risultante dalle anamnesi in cartella, al 31 dicembre 2010.

 

 

RISULTATI

 

Per la valutazione dei risultati il gruppo dei 10 pazienti è stato suddiviso in due sottogruppi, il primo con durata di inserimento pari o superiore a 18 mesi, in maniera da consentire l’analisi su almeno quattro valutazioni semestrali (T0-T1-T2-T3) e il secondo con durata dell’inserimento inferiore ai 18 mesi. Il primo sottogruppo è composto da 6 pazienti e i risultati sono riassunti nelle tabelle seguenti:

Tabella n° 2 – Punteggi totali alle scale di valutazione

PUNTEGGI TOTALI

T0

T1

T2

T3

BRS

208

182

148

129

3-TRE

180

159

131

124

CGI-1

(GRAVITÀ MALATTIA)

35

33

29

27

CGI 2

(MIGLIORAMENTO

0

22

21

16

 

Si osserva una riduzione dei punteggi che è coerente per tutte le scale somministrate.

 

Tabella n° 3 – Punteggi medi alle scale di valutazione

PUNTEGGI MEDI

T0

T1

T2

T3

BRS

34.7

30.3

24.7

21.5

3-TRE

30.0

26.5

21.8

20.7

CGI-1

(GRAVITÀ MALATTIA)

5.8

5.5

4.8

4.5

CGI 2

(MIGLIORAMENTO)

0.0

3.7

3.5

2.7

 

I punteggi medi seguono, ovviamente, lo stesso andamento.

 

La BRS mostra in media un punteggio iniziale di 34.7 (il massimo previsto è 50) che al secondo anno di inserimento scende a 21.5 (il punteggio minimo ottenibile è 13); non la normalizzazione comportamentale ma un buon risultato, ritengo, in considerazione anche del fatto che in questo gruppo (primi sei casi) sono compresi pazienti con lunga storia di malattia (superiore a 20 anni in quattro dei sei casi).

 

La scala 3-TRE (punteggi ottenibili da 9 a 45) mostra un andamento analogo, con riduzione della sintomatologia psicotica positiva, negativa e comportamentale nel loro insieme e in maniera coerente.

 

Per quanto riguarda la CGI, per la gravità di malattia si passa da un punteggio medio di 5.8 (sostanzialmente pazienti considerati gravemente ammalati) a 4.5 (tra "moderatamente e notevolmente ammalati"), e come miglioramento da un punteggio medio di 3,7 (quasi nessun cambiamento al tempo T1, cioè dopo i primi 6 mesi) a 2,7 (condizioni tra "lievemente e moderatamente migliorate").

 

I rimanenti quattro, dei dieci casi iniziali, sono stati inseriti in struttura riabilitativa nel corso del 2010, rispettivamente due nel mese di gennaio, per cui per essi si dispone di tre valutazioni, uno a metà anno (due valutazioni) e il quarto verso la fine del 2010 (solo la valutazione iniziale).

Per uno dei due casi inseriti all’inizio dell’anno i risultati sono stati molto positivi tanto da consentirgli la ripresa dell’attività lavorativa (impiegato) dopo sei mesi e a fine anno il trasferimento dalla Comunità Alloggio al Gruppo Appartamento. Il caso inserito a fine 2010 ha abbandonato il progetto a febbraio 2011 facendo ritorno al suo domicilio.

 

Gli esiti del processo di riabilitazione psichiatrica sono sintetizzati nella tabella seguente.

 

Tabella n° 4 – Esito della riabilitazione

NOME

ESITO

DG

TRASFERIMENTO DA CRP IN CA

BM

RIENTRO A CASA

BG

PROSEGUE L’INSERIMENTO IN CRP

PG

PROSEGUE L’INSERIMENTO IN CRP

FA

PROSEGUE L’INSERIMENTO IN CRP

CG

PROSEGUE L’INSERIMENTO IN CA

CR

PROSEGUE L’INSERIMENTO IN CRP

PD

TRASFERIMENTO DA CA IN GA

AW

PROSEGUE L’INSERIMENTO IN CRP

NM

ABBANDONO

Del gruppo di 10 pazienti una paziente ha fatto ritorno al suo domicilio, un paziente è stato trasferito dalla struttura H24 alla struttura H12, un altro dalla struttura H12 al gruppo appartamento.

Sei pazienti proseguono l’inserimento, una paziente ha abbandonato il progetto.

 

 

DISCUSSIONE

 

Globalmente i risultati mostrano che tutti i pazienti hanno beneficiato, in misura maggiore o minore, dell’inserimento comunitario riabilitativo, sia pure effettuato contro la loro volontà; ritengo che il miglioramento mostrato sia dovuto da un lato al fatto che l’inserimento comunitario ha consentito la regolare somministrazione della terapia farmacologica e dall’altro alla rete relazionale che il paziente ha trovato nella comunità.

Come emerge dalla tabella 1, nella quasi totalità dei casi l’inserimento nella struttura residenziale è stato effettuato dopo molti anni dall’esordio dei disturbi psicopatologici, che di solito supera i dieci anni; solo in due casi l’inserimento è stato effettuato a meno di dieci anni dall’esordio.

Questo dato forse dà ragione del fatto che, almeno per il primo sottogruppo che ha completato le valutazioni con le rating scale, restano comunque pazienti tra moderatamente e notevolmente ammalati (punteggio medio CGI = 4,5) e che il miglioramento misurato sia lieve-moderato (punteggio CGI = 2,7).

Viene da chiedersi se l’inserimento residenziale effettuato in una fase più precoce avrebbe consentito di ottenere risultati migliori. Come si vede dalla tabella 4, quasi tutti i pazienti proseguono l’inserimento residenziale, in qualche caso transitando da una struttura ad elevata protezione ad una a minore protezione, ma restando pur sempre persone con scarsa capacità di autogestirsi, ormai fuori dal mondo del lavoro, incapaci di formarsi una famiglia e di avviarsi ad una vita autonoma.

Non sono a conoscenza di esperienze che prevedono il precoce inserimento residenziale in strutture riabilitative di pazienti psichiatrici; sarebbe interessante un confronto con realtà di questo tipo.

 

 

CONCLUSIONE

 

La psichiatria post-180, ormai dobbiamo definirla in questo modo, ha preso le mosse dalla contestazione della istituzionalizzazione manicomiale ritenuta, a giusta ragione, motivo di cronicizzazione; ha trascurato, a mio parere, il dato che la cronicizzazione è spesso intrinseca al decorso stesso delle patologie psicotiche maggiori. Per via di questo pregiudizio ideologico non si è dotata sin da subito di strumenti, e di una cultura sottostante, miranti proprio a contrastare l’evoluzione in cronicità dei casi gravi (parlo ovviamente delle realtà che conosco). Si trova adesso a dover comunque gestire una cronicità che si è sviluppata al di fuori delle mura manicomiali, dando ad essa nuovamente una risposta istituzionale; molto più soft, intendiamoci, che nulla ha a che vedere con le istituzioni totali del passato, ma pur sempre istituzionale.

Non so se la cronicità sia la compagna inevitabile delle psicosi gravi, ma forse programmi miranti a combattere sin dall’esordio la disabilità sociale dei pazienti potrebbero migliorare le condizioni di vita di queste persone; allo stato attuale i Dipartimenti di Salute Mentale, nelle realtà che conosco, si caratterizzano più come "fabbriche di cronicità" che come presidi per tutelare la salute mentale e favorire l’integrazione sociale dei pazienti.

 

 

Riassunto

 

Il lavoro presenta dieci casi di pazienti psicotici inseriti, contro la loro volontà, in comunità riabilitative psichiatriche e ne valuta gli esiti. L’A prende spunto da questa limitata esperienza per chiedersi se un inserimento residenziale effettuato in fasi più precoci di malattia possa sortire risultati migliori in termini di outcome.

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