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Nulla da segnalare – Molto da raccontare Sulla riforma psichiatrica italiana.

12 Dic 22

Di Sergio-Mellina
Un pezzo di storia recente della psichiatria italiana, gli ultimi 44 anni per l’esattezza, sono richiamati con delicata e bonaria attenzione da Francesca Valente, una esordiente, con Altro nulla da segnalare. La vicenda di questo testo è curiosa e anche un po’ tormentata, come del resto lo sono sempre state le storie e le cure dei matti. C’è come una sorta di pudore (o di timore) nel pronunciare la parola anche semplicemente come invettiva. È vero che il Covid-19 ci ha tagliuzzato i legami sociali e mascherato la faccia, per tre anni filati, e non è detto che si sia dileguato, ma dobbiamo essere grati all’autrice per la pazienza, la tenacia e la fiducia con la quale è riuscita a cucire insieme piccoli frammenti di vite in un “Repartino SPDC” raccolte al “Mauriziano” di Torino, subito dopo la “180”, ovvero la Legge Basaglia-Orsini, del 1978. “Annus mirabilis” per la chiusura dei manicomi, purtroppo “horribilis” per la morte di Moro e quella di due Papi in trentatrè giorni e la conseguente nomina di due Pontefici in trecentosessantacinque.  

 

 



 

 

A giudicare dal titolo e dai due importanti premi ricevuti, l’apparizione del libro è stata rumorosa quel tanto che basta per richiamare un po’ di attenzione sull’assistenza psichiatrica, quando oggigiorno ogni interesse mediatico viene assorbito esclusivamente da due temi le bollette energetiche e una guerra che non è nostra e neppure dell’Europa, mentre la salute, la prevenzione e la cura dei cittadini è divenuto argomento specialistico di Assicurazioni e Polizze Vita/Infortuni. Basterebbe gettare un’occhiata al bilancio della Sanità e ai fondi stanziati per creare nuovi medici e infermieri, per rabbrividire, ancora di più sapendo che nulla si fa verso l’emorragia dell’evasione fiscale. Non commenterei più di tanto uno pei primi atti del nuovo governo di destra che vuole perdonare, rimettere in servizio e condonare la sanzione pecuniaria a quei fedifraghi dei “no-vax”, veri e propri negazionisti cocciuti, anche se pare siano quattro gatti. Abbastanza selvatici, se è vero che pare ne abbiano trovato uno anche a Perugia affiliato ai "Cittadini del Reich" (i “Reichsbuerger) quei nazisti arrestati in Germania su mandato europeo nella retata internazionale del 7 gennaio 2022 perché volevano assaltare il Bundestag (www.ansa.it › Umbria). Certamente il Covid-19 ha portato un’aria mefitica che non si dice, anche sediziosa. Prima i “Proud Boys” di Donald Trump con l’assalto a Capitol Hill (6 gennaio 2021); poi gli squadristi di Forza Nuova per l'assalto alla Cgil di Roma (9 ottobre 2021) e ora costoro, “nazisti di Germania”. Però, almeno i no-vax italiani, dovrebbero smettere di minacciare di morte (tutti i giorni) Liliana Segre, la senatrice a vita di 92 anni, soltanto perchè superstite dell'Olocausto e testimone attiva della Shoah italiana. Più angosciante mi sembra il grido di protesta lanciato dai Medici del Sindacato. «Cari italiani cercate di non ammalarvi perché presto non ci saranno più medici per curarvi. Se potete permettervi un'assicurazione sanitaria, iniziate ad informarvi su come acquistarla. E se non potete permettervela cercate di mettere comunque da parte dei risparmi per quando dovrete fare delle analisi, una visita specialistica o una lastra, perché prima o poi sarete costretti a pagarle di tasca vostra». [01] 

 

Tormentato dal Covid-19, il libro di Francesca Valente è stato premiato una prima volta il 15 giugno 2021 alla XXXIV edizione del “Premio Italo Calvino” per esordienti col titolo “Altro nulla da segnalare. Storie di uccelli, Einaudi, Torino. Evidentemente un colossale refuso da pandemia perché il tema riguardava la chiusura dei manicomi e l’istituzione degli “SPDC”, mentre tutti sanno che i matti non volano. La seconda volta, la vittoria letteraria, sempre dello stesso libro, col titolo giusto, ossia cultrato dei volatili, è giunta a Jesolo col Premio Campiello, Opera Prima, 2022, rièdito una seconda volta ad aprile nella collana Unici – Einaudi. La quarta di copertina ci informa  «è un testo raro, prodigioso. Al centro, le storie struggenti dei paz: i pazienti o i pazzi, direbbero i piú dei servizi psichiatrici nati subito dopo la chiusura dei manicomi: uomini e donne che si ritrovarono improvvisamente liberi nel mondo, o che nel mondo non sapevano piú come abitare. Le storie a cui dà vita Francesca Valente ruotano sempre attorno a punti luminosi: dettagli, pensieri, eventi; non mirano mai a raccontare le vite dei personaggi, cercano piuttosto il cuore pulsante della loro umanità: perché è , in quel frammento di memoria che li riguarda, portato alla luce ma irriducibilmente oscuro, che può essere racchiusa ogni prospettiva d’universalità» 

 

A quanto ne so, eravamo tutti in quarantena, dunque le cerimonie presumo si siano svolte “da remoto” e penso anche le premiazioni. Nella manchette editoriale si poteva leggere che il contenuto del testo riguardava una ricostruzione di fatti realmente accaduti, annotati fedelmente da una infermiera del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale Mauriziano di Torino, subito dopo la cosiddetta “Legge Basaglia”. Questa conoscenza, e uno di questi quadernetti di servizio, di una infermiera, avevano attirato l’interesse dell’autrice che pensava di ricavarne un collage di situazioni di vita particolari, inusuali, assurde ma anche esilaranti, tali da potersene ricavare una “docufiction” come si dice oggi, per la televisione. La Valente sapeva benissimo di cosa trattassero quei quaderni del personale sanitario psichiatrico, infatti, a un certo punto compare anche un sottotitolo, ‒ Matti e non solo ‒ messo lì fra due “caporali” quadrati. Ma la drammaticità del tempo istituzionale che scorre immoto, traspare da quel “Altro nulla da segnalare” lasciato dal turno smontante a quello che monta. L’importante è che se ne sia parlato. Le recensioni erano ottime più d’una e da più parti.  

 

Lusinghiera la motivazione di Walter Veltroni, presidente del premio “Italo Calvino” « reinventa letterariamente, a partire da un esperienza reale degli anni ’80, il mondo dei pazienti psichiatrici, portando nella vita quotidiana di un reparto ospedaliero uno sguardo straniante e sdoppiato (…) la voce narrante (…) i rapporti stesi dagli infermieri, presentati come veri referti documentari. Il risultato è un congegno dalla struttura e dal ritmo inusuali (…) due punti di osservazione dei quali l’autrice sa gestire in modo sapiente gli scarti, le convergenze, le perplessità e la dolente e paradossale normalità, aprendo interrogativi profondi sul confine tra salute e infermità, tra disagio e appagamento, tra vicinanza dei curanti e indifferenza del mondo». Altrettanto favorevole quella della Giuria, seppur col titolo fuori tema per via del proto negligente «decide di assegnare all’unanimità il Premio a Altro nulla da segnalare. Storie di uccelli di Francesca Valente, un testo letterario dalla struttura originale, che mescola documentazione e invenzione in un progetto di notevole consapevolezza (...) scrittura limpida, elegante e delicata empatia umana, i ritratti di chi ha avuto a che fare matti e non solo nei primi anni Ottanta col repartino aperto dell’Ospedale Mauriziano di Torino. A quarant’anni dalla Legge Basaglia una riflessione narrativamente coinvolgente sull’istituzione psichiatrica». 

 

In effetti tutti noi «paz» e coloro che per scelta hanno tentato di aiutarli, cercando di comprendere in primo luogo il loro linguaggio, da «paz» come è scritto allusivamente nelle recensioni che sono uscite per lodare il bel saggio di Francesca Valente, dobbiamo essere grati alla giovane autrice, per aver richiamato l’attenzione su un mondo di cui si parla sempre meno e sempre a sproposito, nella cronaca nera. Dopo 44 anni e mezzo, era giusto che il mondo della letteratura, dei premi letterari e della grande editoria, riscoprisse e premiasse, chi racconta delicatamente, con parole leggere una vicenda importante, dolorosa, epocale, che vide coinvolti tenacemente alcuni di noi, come chi scrive, che quei fatti li ricorda ancora lucidamente. Nell’immediatezza della chiusura dei manicomi, partecipai a quella epopea entusiasmante e faticosa che conserva (tuttora) il suo detonatore in due sigle e un numero “TSO”SPDC”e180”. Dunque, non posso che ringraziare l’autrice di avere in qualche modo soffiato con garbo sulla polvere accumulatasi in quasi mezzo secolo sul mondo italiano della pazzia. Due sigle e un numero, il fragilissimo terminale di espulsione violenta, dove ancora vanno ad ingolfarsi tutte le contraddizioni irrisolte di una riforma abbandonata al suo destino e lo psichiatra di guardia, pure!  

 

C’è chi questo lavoro di frontiera lo fa tuttora, con competenza e puntualità magistrali, usando però il battipanni, anziché il piumino, quando serva. Parlo di Gilberto Di Petta, direttore di “Comprendre”, un caro Collega, chè in “SPDC” vi lavora (anche) e io lo ammiro (anche) per questo. Ne ha la forza, e ne conserva l’entusiasmo della prima volta, di sempre. Di quando ha cominciato, confrontandosi subito con la prova più complessa: le dipendenze! Quel campo operativo delle relazioni umane difficili, che si trova ai confini di tutti i nostri strumenti di lettura dell’interrelazionalità: sociologia, psichiatria, psicologia, psicopatologia e letteratura. Il “tossico”, colui che mette a repentaglio la vita “per-una-dose-di-roba”, il terapeuta neppure lo vede, semmai lo sente. E Gilberto, se lo incontri, non puoi ignorarlo. Dato non trascurabile, Gilberto Di Petta, ha l’età della mia seconda figlia e non solo lo cito intenzionalmente, ma sono felice di poterlo fare, avendolo conosciuto e apprezzato fin da quando fu discepolo di Bruno Callieri, a Via Nizza, perchè lo ritengo il suo continuatore naturale, come psichiatra, psicoterapeuta e psicopatologo d’indirizzo fenomenologico. Gilberto, inoltre, è capace di descrivere, dal “fronte”, anzi dalla “prima linea” delle urgenze psichiatriche, i suoi incontri “incredibili”, con la naturalezza e la profondità dei racconti di Anton Pavlovic Cecov. Pubblica da POL.it Psychiatry on line ITALIA, Genova, la Rivista telematica di Francesco Bollorino e io lo leggo, conservandone i saggi in un apposito “file”. Vi trovo sempre una traccia utile e aggiornata per le tante domande che si affacciano in un mondo sempre difficile e solo raramente, annichilito dalla “pazzia che spaventa”. Per esempio, il ”raptus psicosico”, com’è accaduto di recente a Milano, all’accoltellatore improvviso del supermercato di Assago che ha sventrato il suo prossimo (5 persone, uno è morto) strappando un coltellaccio dagli scaffali … per vendetta! «Ho visto tutte quelle persone felici che stavano bene – riporta la stampa ho provato invidia».  

 

Tornando alle qualità del libro di cui si sta tessendo la lode, sono stato spinto a frugare nella biografia di Francesca Valente, la carriera, la persona, perchè mi ha colpito il suo raccontare lieve fatti di psichiatria, altrettanto prezioso, quanto profondamente diverso, da quello di Mario Tobino, il Collega scrittore. Fatti di psichiatria d’urgenza, per di più, da “SPDC”, una cosa sperimentale e nuovissima, la psichiatria riformata, per la prima volta in Italia. Non tanto nella “ideologia”, come si diceva un tempo, ma proprio perchè il mondo, il modo di pensare, la storia dell’umanità, aveva cambiato strada. Anche Tobino scrive un libro, “Le libere donne di Magliano” (Vallecchi 1953), tal quale “un diario” sulle “paz” del manicomio di Lucca, ma non è soddisfatto del suo lavoro, che lo “stanca” perché dalla pazzia non s’esce, s’usa dire, da sempre.  

 

«Con i matti che comunicano le loro leggi io con facilità mi accomodo, si cammina sullo stesso binario e se un improvviso spettatore dovesse subito giudicare chi dei due è il malato si troverebbe incerto; e tale mio esercizio, che dei giorni ripeto con frequenza, mi stanca e ritorno al mio andito con la nebbia di una vaga angoscia, quasi un convalescente, come se quei minuti che mi trasferivo nella mente del matto, abbandonando la mia, fosse come andare nell’inferno, vivere nei gironi, avere oltrepassato le fredde acque dell’Ade, e ritornassi alla vita con l’anima ancora ghiacciata dalla morte» (Tobino, p. 70) 

 

A Maggiano non si sa chi sia il protagonista, ma nelle pagine di Tobino, aleggia una cupa traccia di angoscia che deriva dall’ipostasi manicomiale; infatti, ciascuno ritorna al suo “andito” dopo una breve promiscuità istituzionale giornaliera. Invece, al Mauriziano, nelle pagine dalla Valente, l’osservazione è tratta dal diario di servizio degli infermieri psichiatrici di guardia, e rivitalizzata in una narrazione ilare e accidentata, perfino umoristica. Forse, a pesare, è il solito pregiudizio sulla follia che non cambia destino, come s’è sempre pensato, invece di cambiare finestra. Magari quella fenomenologica da dove la follia non sparisce, resta quella che è. Ma si può ascoltare, condividere, comprendere, come una parte di noi. Si può cogliere perfino, sul nascere, quando «hai l’impressione, ti sembra che … » e si potrebbe ancora tentare … qualcosa … forse. [02] 

 

Così, mi sono attardato a frugare tra le pieghe della biografia di Francesca Valente, per capire come mai una esordiente potesse interessarsi a un oggetto così secondario quanto un diario di servizio di una squadra di infermieri psichiatrici per le urgenze del “SPDC” al “Mauriziano” di Torino. Uno scartafaccio dove in apparenza non succede niente, tanto che tra loro si lasciano scritto a ogni turno, “Altro nulla da segnalare”, mentre ne capitano di tutti i colori, perchè tutto lì, è fuori di sesto. Non ci si poteva che imbattere in una persona delicata e curiosa come la Valente, intessuta di fibra tenace e duttile, impastata di sostanza paziente e maieutica – mi son detto tra me – una che dona senso al racconto descrivendo cose minute, narrando pensieri e paure sconclusionate, riferendo ordini ripetuti, automatici col valore di parole portentose, prive di magia, ma con effetto taumaturgico, come fossero “sesamo apriti”, “abra-cadabra” o altri “passepartout” delle Istituzioni. Astigiana del 1974, ha studiato giapponese a Ca' Foscari e arte contemporanea alla UCLA, la prestigiosa Università della California. Ha dimorato in Giappone. Per molti anni ha svolto la professione di traduttrice e copywriter, dall'inglese, dal francese e dal giapponese, per case editrici italiane e internazionali. Si è cimentata anche su testi per ragazzi “Il miele. Tutti i segreti delle api. Slow Food Editore Bra (Cuneo) 2010 

 

Queste letture mi hanno suscitato una marea di ricordi, perchè la vicenda del “superamento del manicomio”, così si diceva allora, mi videro direttamente e totalmente coinvolto, come se dal mio impegno e dallo sprone che infondevo ai colleghi all’SPDC del S. Giovanni di Roma affidatomi dal Prof. Romolo Priori il direttore del mega-CIM di Roma, dipendesse il successo della “Centottanta-del-Settantotto”, della “Basaglia-Orsini”, dell’intera riforma psichiatrica italiana. Ho fatto un tuffo nel passato e sento il dovere di mettere un po’ d’ordine nella successione storica degli avvenimenti psichiatrici che si sono succeduti negli ultimi 70 anni in Italia. Le “guardie psichiatriche” io le ho sempre fatte, anche da Primario, sebbene ci siano versioni contrastanti (sul territorio”) fino a quando non sono andato in pensione. Rammento ancora le supervisioni alle urgenze psichiatriche di territorio della dottoressa Domenica “Mimma” Albanese scortata dalla polizia urbana comunale che facevo con Antonino “Nino” Lo Cascio, per il 7° e l’8° Municipio del Comune di Roma. Iniziava il secondo Millennio e, per mettere un po’ d’ordine cronologico, dividerei la mia esperienza storica di guardie psichiatriche in quattro decenni: gli anni Cinquanta, gli anni Sessanta, i Settanta e gli Ottanta.  

 

Negli anni Cinquanta facevo le guardie alla “Clinica Neuro” di Roma, da Gozzano. Ero “Assistente Volontario”, di nomina rettorale. Il lavoro era in tutto e per tutto simile a quello degli “Assistenti di Ruolo”, ma senza stipendio. C’era un compenso, però: gli scarni dividendi delle “guardie neuro-psichiatriche” universitarie. Quando ho iniziato io, vigeva una vecchia convenzione col Ministero dell’Interno risalente al “Ventennio”, ancor prima della scoperta di Cerletti e Bini, per cui tutte le persone strane, che destassero sospetti o si comportassero ambiguamente trovate per le vie di Roma, specie dopo il tramonto, dovevano essere condotte alla Clinica Neuro, per la valutazione e una prima scrematura sull’ordine pubblico, ivi compreso il “carrettone della buoncostume”, ove clamoroso. Fu così che fu raccolto, alla Stazione Termini, il primo sbandato, candidato alla prima seduta di elettroshock [03] e, l’infermiere Spartaco Mazzanti, divenne celebre per avergli “retto la mordacchia” tra i denti (il tubo di gomma).  

 

Nel secondo decennio, i  Sessanta, il servizio di guardia al manicomio, che svolgevo in coppia con Massimo Marà tutti i giovedì, per 24 ore, dal mezzogiorno a quello del venerdì successivo, con cambio a vista,  fu rabbioso e antimanicomiale. A quel tempo,  lo psichiatra dell’istituzione non poteva far altro che svolgere una mera funzione notarile di ratifica dell’esclusione sociale stabilita altrove. Un altro “carrettone”, quello della Provincia di Roma che saliva dalla “Neuro” portava al manicomio di Monte Mario tutti quelli della retata di Polizia che non erano stati reclamati dai parenti e, destinati pertanto all’istituto dell’internamento manicomiale, ove non già “recidivi”. C’era, talvolta, qualche ambulanza del Circondario metropolitano di Roma con la “triplice” certificazione di prammatica, ovvero il certificato del medico condotto di “pericolosità a sé o agli gli altri o di pubblico scandalo”, controfirmato dal Sindaco e dal dirigente della Questura. Franco Basaglia è stato sicuramente il corifeo di un movimento di negazione del manicomio come luogo di cura, iniziato a Gorizia, sull’Isonzo in un piccolo manicomio di confine con la Slovenia, ma non è che altrove gli psichiatri dormissero. Basterebbe richiamare Sergio Piro al «Materdomini» di Nocera col suo esperimento di psichiatria alternativa, Bruno Orsini a Quarto, il manicomio di Genova, attivo per quanto riguarda la proposta di legge, Ferruccio Giacanelli all’OP di Perugia, e tanti altri.  

 

Anche all’OPP di Roma, facevamo la nostra protesta. Ricordo che con “Nino” Lo Cascio prestavamo servizio al III Padiglione (Medicina, Chirurgia, Radiologia, Odontoiatria e altre specialità). Il nostro Primario era un giovane radiologo di Trevi nell’Umbria [04] con la specializzazione in “Neuropsichiatria”, che firmava i referti radiologici [05], facendo risparmiare l’Amministrazione Provinciale, ma faceva ammattire la suora capo-reparto per i suoi comportamenti antimanicomiali, tutte le mattine quando veniva a fargli firmare i registri degli infermieri – le “Vacchette”, in gergo manicomiale – con il numero dei “paz” e la formula: «Lasciata consegna n. 41 » – « Presa consegna n. 41» , l’equivalente di “Altro nulla da segnalare” il titolo del libro di Francesca Valente con dieci anni d’anticipo. Se rimase clamorosamente storico il rifiuto antimanicomiale goriziano di Basaglia «E mi no firmo!» a fronte di una tale prassi, più che carceraria, non meno deciso fu quello di Giuseppe Francesconi al Santa Maria della Pietà, mancato purtroppo questa estate. Ricordo ancora lucidamente la sua voce beffarda, tutte le mattine, dopo la “visita”, nello studio del “Primario”, al momento della firma delle “Vacchette” e del controllo della corrispondenza dei “paz”, dire alla suora: «Io non solo non controfirmo un bel niente! Ma, adesso esco, vado in Tabaccheria le affranco tutte e le imbuco! » 

 

Il terzo decennio, quello famigerato degli “anni di piombo” in cui si colloca la narrazione di «Altro Nulla da segnalare» lo rammento nitidamente perchè c’è ancora molto, quasi tutto da raccontare per bene. Ci sono i fatti, ci sono le prove, sono i colpevoli e tutti i tipi di segnali, anche quelli per depistare, solo che non si vogliono mettere insieme per trarre le conclusioni giuste. Faccio riferimento a un clamoroso delitto di Stato/i (?), mai chiarito, se non con belle metafore [06]. Tutti i giorni, per andare a lavorare, salivo al manicomio di Monte Mario dalla Via Trionfale girando per Via Mario Fani. La mattina del 16 marzo 1978, mi capitò, d’incrociare la strada e l’ora del “Rapimento Moro”. Fortunatamente, fui dirottato rapidamente, perchè la zona era già presidiata da ogni genere di spioni, agenti segreti, forze di polizia e 5 cadaveri per sovrappiù, purtroppo, due carabinieri e tre poliziotti. Ero in lieve ritardo sul crimine e timbrai il cartellino con un’ora di ritardo di cui l’Ufficio Personale non mi chiese mai giustificazione. In manicomio ormai si stava pochissimo, giusto il tempo per timbrare l’entrata e svolgere le incombenze necessarie e l’assemblea di reparto, con i “paz”, la suora, e gli specializzandi di psichiatria della nuova cattedra di Gian Carlo Reda. Poi subito giù al gran “CIM” del Nomentano, da Priori.  

 

Ai primi tepori di fine marzo, ancor prima che la “180/78” fosse pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale N. 133 del 16 maggio con entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo, mercoledì 17 maggio 1978, eravamo tutti in fermento, noi psichiatri manicomiali del S. Maria della Pietà e del CIM di Via Sabratha, come ragazzini al primo giorno di scuola. Almeno quelli che ci credevano profondamente e si battevano tenacemente per farla approvare come battistrada della grande riforma Sanitaria. Bisognava prestare attenzione perchè, come abbiamo detto, il momento politico era delicato e anche pericoloso, con oscure forze straniere, manovrate da massonerie e servizi segreti deviati, ma anche criminali e faccendieri nostrani assoldati da chissàcchì. Sui 55 giorni del rapimento e del delitto Moro, dal 16 marzo al 9 maggio del 1978 – la più fulgida delle opacità storiche – ancora oggi si fanno solo ipotesi. Segno evidente, dopo 44 anni, che sopravvivono complici importanti impegnati a fare fumo. Bastava un nonnulla per mandare tutto in aria. L’attivismo radicale dei pannelliani, poi, era rischioso per l’incompetenza e la faciloneria di cui si colorava. Dovevamo vigilare, perchè noi della psichiatria, eravamo i battistrada della 833/78, si doveva durare almeno fino a settembre per passare il testimone ai Colleghi della “Sanità”. Dopo aver svolto le incombenze manicomiali a Monte Mario, ci precipitavamo giù nel villino del grande CIM di Via Sabratha, l’unico dell’Amm. provinciale romana per l’assistenza dei “paz” ambulatoriali. Il personaggio chiave del momento era il Direttore del CIM, il prof. Romolo Priori rientrato dalla direzione della succursale dell’OPP di Ceccano per “paz” cronici della Provincia di Roma.  

 

Di solito, quelli che avevano interessi accademici, lo andavano a consultare per avere indicazioni bibliografiche. Era un pozzo senza fine. Anche per chi voleva andare sul difficile, basti dire che aveva tradotto Jaspers… Allgemeine… per la prima volta in italiano. Tra noi, con grande rispetto, dicevamo «se vuoi essere esaustivo» non ti resta che andare da «Romolo-Zentralblatt» [07]; poliglotta, leggeva perfino il russo. Era un marcantonio, Romolo Priori! Si era fabbricato una fama sportiva gareggiando tra i “Canottieri Lazio” . Il suo grande rivale era il Prof. Giannetto Cerquetelli, non proprio un “fusto”, che militava nella “Tevere Remo” e aveva aderito al team di Cerletti e Bini, quelli dell’ESK. Questa volta, niente letteratura psichiatrica. Pendevamo dalle sue labbra per organizzare l’assistenza sul territorio ed avere le prime disposizioni. Lui era direttamente in contatto con l’Assessore Nando Agostinelli che faceva la spola tra Palazzo Valentini e la sede dell’Assessorato al manicomio allora davanti all’Anagrafe del Comune di Roma nell’odierna Via Petroselli per trasmettere telefonicamente le decisioni della “Giunta”. Anche qualche soffiatina di Sergio Scarpa, che, dal “Bottegone”, ci metteva un attimo a raggiungere l’assessorato provinciale, magari per incontrare Basaglia e don Luigi Di Liegro. Me lo ricordo perfettamente perchè “Nino” Lo Cascio mi passava a prendere col “Morini” per fare prima e trovare posteggio.  

 

Convinti di essere i battistrada della “Legge 833/78”, la grande Riforma Sanitaria, noi della psichiatria antimanicomiale riformata contavamo i giorni. Dall’una all’altre Legge, bisognava tener duro per 47 giorni, neppure due mesi; 8 settimane con un giorno d’abbuono, manco fosse il “Tour de France” e noi – «paniqué comme des fans» – fuori di testa come tifosi della “Grande Boucle”.  Sullo spirito del tempo scriveva Ferruccio Giacanelli, un Collega con le qualità dello storico che già aveva preso a collaborare con Tullio Seppilli, per l’antropologia culturale, sempre per l’abrogazione del regime manicomiale. «Grande era il timore che pur in modo non esplicito e in forma ammodernata con la nuova legge in preparazione si sarebbe potuto riproporre un’organizzazione di tipo manicomiale dell’assistenza psichiatrica. D’altra parte eravamo consapevoli dell’incalzare della scadenza altrimenti ineludibile del referendum promosso dal Partito radicale: l’abolizione di alcune clausole chiave della legge Giolitti del 1904 avrebbe lasciato nel vuoto normativo completo, quindi nella più assoluta illegalità tutto il sistema della psichiatria nazionale pubblica. Preoccupava soprattutto la sorte delle decine di migliaia di internati in via definitiva: cosa sarebbe accaduto di loro visto che l’eventuale abrogazione della vecchia legge ne avrebbe reso del tutto illegittima la permanenza nelle strutture di ricovero?»  

 

Nella sala grande del CIM, a Via Sabratha 12, eravamo riuniti in assemblea permanente con lo stato maggiore di Romolo Priori. Certamente non era il parco Versailles, solo il cospicuo giardino di una residenza al Nomentano, ma poiché era maggio, non posso nascondere di essere stato folgorato dal pensiero degli Stati generali di Francia del 5 maggio 1789 gli ultimi dell'Ancien Régime, crollato in seguito alla rivoluzione. Sarebbe stato così anche per i manicomi? E dopo? E l’assistenza sanitaria per tutti? Avrebbero pagato, equamente, tutti le giuste tasse o si sarebbe verificata la voragine odierna di evasione fiscale che in Italia ogni anno supera gli 80 miliardi di euro? [08]) Ad affiancare Priori, che credo ci dormisse anche (abitava vicino, comunque), c’erano Arturo Carfagnini, infermiere della CGIL per riempire le caselle dei turni del personale (Medici e infermieri), Alberto Giordano [09] e numerosi medici e infermieri del S. Maria della Pietà", tra i quali “Nino” Lo Cascio e io. Contavamo i giorni, come s’è detto ed eravamo apotropaici con quelli sospetti il “venerdì” e il “martedì”. Ora che rammento, per molti di allora, che temevano le conseguenze del compromesso storico (Socialisti si, Comunisti no) e quelli che lo appoggiavano fortemente (tutta la Sinistra coi Cattolici), aleggiava – sopra tutti – come un vago timore manzoniano, che ci fosse qualcuno nell’ombra, abile «nell’ordir cabale, e nel suscitar nemici». Quello di Agnese quando deve essere ascoltata dal Cardinal Federigo per riferire del carattere di Renzo. L’entrata in vigore del provvedimento di Legge n. 180 Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” del 13 maggio 1978, un sabato, pubblicato sulla G.U. n 133 del martedì 16 maggio 1978, sarebbe avvenuta il giorno successivo, ossia, il mercoledì 17 maggio 1978, un giorno dispari. Ma erano ubbìe! L’argomento dominante era come espugnare gli “Ospedali Civili”, e quanti, dovessero essere sulla piazza di Roma, per metterci dentro i fatidici “15 posti letto degli SPDC”. Segno tangibile e distintivo della “Riforma” psichiatrica che, però, avevano due difetti. Nessun ospedaliero li voleva e nessuno degli psichiatri voleva andarci a fare i turni di guardia. Ogni volta si ricominciava da Adamo ed Eva … se dovevano essere metà per le donne e metà per gli uomini, dunque separati, perché dispari? Quello fungibile dove, come e con chi individuarlo … Ogni volta era come i Garibaldini del 1870, bisognava fare la breccia di Porta Pia. Dopo infinite trattative Romolo Priori, che aveva anche la pazienza di Giobbe, riuscì ad individuarne 4: “Policlinico Umberto I”, “San Giovanni”, “Forlanini” e Nuovo Regina Margherita” in Trastevere, 60 p.l. per tutta Roma. 

 

Le prove generali erano terminate, le titubanze pure. Di buonora, un mercoledì di giugno del 1978, come concordato coi miei superiori dell’Amm. Prov. mi presentai alla Direzione sanitaria dell’Ospedale S. Giovanni di Roma, dal Prof. Sergio Biancone. Il mio “ordine di servizio”, credo sia un dei primi documenti formali di costituzione di “SPDC” in Ospedali Generali in Italia, a seguito della introduzione della “Legge 180/1978” e ad appena 39 giorni dalla sua promulgazione. Sorse immediatamente un piccolo giallo e una formale contestazione da cui si può evincere quanto la Psichiatria fosse allora indesiderata e indigesta, fuori dai manicomi. Era il 21 giugno 1978, e la lettera credenziale del Prof. Priori indirizzata in epigrafe al Prof. Mellina Sergio, indicato dalla freccetta a timbro blu, recava la data 23 giu. 1978. Mi fu fatto notare che ero tre giorni in anticipo. Dovetti ribattere che più sotto c’era scritto «In esecuzione dell’ordine di servizio n° 7 del 21/6/1978, la S.V., con effetto immediato, è destinata al Settore “B” per prestare la propria opera presso il servizio psichiatrico istituito nell’Ospedale S. Giovanni». Mi fu domandato se fossi “Primario”. Risposi affermativamente. Mi fu ribattuto che i Primari di Psichiatria vincitori di  Concorsi Provinciali non avevano corso nel Ministero della Sanità. Dovetti replicare che possedevo già una precedente Idoneità Nazionale, per concorso ministeriale, ad entrambe le funzioni di “Primario di Neurologia” e di “Primario di Psichiatria” per gli Ospedali Civili. Gli “Ospedalieri” Furono irremovibili, quelli della Provincia, restavano sempre “Primari di Serie B”. Dunque era stato previdente Romolo Priori che nel secondo capoverso della lettera aveva scritto « Si informa che il responsabile del Settore “B” e del servizio psichiatrico nell’Ospedale S. Giovanni è il Prof. Alberto Giordano, a cui compete, d’intesa con il Direttore Sanitario, l’organizzazione dei turni operativi». Di fronte all’afflusso dei primi pazienti, che le ambulanza cominciavano a scaricare, dei turni operativi di guardia e dell’organizzazione del servizio dei 15 posti letto, su alla direzione ospedaliera, si arresero all’evidenza, cosicché la giornata poté iniziare. Ma non finì la polemica tra medicina e psichiatria all’Ospedale Generale, inteso anche “civile” in contrapposizione a quelli psichiatrici. Restò il puntiglio. Ogni volta che si teneva la “riunione dei Primari” del S. Giovanni, dovevo pregare il buon Alberto Giordano di venirmi a fare da “Primario di Serie A”.  

 

Come che sia, nel complesso Ospedaliero di S. Giovanni – un pezzo della storia di Roma con l’affaccio più prestigioso su Piazza San Giovanni in Laterano, un palinsesto di monumenti dall’epoca dei Cesari all’età dei Barberini, il tardo barocco della fontana di Trevi di Urbano VIII  prendemmo possesso dei letti assegnatici nella “Sala Mazzoni”. Ancora non so se sia stato uno scherzo, una beffa o che altro. Noi e i “paz” ci avevano messo nella parte museale dell’Ospedale, solitamente chiusa e non utilizzata, anzi adibita a magazzeni per cronica mancanza di fondi. Chi legge, penso abbia in mente questo patrimonio storico-artistico-archeologico, di gioielli del passato, che le ASL di Roma hanno ricevuto in dono dalla Riforma del SSN gratuito per tutti. Il 'S. Giovanni”, poi, ha ben due ospedali storici: il Santissimo Salvatore e “Lo Spedale delle Donne, restaurati soltanto parzialmente per il Giubileo del 2000 da chi, accortosi del regalo, aveva spalancato gli occhi per la meraviglia. Ebbene, per noi, 44 anni fa, furono aperte le parti inutilizzate del mitico nosocomio, per le degenze degli antichi pellegrini della via Francigena. Per i “paz” allestimmo la grande corsia Mazzoni, nel corpo del SS Salvatore. Ma si poteva girare liberamente anche per la sala Folchi, l'atrio angolare che ler collega ed entrare nel barocco ''Ospedale delle Donne'' … tanto son “paz”! Tutti, affascinati, giravamo con la testa in su, per ammirare la volta a crociera lunettata che interseca gli ambienti monumentali e, sulle pareti interne, gli affreschi preziosi. I paz, invece erano attirati dai due fondali monumentali dell'ingresso dipinti di figure evangeliche, dalla cappella con l'altare dove, talvolta si arrampicavano per cercare conforto spirituale, ma poi era difficilissimo staccarli. Mi è giunta notizia che ora, è possibile prenotare visite turistiche guidate a pagamento in giorni stabiliti.   

 

L’incarico era quello di organizzare, al “Mazzoni” il repartino di 15 p.l. relativi all’accettazione psichiatrica d’urgenza e alloggiare il servizio di consulenza per tutto il S. Giovanni. C’era con me stabilmente, nella squadra di pionieri dell’SPDC, Mario Maurillo e Franco Idone, psichiatri dipendenti dell’Amm. Prov in attesa di transito al SSN, ma dava una mano “Nino” Lo Cascio. Gli altri specialisti turnavano (riottosamente), inviati dall’assemblea permanente del CIM di Via Sabratha governata da Priori e organizzata per i turni di guardia con cambio a vista dal sapiente lavoro di Arturo Carfagnini, infermiere psichiatrico della CGIL, esperto e di grande serietà. “Eh! Peccato che sia comunista” – diceva la sua suora caporeparto – prima che lo requisisse Priori, al CIM. Oltre tutto la sua militanza sindacale, garantiva che fossero rispettate le ore settimanali di servizio. La prima cosa che chiedevano tutti (medici e infermieri esterni) era:Se alla fine del mio turno di servizio, non si presenta il cambio, ci resti tu, vero? Io c’ho il territorio!” La seconda cosa che pretendevano gli psichiatri gli esterni, era  fare lassemblea di reparto al Mazzoni, come al manicomio, anziché sbrigare le urgenze e le consulenze per lOspedale. Ce n’era uno, mi pare, che teorizzava “l’antiterapeuticità della controvisita nel pomeriggio”. Non ho proprio idea di cosa volesse dimostrare ma giurava di diffondere il verbo Paul Claude Racamier appreso all'Hopital de jour “La Velotte di Besancon. Anche gli infermieri psichiatrici ruotavano a turno, ma quelli fissi, le colonne portanti dell’SPDC, erano Francesca Aureli [10] infermiera psichiatrica non sindacalizzata e di grande esperienza e il generoso Renato Aloisi, infermiere psichiatrico della CISL.  

 

Da questo momento potrebbe iniziare un racconto infinito, perchè c’era molto altro da segnalare, sulla nuova riforma psichiatrica. Soprattutto da correre, ascoltare, parlare girare come trottole tra mille difficoltà, pregiudizi, ostilità. E non per i “paz” che non sono mai stati un problema, semplicemente un lavoro. Un lavoro di frontiera, bellissimo che durò fino a quando, approvata la Legge 23 dicembre 1978, n. 833, venne l’ordine di trasferimento sul territorio. Mi limiterò a ricordare qualche episodio relativo al difficilissimo trapianto della psichiatria in un contesto ospedaliero generale. Il rigetto fu immediato e l’ostilità si mantenne pressoché costantemente ab origine fin dall’impianto del Repartino SPDC. In fondo, le esperienze raccontate nel libro della Valente non sono state molto diverse dalle mie. L’unica differenza semmai, tra le due celeberrime strutture ospedaliere richiamate in questa recensione, è che lo scarto di e, avvantaggia Roma di oltre due secoli perchè l’Ospedale San Giovanni affonda le sue origini nell’"Arciconfraternita del SS. Salvatore" risalente al 1332, mentre l’Ospedale Mauriziano di Torino fu fondato nel 1578. 

 

Per dare l’idea del clima e dell’epoca citerò il caso della capo-sala dell’Urologia che mi chiamava allarmata perché i “paz” dei, Castelli Romani che scendevano per “farsi” la prostata, impazzivano regolarmente dopo 48-72 ore di degenza. Le avevo insegnato il trucchetto imparato della suora capo-reparto del XVIII Padiglione “Alcolisti e Criminali” del S. Maria della Pietà per evitare il “tremens” – la crisi di astinenza da potus– che poteva essere prontamente risolta dalla “marsaletta” segreta, somministrata al momento giusto, con grande beneficio di tutti. Divenne una mia fedele e preziosa alleata. Ne avevo veramente bisogno! C’era il Primario dell’accettazione donne, per esempio, che per dimettere i T.S. (tentato suicidio) voleva la consulenza scritta dello psichiatra e la sua firma in calce sulla cartella prima della dimissione della paziente. Il primario di chirurgia quando gli dicevano che un paz psichiatrico aveva tentato di affacciarsi nella sua corsia, dava fuori da matto: Adesso questo te lo porti a casa tua, perchè se entra in camera operatoria e prende il bisturi, chiamo la polizia!” Il primario di Cardiologia ad una riunione in Direzione da Bianconi, era riuscito a dire che non capiva come si potesse dare tanto credito agli isterici se uno come Basaglia non capiva della calma e della tranquillità che necessita chi come lui, un vero primario di medicina, deve liberare le coronarie degli infartuati del suo Reparto. Fra i tanti ricordo un fatto curioso e divertente. Un paziente in TSO era riuscito ad eludere la vigilanza degli infermieri e salire dal “Mazzoni” fino alla mensa dei medici. Si era seduto al tavolo e aveva ordinato una “carbonara”. Richiesto di qualificarsi, aveva detto di essere un Tiratore Scelto Obbiettivo (la sigla del TSO). Immediatamente rimbombò un urlo terrorizzato, per tutto il S. Giovanni: “Chiamate Mellinaaa …” – Come sanno, tutti quelli che lavorano in “accettazione-pronto-soccorso”, chi strilla di più, sembra il più urgente, ma non sempre è così. A me è capitato spesso di incontrare ubriachi. Bastava dicessi “alito vinoso” e sparivano. Ecco, per me è rimasto un mistero, sapere dove finissero, ma nessuno di loro me l’hanno mai portato nei 15 p.l. del “Mazzoni”. I mutacici, al contrario, non allarmavano nessuno. Ma quello seduto lì, è un paio di volte che lo vedo, chi ce l’ha portato, quando è venuto? L’ambulanza, stamattina, ma sta tranquillo, non chiede niente, non parla!Guarda che sono proprio quelli da guardare con più attenzione, mi devi avvertire immediatamente, appena li portano!”.  

 

Vengo contestato clamorosamente il 30 agosto 1978, un mercoledì. Mi trascinano i letti psichiatrici del “Mazzoni”, quelli dell’SPDC, in strada, via dell’Amba Aradam, uno degli ingressi del S. Giovanni, il meno antico, quello più truculento, il gas asfissiante dei fascisti coloniali sui cristiani copti del Negus . Dicono che è una protesta spontanea. Dicono che sono i parenti dei “paz” non psichiatrici a montare la rivolta. I matti non li vogliono! Neppure la “Basaglia”. Viene la Prefettura, c’è una riunione in Direzione da Biancone. Arrivano Giordano e un po' di politici, tra i quali Nando Agostinelli, l’Assessore provinciale. Priori, puntuale, sempre con calma olimpica, reca una nuova lettera ufficiale di credenziali protocollata e firmata, che deposita nella segreteria di Biancone: «Si dichiara che il Prof. Sergio Mellina dal 8 giugno u.s. opera nel servizio psichiatrico dell’Ospedale Pubblico S. Giovanni istituito ai sensi della legge n° 180 prodigandosi con notevole impegno nell’organizzazione del servizio. Attualmente è responsabile del servizio stesso in sostituzione del Prof. Giordano temporaneamente assente. Il Direttore Prof. Romolo Priori». Vedo che provvede a farsi timbrare con data, ora e numero di protocollo, ricevuta di avvenuta consegna del documento. La cosa rientra e tutto si acquieta. Resta il mugugno dei padroni di casa, gli ospedalieri civili, i veri soffiatori sul fuoco. Che sappia io, mi pare sia stato il solo, anzi l’unico SPDC d’Italia, ad avere avuto una contestazione tanto esplicita e “susciata”, come avrebbe pensato mio suocero “u sciù Vittoriu”, il chimico trilaureato genovese che aveva studiato con Giulio Natta. In conclusione, a vero dire, per questa pionieristica conquista di un posticino – “SPDC” – per le emergenze psichiatriche negli ospedali generali, al S. Giovanni di Roma, ebbi la solidarietà fattiva e convinta della “Maternità”, della “Medicina interna (Zilli), della “Diabetologia” (Teodonio), della direzione infermieristica e della Scuola infermiere, oltre a quelli della “Urologia” di cui s’è detto, ai quali sono immensamente grato.  

 

 

La lettera ufficiale per la conquista del territorio giunse il 16 gennaio del 1979. Per organizzare il Servizio Dipartimentale di Salute Mentale venivo inviato al Municipio delle Torri, in quel di Torre Spaccata n. 157, presso il complesso ex-ENAOLI. Un gioiello della periferia di Roma, circondato da 60 ettari di parco alberato, con tanto di collegio residenziale, campo di calcio regolamentare, teatro, scuole con attrezzature meccanico-tipografiche. Un tesoro urbanistico intatto, che non mi risulta ancora cementificato, in capo alla Regione Lazio. Il resto della storia, questa storia, la sua continuazione sul territorio, a chi è interessato, può leggerla da Bollorino su Pol.it in180 x 40 Le Ricordanze”, in 4 parti: Prima (9 agosto, 2018) – Seconda Primi passi nel territorio (20 agosto, 2018) Terza Costruire i servizi di salute mentale nel territorio (7 settembre, 2018)Quarta SDSM Progetto impossibile but “Yes we came” (22 ottobre 2018). Si potranno anche trovare segni allarmanti di denuncia e, purtroppo, anche un po’ il declino del SSN fino allo stato comatoso attuale. Strutture svuotate. Ospedali, ambulatori,  centri analisi inaugurati ma non attivati. Sedicenti “Case della Salute” con funzionari chiacchieroni. Il gioco di prestigio del “primo soccorso per pronto soccorso”. File annuali per una lastra, l’elettrocardiogramma o il dermatologo. Pochi iscritti a Medicina, la cassaforte blindata del “numero chiuso”. Da Medici eroi” a “Medici invisibili”, malpagati, maltrattati, in fuga all’estero, o cooperativizzati all’interno. Un vero e proprio Requiem aeternam della salute da quarant’anni in qua. Vogliamo dire dalla “discesa in campo” di un tal signor B? Lunga salute a lui! Requiescant in pace, Sanità! Ma i “paz” no, per carità! 

 

Note  

01. Newsletter del  9 novembre 2022 – il giornale dell’Ordine dei medici di Roma – ha pubblicato una lettera di vibrata protesta della CIMO-FESMED per il “Documento di Economia e Finanza … approvata dal Consiglio dei Ministri che nei prossimi tre anni la spesa sanitaria sarà ridimensionata … lasciando l'Italia tra i Paesi europei che spendono meno per la sanità … sarà pressoché impossibile far funzionare le case e gli ospedali di comunità previsti dal PNRR e superare quel tetto di spesa al personale che impedisce di assumere medici, infermieri e altri professionisti sanitari". 

02. Il “Delirio di riferimento sensitivo” è un classico della psicopatologia introdotto da Ernst Kretschmer sul quale si sono cimentati molti Colleghi degli anni Cinquanta. Quelli che già avevano apprezzato Jaspers tradotto da Romolo Priori e seguivano Bruno Callieri in Via Nizza, per via della corrente di psicopatologia fenomenologica che lui era andato a conoscere direttamente a Tubinga in Germania. Ebbene uno dei più interessanti lavori dell’epoca che ricordo di aver letto sull’argomento fu quello di Ferruccio Giacanelli e Romolo Priori. Il delirio di riferimento sensitivo. Considerazioni su alcuni problemi di psicopatologia. “Giornale di Psichiatria e di Neurologia”, anno XCIV, fasc. 2, 1966, pp. 451-469. 

03. POL.it Psychiatry on line ITALIA, Genova. L’elettroshock. Una “terapia” empirica, inefficace e anche “pestifera” di Sergio Mellina, 25 febbraio, 2019. 

04. Proveniva da una famiglia benestante di Trevi nell’Umbria come quella di Franco Basaglia lo era di Venezia il padre di Francesconi era esattore delle tasse, la madre faceva la maestra elementare a Foligno ed era molto popolare tra i figli de ferrovieri delle locali officine ferroviarie molto rinomate per la loro eccellenza nazionale. Trevi, però, era famosa per un celebre ristorante “Il Cochetto”,  dove si era fermato a mangiare anche il “Duce che passava con l’automobile dalla Romea per andare a Predappio”. Si trattava di Francesco Barbini, figlio d’arte, personaggio storico di un tempo lontano, in cui i viaggiatori si portavano il mangiare da casa, e per catturare quelli con l’automobile ci voleva molta fantasia sveltezza e improntitudine. Non esagererei se osassi paragone la sua storia a quella favolosa di Giuseppe Cipriani, il veneziano di Verona, titolare dell’omonima “Locanda” in quel di Torcello,  nonché inventore del “Bellini”, all’Harris Bar, in quel della Giudecca.  

05. Oggi non so, ma un tempo, per esercitare la radiologia e l’anestesia e rianimazione, ci voleva una apposita specializzazione. 

06. Si veda: POL.it Psychiatry on line ITALIA, Genova. Attentati misteriosi e rimasti tali da Moro in poi. di Sergio Mellina, 23 luglio, 2019.  

07. S’intendeva propriamente la rivista tedesca “Zentralblatt für die gesamte Neurologie und Psychiatrie 

08. Evasione fiscale in Italia, I DATI. tg24.sky.it › Economia › Approfondimenti29 ott 2022. 

09. Il Prof Alberto Giordano aveva molti titoli ed era conosciuto. Docente di Neuropsichiatria Infantile, aveva diretto a Milano il Centro di Rieducazione per Minorenni "C. Beccaria". Era stato una delle colonne portanti dei Centri Medico Psico Pedagogici organizzati per le scuole da Giovanni Bollea (1913-2011), Adriano Ossicini (1920-2019), Carla Voltolina (1921-2005), Giuseppa Sigurani (1937-2018). 

10. Francesca Aureli, proprietaria di un Bar a Roma in Corso Vittorio Emanuele II a Piazza dell’Orologio, mi è venuta a trovare di recente e mi ha regalato due quaderni autobiografici scritti a mano. Sono documenti storici. In uno c’è scritto «La mia vita negli ambienti psichiatrici: (Cliniche private, Ospedale Psichiatrico “S. Maria della Pietà”, Territorio dopo la Legge Basaglia ed anche Diagnosi e Cura presso l’Ospedale S. Giovanni)» 

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