Ferro è uno dei pochi psicoanalisti che in Italia hanno sviluppato e approfondito una teoria del personaggio che sia funzionale in modo diretto all’ambito clinico.
I personaggi che cita Ferro, come si vedrà, hanno il compito di esemplificare attraverso il loro modo di essere situazioni emotive confuse (come quando per esplicitare un clima molto teso in seduta immagina alcuni cowboys in un saloon), oppure possono essere considerati come proiezioni di oggetti interni che descrivono ciò che il paziente sente emotivamente durante la seduta.
L’utilizzo del personaggio occupa buona parte della teoria elaborata da Ferro; nelle sue opere emerge l’importanza attribuita a questo strumento teorico: si ha l’impressione che l’intera impostazione dell’analisi venga largamente influenzata e indirizzata dal fattore personaggi.
Il tema dell’utilizzo del personaggio viene qui ripreso a partire da come essi furono pensati dalle origini della psicoanalisi, cioè da Freud in poi.
Successivamente l’attenzione si focalizza sulle modalità con cui Ferro considera il personaggio all’interno del campo d’analisi; al termine di questa lettura vengono proposti cenni di esempi clinici, per illustrare in pratica la funzionalità di questo strumento terapeutico.
Tracce storiche riguardo all’utilizzo del personaggio
La psicoanalisi ha per lungo tempo evitato di occuparsi dell’utilizzo del personaggio in ambito clinico.
Nella teoria di Antonino Ferro, come si è visto, è spesso sottolineato quanto l’ambito della narratologia e quello della psicoanalisi siano legati dall’utilizzo di strumenti clinici comuni, come le storie terapeutiche, la metafora o appunto il personaggio.
La narratologia ha compiuto un percorso relativo al personaggio legato allo studio della fiaba e della favola: è stata progressivamente sottolineata l’importanza del “ruolo” del personaggio e della sua “funzione” all’interno dell’intreccio narrativo.
In ambito clinico il personaggio assume peculiare importanza già dagli inizi – per esempio nelle opere di Freud – , ma è considerato in modo molto differente da come viene attualmente teorizzato: con il maturare delle teorie psicoanalitiche, infatti, assumerà molteplici sfaccettature e significati differenti.
Nella teoria di Antonino Ferro viene analizzata l’evoluzione dell’utilizzo del personaggio in psicoanalisi: l’Autore propone tre principali “tappe” di questo percorso (Ferro stesso sottolinea che in realtà una distinzione così netta sia da considerarsi artificiosa, anche se utile); le tre fasi proposte da Ferro sono:
– modello freudiano
– modello kleiniano
– modello relazionale insaturo.
Il modello freudiano
Ferro descrive la modalità con cui storicamente il padre della psicoanalisi considerava i personaggi che prendevano vita durante la seduta psicoanalitica.
La tecnica terapeutica degli inizi era orientata principalmente sulla necessità, da parte dell’analista, di ricostruire e portare al ricordo del paziente una serie di situazioni traumatiche che erano state rimosse. Il terapeuta si presentava quindi come una sorta di archeologo con il compito di analizzare il materiale rimosso affiorato a livello dell’Io (la nevrosi per Freud era da collocare nell’affiorare indistinto e confuso del materiale rimosso a livello dell’Io).
Nella teoria di Freud, all’interno del racconto portato dal paziente, i personaggi emersi dovevano essere considerati come “nodi in una rete di rapporti storici”, cioè erano funzionali all’analisi delle dinamiche interpersonali passate del paziente.
Si vede quindi come in quest’ottica essi assumano la valenza di persone reali con cui il paziente ha avuto un qualche rapporto in passato.
Il personaggio da questo punto di vista è come una “persona viva” a cui vanno attribuiti tratti psicologici e caratteriali ben definiti.
Ferro fa notare inoltre che questo tipo di approccio “fortemente realistico” si inserisca nella tendenza narratologica dell’epoca secondo cui il personaggio era da considerarsi come detentore di un’esistenza propria nella fabula (in questa visione la narrazione e i suoi personaggi riproducono in modo fedele la realtà).
L’analista (Freud) deve quindi ricondurre tutti i personaggi che nascono dal contesto terapeutico alla realtà passata del paziente. Ferro cita il caso clinico dell’Uomo dei lupi, in cui Freud riconduce i personaggi/lupo osservati in sogno alla scena primaria vissuta molti anni prima dal piccolo paziente. Si vede quindi come l’approccio freudiano debba ricondurre tutti i personaggi (compresi quelli del sogno) a persone reali coinvolte in avvenimenti accaduti nel passato.
A proposito del sogno, Ferro sottolinea che
“Il traguardo ermeneutico è raggiunto quando il personaggio diventa, a tutti gli effetti, persona: quando cioè cade la finzione narrativa e il re, finalmente, come nella fiaba, appare nudo” (Ferro A., 1999, p. 99).
Se nel sogno compaiono dei personaggi, essi devono essere considerati come finzioni narrative, e necessitano dell’interpretazione dell’analista per “spogliarsi”, riprendendo così il loro statuto reale, storico.
Ferro propone una riformulazione della definizione di modello freudiano: parla di modello a forte impronta realistica delle comunicazioni (ibidem, p. 101).
Una riflessione interessante è fatta dall’Autore in proposito alla natura del personaggio, che da antropomorfo passa lentamente – in narratologia come in psicoanalisi – ad assumere forme differenti: può diventare “qualsiasi elemento figuratizzativo a livello superficiale che si pone come unità sintattica profonda” (ibidem, p. 101).
Naturalmente un personaggio non antropomorfo verrebbe ricondotto nella prospettiva di Freud ad una persona in carne ed ossa esistita nella realtà storica del paziente.
Il modello kleiniano
Il secondo modello a cui Ferro fa riferimento, riguardo l’utilizzo del personaggio, è quello da lui stesso definito kleiniano.
In questa visione il personaggio che entra in seduta appartiene al mondo interno del paziente, e lì deve essere ricondotto.
Questo tipo di concezione del personaggio si riferisce come è intuibile all’approccio terapeutico adottato da Melanie Klein a riguardo all’introiezione di oggetti “buoni” o “cattivi” a partire dalle relazioni esterne. Qui le problematiche del paziente sono da analizzare a livello di oggetti interni introiettati, che “appaiono” esteriormente attraverso proiezioni difensive.
Questo aspetto della teoria della Klein si traduce in termini di teoria del personaggio nel senso che essi devono essere considerati in realtà come dei “doppi da ricondurre all’unità”, cioè proiezioni di vissuti emotivi interni.
Questa seconda modalità di concepire il personaggio in seduta, originata da una ripresa della teoria kleiniana, trova il suo corrispettivo in narratologia nelle opere attinenti al tema del doppio o dell’alter ego (Ferro cita l’interesse per la dimensione dell’ombra nella fiaba di Andersen, il Sosia di Dostoevskij o il Clandestino di Conrad).
Nell’ambito della psicoanalisi è chiaro come considerando il personaggio un oggetto interno al paziente (o anche all’analista, se si considera il campo come prodotto da entrambi), emerga la necessità di creare un codice comunicativo più generalizzabile (Ferro, 1997).
Il personaggio comincia ad essere considerato come possibile strumento comunicativo nel campo d’analisi.
Se si considera il primo modello, freudiano, e il secondo, kleiniano, i personaggi possono essere definiti come rispettivamente referenziali e commutatori.
Queste due definizioni si trovano nell’opera di Hamon (1972), anche se sviluppate in ambito narratologico: i personaggi pensati da Freud sarebbero referenziali in quanto appartenenti al mito e alla storia e dotati di un coefficiente di realtà assai elevato; quelli kleiniani invece commutatori in quanto spie dell’autore e delle sue idee (in questo caso l’autore del personaggio sarebbe in analisi il paziente stesso).
Ferro ridefinisce il termine approccio kleiniano, e parla di modello a forte impronte fantasmatica focalizzata sul mondo interno del paziente (Ferro, 1999).
Compito dell’analista sarà quello di tradurre le fantasie inconsce, poiché i personaggi ad esse rimandano, e non di costruire una storia in cui questi siano nodi relazionali o cause scatenanti di conflitti.
Il modello relazionale insaturo
Ferro rintraccia le origini storiche di quest’ultimo approccio alla teoria del personaggio nel pensiero di Bion e dei coniugi Baranger.
Nelle teorie di questi autori, ripresi nel loro aspetto più propriamente relazionale, è rilevabile un utilizzo del personaggio come indicatore del funzionamento della relazione emotiva attuale analista – paziente.
Secondo Ferro, Bion e i Baranger prenderebbero in seria considerazione la necessità per la coppia analitica di comunicarsi in tempo reale l’andamento della relazione a livello comunicativo / affettivo.
Da questo punto di vista la natura del personaggio che compare in seduta può essere pensata come una riproduzione “artistica” della relazione.
Ferro fa notare che nel considerare i personaggi come ologrammi affettivi 12 si viene a creare una situazione comunicativa in cui il paziente e soprattutto analista non sono vincolati dalla necessità di interpretare ciò che accade in seduta.
Nella prospettiva freudiana e kleiniana, infatti, il paziente invia un messaggio all’analista che deve interpretare “in direzione della realtà”. A questo obiettivo primario sottostanno necessariamente le altre dinamiche analitiche.
Da questo terzo vertice osservativo, invece, paziente e analista lanciano entrambi dei messaggi relativi alla comunicazione che si risolvono poi nell’emergere in seduta di un personaggio.
E’ quindi una relazione maggiormente paritetica, poiché “sia il paziente che l’analista sono contemporaneamente emittenti e destinatari” (Ferro, 1999, p. 105) del messaggio analitico.
Essi sono in questa prospettiva entrambi “padri” del personaggio che emerge nel campo: è un personaggio
“Privo di un aspetto dato, oggettivo, in quanto viene articolato progressivamente attraverso il reciproco gioco dialogico e proiettivo del paziente e dell’analista” (Ferro A., 1999, p. 106).
Si configura una situazione analitica di cooperazione interpretativa, poiché la storia che si crea nel campo assume molteplici aspetti grazie al continuo alternarsi di personaggi e alla plasticità di questi.
Ferro a questo proposito sottolinea come il testo psicoanalitico sia aperto a infinite negoziazioni di significato e, a differenza di quello letterario che nello svilupparsi perde aperture e possibilità narrative, con il procedere dell’analisi nuovi personaggi entreranno sicuramente in gioco aprendo la strada a nuovi “mondi” possibili.
E’ interessante la definizione data dall’Autore a questa dinamica letteraria:
“[…[Tanto stimolante quanto delicata, contemporaneamente ricca e precaria, e soprattutto libera dalla necessità di giungere a un traguardo narrativo definitivo” (Ferro A., 1999 p. 108).
Il personaggio è creato a “quattro mani”, e questo gli conferisce maggiore mutevolezza: diviene uno spazio importante di proiezione e allo stesso tempo solidifica la relazione terapeutica, poiché ci si “allea” attraverso il parlare di qualcun altro (o qualcos’altro, nel caso di un personaggio non antropomorfo).
La definizione di approccio relazionale insaturo si riferisce all’impossibilità per analista e paziente di caratterizzare in modo definitivo lo statuto del personaggio, che non diventa mai “reale” o “troppo finito”, ma si trasforma con le dinamiche relazionali della coppia analitica.
Riprendendo una definizione data da Ferro, si può dire che
“Il personaggio diventa fluida fantasmatizzazione di coloriture emotive e affettive, di emergenze orografiche e di onde della geografia trasformazionale del campo” (Bezoari, Ferro, 1990, 1991, Ferro, 1994, 1996, in Ferro A., 1999, p. 109).
Ferro aggiunge che è possibile pensare questa teoria del personaggio, oltre che presente all’interno della relazione analista-paziente, anche all’interno della dinamica di gruppo; in questo caso nel campo gruppale si attiveranno dinamiche psichiche da cui poi prenderanno vita particolari personaggi.
Il personaggio in narrazione e psicoanalisi
Nell’introduzione storica all’utilizzo del personaggio si è visto come la psicoanalisi abbia progressivamente modificato ed esteso il modo di utilizzare in seduta questo strumento teorico narrativo.
Tuttavia lo sviluppo della teoria del personaggio in ambito psicoanalitico è sempre stato in coda a quello delle teorie del personaggio in ambito narrativo-narratologico.
Come si è visto Ferro parla di tre principali tendenze in ambito narratologico: una prima tendenza si riferisce allo studio psicologistico del personaggio, che ha un proprio spessore emotivo.
Un secondo raggruppamento è costituito dagli autori che studiano il personaggio all’interno delle leggi di funzionamento del testo, cioè ne visualizzano la funzione e il ruolo subordinati alla trama. Infine, secondo Ferro, esiste una terza tendenza narratologica che pensa il personaggio come prodotto dell’interazione tra testo e lettore (nel senso che quest’ultimo partecipa alla costruzione e alla “significazione” del testo).
La teoria di Ferro prende necessariamente ispirazione da come viene considerato il personaggio in ambito narratologico.
Può essere utile fare un confronto tra la visione del personaggio nei due diversi ambiti, psicoanalitico e letterario 13.
Innanzitutto è da sottolineare che il personaggio utilizzato in letteratura assume importanza in base a ciò che fa: sono vincolanti per costruire il romanzo le azioni dei personaggi. In psicoanalisi invece il paziente parla di personaggi che si muovono, ma il terapeuta considererà fondamentali più che altro le motivazioni che stanno alla base di queste dinamiche narrative. E’ più importante svelare ciò che sta dietro all’azione, in modo poi da leggere il romanzo storico sotto una luce differente.
Un fattore che differenzia ulteriormente i due ambiti è il fatto che le vicende in cui si muovono i personaggi letterari hanno schemi mutevoli e ruoli che si modellano a seconda delle esigenze narrative.
Nell’ambito della psicoanalisi invece è la nevrosi stessa a impedire che i personaggi modifichino il proprio ruolo e assumano funzioni differenti nel contesto narrativo: il testo in seduta si presenta come più rigido e inizialmente immobile poiché “quello psicoanalitico è un racconto che pare non avere soluzioni, e che è in attesa di un senso” (Arigoni. e Barbieri, 1998).
A proposito dei ruoli che intercorrono tra i personaggi nell’ambito psicoanalitico e in quello letterario è possibile trovare una terza e importante differenza rispetto a come si modificano gli schemi narrativi a riguardo.
L’obiettivo primario della psicoanalisi è infatti quello di formulare una nuova gestalt che annulli gli schemi narrativi presenti nel setting, nel senso che deve essere cancellato – in quanto patologico – il modo di pensare al rapporto tra i vari personaggi nel campo.
In ambito letterario invece questi schemi non vogliono essere demoliti e ricostruiti, ma modificati a seconda della trama.
In altre parole, quello fatto in analisi è un intervento più massiccio che riformula i rapporti tra i vari personaggi: essi verranno pensati in un’ottica nuova che permetta al paziente di attribuire un senso alla sua sofferenza. Nell’ambito letterario invece i personaggi e il rapporto tra essi mantengono una plasticità che in ogni caso non può e non deve essere stravolta.
La teoria del personaggio pensata da Antonino Ferro
Antonino Ferro propone una teoria del personaggio che si rifà ai modelli teorici presentati nell’introduzione storica (freudiano, kleiniano e relazionale).
Il personaggio che entra nel campo viene considerato da Ferro come potenzialmente visualizzabile alla luce di tre prospettive: può rimandare al romanzo familiare del paziente, al suo mondo interno o alla relazione attuale analista – paziente.
Il primo approccio fa sì che si possa pensare al personaggio da un vertice storico–referenziale: se una paziente in seduta portasse un vissuto di frustrazione legato all’impossibilità di raggiungere l’orgasmo, per esempio, da questo punto di vista la problematica verrebbe analizzata nel suo aspetto più concreto, cioè legato alla fisicità della coppia e senza rimandi alle dinamiche oggettuali interne. Questo primo approccio rimanda alla teoria freudiana e al suo considerare i personaggi in seduta come nodi relazionali o cause di conflitti interpersonali nel passato del paziente.
Accanto a questa modalità “esterna” di considerare il personaggio in seduta, Ferro colloca il vertice osservativo kleiniano, quello cioè che focalizza l’attenzione sul mondo interno del paziente.
Per riprendere l’esempio di prima, è plausibile pensare che il personaggio “orgasmo con penetrazione” (in questo caso il personaggio non assume natura antropomorfa), rimanderebbe all’aspetto dei “rapporti intimi profondi”, e l’ ”impossibilità di raggiungere l’orgasmo”14 verrebbe interpretata dall’analista come una difficoltà a provare piacere all’interno di questi ultimi.
Si nota come il problema sessuale esterno possa essere considerato, in questo secondo approccio, interno al paziente, cioè attinente alle sue dinamiche intrapsichiche.
Questa modalità di considerare il personaggio utilizzata da Antonino Ferro rimanda al modello storico kleiniano: il personaggio è una proiezione di un oggetto interno (una madre svalutante potrebbe essere pensata in questa prospettiva come una tendenza svalutante del paziente: una madre in realtà interna, introiettata), così come un conflitto o un problema legato al personaggio è in realtà legato a una problematica psichica profonda.
Ferro sottolinea come questi vertici osservativi debbano essere accostati e posti su uno stesso livello di efficacia clinica: sarebbe irrealistico pensare l’esistenza di un’interpretazione più “vera” di un’altra.
E’ interessante sottolineare che nel campo entrano anche il paziente e l’analista stessi, come personaggi: “il paziente che racconta” e l’ ”analista che ascolta”, l’ ”analista che si impone” o il “paziente che non accoglie i rimandi”, e così via.
Il terzo vertice osservativo da cui Ferro considera il personaggio è quello relativo alla relazione analista-paziente in seduta.
In questo caso l’Autore sostiene che l’analisi debba essere considerata come una sorte di pieces teatrale ideata a quattro mani dalla coppia analitica, e i personaggi in seduta i protagonisti di questo evento narrativo.
Il personaggio viene inserito all’interno di uno spazio “terzo”, virtuale, che funziona da spazio proiettivo: in base alle proiezioni portate nel campo l’analista potrà ipotizzare l’andamento emotivo della seduta.
Secondo Ferro l’utilizzo del personaggio permette di utilizzare la seduta come un esteso sogno di controtransfert (va ricordato che Ferro, riprendendo Bion, considera l’attività del sogno operativa anche durante la veglia).
Questo significa che la seduta, come un sogno, permette di “rivelare” dinamiche psichiche appartenenti al paziente e proiettate sull’analista e di descrivere il campo in termini emotivo-relazionali. Com’è intuibile la modalità di analisi di questo materiale controtransferale avverrebbe in modo privilegiato attraverso l’analisi dei personaggi.
Si è visto a proposito dell’approccio relazionale (storicamente riferito alle teorie di Bion e dei coniugi Baranger), che i personaggi sono pensati come ologrammi affettivi o nodi sincretici emotivi nel campo. Ferro a queste definizioni aggiunge quella di aggregato funzionale .
Ferro ricorre a questa riformulazione teorica contrapponendola al concetto storico di parte personificata utilizzato dalla Klein, per cui inevitabilmente il personaggio apparterrebbe a solo uno dei membri della coppia analitica. Questa definizione permette di sospendere il giudizio sull’appartenenza all’analista o al paziente del personaggio in seduta.
Si vede quindi come Ferro riprenda i tre approcci teorici storici sulla teoria del personaggio (Freud / Klein / Bion-Baranger).
L’innovazione rispetto al passato è che l’Autore propone di utilizzare insieme i tre approcci così da scegliere di volta in volta, e in base al contesto del campo, come interpretare lo statuto del personaggio.
Prima di intervenire con un’interpretazione – che magari saturerebbe il significato in modo prematuro – è necessario pensare al personaggio come ad un attivatore di significati e storie diverse.
Si vede quindi come la segnalazione di un vettore emotivo relazionale nel campo avvenga attraverso dialetti differenti, ognuno con personaggi diversi al suo interno (può avvenire per esempio attraverso un dialetto legato al “posto di lavoro” o a un “rapporto amoroso” o ancora a una “cronaca di viaggio”, e così via).
Ferro aggiunge ai tre approcci narrativi sopra citati un quarto livello osservativo, che si riferisce appunto a un essere “senza memoria e senza desiderio” (Bion, 1962), cioè un approccio aperto a più letture e combinazioni possibili rispetto al significato del personaggio.
Se questo venisse considerato aprioristicamente come persona reale appartenente al passato, per esempio, si creerebbe una situazione di colonizzazione e saturazione del testo (Ferro, 1996): è necessario aspettare che sia lo stesso paziente, attraverso il suo dialetto, a condurre l’analista verso l’approccio più fecondo per quel determinato frangente analitico.
Ferro sostiene infatti che il non aderire aprioristicamente a un modello interpretativo rende
“[…]Impossibile la decodificazione di un messaggio e possibile solo la costruzione di una storia, che avrà la caratteristica di essere necessaria alle due menti” (Ferro A., 1996 p. 40).
Tutto questo avviene solo se l’analista si pone in un atteggiamento di ascolto ed è disponibile a lasciarsi trasportare dalle emozioni e dalle esigenze relazionali del paziente.
In questo modo i personaggi che quest’ultimo porta nel campo sono lasciati liberi di muoversi e di assumere una forma definita che espliciti il “senso” di cui sono portatori.
Nella seduta assume quindi importanza l’aspetto del silenzio dell’analista, che non è più solamente funzionale all’ascolto e alla comprensione del paziente ma riveste un ruolo importante per la “liberazione” e lo “svelamento” del dialetto del paziente.
Ferro, parlando in prima persona, descrive situazioni analitiche in cui rinuncia all’interpretazione per lasciare spazio al dialetto del paziente: sceglie di tacere.
Il silenzio diventa uno spazio importante anche per la liberazione dei già citati flash visivi, cioè allucinazioni “allo stato nascente” che il paziente porta nel campo in forma pittografica (elementi a non elaborati, per utilizzare i termini di Bion).
Si vede quindi come l’Autore proponga un modello analitico basato sulla non colonizzazione del testo del paziente e sull’ ascolto dell’ascolto (si configura un’analisi controtransferale fatta attraverso i personaggi portati in seduta).
Un’ulteriore definizione data da Ferro al personaggio è legata al concetto di analista come “catalizzatore” di elementi b: da questo punto di vista il personaggio sarebbe una nominazione delle identificazioni proiettive del paziente, quindi uno “sfogo” di elementi b che nel campo vengono metabolizzati o “condensati” in un personaggio, per poi emergere nella seduta.
E’ possibile pensare che il paziente riversi nel campo una quota di elementi b, che questa venga assimilata dall’analista, e che poi il prodotto di questa dinamica prenda forma visibile e narrabile in seduta.
Se questo processo di assunzione (rêverie in termini bioniani) non avviene in modo proficuo, il campo lo segnalerà attraverso l’entrata in scena di un certo tipo di personaggio.
Il personaggio assume in questo caso la funzione di segnalatore delle fratture della comunicazione, o più spesso comunica quando c’è stata in analisi ciò che Ferro definisce un’ “ipersaturazione” del senso.
Ferro porta molti esempi clinici a riguardo: per esempio racconta di come, a seguito di un suo intervento da egli stesso definito “accademico” e iper-saturante, una paziente di quindici anni avesse portato in scena l’immagine di “un uomo con i baffi che con un grosso bastone colpiva e feriva un cucciolo fino ad ucciderlo”; in questo caso la paziente attraverso il personaggio segnala un’attività interpretativa eccessiva, che genera persecuzione.
Si vede come la funzione del personaggio sia assimilabile per certi aspetti a quella del derivato narrativo; va ricordato che nel campo il personaggio si crea a partire da elementi a allo stato grezzo che assumono una forma; questa è anche la genesi del derivato narrativo.
Esempi di utilizzo del personaggio nella pratica clinica di Ferro
Ferro inserisce nei suoi lavori molteplici casi clinici che illustrano e chiarificano alcuni dei suoi concetti teorici più importanti, come l’importanza di un’interpretazione insatura o appunto l’utilizzo del personaggio.
Nell’articolo apparso sulla «Rivista Italiana di Psicoanalisi» Due autori in cerca di personaggi (1992), Ferro porta un esempio clinico che contiene l’utilizzo di questo strumento clinico da parte dell’analista per superare una situazione di impasse in seduta.
La paziente racconta una storia di vita difficile: ha svolto per molti anni la professione di prostituta d’alto bordo; infine si è sposata, ma vive nel timore che il marito lo abbia fatto per interesse, poiché lei ora è molto ricca e in passato è stata mantenuta da più uomini.
La paziente non riesce inoltre a riconoscere il marito come padre di suo figlio, avuto da una precedente relazione.
Ferro racconta a questo punto di aver portato sulla scena analitica una serie di personaggio legati al mondo di Topolino (il “dialetto” di Topolino): utilizza il personaggio Paperone per l’ “avarizia”, Paperino per le “sfortunate vicissitudini” e i Bassotti per i “temuti furti”; sceglie questo “genere” narrativo per dare un riconoscimento alla parte bambina della paziente, che sembra addormentata (l’utilizzo del personaggio è in questo caso volto a modificare una parte interna).
Insieme alla paziente riscrive poi la storia legata al suo romanzo familiare, cosa che permette a questa di ricordare una serie di situazioni in cui il marito aveva inaspettatamente manifestato interesse per il figlio e per un lavoro comune in una fattoria.
Questo sbloccherà nel tempo la situazione di impasse.
L’Autore racconta di aver messo in discussione nell’ambito di questo caso clinico la teoria per cui “un’analisi è comunque tentabile, purchè vi sia una richiesta”, a causa di forti vissuti di frustrazione.
Col procedere della terapia e l’uscita dall’impasse rileggerà questa sua “tendenza a cambiare modo di vedere” come un’assunzione delle identificazioni proiettive provenienti in realtà dalla paziente.
E’ da sottolineare che qui è l’analista a mettere in gioco nel campo alcuni personaggi; molto spesso questi emergono da soli o provengono dal paziente. In questo caso il personaggio è utilizzato sia per ricostruire la storia di vita della paziente che per risvegliare un oggetto interno addormentato.
Un cenno tratto da un secondo caso clinico può esemplificare ulteriormente la modalità con cui Ferro utilizza i personaggi: l’Autore propone un’esercitazione interpretativa a partire dal frammento “mia madre non vuole prendere il cane perché ha troppo da lavorare”.
I personaggi sono la “madre”, il “cane” il “troppo lavoro”, la “paziente che racconta”e l’ ”analista a cui è rivolto il racconto”.
Distinguendo i tre approcci presenti nella teoria di Ferro, nel primo modello la “madre” è quella reale esterna, il “cane” quello reale esterno e il “lavorare” si riferisce all’attività professionale della madre. La paziente si lamenta del fatto che sua madre non abbia disponibilità per il cane.
Nel secondo modello (kleiniano) la “madre” e il “cane” potrebbero essere pensati come parti della paziente, immagini interne proiettate: quindi la “madre impegnata” verrebbe considerata come la capacità materna della paziente inadeguata rispetto alle aspettative, e il “cane” come la sua parte più animale. Il “troppo lavoro” sarebbe una modalità di lavorare dell’analista, ritenuta inadeguata agli aspetti più primitivi (il cane).
Infine, prendendo in considerazione il terzo vertice osservativo, la “vignetta” clinica presentata rimanderebbe a un’incapacità da parte dell’analista di farsi carico degli aspetti della relazione più primitivi, cioè legati a emozioni non ancora metabolizzate.
Si vede quindi come a partire dallo stesso testo si possa interpretare utilizzando tre modelli differenti: l’importante per Ferro è che essi vengano considerati come aventi la stessa importanza ed efficacia clinica.
Importante sarà per l’analista riuscire a passare da un modello all’altro senza perdere elasticità ed eclettismo interpretativo, a scapito dei miglioramenti clinici del paziente (Ferro parla di “combinatorie narrative assolutamente esponenziali”).
Un tentativo di mappatura dei personaggi
Ferro propone un pratico espediente clinico per riuscire a visualizzare l’alone semantico delle interpretazioni fatte in seduta dall’analista.
L’Autore propone di assegnare ad ogni personaggio emerso in seduta una tesserina (porta come esempio Il castello dei destini incrociati di I. Calvino, 1973), in modo da rilevare chiaramente il numero e la natura dei personaggi che compaiono nel corso del colloquio.
L’analista dovrà poi assegnare per ogni personaggio/tesserina una striscia di colore differente a seconda che interpreti rifacendosi al primo, al secondo o al terzo modello (quindi interpretando come reale, interno o relazionale il personaggio/tesserina considerato).
Una volta attribuiti a ogni personaggio una tessera e un colore (Ferro suggerisce il rosso per aver interpretato il personaggio come reale, giallo per un oggetto interno e verde per un personaggio relazionale – ologramma affettivo), l’analista potrà farsi un’idea della maggiore o minore presenza di un certo colore, e quindi cogliere tutti i mondi possibili “occlusi”.
Questo consentirebbe una sorta di semaforizzazione delle letture della seduta, un capire come essa è stata “siglata” più frequentemente.
Ferro sottolinea in questo modo la necessità per l’analista di monitorare costantemente la sua stessa attività interpretativa, così da non “fissarsi” troppo a lungo su un solo stile interpretativo.
Tornando all’aspetto “pratico” di questo tentativo di mappatura, Ferro propone di aggiungere per ogni tesserina una S o una I in base alla natura dell’interpretazione, cioè Satura o Insatura.
Attraverso la combinazione di questi tre elementi – cioè la tesserina, il colore e il tipo di interpretazione S/I – , l’Autore sostiene si possa ottenere l’indice di relazionalità del campo, cioè un’immagine chiarificata di quanto paziente e analista effettivamente “comunichino” in seduta.
La sessualità come personaggio
Un aspetto particolare della teoria psicoanalitica di Antonino Ferro si riferisce alla possibilità di considerare la sessualità come un personaggio.
In questo senso le comunicazioni inerenti alle problematiche sessuali vengono considerate nella teoria dell’Autore come “narrazioni dell’accoppiamento tra le menti” (Ferro, 1999).
Ferro si propone di utilizzare le comunicazioni di sessualità come tramite per approfondire il funzionamento della mente umana: sottolinea come nella maggioranza dei casi all’interno della stanza d’analisi vengano portati racconti inerenti alla sessualità (non considerando l’aspetto dei transfert eroticizzati o degli agiti sessuali in seduta).
Sottolinea inoltre come nell’ambito della psicoanalisi la sessualità abbia sempre conservato un posto privilegiato sia per ragioni storiche (a Vienna, negli anni della nascita della psicoanalisi, la sessualità era ciò che veniva più condannato e rimosso), che per ragioni “di setting” (analista e paziente fanno in analisi, utilizzando le parole di Ferro, “solo e continuamente sesso”, nel senso che si rapportano l’uno con l’altro attraverso una modalità di funzionamento ♀♂).
La sessualità viene considerata nella teoria di Ferro come personaggio o articolazione tra personaggi, e può essere pensata come attinente a tre ambiti:
– può riferirsi alla sessualità esterna agìta dal paziente, o a quella infantile (quindi si rifà al “prima “ e all’ ”altrove”)
– può essere considerata come un aspetto interno al paziente (sessualità reale interna)
– può essere vista come una narrazione all’interno del campo sul campo: un visualizzare attraverso un racconto sulla sessualità l’andamento emotivo relazionale della coppia analitica.
Ferro riprende quest’ultimo punto di vista e lo approfondisce: parla infatti di una sessualità come incontro tra gli elementi β portati dal paziente e la funzione α contenitiva dell’analista.
Si riferisce quindi alla dinamica ♀♂, cioè al rapporto tra oggetto e contenitore: l’aspetto interessante di questa concettualizzazione è che i personaggi legati alla sessualità che appaiono in seduta sono rinarrazioni di questo funzionamento, cioè rimandano alla gestione dei pensieri da parte dell’analista e alla comunicazione di essi attraverso le oscillazioni PS-D (Ferro, 1999).
Per fare un esempio clinico, Ferro porta come personaggi una vagina asciutta ed un’eiaculazione precoce, che potrebbero rimandare in seduta rispettivamente a una “possibile asciuttezza del campo e quindi a un rapporto doloroso” e ad un’ ”esplicitazione di significati precipitosa che tolga il gusto della condivisione”.
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