Quando ci accingiamo a misurare il coping dobbiamo tener conto di alcuni problemi peculiari di questa dimensione.

Il primo problema è quello che è stato definito come "stabilità" (Schwarzer e Schwarzer, 1996). La valutazione del coping può essere definita come la descrizione degli aspetti cognitivi e comportamentali che il singolo individuo mette in atto quando si trova a confrontarsi con una situazione stressante. In questo senso il coping è un processo nel quale si può osservare come si modificano le risposte al cambiare delle situazioni o in tempi diversi.

Possiamo verificare, cioè, se egli applica ripetitivamente le stesse strategie di coping alle varie situazioni o se, invece, applica una gamma più o meno vasta di strategie più adatte alla specificità delle singole situazioni stressanti.

Questo approccio idiografico, ottimale per la clinica, non può essere applicato nella ricerca, nella quale si studiano gruppi di soggetti e l’attenzione è rivolta, perciò, alle differenze interindividuali in momenti diversi. Se, ad esempio, in un campione di soggetti individuiamo un sottogruppo che usa una condotta di coping di tipo vigilante ed un altro che ne usa una di tipo evitante e se questo si ripete nelle osservazioni successive, si è portati ad attribuire a questi soggetti uno stile di coping sostanzialmente stabile. E quando andiamo a valutare il coping con strumenti standardizzati, assumiamo implicitamente che le persone abbiano delle modalità preferenziali di coping che tendono ad utilizzare ripetitivamente ogni volta che si trovano a confrontarsi con situazioni stressanti. In questo modo si riduce certamente la complessità della valutazione del coping, ma al prezzo, non irrilevante, di considerare secondaria e ininfluente l’unicità delle risposte di coping in rapporto alle specifiche situazioni. Inoltre, quando la situazione stressante si protrae nel tempo e propone di volta in volta risvolti diversi, le modalità di coping si adattano più o meno a questi cambiamenti, ma con la valutazione standardizzata, a meno che non sia ripetuta nelle diverse fasi, si perdono queste specificità che possono essere anche rilevanti.

Al problema della stabilità è correlato quello della "generalità", cioè la coerenza delle risposte di coping nelle diverse situazioni. Ci si può chiedere se le persone adottino la stessa strategia di coping di fronte a situazioni diverse, non tanto nel senso che rispondano stereotipatamente agli eventi, quanto piuttosto che abbiano adottato un modello comportamentale di un certo tipo, caratterizzato, ad esempio, dall’evitamento piuttosto che dal confronto o viceversa.

La risposta dei singoli soggetti allo stress può essere specifica per ogni evento, in una sorta di determinismo situazionale, o sostanzialmente uguale per i diversi eventi, per il prevalere di un tratto personologico, oppure può esprimere l’interazione tra la personalità e l’evento. Nella ricerca è necessario ammettere un certo grado di "generalità", ammettere, cioè, che gli individui, in funzione della propria personalità, organizzano una serie di strategie per fronteggiare un certo numero di situazioni; la valutazione del coping presume che gli individui tendano a generalizzare fra le diverse situazioni e presentino un numero limitato di strategie che utilizzano nelle diverse circostanze.

Le risposte allo stress sono numerose ed eterogenee e si è tentato perciò di raggrupparle in un numero limitato di strategie o dimensioni. Di solito si lascia all’analisi fattoriale il compito di raggruppare empiricamente in categorie omogenee le diverse variabili, ma nel caso del coping l’analisi fattoriale dà soluzioni diverse nei vari campioni ed in rapporto ai diversi tipi di stressor. Per questa ragione i ricercatori hanno proposto delle soluzioni dalle quali emergono sostanzialmente due dimensioni di base, un coping strumentale, attentivo, vigilante da un lato ed uno evitante, emotivo, palliativo dall’altro. Il primo tipo di coping risulta più efficace dal punto di vista adattivo nel lungo periodo, il secondo nel breve periodo (Suls e Fletcher, 1985).

Uno degli approcci più noti è quello di Lazarus e Folkman (1984) i quali distinguono un coping "problem-focused" (centrato sul problema) ed uno ""emotion-focused" (centrato sulle emozioni). Il coping centrato sul problema, ha come elemento fondamentale l’azione, ed è mirato a modificare l’alterato rapporto persona/ambiente mediante azioni strumentali; non necessariamente l’azione deve avere successo ed è possibile, anzi, che abbia effetti indesiderati negativi, poiché quello che conta effettivamente è l’averci provato. Il coping centrato sulle emozioni ha come fondamento strategie cognitive che non mirano a cambiare la situazione, ma ad attribuirle un significato diverso; non si tratta, in effetti, di un atteggiamento passivo, ma richiede, invece una ristrutturazione interiore che può comportare uno sforzo notevole.

Non molto diversa da quella di Lazarus e Folkman è la distinzione concettuale proposta da Brandstädter (1992) fra coping "assimilative" (assimilativo) e coping "accomodative" (accomodativo): il primo ha come obiettivo il cambiamento dell’ambiente per adattarlo a noi stessi, il secondo, il cambiamento di noi stessi per adattarci all’ambiente . Questa distinzione si rifà al binomio "mastery/meaning" (padronanza/significato) (Taylor, 1983) o a quello "controllo primario/controllo secondario" (Rothbaum et al., 1982). Questi tipi di coping possono anche susseguirsi nel tempo, come quando il soggetto cerca prima di modificare le richieste in gioco e dopo, in caso di insuccesso, interiorizza il problema e cerca di trovargli altri significati.

Un punto di vista diverso è quello proposto da Klauer e collaboratori (1989) a proposito delle malattie croniche: gli Autori ipotizzano una struttura multidimensionale alla base del coping rappresentata:

  • dal fuoco dell’attenzione, se cioè l’attenzione è diretta alla malattia o ad altro;
  • dalla socievolezza, se cioè il soggetto è eterodiretto o socialmente isolato;
  • dal livello di risposta che descrive se il coping si esprime attraverso un comportamento manifesto o attraverso risposte cognitive (intrapsichiche).

Dalla diversa combinazione di queste dimensioni derivano otto possibili strategie di coping.

Krohne (1993) ha distinto un livello comportamentale da uno concettuale, ognuno suddiviso in sottoclassi. Le reazioni e le azioni rappresentano il livello comportamentale alla base di questa gerarchia. Un insieme di azioni riflette una particolare strategia di coping e le diverse strategie possono essere raggruppate in due superstrategie, la vigilanza e l’evitamento cognitivo, che possono essere considerate come due dimensioni ortogonali dell’attenzione orientata e possono essere intese come dimensioni di personalità. "La vigilanza (vigilance) si riferisce a quelle strategie che sono caratterizzate da un’accentuata ricezione ed elaborazione di informazioni minacciose. L’evitamento cognitivo (cognitive avoidance) è caratterizzato dall’allontanarsi da situazioni di possibile minaccia" (Krohne, 1993).

La Canadian Mental Health Association individua tre stili di coping:

  • task-oriented: è caratteristico dei soggetti che tendono ad analizzare la situazione e ad affrontarla in maniera diretta;
  • emotion-oriented: caratterizza i soggetti che affrontano, invece della situazione, le proprie reazioni emotive e cercano un supporto sociale;
  • distraction-oriented: è propria di coloro che si immergono nel lavoro, nelle attività, per non pensare alla situazione stressante.

Tutti noi saremmo caratterizzati da uno di questi stili, anche se, in funzione delle circostanze, possiamo adottarne uno o l’altro (o entrambi) o adottarli in tempi diversi avendo, il coping, anche un aspetto temporale.

Questo aspetto temporale è stato ben illustrato da Beehr e McGrath (1996) che hanno individuato cinque livelli temporali di coping in rapporto al fatto che venga messo in atto prima che l’evento stressante si realizzi, quando si verifica e dopo che si è verificato. In chiave temporale gli Autori distinguono il coping in:

  • preventivo, molto prima che l’evento stressante si verifichi o si possa verificare (ad esempio, smettere di bere per evitare di andare incontro ai danni dell’alcolismo);
  • anticipatorio, quando l’evento è prossimo a verificarsi (ad esempio, assumere un ansiolitico nell’attesa di un imminente intervento chirurgico);
  • dinamico, mentre l’evento si verifica (ad esempio, adottare tecniche di rilassamento per ridurre uno stato ansioso);
  • reattivo, dopo che l’evento si è verificato (ad esempio, modificare il proprio stile di vita dopo un infarto del miocardio);
  • residuale, a distanza di tempo dal verificarsi dell’evento per contrastare gli effetti a lungo termine (ad esempio, contrastare il presentarsi, in maniera intrusiva, delle immagini relative ad un evento traumatico verificatosi un anno prima).

Queste concettualizzazioni delle dimensioni del coping, come quelle di molti altri tentativi di concettualizzazione, sono rese necessarie, ai fini della valutazione standardizzata, dall’instabilità delle soluzioni fattoriali a fronte dell’elevata variabilità situazionale e intraindividuale del coping.

GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE DEL COPING

Secondo la Miller (1987), lo stile attentivo può essere considerato una dimensione fondamentale del coping: alcuni soggetti, quando sono sotto stress, tendono a focalizzare sulla minaccia, a cercare informazioni ed a visualizzare gli scenari possibili per controllare la situazione, altri, invece, non focalizzano sulla minaccia, si distraggono, evitano altre informazioni, rimandano l’azione. La Miller, che riteneva queste due dimensioni come caratteristiche dei diversi individui, ha definito coloro che adottano lo stile attentivo vigilante come "monitoring" e come "blunting" quelli che adottano lo stile evitante. Per valutare questi due stili ha sviluppato la Miller Behavioral Style Scale – MBSS che prende in considerazione quattro situazioni ipotetiche, due riferite al pericolo fisico e due a quello psichico. Per ogni situazione di possibile pericolo presentata (ad esempio: "Immaginiamo che lei abbia paura di volare e che debba andare da qualche parte in aereo") sono previste otto opzioni di coping, quattro che riflettono lo stile attentivo vigilante (nel caso specifico, una delle risposte è: "Leggerei attentamente le istruzioni sui sistemi di sicurezza dell’aereo") e quattro quello evitante (ed in questo caso una delle risposte è: "Guarderei il film che proiettano a bordo anche se lo avessi già visto"). Poiché sono previste otto risposte per ciascuna delle quattro ipotetiche situazioni di stress, la MBSS risulta composta da 32 item, 16 per ciascun tipo di coping; il totale è dato dalla somma degli item specifici per ciascun tipo di coping.

La scala si è mostrata utile e valida nel distinguere le due dimensioni esaminate, ma il suo limite consiste nel fatto di essere applicabile solo in situazioni che suscitano ansia e non nelle altre (conflitto, perdita, eccetera).

Krohne, partendo dalla sua teoria, che riporta a due "superstrategie", la vigilanza e l’evitamento cognitivo, le diverse strategie specifiche di coping (1993), ha sviluppato il Mainz Coping Inventory – MCI (Krohne et al., 1992) per misurare queste due superstrategie nelle situazioni di pericolo. Sono state individuate otto ipotetiche situazioni di minaccia (quattro fisiche e quattro psichiche) ritenute capaci di suscitare ansia (ad esempio, per il pericolo fisico viene chiesto di immaginare "di essere seduto sul sedile anteriore di una macchina guidata da un autista chiaramente inesperto in una strada in cattivo stato per la neve ed il ghiaccio", mentre per quello psichico viene chiesto di immaginare "di dover sostenere un esame molto importante tre settimane dopo"). Per ogni situazione sono previste 18 risposte di coping che riflettono, per metà la vigilanza e per l’altra metà l’evitamento cognitivo (Tab. 27.I).

La somma dei punteggi viene fatta separatamente per ogni tipo di situazione e di coping per cui si ottengono quattro subscale:

  • vigilanza nelle situazioni di minaccia psicologica,
  • evitamento cognitivo nelle situazioni di minaccia psicologica,
  • vigilanza nelle situazioni di minaccia fisica,
  • evitamento cognitivo nelle situazioni di minaccia fisica, che rappresentano le due superstategie temperamentali per due distinte classi di situazioni.

Anche questa scala, come la precedente, è applicabile solo per situazioni di minaccia, di pericolo, ma non per le altre.

TAB. 27.I – RISPOSTE TIPICHE DELLE SUPERSTRATEGIE DI COPING PROPOSTE DA KRONHE E COLLABORATORI (1992)

  • ricordo di precedenti eventi negativi
  • auto-compassione
  • ricerca di informazioni
  • confronto sociale
  • progettazione
  • tendenze di fuga
  • controllo informativo
  • anticipazione di eventi negativi
  • controllo della situazione
  • banalizzazione generale
  • autovalutazione
  • banalizzazione attraverso la reinterpretazione
  • distrazione
  • minimizzazione
  • negazione
  • focalizzazione sulla propria forza
  • focalizzazione sugli aspetti positivi
  • sicurezza

Vigilanza Evitamento cognitivo

Il gruppo di Lazarus aveva sviluppato già negli anni Settanta la Ways of Coping Checklist – WCC (Folkman e Lazarus, 1980) che si rifaceva alla distinzione del coping in problemfocused ed emotion-focused: dei 68 item dicotomi che la componevano, 40 andavano a costituire la subscala del problem-focused e 24 quella emotion-focused. Poiché la WCC non rispecchiava adeguatamente la complessità e la ricchezza del processo di coping, attraverso una serie di analisi su campioni diversi si è arrivati alla formulazione di un nuovo strumento, il Ways of Coping Questionnaire – WCQ (Folkman e Lazarus, 1988), composto da 50 item valutati su una scala a 4 punti (da 0 = strategia non usata, a 3 = strategia usata moltissimo) che vanno a costituire otto fattori:

  • Confrontive Coping: comprende 6 item e descrive gli sforzi energici per modificare la situazione e comprende anche un certo grado di ostilità e di rischio (es.: "Resto nella mia posizione e lotto per ciò che io voglio").
  • Distancing: descrive, in 6 item, gli sforzi per distaccarsi da se stesso e per minimizzare il significato della situazione (es.: "Passo oltre come se non fosse successo niente").
  • Self-Controlling: composto da 7 item, descrive gli sforzi per controllare le proprie sensazioni ed azioni (es.: "Mi sforzo di tenere per me le mie sensazioni").
  • Seeking Social Support: descrive gli sforzi per cercare un supporto informativo, concreto ed emotivo (es.: "Parlo con qualcuno per saperne di più circa la situazione"): è composto da 6 item.
  • Accepting Responsibility: comprende 4 item che fanno riferimento al riconoscimento del proprio ruolo nel problema con un concomitante sforzo volto a cercare di aggiustare le cose (es.: "Sono autocritico con me stesso").
  • Escape-Avoidance: questo fattore descrive, in 8 item, il desiderio e gli sforzi per sfuggire o evitare il problema (es.: "Spero che accada un miracolo").
  • Planful Problem Solving: composto da 6 item, descrive gli sforzi centrati sul problema, mirati a modificare la situazione, associati ad un approccio analitico alla risoluzione del problema (es.: "Faccio un piano d’azione e lo seguo").
  • Positive Reappraisal: descrive gli sforzi per creare atteggiamenti positivi mirati alla crescita personale (es.: "Cerco di cambiare o di crescere come persona nella giusta direzione").

I 7 item che lo compongono comprendono anche una dimensione religiosa.

La correlazione tra questi fattori (o subscale) è bassa a testimoniare della loro capacità discriminante; un’elevata stabilità non è richiesta poiché ci si attende che le persone modifichino il loro stile di coping in funzione delle esigenze delle singole situazioni. Il problema reale, comune peraltro a tutti gli strumenti di valutazione del coping basati su molti fattori, è che le correlazioni crociate tra le scale non vengono prese in considerazione e così, ad esempio, la mobilizzazione del supporto sociale, che è vista qui come una distinta strategia di coping, interferisce, di fatto, con altri fattori, come il "problem solving", l’ottenere informazioni, l’evitamento della situazione, eccetera. Probabilmente il supporto sociale non dovrebbe essere considerato come una dimensione specifica del coping, ma piuttosto come una risorsa fruibile da parte delle altre dimensioni del coping.

Spesso lo sviluppo delle scale di valutazione prende avvio sul piano razionale e prosegue seguendo una via empirica. Così ha operato Amirkhan (1990) per l’elaborazione del suo Coping Strategy Indicator – CSI: dalle scale di valutazione esistenti e dalle sue ricerche personali ha isolato 161 comportamenti di coping e li ha progressivamente ridotti mediante una serie di analisi fattoriali condotte su campioni indipendenti di notevoli dimensioni raccolti in vari setting. Ai soggetti veniva chiesto, nel rispondere ai 161 item, di far riferimento ad un problema occorso negli ultimi 6 mesi, che loro avevano considerato importante e che aveva causato loro preoccupazione. Grazie all’analisi fattoriale sono stati evidenziati tre fattori con autovalore superiore all’unità che hanno costituito tre subscale, problem solving, seeking support e avoidance, che hanno rappresentato il punto di partenza di ulteriori ricerche le quali hanno portato alla individuazione dei 33 item, 11 per ciascuna subscala, che costituiscono la versione finale del CSI. C’è da dire che questi tre fattori, anche negli step evolutivi più avanzati, non hanno assorbito complessivamente più del 37% della varianza totale per cui, alla fine, lo strumento non risulta del tutto convincente sia sul piano teorico che su quello empirico.

Lo stesso procedimento è stato adottato da Feifel e Strack (1989) per mettere a punto uno strumento per valutare tre forme di coping (risoluzione dei problemi, evitamento e rinuncia) dei soggetti anziani nei confronti delle reali circostanze della loro vita, il Life Situation Inventory – LSI. Gli Autori hanno raccolto 70 tipi di coping riportati in altri strumenti; attraverso una selezione razionale (item ridondanti, item non congrui alle forme di coping prese in considerazione, eccetera) li hanno ridotti a 28 e li hanno somministrati ad un campione di soggetti anziani. Le situazioni stressanti a cui fare riferimento erano individuate dai soggetti stessi facendo riferimento a cinque aree di conflitto (prendere decisioni, sconfitta in una competizione, una situazione frustrante, difficoltà con un’autorità, disaccordo

con i colleghi) ed indicando per ciascuna area un conflitto significativo verificatosi recentemente.

In pratica i 28 item sono stati presentati cinque volte, una per ogni situazione. Attraverso la item analysis sono stati anche individuati gli item caratterizzanti il problem solving (8), l’evitamento (8) e la rinuncia (5). Il vantaggio offerto da questo strumento, il far riferimento, cioè, a situazioni reali piuttosto che a scenari ipotetici, è parzialmente limitato dalla minore accuratezza nel confronto tra soggetti dato che le differenze individuali relativamente alle situazioni stressanti possono trasformarsi in differenze nel coping poiché la scelta delle strategie dipende dall’interazione fra la situazione ed il comportamento.

Uno strumento sviluppato in maniera rigorosa, con un approccio ben bilanciato tra la parte razionale e quella empirica, è il Coping Inventory for Stressful Situation – CISS (Endler e Parker, 1990). Gli Autori hanno isolato una serie di comportamenti di coping tali che fossero in accordo con le due funzioni di coping che hanno un’accettazione generale, il problem solving e la emotion regulation, e ne hanno ricavato 70 item valutati su di una scala a cinque punti. Lo strumento è stato somministrato ad un vasto campione chiedendo ai soggetti di indicare la loro risposta di coping "tipica" (ad es., "…in che misura mette in atto questo tipo di attività quando si deve confrontare con situazioni difficili, stressanti, disturbanti?").

L’analisi fattoriale ha isolato tre fattori di coping, task-oriented, emotion-oriented e avoidance-oriented (operativo, emozionale ed evitante). La versione finale dello strumento, raggiunta attraverso tappe successive, comprende 48 item, 16 per ciascun fattore, ed ha mostrato ottime caratteristiche psicometriche e può essere considerato, al momento, lo strumento tecnicamente meglio riuscito. Anch’esso, tuttavia, lascia irrisolti alcuni problemi quali, ad esempio, l’essere limitato a tre fattori, quando le ricerche hanno ampiamente documentato che questi, da soli, non possono riflettere la complessità e l’eterogeneità del coping; inoltre, valutando una tendenza generale del soggetto, il CISS copre solo l’aspetto generale del problema lasciando scoperte le singole situazioni.

Insoddisfatti della dicotomia del coping, problem-focused ed emotion-focused, e convinti che entrambi i tipi di coping dovrebbero essere suddivisi in una serie di distinte modalità di risolvere i problemi o di modulare le emozioni, Carver e collaboratori (1989) hanno messo a punto, attraverso una serie di tappe evolutive, il COPE, uno strumento composto da 52 item che fanno riferimento a 13 scale (ogni scala è composta da 4 item) ottenute mediante una serie di analisi fattoriali su campioni diversi. Delle 13 scale, le prime cinque sono sottocategorie del coping incentrato sul problema (problem-focused) e le cinque successive di quello incentrato sulle emozioni (emotion-focused); le ultime 3 esprimono l’evitamento, la rinuncia. Successivamente è stata proposta una nuova versione comprendente 60 item articolati su 15 scale. L’approccio teoretico usato è certamente più razionale di quello usato per molti altri strumenti, anche se alcuni aspetti lasciano a desiderare. Ad esempio, il fatto che 5 subscale siano considerate sottocategorie del problem solving e cinque dell’emotional coping lascerebbe supporre che un’analisi fattoriale di secondo ordine raggrupperebbe questi item nei due fattori principali, ma questo, in realtà, non avviene (Carver et al., 1989).

Nel 1997 lo stesso Carver ha messo a punto una versione abbreviata dello strumento, il Brief COPE, che comprende solo 28 item.

Il COPE è concepito come uno strumento di misura capace di valutare più sottili differenze individuali di coping e si è dimostrato capace di bilanciare la tendenza generale del soggetto (come reagirebbe se…) con la risposta attuale alla situazione stressante (come ha reagito nella specifica situazione di stress). Per le sue caratteristiche, ben si presta per ricerche tese a chiarire in maniera più approfondita la possibile influenza degli aspetti della personalità sull’adattamento poiché alcuni tratti di personalità sono più legati alla tendenza del soggetto a seguire determinate strategie (come, ad esempio, l’ottimismo), mentre altri sembrano essere più indipendenti (ad esempio, lo stile vigilante e quello evitante).

Le persone sono spesso capaci di cogliere i segnali che preannunciano l’approssimarsi di problemi e di mettere in atto strategie per affrontarli ancor prima che si verifichino. Questo processo attraverso il quale le persone sono in grado di individuare potenziali situazioni stressanti e di agire tempestivamente per prevenirle può essere definito come "proactive coping" (Greenglass et al., 1999). Quanto più le persone riescono a compensare, eliminare, ridurre o modificare gli eventi stressanti incombenti, tanto più il comportamento "proattivo" (o preventivo) può eliminare una notevole quantità di stress prima ancora che si verifichi.

Questo tipo di comportamento richiede pianificazione, definizione di un obiettivo, organizzazione e capacità di elaborazione mentale. Secondo la teoria di Schwarzer del "proactive coping" (1999), il soggetto proattivo cerca di migliorare la propria vita ed il proprio ambiente piuttosto che reagire agli eventi, è in genere pieno di risorse e responsabile.

Per lui il coping non è una singola risposta ma un modo di vivere se stesso ed il suo mondo, è un approccio alla vita, una concezione esistenziale secondo la quale le cose vanno bene non a causa della fortuna o di altri eventi incontrollabili, ma perché il soggetto se ne fa carico. Il coping proattivo, rispetto agli altri tipi di coping, utilizza le risorse sociali e non, è proiettato verso il successo, usa le strategie emotive positive, include la scelta gli obiettivi ed il loro tenace perseguimento. Due sono gli elementi che caratterizzano questi soggetti:

  • il fatto che, per loro, il corso della vita è determinato dall’individuo e non da fattori esterni poiché è lui che si fa carico di affrontare le cose che accadono;
  • il fatto che, per loro, la vita è piena di risorse ed il loro proverbiale bicchiere è sempre mezzo pieno.

Un approccio multidimensionale alla valutazione del coping proattivo è il Proactive Coping Inventory – PCI (Greenglass et al., 1999), uno strumento che si caratterizza per il fatto di:

  • integrare pianificazione e strategie preventive con il raggiungimento proattivo di obiettivi;
  • integrare il raggiungimento proattivo di obiettivi con l’identificazione e l’utilizzazione delle risorse sociali;
  • utilizzare il coping proattivo emotivo per il raggiungimento degli obiettivi.

Il PCI è composto da 55 item valutati su una scala a quattro punti (da 1 = assolutamente non vero a 4 = assolutamente vero) che vanno a comporre 7 subscale:

    1. scala del coping proattivo: (14 item di cui 3 con punteggio invertito) combina la messa a punto di obiettivi autonomi con l’autoregolazione cognitiva e comportamentale del raggiungimento dello scopo
    2. scala del coping riflessivo: (11 item) descrive la simulazione mentale e la valutazione delle diverse alternative comportamentali, l’analisi dei problemi e delle risorse, ipotizza piani d’azione;
    3. scala della pianificazione strategica: (4 item) si riferisce al processo di generare dei piani d’azione orientati alla soluzione del problema;
    4. scala del coping preventivo: (10 item) si riferisce all’anticipazione di potenziali eventi stressanti ed alla loro prevenzione prima che l’evento si realizzi completamente:
    5. scala della ricerca del supporto strumentale: (8 item) è orientata verso l’ottenimento, dalle persone del proprio gruppo sociale, di notizie, informazioni e feedback per affrontare gli eventi stressanti;
    6. scala della ricerca del supporto emotivo: (5 item) mira alla regolazione degli stress emotivi attraverso l’apertura ai sentimenti degli altri e cercando supporti nel proprio gruppo sociale;
    7. scala del coping di evitamento: (3 item) prende in considerazione l’evitamento dell’azione quando le situazioni richiederebbero, invece, un intervento.

Il PCI riconosce che l’efficienza del coping è tanto maggiore quanto più gli atteggiamenti, le emozioni, gli aspetti cognitivi e quelli comportamentali sono coerenti con lo specifico contesto.

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Parte generale

Parte speciale

CAPITOLO 29 - Gli effetti indesiderati dei trattamenti psicofarmacologici