SOPHRONOÜSE E PSICHERATROPO
Quando la follia si racconta
svela la realtà, trovando senso e significato
L'amico Antonio Carlo Ponti, scrittore e giornalista, mi ha telefonato chiedendomi di lavorare su un testo che era stato a lui proposto per la stampa, con la particolarità che si trattava di un romanzo scritto da un autore con precedenti psichiatrici, da cui un mio contributo per cercare di rendere l'operazione possibile. Ho accettato ed ecco il mio contributo.
Come premessa e indicazioni per il lettore, ritengo opportuno esprimere considerazioni circa il pensiero e l’organizzazione dello scritto dove compaiono citazioni, neologismi, aforismi, riflessioni, pensieri talora disconnessi, non organizzati e sistematizzati ai fini della continuità e del senso in modo consono, ma sufficientemente comprensibili nel loro insieme. Non manca una potente dimensione poetica che in alcuni tratti raggiunge vette che commuovono. Realista nella denuncia, l'opera è finta ma non falsa, il rischio è fermarsi a una lettura superficiale dell'opera, limitandosi a comprendere il fatto narrato. Si dovrebbe sviluppare invece sempre di più un'attenzione al come l'autore scelga di dire una certa cosa.
La finzione è la descrizione di una esperienza di vissuti, non è imitazione della realtà e la realtà vera allora riesce a far vivere al lettore le sue esperienze reali, emerge il nostro modo di reagire e richiamare alla memoria fatti già conosciuti e delineati.
E’ un romanzo che rispecchia le condizioni del tempo e della storia in cui si combinano passato, presente, vecchio e nuovo, movimento regressivo e progressivo della memoria e solo la coscienza di ciò che è accaduto può permettere l'esperienza del nuovo che verrà.
Anche Aristotele dice che l'opera d'arte più che rappresentazione della natura è rappresentazione del farsi della natura. Lacan scrive che se siamo commossi di fronte a un'opera d'arte, il motivo è che essa offre il posto a ciò che di problematico nasconde in noi il nostro rapporto con il nostro desiderio.
In queste pagine se rimaniamo commossi è per la mancanza di libertà e la violenza psicologica della carenza di umanità, affetto, la depressione delle funzioni vitali come la sessuale, di pensiero critico, di memoria causate dalla terapia farmacologica, di isolamento, contenzione nella vita all'interno dell'istituzione chiamata paradossalmente comunità terapeutica, cioè relazione come terapia.
Per Nietzsche abbiamo l'arte per evitare che la verità ci distrugga. Possiamo allora parlare di pensiero artistico, e avremo a che fare con le illusioni del pensiero, con i suoi vincoli, le sue libertà. Sempre Nietzsche a proposito della nascita della tragedia greca parla dell'antico mito di re Mida e di come egli abbia dato la caccia per molto tempo al saggio Sileno, il seguace di Dionisio, senza prenderlo. Quando infine gli cadde tra le mani il re chiese quale fosse la cosa in assoluto migliore e maggiormente desiderabile per gli uomini. Rigido e immobile Sileno tace, finché, costretto dal sovrano erompe con queste parole: «Miserabile stirpe di un giorno, figli del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te sarebbe vantaggiosissimo non sentire? La cosa in assoluto migliore per te è del tutto irraggiungibile, non essere nato, non essere niente. Ma la seconda cosa migliore per te è morire presto.»
Il cittadino greco riconosceva e percepiva l'orrore e lo spavento dell'esistenza, perciò per poter vivere dovette rappresentarsi davanti a lei la splendente creazione di sogno degli dei olimpici. La profonda paura verso le potenze titaniche della natura venne dai Greci sempre superata attraverso l'artistico mondo intermedio degli Dei olimpici. Dall'originario ordinamento divino titanico basato sul terrore si sviluppò tramite lenta evoluzione l'ordinamento divino olimpico della gioia, grazie all'impulso apollineo verso la bellezza. Sempre Nietzsche ci fa notare come questa armonia, unità dell'uomo con la natura per cui Schiller ha coniato il termine artistico di ingenuo non è uno stato così semplice e che dovremmo incontrare alle porte di ogni cultura come un paradiso dell'umanità.
L'ingenuità omerica può essere compresa solo con la completa vittoria dell'illusione apollinea.
Qui nel romanzo non c'è dubbio che il delirio sia la difesa e la completa vittoria sulla sofferenza prodotta da un dolore dell'anima.
Qui vediamo come l'autore crea nuove parole, neologismi, caratteristica del linguaggio psicotico, che fanno riferimento a cose eterogenee e adattate per esprimere, con una simbologia personale ed esclusiva, l'inafferrabilità di esperienze così dolorose da essere inesprimibili. La parola neologismo può essere usata sia nel linguaggio normale sia in quello psicotico, il denominatore comune è rappresentato dall'insufficienza del vocabolario a esprimere un determinato concetto o una situazione particolare.
Qui sono presenti una componente creativa, uno sforzo espressivo legato alla personalità trasformata, psicotica ma ricca di spunti comunicativi e tendente ancora ad afferrare rapporti esistenziali nonostante una cosmologia metafisica. L'assetto cognitivo schizofrenico, caratterizzato da confusione, discontinuità, in cui mondo reale e mondo fantastico si integrano in un mondo metafisico, surreale, fantasia e razionalità trovano rispettivamente collocazione in un doppio registro, mettendo l'autore nella condizione di aver bisogno di nuovi termini. Questa forma verbale è rassicurante, un pensiero irrazionale può rendere la realtà meno irrazionale.
¹ Umberto Galimberti Dizionario di psicologia, Torino,Utet ,2006
L'esperienza di trasformazione della propria esistenza e dei rapporti con la realtà comune è caratterizzata da una corrispondente metamorfosi sul piano linguistico e rispecchia la sua inadeguatezza a confrontare i suoi pensieri radicati nella sua esperienza di vita personale mediante una serie di termini, di modelli di essere e di pensare convenzionali.
L’autore riforma e rimodella il tutto e fa emergere una nuova forma, riuscendo a trasmettere la sua storia, i suoi significati ma anche la sua protesta di dolore, che è l'ammissione dell'impossibilità a riconoscersi in una realtà comune affermando nello stesso tempo la propria individualità.
Credo che le caratteristiche psicologiche descritte nel romanzo, possono essere ritrovate e meglio comprese nel quadro di Jackson Pollock, Full fashion five 1947, uno dei primi quadri astratti nella storia della pittura, il cui titolo tradotto è Cinque braccia sul fondo.
Il quadro è assolutamente privo di riferimenti reali, la superficie è butterata da rifiuti, bottoni, fiammiferi, sigarette, l'insieme però assume una forma quasi antropomorfa, sembra di intravedere una figura prigioniera sotto lo strato di pittura. Le foto ai raggi x effettuate per il restauro, hanno rivelato che esiste davvero una figura in piedi, con un braccio alzato sotto la ragnatela di linee, come se Pollock l'avesse seppellita dentro il suo quadro.
Qui il pittore aveva abolito il pennello, la tavolozza, il cavalletto, prevedeva una tela stesa a terra e colore distribuito direttamente col tubetto, con la tecnica dello sgocciolamento, diventava espressione dell'energia dell'inconscio e l'atto della creazione è più importante del suo esito. Allora la figura che giace sul fondo è l'artista stesso come Pollock dichiarò poi in una intervista in cui affermò che così si sentiva parte del quadro. Quando sono nel mio quadro, disse non sono cosciente di quello che faccio, un quadro ha una vita propria che devo lasciare emergere.³ Io credo che Cristiano Tardito sia dentro il libro; il suo libro-verità l'ha lasciato emergere dal suo inconscio. L'emersione è stata resa possibile dai suoi meccanismi di difesa psicotici, fantasie costituenti un nucleo delirante, strutturato, lucido, integrati da neologismi, aforismi, citazioni, che hanno permesso di stabilire un adeguato ancoraggio sociale.
Perché leggere questo libro?
Il rapporto tra psicoanalisi e arte è andato sempre più arricchendosi dalle origini della teoria freudiana. L'arte ha la possibilità di farci riflettere su meccanismi psichici inconsci che l'artista coglie ed esprime con la sua opera; Freud intendeva l'arte come travestimento dei contenuti dei desideri proibiti. L'artista si distacca dalla realtà in quanto non riesce ad accettare la rinuncia al soddisfacimento pulsionale che la
³Melania G.Mazzucco– Il museo del mondo,Torino, Einaudi,2017
realtà esige e lascia che i suoi desideri di amore e gloria si realizzino nella vita fantastica; egli trova la via per ritornare alla realtà perché grazie alle sue doti trasfigura le sue fantasie in opere d'arte che vengono fatte valere dagli uomini come preziose immagini riflesse della realtà.
Nietzsche , come già detto, dice che abbiamo l'arte per evitare che la verità ci distrugga. Possiamo allora parlare di pensiero artistico e avremo a che fare con le sue illusioni, vincoli e con le sue libertà.
Per lo storico dell'arte e psicoanalista Ernst Kris l'opera d'arte ci mette in contatto con il nostro inconscio, pertanto l'espressione artistica comporta la possibilità da parte del pubblico di ri-creare o co-creare con l'artista l'opera stessa. Più l'arte è creativa e non convenzionale, più può diventare il nostro analista piuttosto che il nostro paziente. Noi nell'opera d'arte vediamo soprattutto ciò che vogliamo vederci, l'artista diventa un rivelatore di noi stessi. La lettura di un libro diventa una lettura di sé, piuttosto che comprendere noi l'opera d'arte è quest'ultima a comprendere noi stessi.
Dice Lacan che il desiderio è per tutti un enigma da interpretare che occupa lo spazio di una vita. Se siamo commossi per un'opera d'arte il motivo è che essa offre il posto a ciò che di problematico nasconde in noi il nostro rapporto con il nostro desiderio. Si tratta qui di accostarsi all'autore considerandolo attraverso il suo libro e non interpretare la sua opera a partire dalla sua biografia.
Possiamo dire che il significato di questo libro lo troveremo dentro di noi elaborando le emozioni, i pensieri, le riflessioni e considerazioni scaturite dalla sua lettura. Come quando uno psichiatra cura un paziente o nella vita ci troviamo ad aiutare l'altro, in realtà lo psichiatra curando il paziente cura se stesso e la cura avrà successo se riesce a migliorarsi e parimenti accade nella relazione di reciproco aiuto. Leggere questo libro comporta un processo di crescita che ci induce a soffrire e fare qualcosa per coloro che hanno una malattia mentale.
Nell'uno è il tutto. Una visione unitaria del tutto che presuppone la fondamentale unità dell'universo. A livello umano, l'unità del tutto implica che anche l'individuo sia un essere completo e unitario a partire dal superamento del dualismo psiche e soma. Ogni cosa dotata di forma, qualità, individuazione ha origine in un comune principio indifferenziato superiore, per cui l'uomo si congeda dal Divino aprendo con la ragione lo scenario delle differenze: da cui gli opposti. Qui però l'uomo non separa, in quanto gli opposti non esistono se non insieme, essendo l'uno funzione dell'altro. Totalità indifferenziata, quello sfondo preumano che è l'indifferenziato. Advaita esprime nella lingua indù il concetto della non dualità della dualità, i due poli della polarità sono in rapporto di complementarietà piuttosto che conflittualità; nella personalità adualista, il dualismo è solo cognitivo. Non essere condizionato dalle coppie di opposti equivale alla libertà assoluta ma per poter godere di tale libertà l'uomo prima deve raggiungere l'integrazione e diventare un sé.
Soltanto una personalità integrata e individualizzata può sperimentare con soddisfazione la vita. L'integrazione è quel processo di cui si ha memoria senza ricordo, che si compie a partire dalla vita fetale e durante i primi anni di vita dopo la nascita, essendo sostenuti e contenuti da un grembo psicologico materno che fa da filtro a tutti i traumi psichici troppo dolorosi, rendendoli tollerabili e impedendo che comportino l'andare in pezzi.
Nella donna molto più che nel maschio si dibattono due soggettività antitetiche, perché una dice "io" e un'altra fa sentire la donna depositaria della specie. Ogni figlio vive e si nutre del sacrificio della madre, sacrificio del suo tempo, del suo corpo, del suo spazio, del suo sonno, delle sue relazioni sul lavoro, della sua carriera, dei suoi affetti e anche amori, altri dall'amore del figlio in quanto l’ambivalenza affettiva si riversa inconsciamente sul bambino. Nel libro di Tardito l'ambivalenza è sempre latente e il desiderio di una possibile conciliazione è lo scopo del libro. Quando il bambino divenuto adulto scopre che sua madre da bambina ha sofferto anche lei a sua volta, tale ambivalenza e da madre con lui non ha fatto altro che ripetere quello che ha vissuto lei con la propria madre, con l’età adulta comprende il malinteso e ricerca la conciliazione.
Concludo con il fatto che la lettura del libro è una denuncia riguardante la questione etica in psichiatria.
Una psichiatria che prima di tutto accoglie, comprende, quindi in grado di contenere, attraverso la relazione terapeutica che consiste nel prendere a cuore le sofferenze degli altri, prima della terapia farmacologica. La vera cura del dolore nell’anima lo psichiatra la trova nel cuore, prima che nella scienza medica. Questa è la verità che afferma Tardito con il suo romanzo.
Ecco perché nasce il libro, dalla esigenza di denunciare il malinteso che sta nella psichiatria che riduce il dolore nell’anima alla cura biologica della malattia mentale e la sua forza è che insieme al bisogno di denuncia, ricerca la riconciliazione con la vita, che alla fine Silè raggiunge.
Le considerazioni che ne scaturiscono sono una dovuta risposta a quanto il paziente Silè ha vissuto e che Tardito scrittore ha rappresentato nel suo bel romanzo che ho avuto la fortuna di leggere e studiare e da cui è potuto scaturire quanto qui espresso e per questo arricchimento lo ringrazio.
Giulio Spaziani
La storia
In merito non si è fatto un riassunto ma, come il testo non è stato oggetto di alcuna operazione di editing, da esso si sono estratti dei brani significativi e si è ricomposta in breve la storia mantenendo integri così gli stessi modelli di pensiero e di espressione del libro.
Prima parte
Il racconto inizia con il loggiato metafisico chiamato così perché:
« Hangar infarciti di stazioni orbitali rotanti… ciascun benarrivato veniva incasellato nell’ambito del Loggiato Metafisico ciascuno secondo la propria precipua posizione karmica avuta nella precedente vita».
«Accanto agli angeli-avio, i quali concertavano le frenetiche fluttuazioni dell’etere, attraverso la continua spola di astronavi addette al trasporto dei corpi in stato di rigor mortis, che venivano poi rigenerati dalla linfa vitale, grazie a scariche di adrenalina, rimodulazione degli standard vitali».
«L’uomo è come il seme della terra che deve morire e quindi germogliare per far nascere la pianta [… ] Silé, con EEG piatto[… ] assenza di attività elettrica cerebrale [… ] dopo il trasporto avvenuto per mezzo di una normalissima autoambulanza, con pirobazie tentacolari di rianimazione, infuse a quell’anima, da parte di infermiere del Centro di Igiene Mentale di Carcare[… ] e susseguente arresto cardiocircolatorio e l’insorgere di insufficienza respiratoria, che ne avevano decretato la morte avvenuta per avvelenamento, da ingestione di foglie di oleandro».
A questo punto Tardito ci dice che è il «principio di “Levitazione universale” che impedisce alle anime di quel Paradiso di sprofondare, e altresì permette loro di eternarsi come creature sempre limitanti in quell’altro mondo a zero millibar, che è il “Sito Perenne”, luogo dove impera Dio e programmano gli angeli custodi. [… ] di un deliberato cosmo da fantascienza».
« A questo punto credo che capirete tutti che non era importante dove fosse nato, né come fosse morto, né tanto meno chi fosse realmente[… ] Ma per fare ciò debbo cominciare dalla vita. Quella strana esperienza che gli capitò, proprio lì in Val bormida».
Seconda parte
Una molotov con l’etichetta.
«Quel sabato 21 settembre 2002, nella vicina piscina termale della città appunto di Acqui Terme, si stava girando uno spot pubblicitario, da parte di un’emittente televisiva tedesca, su di un noto vino rosso piemontese: il Barbera d’Asti, durante il quale si simulava la caduta dal cielo di una enorme bottiglia di quella marca, con un’etichetta applicata con su scritto: “Molotov”, la quale, ad un certo punto precipitava sulla Terra, proveniente da un altro pianeta».
Il viaggio verso il campanile
«Le due astronavi, lo Psicheratopo e la Sophronoüse, erano quindi stati ricompattati nei loro gangli di alimentazione energetici, ma qualche “allacciamento” era rimasto inevaso all’uso peculiare di quella fattispecie di drone, nel suo volo pindarico sino allo scontro impertinente col campanile della chiesa di Carcare di S. Giovanni Battista[… ] Il black-out occorso al paese di Carcare in quel frangente, aveva in qualche modo fortuito occultato la scia ionizzata ronzante di ozono trasformato in perossido di azoto della Sophronoüse [… ]Qualcuno aveva pensato che si fosse abbattuto un fulmine sul campanile e lo avesse folgorato. Altri propendevano per la tesi esplosiva dello scoppio della caldaia a metano che alimentava l’intero complesso dell’edificio sacro, la quale Don Emilio non aveva più badato a far registrare e che ora singhiozzava nel suo funzionamento meteorico, provocando silenzi di freddo anche in pieno inverno[… ]
« La capsula del tempo, che i “pellegrini dello Zodiaco” avevano riassemblato, ora si trovava precipitata, dopo essersi nuovamente separata dal restante corpo della Sophronoüse, su di un altro complesso campanario che distava circa 3 km».
«Così la Parrocchia del nucleo carcarese avrebbe conservato e custodito inavvertitamente i resti della Sophronoüse, mentre il campanile esposto a est della chiesa di Sant’Eugenio in quel di Altare, ospitava già lo Psicheratopo».
Arrivo sul campanile e permanenza su di esso
«Sul campanile, nessuno più era salito, e se si aggiunge che una perturbazione piovosa si era portata proprio in quei giorni, con il suo minimo depressionario, sulla Liguria, si capirà perché non vi era la volontà intrinseca di salire sui campanili, né tanto meno sopra i tetti[… ]ma[… ]successe che alcuni ragazzini ardimentosi, che abitavano in quel di Altare, decidessero di andare sui tetti delle loro attigue abitazioni, per approntare la preparazione di una castagnata, con tanto di padellone forato e tanti di quegli umili frutti che l’autunno incipiente sa donare agli abitanti più attenti della Valbormida, durante i mesi della loro raccolta, cresciuti grazie all’umidità conservata durante l’estate, nei boschi montani, dai castagni, per rompere l’assedio piovoso è decretare la bollitura dell’acqua».
«Silé, da quando era piovuto sulla terra, non era stato più lui. Prima, la caduta nella piscina dei bagni termali, con lo show insieme al ramarro, eppoi ora l’impatto contro il campanile, lo avevano annichilito. Se poi si aggiunge che era stato alimentato tramite fleboclisi per lunghissimi anni e l’intervento provvidenziale in frenata dell’astronave e da parte dei “Pellegrini dello Zodiaco” aveva portato a 88 la centrifuga di gravitazione all’interno del drone, facendolo rovinare e contro la sacra guglia, in un impatto violentissimo. Si può ben capire perché ora provasse un forte senso di nausea e fosse tutto come percorso da brividi e tremolii. La sua forte tempra ora stava per essere messa duramente alla prova. Così, come per ogni eulasiano, adesso gli toccava affrontare un mondo completamente nuovo, mal formato su cosa l’aspettasse veramente, e ancora giovanissimo com’era, per ciascuno di questi abitanti del pianeta monocontinentale. Assistito solo da mezzi tecnologici camuffati, di cui non avrebbe dovuto rivelare l’esistenza a nessuno dei terrestri, e dei quali avrebbe dovuto usare soltanto l’indirizzo sapienziale che essi riconducevano alle sue sinapsi, logorate dal viaggio interstellare, tra i magneti del tempo. Se si aggiunge ancora che si trovava nella cella campanaria di quel campanile, da ben due giorni, semi-esposto agli agenti atmosferici, e doveva subire nelle orecchie i batacchi delle campane suonare a distesa, a morto o a segnare le ore, si può comprendere il suo stato mentale e fisico, prossimo al collasso».
La castagnata sui tetti
«Quindi era capitato che un essere proveniente da un altro mondo, avesse fatto tappa su quel sito distaccato, e che tra tutto il restante bailamme, un cui era invischiato il pianeta, i suoi “superiori” £ avessero deciso di farlo atterrare in uno dei luoghi più anonimi, indefiniti e incolori, che il globo sapesse mostrare».
«Molti, su quel pianeta credevano che con la morte finisse la vita ed erano ignari dell’esistenza che li avrebbe accolti in un’altra dimensione, insieme a tutti gli altri abitanti dello spazio».
«Non appena le caldarroste furono pronte per essere mangiate, i quattro ragazzi incominciarono ad infilare una mano nella grossa padella per estrarre quelle che sembravano più adatte a quel consumo che le avrebbe viste divorate in un sol boccone da famelici palati, e tutti parevano avvezzi alla consumazione di quel frutto, sebbene i tre terrestri lo conoscessero appena, quale elemento della cucina locale, e l’extraterrestre non sapesse nemmeno di cosa si trattasse, ma spinto dai morsi della fame, aveva la necessità impellente di mettere qualcosa sotto i denti, per colmare quei demoni organici che lo dilaniavano».
«Appena Don Emilio riuscì a salire sul campanile della sua chiesa, vide il disaloccato e lo scambiò per un giostraio; siccome aveva i capelli biondi, gli occhi verdi, una specie di tuta logora, con riportato un occhio con un punto rosso al centro della tasca sinistra, in brandelli pure quella, e afono, in seguito allo shock dell’atterraggio bicatapultato.Così, siccome dimostrava quell’anomalia, lo chiamò dapprima silenzio, dappoi Silé».
Il ragazzo con il codino
«Don Emilio Zelli aveva partecipato in passato a messe nere insieme a psichiatri, uomini di deprecabile cultura ed imprenditori. Durante queste cerimonie officiate in una grotta del finalese, proprio prospiciente il mare, si evocava Satana, per sapere alcune cose in genere segrete riguardanti la vita dei pazienti degli psichiatri e per tramite la magia nera per ammalare chi era oggetto di invidia o di gelosia da parte di qualche adepto in particolare si procurava il malocchio eppoi la persona si ammalava. Non succedeva per tutte le persone, anzi, la percentuale era esigua, fatto sta che Michele, il nipote di Don Emilio Zelli, a lui inviso, vista la sua bellezza ed intelligenza era caduto nella trappola mefistofelica e si era ammalato. Era una setta demoniaca d’alto rango; che aveva il suo nucleo cattaneo in psichiatria e il proprio meschino interesse nel far ammalare di malattie mentali e non se ne usciva più. Povero Basaglia, con la sua legge 180».
«Al disallocato era cresciuto, intanto, un “codino”, vale a dire che i bellissimi capelli biondi terminavano sulla nuca con una grande ciocca di capelli lucente come l’oro. All’interno della ciocca di capelli, vi era una miniantenna che lo collegava a sfere celesti di un altro enigma, più misterioso, rispetto a quelli terrestri. Silé, questo era il nome dello strano figuro proveniente dallo spazio».
Il teroldego rotoliano
«Il parroco aveva pensato di affidare Silé ai Cristallo: famiglia di nobilissime tradizioni, che possedeva alberghi in Trentino. Lucio, il capofamiglia, aveva fatto sì dopo tante insistenze, che il Teroldego Rotoliano, di sua produzione, venisse ammesso come vino santo alla mensa del Signore. Vale a dire: il parroco lo beveva quale sangue di Cristo.[…]Don Emilio propose questo inserimento civile a Silé, il quale pensò bene di accettare, visto che avrebbe preso il posto di un figlio naturale e sarebbe stato ricolmato, d’affetto e viziato d’amore familiare. Così, dopo l’incontro con i Cristallo (andato benissimo), subito furono sbrigate le carte e Silé si ritrovò allevato in una vera famiglia terrestre; non più oggetto di strumento, né migrante».
Parte quarta Vita scolastica di Silé
« Siccome continuavano a dire, da più parti, che il ragazzo era intelligente, i Cristallo vollero iscriverlo al Liceo Calasanzio di Carcare, rinomato e quotato istituto[…] Lo iscrissero alla quarta ginnasio, che già si era ai primi di novembre. L’impatto fu buono, con i professori determinati ad aiutarlo, ed anche con i compagni di classe premurosi verso di lui […] Un giorno i genitori adottivi, vennero a incontrare per la prima volta i professori, furono riempiti di elogi e di speranze, poiché il ragazzo prometteva assai bene.»
Gli amici altaresi di Silé
«Carlo con il tarlo e Matteo il più beo, entrambi di 11 anni, scorazzavano insieme a Silé, ritenuto un sedicenne per l’intera Valbormida ligure, attraverso gli autobus della locale linea».
«Silé stava sempre con i suoi amici più giovani, sinché venne il giorno disgraziato che lo portarono dal barbiere. Il codino sembrava la coda di un istrione da circo; anche se pulita e lucente; come lui la teneva. L’antenna nascosta all’interno si ritraeva sino a raggiungere la lunghezza di 3 millimetri, e si trovava in un posto della nuca nascosto ed inarrivabile, anche all’obesa figura del barbiere altarese; che infatti non la notò e rase Silé senza accorgersi di nulla».
Riparazione dell’astronave
«I “pellegrini dello Zodiaco”, tramite le loro strumentazioni all’avanguardia, che seguivano le comete, riuscirono a trovare sia lo Psicheratopo, che lo Sophronoüse, nei loro siti precipui andati a cozzare sulla terra, coi simboli religiosi che lo appartenevano, in una tradizione andatasi a secolarizzare nel tempo. Travestiti da elettricisti riuscirono a salire sui vari campanili occorsi, e a riparare, con marchingegni elettronici dotati, la capsula del tempo e l’astronave. In poche ore la rimisero a nuovo, pronte per la fase di ritorno sul pianeta monocontinentale, dimora di Dio ».
Il viaggio nel tempo
«I pellegrini dello zodiaco”, per non insospettire gli umani, collocarono l’astronave nei pressi di uno sfasciacarrozze».
«Silé chiamò il due amici e gli raccontò che aveva una “macchina del tempo».
«Fu così che, dopo essere stati tutti e tre al bar a giocare ai giochini elettronici, si ritrovarono dentro quest’esperienza unica; un privilegio concesso soltanto a Carlo con il tarlo ed a Matteo il più beo; loro su tutto il pianeta azzurro che abitavano.Videro le piramidi ai tempi di Cleopatra, con tutta la fila di schiavi nerboruti nubiani che tiravano le corde che trascinavano su tronchi, i cubi per costruirle. Furono partecipi della campagna di Russia di napoleone, con la spiegazione, da parte di Silé; del ponte di Berezina, che tutti prima o poi debbono nella vita. E lo oltrepassare sbarco in Normandia sulla spiaggia Utah, piena di cavalli di Frisia e filo spinato. Con spari di mitragliatrici dai bunker tedeschi e bombardamenti di aerei teutonici; oltreché sbarchi di marines, armati sino ai denti, falcidiati e sanguinanti. E loro tre ben al sicuro nella capsula».
Dallo psichiatra
«Il viaggio nel tempo, del quale, vista l’invisibilità che produce, nessuno ad Altare si era accorto, aveva creato delle ripercussioni nei viaggiatori del tempo a livello psichico, a causa dell’impatto violento con il campo elettro-magnetico che lo Psicheratopo formava. Anomalie si erano riscontrate anche nel cervello di Silé, che era rimasto scoordinato e provato dal bailamme superenergetico provocato alle sinapsi. Le quali avevano subìto uno shock. Così, quando tornò a casa, fu portato da uno psichiatra, siccome parlava in modo farraginoso e sconnesso. Fece molte sedute, che all’inizio non servirono a niente, ed anzi acuirono il senso di spaesamento che provoca la prolungata esposizione, appunto, ad un campo elettromagnetico. Ma lo psichiatra non s’avvide di nulla, e cominciò a tartassarlo di inutili farmaci che prendono i malati di mente, prescrivendo medicine su medicine e accorciando la psicoterapia a pochi minuti per seduta, capìta (secondo lui) la gravità del soggetto, creduto schizofrenico, e formulata quasi subito l’errata diagnosi. Da quel momento non c’era più via d’uscita, e toccava inoltrarsi per una via lunga e tortuosa, che in altri tempi qualcuno chiamò Calvario».
Il ricovero in SPDC
«Lì conobbe l’inferno sulla terra: con coercizione, mancanza di umanità e solidarietà verso i più deboli, vittime della società, con la sua malversazione politica».
«Fu in quell’inferno sulla terra che Silé incontrò Michele poiché li misero nella stessa camera. Silé, quando di notte dormiva, a causa dei cristalli di viti o contenuti nella terapia, levitava, e Michele che soffriva d’insonnia lo notò. Vedeva quel corpo alzarsi ed abbassarsi, come sotto una forza cinetica, e trovava ciò molto buffo».
L”amplesso tra Silè e Stefania
«Venne un giorno, quasi contemporaneo, che Silé e Michele furono dimessi e ritornarono entrambi alle loro abitazioni, con la sequela di farmaci prescritti dai medici da osservare nell’assunzione, come precetto per guarire. Ma avevano svariati effetti collaterali. A Silé facevano venire pruriti e lo ingrassavano. Michele non poteva fare sesso, poiché gli causano problemi con l’erezione. Decisero entrambi di non prenderli mai più. A Silé, un giorno, fu presentata Stefania, la sorella di Michele, che trovò l’extraterrestre molto interessante. Si scambiarono due parole eppoi, Stefania volle fare l’amore con Silé. A tutti i costi».
«Il corpo degli eulasiani, quando fanno l’amore, diventa come l’oscillazione di un acquario, attraverso il quale si possono vedere le stelle, pianeti, le costellazioni e l’intero universo. Per questo eiaculano azzurro».
L’alfabeto a nodi
«Intanto Silé continuò a frequentare l’oratorio di Altare, sebbene non fosse più vergine e cominciasse a provare attrazione per le donne, com’è giusto a quell’età. Ma per lasciare un suo segno; qualcosa di sé che non andasse perduto nel tempo, insegnò, in un giardino presso l’asilo parrocchiale, il suo alfabeto a nodi, con una corda per la risalita, mostrando ai ragazzi che ogni nodo corrisponde ad uno psicoideogramma dell’alfabeto infinito detto “corsivo al neon”».
Parte quinta
Pierein detto il francese
«Bazzicava, entro i meandri dell’oratorio, un tipo strano, tutto fare e filosofo, detto Pierein il francese, dai suoi contadini.Era di statura media, magro, biondiccio slavato e nervosissimo. Faceva l’elettricista, l’idraulico, il muratore, l’imbianchino, e lo scrittore di aforismi, ma era ateo. Proprio quel giorno nel quale si bruciò una lampadina nella canonica, Don Emilio lo chiamò, che Silé tornava dall’oratorio, con la sua spiegazione.I due si presentarono e l’uno all’altro ebbero la sensazione di essere due cavalli di razza in mezzo a tanti ronzini. Pierein riparava la lampadina fulminata, sostituendola con un’altra, mentre Silé se ne stava con le mani in mano a guardare il vuoto, sotto.[…] Don Emilio era abituato agli aforismi di Pierein; ma vedere Silé ribattere lo colpì molto e lo sbigottì alquanto, capendo che veramente c’era della stoffa dietro quel ragazzo scapestrato.“L’amore è il significato del coraggio, proprio per il fatto che quest’ultimo è in realtà privo di simboli”. Disse l’extraterrestre».
«Il vero filosofo quando è solo si sente con gli altri e quando è con gli altri si sente solo”. Terminò Pierein».
Lo pseudosalotto letterario di Giuditta
«Giuditta è il nome di un diavolo, Giuditta Giolitti era la perpetua, da ben 29 anni, di Don Emilio, il parroco di Altare; ma era rimasta una strega, anche nell’incarnazione umana. Aveva serbato qualcosa di demoniaco; nella voce gutturale, nel naso aquilino e nelle fredde risorse maniacali della masturbazione, che faceva ad insaputa di tutti. Al di sopra di ogni sospetto, forse era pure lesbica, a sua insaputa, poiché portava sempre vestiti violacei e prediligeva fare la doccia fredda, alla scozzese, quando s’approssimava la primavera, e i primi tepori la sconquassavano, con tempeste ormonali ormai sopite dal freddo trascorrere degli anni, che l’avevano resa frigida[…]
«Intanto Don Emilio era venuto a conoscenza dell’amicizia intercorsa tra il nipote Miche e Silé, nata durante un ricovero di entrambi in S.P.D.C.. e ciò aveva mitigato e rasserenato un poco il parroco, che si portava nell’armadio lo scheletro dell’atto sessuale infantile col nipote, poi ammalatosi di schizofrenia, giunto sulla ventina. Ora avrebbe fatto di tutto per agevolare quell’amicizia sorta in un luogo così infernale: per i due ragazzi, come una doppia araba fenice che rinascesse dalle sue ceneri.
Così aveva deciso di ospitarli nel salotto letterario di Giuditta[…]Allora le pseudo poetesse impellicciate ed ingioiellate chiesero a Silé come si stesse in quell’inferno, come può del resto capire l’arcobaleno un cieco, ad una spiegazione anche meticolosa.
Silé disse: “Cosa volete signore”. È come se Satana abitasse quei luoghi di estrema sofferenza e di diavoli si fossero incarnati nei dottori e negli infermieri che lì lavorano[…]“E la riforma dei manicomi? È stata evasa, allora?” Disse una vecchia poetessa incartapecorita, sbigottita come un elefante che trova un topolino sul suo percorso. “E’ una stronzata. Si arricchiscono i dottori. Non permettendo di uscire dal giro psichiatrico ai convalescenti, rendendoli, con i C.I.M. (Centri di Igiene Mentale) sempre dipendenti dal sistema. Non avviandoli al lavoro e legandoli alla dipendenza totale da loro. Con una pensione di invalidità ridicola, non hanno altra formula vitae che le comunità-lager.[…] “Le dirò di più: gli psichiatri sono anime incarnate di diavoli venute sulla terra per farci soffrire, (i veri pazzi sono loro)” “Basta così”,fece in quel momento Don Emilio, “ora si sta esagerando. Comunque nessuno vi ha fatto del male, e grazie alle vostre terapie ora siete qua a raccontarlo”.Così la bolla speculativa si sgonfiò e le dame ingioiellate, cominciarono a declamare i canti dell’inferno di Dante. Quello che esiste soltanto sulla carta, dimenticandosi di quello vero, che esiste sulla terra per i malati mentali. “Lasciate ogni speranza o voi che entrate”.»
L’evocazione di Satana
«Una pseudo poetessa incartapecorita: invidiosa e perfida per la bellezza, la salute e l’intelligenza dei due amici dimostrata in quel consesso letterario, una notte riunì gli psichiatri denigrati dai due giovani innocentemente, ed alcuni imprenditori della zona; e trasferitisi tutti nella grotta finalese prospiciente il mare, iniziò un rito rievocativo di Satana. Tracciò la stella a cinque punte, poi recitò le parole evocative e pronunciò, con una cattiveria inusitata, le parole di devozione a Mefistofele, offrendogli l’anima, in cambio di un malocchio occorso duplice, tanto era gelosa ed invidiosa dei due ragazzi.
Visita della caverna di satana
«In diverse occasioni, ora l’extraterrestre chiamò Michele, una notte di luna piena, e grazie al rilevatore del calore corporeo schiacciarono l’intera costa finalese. Michele si sentiva un Dio. Capiva che era a bordo di un’astronave sofisticata e che quindi l’amico apparteneva ad un altro pianeta. Appena furono sopra la grotta nella quale gli psichiatri evocavano Belzebù e facevano orge con le infermiere più carine (infatti erano quasi tutte di bellissimo aspetto e giovani in psichiatria), il rilevatore, appunto, che segnava il calore corporeo, si accese improvvisamente. L’astronave atterrò nei pressi, dove scendeva una cascata d’acqua purissima e raggiungeva coi suoi spruzzi la spiaggia sabbiosa antistante il mare.[…] L’extraterrestre azionò il raggio laser della Sophronoüse, che in un solo incavo produce la forza di mille campi elettromagnetici, fece scomparire e ricomparire, la fregola e il rito demoniaco, con un alternanza ridotta; visto che ciò poteva scioccare Michele. Tuttavia premette il tasto dell’astronave che produceva un fortissimo campo elettromagnetico, affinché i porci e le maiale della fregola apparissero e sparissero in continuazione mentre i corvi del coro impazzissero malauguratamente. Così, non sarebbero ritornati alla normalità da vigilanza coatta.Ci fu chi li vide: nudi, accoppiati, apparire e poi sparire, il giorno dopo, in S.P.D.C., mentre i pazienti li denigravano. E chi, sugli autobus del percorso cittadino, potevano sentirli parlare: da soli o ad alta voce alzarsi e sedersi, continuamente, e li marchiavano come indiavolati, pure loro, dopo tanto studio, erano impazziti, dicevano».
I malati di mente guariscono
«Decapitata la setta degli psichiatri aguzzini, i malati di mente cominciarono a guarire piano piano[…]Trovarono lavoro e si inserirono nella società. Gli psichiatri pazzi, senza più C.I.M. né S.P.D.C., da loro inventati, si rinchiusero nei loro studi, e si curarono l’un l’altro, dandosi manforte con quelle esperienze scellerate, ora provate sulla propria pelle. E la gente “cosiddetta normale”, come definivano loro il popolo, andava favoleggiando, fantastica lo stupefacente paradosso della guarigione, avvenuta grazie all’intervento di uno psichiatra extraterrestre, venuto da lontano per guarire i malati di mente».
Parte sesta
L’indigeno alieno e l’alieno indigeno
«Così si sparse presto al notizia di un guaritore extraterrestre, novello psichiatra, di malattie mentali, e la casa dei Cristallo fu riempita giorno e notte di persone affette da patologie, quali: schizofrenia, bipolarismo, borderline, etc. che chiedevano a lui la cura migliore, visto che gli psichiatri, in giro erano spariti, o “facevano altre cose peccaminose” avulse dalla loro professione. Egli non guariva con gli psicofarmaci, né con la psicoterapia, ma con un raggio laser a positroni, che puntava sul cervello di quegli ammalati e loro riacquistavano la sanità mentale. Era una questione extraterrestre: di una maggiore tecnologia applicata al corpo e alla mente umane. E non riceveva alcun compenso».
La guarigione di Michele e la conseguente rivelazione
«Quella di Michele era stata anormalità povera, ma ora era guarito, grazie al raggio laser a positroni, emesso sul suo cervello, dall’aggeggio appartenente all’astronave di Silé […] “Caro Michele, comunque vada, io presto sarò ucciso, mentre tu sarai protetto, sino alla fine degli ultimi giorni, dall’Arcangelo, che tu non saprai mai chi possa essere qui sulla terra”.[…]“Devi scrivere un resoconto della tua misera vita, una specie di biografia, incentrata sulla “fine del mondo”. “Quando verrò di nuovo nel luglio del 2011, ti dirò quale è l’unico posto che si salverà” […] “Devi scrivere tutto ciò, e far sì che venga pubblicato, costruendo una speranza finale di salvezza per l’umanità buona».
L’uccisione di Silè
«Ma ad alcuni lo stregone-psichiatra-extraterrestre stava inviso, e mal tolleravano quell’attività benigna, che spandeva lucore su tutta la penisola italiana e faceva restare inermi e smarriti gli psichiatri esosi, che non potevano più incassare soldi, alla loro attività di lucro.Così un giorno uno psichiatra assoldò un killer per uccidere l’extraterrestre».
Parte settima
Il ritorno su Eulas
«Quando, scortato da “I Pellegrini dello Zodiaco” Silé arrivò con la Sophronoüse su Eulas […] Atterrò a Krossonis dove le strade, in assenza di gravità, erano ingombre di bolle saltanti che contenevano i lem degli scienziati buoni. Lì vicino c’era la capanna di Einstein e di Pitagora, che si nutrivano di bacche degli specchi ustori.[…]E Dio che riferì a sua volta che la sua era stata un’ottima missione e che avrebbe salvato Michele poiché era un bravo ragazzo[…] Dio disse che Silé poteva tornare dalla sua famiglia, che abitava in campagna, in una specie (direbbero i terrestri) di bunker atomico, alimentato da energia atomica imbrigliata con la fusione quindi sicura (un paradosso) e senza scorie. E così, non reincarnarsi più».
L’atroce mancanza di Silé sulla terra
«Stefania aveva ovviato alla mancanza dei rapporti sessuali con Silé, comprandosi un fallo artificiale, che spruzzava acqua che lei colorava d’azzurro […] Michele aveva acquistato un geko, in un negozio di animali, e lo aveva sistemati nella sua cameretta, in ricordo di Juna.Don Emilio recitava tutte le sere un rosario per l’extraterrestre ucciso e i Cristallo avevano fatto sistemare la bara di Silé sopra quella del figlio naturale, marco.[…]Ma Silé mancava a Pierein, al paese intero, e a tutt’Italia[…]Il Sindaco del paese gli dedicò una strada e gli amici che erano rimasti nel borgo portarono fiori di campo nel vaso della cappella dei Cristallo, dinanzi alla targa marmorea, che recava il nome: Silé. La Valbormida intera lo commemorò con articoloni sui giornali locali.
Epilogo
Silè scrive un libro
«Essendosi documentato sull’inutilità dispersiva ed onerosa dei C.I.M. (Centri di igiene Mentale), spesso con personale qualificato e avendo raggranellato notizie sugli S.P.D.C. (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura) collettori del disagio mentale, e consumato notti a spulciare libri sulle “Comunità Terapeutiche”: lager del 2000, dove entravi e non uscivi più, Michele stava entrando nella fase clou del libro».
Il libro viene pubblicato
«Michele forse aveva azzardato a far confluire l’oscurantismo ateo degli psichiatri seguaci di Satana con la salvezza del mondo adoperata dalla fede granitica di un profeta da tutti tarato come un mentecatto. “Quando tutto sarà in rovina, il tuo libro rappresenterà un faro per l’umanità intera; anche se l’umanità non merita di essere salvata in mezzo alla tempesta. Il tuo libro la salverà.”[…]Fu così che Michele divenne uno scrittore ricco e famoso, in poco tempo, anche se mancava oramai poco tempo ancora alla “fine del mondo”».
1 Luglio 2011 Silé torna sulla terra
« La notte del venerdì, 1° del mese di luglio 2011, a bordo dell’astronave madre, questa volta, giunse sulla terra Silé, l’extraterrestre, che era stato su Eulas 8 giorni, mentre per Michele e tutti gli altri terrestri erano passati 8 anni e si era ora in piena recessione[…]Molti studiosi di psicologia si erano chiesti, come faceva un extraterrestre a guarire dei malati di mente. Egli aveva risposto che: leggeva nel pensiero, quindi avendo, come tutti gli eulasiani questa capacità era in grado di prevenire le loro paranoie dirigendo il loro pensiero verso un nucleo sano del loro ragionamento».
La fine del mondo
«L’astronave madre stazionava sopra la località francese già da un anno. Il viaggio di Michele in treno, eppoi l’accasamento presso un piccolo albergo due stelle del paese, lo aveva condotto sui Pirenei, grazie alla lettura della mente reciproca tra Silé e lui medesimo; oramai anche Michele possedeva la capacità principe degli eulasiani.[…]Ma alle ore 6 del mattino del 21 dicembre 2012 la terra capitolò. Una serie di vulcani eruttò drasticamente, riempiendo le gole del pianeta di magma. Poi il livello delle acque del pianeta s’innalzò di parecchi metri, le coste furono spazzate via da centinaia di tsunami. Il mare divenne una pozza di fuoco. Restava “Pech Magarraegh” ma la moltitudine era immensa e il territorio non bastava a raccogliere tutti i terrestri che ora con ogni mezzo volevano accedere al picco. Allora l’astronave madre fece scendere il raggio verde traente».
Encomiabile frammento di
Encomiabile frammento di cosiddetta Art Brut seppur calligrafica ovvero riconducibile ad uno psichismo di marca francamente schizofrenica con tutto il corollario di neologismi, iperboli, franchi deliri di onnipotenza, di influenzamento, mistici, di possessione, ecc. ecc. Anche il prologo delle citazioni dal dizionario di Psicologia del professor Galimberti illumina i cammini di noi viandanti per le asperrime vie delle psicosi croniche e conclamate.
La casa-dietro-il-mondo come afferma Bin Kimura ripreso dal prof. Arnaldo Ballerini. Una fascinazione quella della follia che ancora prende molti di noi cultori della materia dopo tanti anni e ci trascina in un vortice di fascino atemporale.
Dopo aver letto
Dopo aver letto l’introduzione del Dott. Spaziani al libro “Sophronoűse e Psicheratropo” di Cristiano Tardito riteniamo utile un nostro commento dato che l’autore è ospite della nostra Comunità Terapeutica da diversi anni. Innanzitutto il testo, sebbene sia stato pubblicato adesso, è stato concluso (e non più rivisto) da Cristiano Tardito nel 2010, quindi ben prima che lo stesso facesse ingresso in strutture residenziali e, evidentemente, all’apice del processo psicotico che lo ha colpito. Precisiamo quindi che la denuncia all’etica psichiatrica, nelle intenzioni dell’autore, non coinvolge la terapia residenziale di cui sta ancora usufruendo e alla quale assolutamente non vuole lui stesso rinunciare.
Condividiamo la denuncia ad una psichiatria che pretende di risolvere i problemi mentali secondo una impostazione esclusivamente biologica e organicistica quando le conoscenze biologiche e organicistiche in possesso sono assolutamente deficitarie: sappiamo bene che oggi i farmaci disponibili, oltre ad avere una serie di effetti collaterali a brevi e a lungo termine difficili da tollerare, rappresentano molto spesso un contenimento della clamorosità sintomatologica e una risposta ai bisogni di gestione su un piano sociale e che spesso il riduzionismo biologico porta anche a ridurre l’esperienza di sofferenza psichica dei soggetti colpiti a incongrua e incompleta narrazione dell’esperienza psicotica. Talvolta l’atteggiamento scientista su cui poggia l’evoluzione del pensiero e dello sviluppo umano pecca di eccessiva superbia rifiutandosi di dare dignità di esistenza a ciò che ancora non è spiegabile con il metodo scientifico stesso. Riteniamo tuttavia che il cuore e l’affetto nei confronti del paziente non siano sufficienti nè rappresentino una condizione indispensabile alla cura. La terapia residenziale svolta in comunità si avvale di una serie di interventi, basati anche su modelli diversificati tra loro e più spesso fra loro integrati, fondati sulla comprensione della sofferenza e della biografia unica di ogni paziente. Ciò imprescindibilmente origina da un atto d’amore, come peraltro dovrebbe essere per qualsiasi attività umana alla quale le persone decidono di dedicarsi, tanto è vero che un ruolo fondamentale della terapia residenziale è quello di affrontare attraverso riunioni d’equipe e supervisioni gli elementi controtransferali e le dinamiche che insorgono all’interno del gruppo di lavoro. Ma l’atto d’amore, ovviamente, è sostenuto e continuamente alimentato da strategie di sostegno, di empatia e di vera psicoterapia residenziale che consentono spesso se non una vera guarigione, almeno la restituzione ad una dimensione di vita migliore, talvolta anche con un rientro nel tessuto sociale.
A conferma di ciò possiamo testimoniare quotidianamente la resistenza che l’autore del romanzo succitato opera nei confronti di qualsiasi tentativo di evoluzione progettuale che rappresenterebbe evidentemente per Cristiano la rinuncia a una residenza emotiva non garantita al di fuori dell’istituzione comunitaria, nonostante “l’equipaggiamento di resistenza” per vivere fuori possa considerarsi sufficientemente strutturato. Cristiano infatti si oppone ad ogni proposta di uscita dalla comunità per il timore, fondato, di non riuscire a trovare all’esterno un ambiente sufficientemente “caldo” e accogliente da poter sostenere la quotidianità.
Sosteniamo infine con forza che sia necessario diffidare dai commenti entusiastici che intravvedono in un racconto di sofferenza psicotica il pretesto per parlare dell’intervento psichiatrico senza l’umiltà di ascolto dell’insegnamento che potrebbe loro derivare da chi quotidianamente affronta il problema della malattia mentale grave
Dott. Paolo Rossi – Direttore Sanitario CT Montezemolo
Dott.ssa Milena Meistro – Direttore CT Montezemolo
Dott. Alberto Maiella – Coordinatore CT Montezemolo
credo sia assai importante il
credo sia assai importante il commento dei Colleghi della Comunità dove Cristiano vive. Come è importante la sottolineatura della complessità dell’intervento terapeutico in ambito psichiatrico.
La rivista ritiene nefasta ogni forma di riduzionismo nell’affrontare la cura e la presa in carico del disturbo mentale grave