Romolo Rossi
Genova
Relazione tenuta nel corso del X Congresso SOPSI e pubblicata su Carta sul GIORNALE ITALIANO DI PSICOPATOLOGIA
Parole chiave: psichiatria — cambiamento — evoluzione.
Key words: psychiatrist — change — evolution.
Riassunto
Per affrontare il problema del cambiamento della psichiatria occorre seguire il cambiamento dello psichiatra. Viene proposta la metafora di una evoluzione darwiniana, in cui la variabilità specifica è data dallo statuto scientifico incerto dello psichiatra, e la variabilità ambientale dalle modificazioni e dal prevalere delle metodologie delle altre scienze. Nel continuo adattamento a questa variabilità sta il fondamento della modificazione dello psichiatra. Si possono delineare, dall’inizio ad oggi, sette specie di psichiatri: psichiatra narratore, psichiatra positivista-linneaiano, psichiatra economico-positivista o positivista classico, psichiatra neopositivista, psichiatra tendenzialmente farmacologo o neurobiologo, psichiatra iperdiagnosta e psichiatra socio-organizzatore o dimissionario.
L’articolo cerca di inquadrare le caratteristiche di queste specie e di discuterle, traendo alcune considerazioni sul senso della psichiatria di oggi.
Summary
The article follows the evolution of psychiatry seen as an outcome of the psychiatrist’s evolution. In order to follow this evolution a I applied a metaphor: the evolution, in a Darwinian sense is due to the interaction of specific variability and environmental variability. The first is given by the uncertainty of scientific identity of the psychiatrist, and the second by the principles and methodologies of other sciences currently accepted at the moment. Seven species of psychiatrist can be defined: the psychiatrist as a novelist, the psychiatrist as a linneian positivist, as a classic positivist, the psychiatrist as a modern positivist or a neuropositivist, the psychiatrist with prevailing pharmacologic or neurobiologic trends, the DSM IV dependent psychiatrist, and the psychiatrist with a prevalent trend to sociology and organization, who I called resigning psychiatrist.
Se ci si accinge a discutere sul cambiamento della psichiatria, risulta subito evidente che, in realtà, si sta parlando del cambiamento dello psichiatra. Ciò per la natura stessa della psichiatria, disciplina legata a metodologie e principi complessi, derivanti da aree diverse e talora non sovrapponibili, tra loro embricate, e soprattutto disciplina in gran parte operativa, classica, connessa all’operare, sia nel senso di comprendere che di intervenire: senza questa dimensione, la psichiatria perde molto del suo senso, anzi, ci si vanifica tra le mani. Ciò che ne deriva è che la psichiatria non esiste a sé, con una sua autonomia rispetto a chi la usa, come la matematica o, anche se con maggiori limitazioni, la biologia, per giungere fino alla neurologia. Ne consegue che chi cambia non è la psichiatria, ma sempre lo psichiatra, che lega il proprio destino e il destino della disciplina che va creando ai momenti culturali, sociali, storici, economici ed artistici in cui si trova immerso.
Dovremo dunque rassegnarci a non possedere una disciplina scientifica dentro una turris eburnea, ma di dover risiedere su una elastica impalcatura tormentata da tutti i venti. Ed allora: lo psichiatra che cambia. Intanto, la psichiatria, a dispetto di tutti i tentativi di nobilitarla in modo arcaico, facendola discendere dalla demonologia medievale, dal Malleus Maleficarum, o da Teofrasto, o, ancora più in là, dalla tragedia attica, non nasce da tutto questo: dalla tragedia greca nasce la consapevolezza tragica dell’uomo, da Teofrasto nasce l’introspezione, dalla demonologia medievale nasce il senso di connessione tra l’ignoto e l’oscuro e le emozioni. La psichiatria, disciplina moderna, come la intendiamo oggi, nasce dalla narrazione dell’ottocento, da Balzac, come ho già avuto occasione di notare nelle note di commento alla psicopatologia di Minkowsky (1, 2). Mi si chiederà perché, nella vasta gamma della narrativa dell’ottocento, ho scelto Balzac: perché, per una serie di motivi, mi pare il più adatto a rappresentare questo inizio. Intanto, perché la psichiatria moderna, contrariamente a quanto molti pensano, non è tedesca di nascita, ma francese. Chiunque abbia la pazienza di andare a rileggere le stupende descrizioni negli Annales Médico Psychologique del secolo scorso, da Magnan, a Morel, a De Clérambault, fino a Cortard, coglierà l’ammaestramento di Balzac in questi casi clinici. Più adatto Balzac nella sua precisa, puntigliosa ma di ampio respiro, descrizione degli stati d’animo, o dei vissuti dei borghesi modesti della sua epoca, forse di tutti noi uomini moderni, di quanto non siano i romanzieri russi, sempre grandi descrittori di situazioni inconsuete, eccezionali, e quindi grandiose. Fjodor Karamaroff non è certo il père Goriot dentro tutti noi. Le descrizioni degli psichiatri francesi possono essere sempre lette come una novella, o un romanzo. Mc Ewan, riesce a costruire una narrazione ambigua, congiungendo proprio il suo romanzo, Amore fatale, con una descrizione clinica del Délire des érotomanes di De Clérambault. Mc Ewan potrebbe, opportunamente ridotto, com’egli fa alla fine dell’opera, essere pubblicato in una rivista psichiatrica.
Per conferma di ciò che stiamo dicendo riportiamo due brani di Balzac.
"La marchesa non usciva dalla sua camera che nelle ore del riassetto mattutino, portandosi in un salottino attiguo dove pranzava, se pure può chiamarsi pranzo sedere ad una tavola, guardare con disgusto i cibi e assaggiarne esattamente la quantità necessaria per non morire di fame. Poi ella tornava alla vecchia poltrona dove rimaneva durante tutta la giornata, nel vano dell’unica finestra della sua stanza. Rivedeva la figlia solo nel breve periodo dei pasti, e anche allora pareva sopportarne a fatica la presenza. Quale inaudito dolore poteva far tacere , in una donna giovane, anche il sentimento materno? Nessuna delle persone di servizio poteva avvicinarsi a lei, salvo la sua cameriera personale. Esigeva nel castello un silenzio assoluto, sua figlia doveva andare a giuocare lontano da lei. Il più leggero rumore le era talmente insopportabile, che ogni voce umana, anche quella di sua figlia, le recava un penoso disturbo".
"Da quel momento le condizioni di Balthazar peggiorarono. Quell’uomo fino ad allora continuamente immerso nelle gioie domestiche, che giocava per ore intere con i figli, che si rotolava con loro sul tappeto del parlatorio o nei vialetti del giardino, che pareva non potesse vivere se non sotto gli occhi neri della sua Pepita, non si accorse minimamente della gravidanza della moglie, dimenticò di vivere in famiglia e dimenticò se stesso …
"… Insensibilmente, vide Balthazar diventare indifferente a tutto ciò che aveva amato, trascurare i suoi tulipani in fiore e non interessarsi più dei figli. Senza dubbio egli era in preda ad una qualche passione estranea agli affetti del cuore, ma secondo le donne, non meno nefasta per esso. L’amore era addormentato, non svanito …
"… Ben presto la relazione del morale sul fisico cominciò i suoi tristi effetti, dapprima impercettibili, che tuttavia non sfuggivano allo sguardo d’una donna innamorata che seguiva i pensieri segreti del marito nelle loro minime manifestazioni. Spesso ella tratteneva a stento le lacrime vedendolo dopo cena sprofondato in una poltrona accanto al fuoco, taciturno e pensieroso, l’occhio fisso sopra uno dei pannelli neri, senza accorgersi del silenzio che regnava attorno a lui" (3).
Non è una precisa, accurata descrizione clinica che potrebbe stare, e come bene!, in una nostra cartella, con la definizione dell’abbassamento dell’umore del DSM IV TR?
Dunque questo è l’inizio: lo psichiatra è intanto un descrittore, deve saper scrivere e esprimere, ciò che non è necessario ad altri clinici, mentre è forse necessario a tutti i veri ricercatori (basta leggere Pavlov, o Eysenak, o Einstein). Ma lo psichiatra che non sa ascoltare la narrazione, e non la sa scrivere, è uno psichiatra solo formale, non è vero psichiatra. La lezione fu colta perfettamente dai grandi psichiatri tedeschi e inglesi, basterebbe rileggere Kraepelin, Kretschmer, Von Kraft-Ebing, Evelock Ellis, Anbrey Lewis, o basterebbe forse rivedere il nostro De Santis. Ma quale è stata l’evoluzione di questo inizio? Come è venuta cambiando lo psichiatra fino ai giorni nostri? Come si è arrivati fino allo psichiatra perfetto di Elias Canetti?
"Costui aveva sostenuto i principi della psichiatria ufficiale con l’ostinazione di un pazzo. Riteneva che compito specifico della sua esistenza fosse confermare la terminologia corrente utilizzando l’immenso materiale di cui disponeva".
o fino alla fine della psichiatria, o meglio alla possibile estinzione della disciplina, sostituita da una neurologia con sintomi mentali?
Io credo che il cambiamento dello psichiatra segua alcune regole fondamentali; che, per chi ha voglia di seguire la mia metafora, che mi pare però più di una metafora, sono le regole Darwiniane. E’ noto a tutti che l’evoluzione della specie avviene per la presenza di due fattori, la variabilità ambientale e la variabilità della specie (4). Nel caso dello psichiatra la variabilità ambientale è appunto l’ambiente che muta, rappresentato dalle altre scienze, dalla fisica, alla neurobiologia, alla sociologia, alla psicologia; la variabilità specifica è legata alla debolezza dello statuto scientifico della psichiatria. Ne consegue che lo psichiatra si trova in un continuo inseguire la sicurezza, mosso dalla debolezza, che egli presume, del proprio statuto, nel cercare di aderire al variare delle altre discipline del mondo circostante.
In questo continuo dolore e nella continua ricerca di superare le basi scientifiche che presume deboli adeguandosi alle variazioni delle basi scientifiche o culturali dell’ambiente circostante, sta la radice del cambiamento dello psichiatra.
Su questa base ho raccolto in 7 gruppi, che inseguendo la metafora chiamerò specie, ognuno con i suoi capoversi (items?), il cambiamento dello psichiatra, ma devo preavvertire il lettore che non si tratta di un ritmo di cambiamento rigido: è vero che le diverse specie si susseguono, ma come succede nell’evoluzione darwiniana molte antiche specie sopravvivono accanto alle nuove, finchè possono, e soprattutto i gruppi sono modelli che vanno visti in modo elastico, dato che le caratteristiche spesso embricate ed intersecate.
Lo psichiatra narratore. Da quel che si è detto, era ovvio che si partisse da qui, dallo psichiatra-Balzac. Lo psichiatra prototipo, che descrive, a monte delle convenzioni linguistiche, che assumono in seguito il nome di semeiotica, per seguire la prassi medica, o di items, per seguire le convenzioni utilizzabili statisticamente, è, come si diceva, la prima specie di psichiatra, diremmo l’Urpsychiater. Questo si delinea bene nella famosa intervista a Freud, inventata da Papini, in cui il Freud di Papini si confessava narratore, scrittore di novelle: e in effetti, scorrendo i casi clinici di Freud, o, come si diceva, le descrizioni dei francesi che lo precedettero, ben poca differenza tecnica e stilistica si trova rispetto ai racconti, per esempio, di Cecov o di Thomas Mann: basterebbe provare a rileggerne alcuni, per esempio, di Thomas Mann, Gefall, Die Betrogen, Unordnung und frühes Leid.
Questa istanza narrativa diminuisce intanto la durezza del lavoro (è come ogni volta sentire un racconto e scriverlo a due mani col paziente), aumenta la gradevolezza della ricerca, aumenta l’autostima. Ma soprattutto fornisce un livello di stabilità dato che, operando prevalentemente nella fantasia narrativa, diminuisce fortemente l’insicurezza legata alla debolezza dello statuto scientifico, anche se questo vantaggio viene pagato con l’esigenza di qualità narrative ed impressionistiche più elevate e complesse di quelle del ricercatore.
L o psichiatra narratore è persona di molte ed estese letture, ed ha di solito un notevole grado di cultura letteraria: come potrebbe scrivere se non leggesse? Ed infatti egli è di solito un pregevole scrittore ed un capace descrittore, che sa evocare tramite immagini del contesto, metafore, parole pregnanti, stati d’animo, emozioni, idee, deliri, comportamenti, riuscendo a chiarire strutture psicopatologiche che la convenzione non illumina. La lettura di due brani di Minkowsky può essere indicativa sul vissuto Hintergrund e sul senso della morte.
Di fronte alla morte.
Soprattutto di fronte al fenomeno della morte si misura il deterioramento così constatato. Non è il caso di fare qui una fenomenologia della morte come abbiamo cercato di delinearla in Le Temps vécu. Diciamo soltanto che, prima che i morti siano diventati "cadaveri", abbiamo davanti agli occhi il "morto", il defunto, lo scomparso, e forse anche soltanto loro. La morte, a parte le reazioni personali, pur essendo il fatto più comune di tutti, porta con sé un soffio di gravità, ispira un sentimento di rispetto. Essa non diventa mai un fatto banale, contrariamente a ciò che è sul piano statistico.
Un incidente fastidioso, una scarpa che fa male, possono sciupare una gita; ma subito sentiamo, e il futuro lo confermerà, che l’incidente, che certo non verrà dimenticato dal momento che ne parliamo, non impedirà che la gita ci lasci il ricordo di una bella giornata, quale in fondo essa è stata: nel presente vissuto questo ricordo si trova come incluso. Tutt’a un tratto, esso si decanta. Parallelamente alla linea tracciata dalla relazione abituale tra percezione ed evocazione, passa un’altra linea, che, lavorando sul presente nello stesso momento in cui viene vissuto, ne provoca fin dall’inizio il "ricordo", così come dovrà presentarsi col tempo sotto forma di fatto affettivo. Paradosso apparente della vita affettiva, ma soltanto apparente, perché considerato nella prospettiva delle correlazioni razionali (5).
Nelle storie cliniche, questo psichiatra tende ad avere, come scopo, lo sviluppo di un fil rouge o di una trama, che serve egregiamente a ricostituire il senso di una vita psichica fratturata ed incomprensibile, caratteristica della malattia mentale: questo, che è massimo in Freud o in Binswanger, ognuno a suo modo, non manca neppure in Kraepelin, quando egli per esempio insegue il nucleo di verità storica del delirio, o quando evidenzia il punto di grandiosità onnipotente del sistema delirante: si ricordi il soldato che col segno del braccio e col dito puntato dirigeva la traiettoria degli obici.
Il fatto è però che lo psichiatra narratore non è strettamente interessato alla realtà storica degli eventi, alla quale preferisce la propria verità narrativa, e spesso la novella supera e tradisce la realtà delle cose, piegata alle esigenze dello psichiatra: talora la diagnosi e la previsione prognostica non se ne giovano. D’altra parte lo psichiatra narratore non ama molto la diagnosi: spesso la descrizione gli è sufficiente, ed ogni caso fa categoria a se: se fa diagnosi la fa seguendo autori che inquadrano in modo generale e onnicomprensivo la realtà psichica, come Jaspers o Kretschmer, che meglio si attagliano alle sue esigenze di inquadramento globale della realtà umana. E’ uno psichiatra un po’ invidioso, di Dostojewsky, di Shakespeare, o anche solo di Tobino. Osserviamo come in un flash, Mario Tobino riesce a definire un fulmineo ritratto clinico di Puccini bipolare (6).
Mi soffermavo a guardare Puccini come se fosse uno zio disgraziato che la famiglia ha proibito di frequentare. Era avvilito di qualche cosa che in quei giorni aveva ricercato e gli era sfuggita, avevo la sensazione che a tratti si risvegliasse solo per invidiare la persona più comune che gli passa davanti.
In quell’angolo del Margherita lo vidi sempre con simile espressione come quel luogo fosse da lui scelto quando era vinto dalla sconsolatezza e lì potesse, in un sonnolento rifugio, lentamente riaversi. Altre volte lo vidi invece ilare, il sorriso in procinto, come chi è sicuro che tutto avrà presto esito felice. Se ne stava seduto nella parte posteriore di un’automobile scoperta, l’autista lentamente lo trasportava per le strade di Viareggio. Stava seduto come se fosse a un’osteria di campagna, i due pollici infilati a uncino nel giro del gilet. Dentro di sé sorrideva ad ogni scena che si susseguiva, ai bambini che giocavano, ai bottegai sulle porte, alle infinite piccole e vive vicende di un paese. Sembrava immagazzinasse tutto con la certezza che avrebbe poi tramutato in limpido canto.
L’altro punto è che egli tende ad essere tautologico, a dire cioè le stesse cose con parole diverse, tipicamente questo gli antropo-fenomenologi, ma occorre dire che si tratta di una splendida tautologia, che non lascia al punto di prima, ma arricchisce il fenomeno al di là della relazione causa-affetto, che viene di solito trascurata.
Questo psichiatra tende a non seguire guidelines e protocolli, il che è abbastanza ovvio per ciò che si è detto sopra ed è orgogliosamente, forse un po’ troppo, inadatto a rating scales, a cui non può credere per natura sua, trattandosi di numerizzazione della metafora, e quindi dell’incommensurabile: ne consegue che egli non recepisce i controlled trias.
Ne consegue anche che usa i farmaci secondo la propria personale esperienza, ed in questo è ostinato, il che mette in rilievo luci ed ombre nella sua terapia farmacologia, eseguita con tradizionalismo e ripetitività eccessive. Egli non crede alla psicoterapia, se non come generico appoggio o intervento umano, autorevole, tranquillante, a volte fascinoso, ma non tecnico. A questo punto il lettore attento avrà notato una contraddizione, dato che ho citato Freud: ma il Freud narratore non è il Freud psicoanalista, che ritroveremo in un’altra specie, così come è stato citato Kraepelin, che ha aspetti narrativi ma appartiene, come vedremo, ad un altro gruppo.
Questa specie di psichiatra è antico, ma non tramontato: serpeggia nella psichiatria di ogni paese e giunge fino ai nostri giorni, e fa capolino spesso tra gli psichiatri d’oggi. Esempio di questa specie, classicamente, De Clérambauld, e gli antropo-fenomenologi, tra cui, luminoso, Binswanger.
Lo psichiatra positivista-linneiano. L’aggiunta linneiano è necessaria, per non pensare che il suo positivismo sia quello di Comte e Darwin: egli è un accurato, razionale, rigoroso classificatore, che col suo metodo ha contribuito a far ordine ed a dare un senso più preciso, che lo psichiatra narratore non poteva dare, alla nosologia: in questo senso egli è il creatore della psichiatria come viene intesa oggi.
Egli prende da Linneo, e dal positivismo, la classificazione per assemblaggio di caratteristiche similari e opposte (alterazioni affettive, alterazioni cognitive; episodicità o intermittenza, continuità senza guarigione; alterazione della coscienza, coscienza lucida), diremmo una modalità categoriale che gli dà frutti straordinari nella previsione evolutiva. Con ciò egli si ritiene un positivista, uno scienziato rigoroso, mentre è un rigoroso classificatore: le idee gli vengono dalla sua parte narrativa, se la possiede. Da questo rigore classificatorio-descrittivo egli recupera la sua sicurezza.
Sa descrivere, ma a differenza della prima specie, non va in profondità, e descrive per sommi capi i fenomeni, senza approfondirli. Ne consegue che egli tende a tradurre ogni evento
comportamentale in fenomeni, in terminologia semeiotica, come dire che non elabora, ma dà il titolo agli eventi, ed è quindi in difficoltà con i vissuti. La sua nosologia è ancorata solidamente ai grandi precedenti, Kraepelin, Bumke, Leonhard, Weitbrecht, ma con una certa facilità si autonomizza e diventa personale e difficile da utilizzare per confronti statistici o per comunicazioni a distanza. Anche perché tende a raggruppare i pazienti in grandi categorie: nevrosi (notevoli le sue difficoltà ad accettare la dissoluzione del termine), psicosi, manische-depressive Irresein, schizofrenia, ossessioni, fobie. In realtà egli tende al concetto di Einheit Psichose, dato che l’idea di unicità della psicosi, per la genericità dei sintomi psicotici, alla fine fa capolino. Categorizza la personalità in modo non sistematico, sulla base cioè di un principio teorico, ma in modo descrittivo e generalmente statistico, anche se fa uso di una statistica interna, più che di una statistica matematica: preferisce, insomma, nel classificare personalità e caratteri, K. Schneider piuttosto che Kretschmer, o Jung o Freud.
Egli non può che servirsi degli psicofarmaci, né potrebbe far altro dato il forte scetticismo che ha di solito verso la psicoterapia, ma non crede a fondo nei farmaci, né si muove bene nei complessi schemi teorici della farmacodinamica e della farmacocinetica, e vede le teorie recettoriali come rispettabili, ma vagamente fuori della sua portata.
I suoi lavori non vengono di solito accettati dall’Am. J. Psychiatry ed il suo impact factor è mediamente assai basso. Va da sé che il grande prototipo di questa categoria è Kraepelin, anche se nel fondatore, abbiamo visto, si ritrovano qualità narrative straordinarie.
Lo psichiatra economico-positivo o positivista classico. Qui dobbiamo attenderci qualche sorpresa. La sicurezza dello statuto scientifico viene qui ricuperata dall’autorevolezza senza fine che la cosiddetta scienza positiva tende ad avere, ancora oggi. L’aderenza a questa risolve l’identità incerta dello psichiatra. All’inizio questa tendenza si basava sui principi economici dell’equilibrio tra le forze, e sull’autorità immensa che avevano Mendelejeff e Darwin, creatori delle più straordinarie ed efficaci teorie scientifiche. Ci ricordiamo i tentativi Freudiani di costruire una sorta di tavola di Mendelejeff per la psiche (7), che avesse la stessa semplicità concettuale e la stessa sicurezza e infallibilità nel meccanismo applicativo, e l’altrettanta immensa autorità della paleontologia agli inizi del novecento.
La grande vicinanza alla clinica, alla fisica, tranquillizzava lo psichiatra, un po’ come, per tutt’altra via, oggi.
Da questo nasce la prima sorpresa: è qui che si situa Freud come psichiatra, anche se per altri versi viene presentato come decadentista, perché in realtà egli ha sempre avuto in mente rapporti di causa-effetto, equilibri tra forze e controforze, ed è sempre vissuto in attesa che alle sue metafore (libido, lavoro del sogno, sublimazione) si sostituissero entità fisiche.
Questo psichiatra appartiene alla specie (ricordo sempre il riferimento biologico e darwiniano del termine) di quelli che ritengono che i sintomi nascano dal rapporto di forze e controforze: Abwehrneuropsychosen, neuropsicosi di difesa. Una forza spinge e si misura con la sua inaccettabilità, e controforze difensive la maneggiano e la modificano a creare il sintomo: per questo motivo il sintomo contiene un messaggio, vuol dire qualcosa, a differenza di ciò che accade di solito in medicina, ove il sintomo ha una causa, ma non un significato. Con un banale esempio per questo psichiatra l’impotenza si traduce in un non ti voglio inaccettabile, o una fobia per le armi in un impulso aggressivo impercorribile.
Per poter dir ciò, egli deve essere convinto che le forze determinanti provengano dall’inconscio, e cioè deve credere che tutti i funzionamenti, al di fuori dell’organizzazione cosciente della memoria e della coscienza dell’Io, abbiano una loro costruzione sintattica, anche se prelinguistica, atta ad intervenire nel comportamento cosciente, a dispetto dell’Io. Estende quindi molto la psiche, ma sempre secondo regole dinamiche ed economiche, aderendo quindi alle scienze positive. Ricordiamo ancora una volta l’uso delle metafore da parte di Freud, quasi sempre prese dalla fisica (lavoro come forza per spostamento, sublimazione come passaggio di stato saltando quello intermedio, libido come differenza di potenziale). E’ quindi fiducioso che la consapevolezza, a diversi livelli, coscienza di sé, insight ed altri aspetti, possano risolvere i sintomi e le turbe di personalità. Ed è convinto che esistano eventi interni, comuni a tutti per l’unicità del contesto familiare, e validi per tutti, che determinano ai livelli più profondi i comportamenti dai più elementari ai più articolati (per gli psicoanalisti l’Edipo).
In realtà è convinto che esista un substrato unitario di tutta l’impalcatura teorica, e che potrebbe essere una biologia del complesso, forse anche irraggiungibile.
Questo psichiatra è, come ovvio, poco interessato alla nosologia ed a tutto ciò che si intende oggi come evidence based, e quando è costretto a prenderlo in considerazione, lo fa controvoglia ed a malincuore: così come a malincuore, costretto dalle esigenze dei fatti, usa gli psicofarmaci, e li usa per sommi capi,antidepressivi,antipsicotici ed ansiolitici, secondo questi tre capoversi con poche distinzioni. Predilige la psicoterapia, dato che si situa di solito nell’area psicoanalitica o è sostenitore della psicoanalisi, o si situa in qualche area ad essa circostante.
Può far ricerca, secondo i suoi criteri, sui singoli casi, ma non può, per motivi interni alla sua posizione, sempre che sia coerente, elaborarli statisticamente: niente controlled trial dunque, ed il suo impact factor è tra i più bassi.
Il riferimento fondamentale, il capostipite, è naturalmente Sigmund Freud, certo nel suo primo modo, quello, per intenderci, del Progetto per una psicologia (8) fino a Lutto e melancolia e Inibizione sintomo e angoscia.
Psichiatra positivista moderno. Da preferire questo termine a quello di neopositivista, per non provocare il corrucciato scontento, il winter of our discontent dei filosofi.
Anche qui domina il profondo, o l’inconscio, ma non solo e non sempre. Prendono campo il concetto di modello mentale, idea che accomuna una parte di psicoanalisi, sicuramente Freud dell’ultimo periodo (dopo Lutto e Melanconia) e la psicoanalisi più recente, dalla teoria dell’oggetto, al concetto di percezione dell’oggetto, fino al cognitivismo ed alla reflessologia in diverse diramazioni. Viene tralasciata la dimensione economica, dell’equilibrio tra forze e controforze, le pulsioni sono più trascurate, tutto si muove ad un livello più razionale, cognitivo e riducibile ad uno schema. Rispetto alla specie precedente non crede nell’interpretazione, nel senso del retelling (anche se si professa psicoanalista), ma semmai nel remaking (nel riferimento delle situazioni emotive) o nel chiarimento.
Sono dunque per lui rilevanti i modelli ed i condizionamenti,e la sicurezza dello statuto scientifico viene recuperata sposando la tesi generale del relativismo socio biologico.
La malattia per lui ha in sintesi la sua origine in rappresentazioni mentali distorte o, se si vuole usare un altro termine, in oggetti interni deformati:proprio questi modelli mentali errati o male strutturati si inseriscono nei vissuti e nei comportamenti determinando i sintomi, agendo indirettamente dalla via delle rappresentazioni inconsce,o sempre a portata della coscienza, anche se talora occulte e mascherate, il che non vuol dire, come ovvio, inconsce. Ecco perché questo psichiatra si professa psicoanalista, ma seguace di teorie moderne e prendendo le distanze con un certo sussiego da Freud e M. Klein, considerati depassés, oppure comportamentista nelle varie accezioni, cognitivista, cognitivo-comportamentale, behaviorista. La nosologia non è da lui rifiutata ma è in qualche modo tangenziale, e si raggruppa in grandi e generiche categorie, vedi il trattamento che spesso i cognitivisti fanno dell’ossessione, e che altrettanto spesso gli psicoanalisti fanno della psicosi, come nel caso del concetto di psicosi simbiotica.
Questo psichiatra usa a malincuore gli psicofarmaci, anche perché non è raro che abbia grande fiducia nella capacità terapeutica dei suoi strumenti specifici, il che lo porta talora ad essere indotto a presentare i dati con modalità preconcette e con intenso e talora ingenuo ottimismo. La psicoterapia è usata, come ovvio, intensamente e principalmente, da alcuni con intenti di uncovering, o se si preferisce di insight, da altri con intenti di cambiamento: in ogni caso le istanze pedagogiche sono preponderanti e l’intervento mantiene sempre una allure educativa, anche se questa dimensione viene riconosciuta con qualche difficoltà.
Una certa impressione di appartenere a gruppi specifici, ben individuati e ben nominabili attira verso questa, ed influenza parecchi psichiatri in cerca di identità. La ricerca qui si muove in ambiti molto specifici e ristretti, non però propriamente nell’ambito scientifico convenzionale: ne conseguono una non rilevante visibilità se non nelle riviste e nelle pubblicazioni ad hoc, ed un impact factor di scarso rilievo.
Per citare nomi fondanti di questa specie, possiamo ricordare i grandi, da Pavlov ad Eysenck, a Bowlby fino a Fairbairn.
Lo psichiatra tendenzialmente farmacologo o neurobiologo. Meglio sarebbe chiamarlo lo psichiatra nell’era farmacologia o neurobiologica. Di fatto, anche quando lo sembra, uno psichiatra non è mai un farmacologo e un neurobiologo, dato che glielo impedisce la sua attività fondante che è la clinica: in genere egli, con maggiore o minore competenza, si rappresenta schemi o informazioni neurobiologiche di seconda mano, talora precise ma mai conosciute in prima persona, spesso addirittura di origini divulgative. Uno psichiatra che parla di ricettori quasi mai ha in mente un iter sperimentale che gli permetta di evidenziare nel concreto un ricettore e di fare una distinzione tra essi. Ne ha letto, anche con grande accuratezza, ma non vi ha mai posto mano: di fatto, quindi, non ha chiaro il complesso iter di passaggio tra ipotesi, sperimentazione e modello che il ricercatore ha invece evidente, e che gli fa aver sempre di fronte la natura evocativa, come se, e in definitiva pittorica e rappresentativa delle figure che proietta nelle slides: per lo psichiatra queste sono realtà inconfutabili proprio perché non ne ha seguito l’iter costitutivo.
La identità insicura è però profondamente e solidamente medicata dal modello neurochimico e neurofisiologico d’importazione, uno dei più solidi ed accettati del giorno d’oggi. L’insicurezza dello statuto scientifico è ampiamente recuperata da schemi, nella loro semplicità, precisi ed immediatamente credibili, appunto per la loro secchezza ed elementarità, e soprattutto facilmente comprensibili, anche perché sostenuti da visualizzazioni molto impressionistiche (vedi la PET), di cui lo psichiatra perde facilmente il senso dell’ipotetico rapporto tra immagine e significato della medesima. La semplicità, per esempio, dello schema mediatori-recettori è emblematica, e lo psichiatra ricerca in breve a superare il paradosso del sistema passe-partout, per cui lo stesso schema riesce a spiegare cliniche così diverse.
Ma l’aderenza ad una metodologia scientifica così formidabile come la neurochimica è salutare per uno statuto debole, e riesce a far superare la considerazione che gli studi farmacologici passano assai spesso dalla serendipity alla teoria binaria mediatori-recettori, risultandone quindi alla fine, considerazioni ex-adjuvantibus.
Costui ha dunque in mente, in modo prevalente, la connessione tra psicopatologia e comportamento anomalo (in genere i vissuti non sono un suo problema importante) e schemi biologici semplici: il sistema mediatori-recettori. La complicazione nasce dalla meticolosa corrispondenza tra i tre fattori, sintomi, azione dei farmaci e tipo di recettori, stimolo e blocco differenziato degli stessi. Questa complicazione apparente, che nasce da un puzzle di elementi schematici, ormai lontani dalla sperimentalità che ha dato loro origine, è, per lo psichiatra, una sorta di razionalizzazione tomistica di una realtà virtuale, ma adatta a rafforzare la frase cruciale è scientificamente provato.
Egli è interessato alla nosologia, ma soltanto in apparenza, dato che i veri riferimenti diagnostici e le costruzioni categoriche sono in realtà derivati à rebours, ex adjuvantibus (vedi lo shunt DOC — disturbi dell’umore). Molte categorie nascono per lui ex novo dai dati farmacologici (vedi ADHD).
Ne consegue che, pur seguendo con accuratezza il DSM nelle sue edizioni ultime, in realtà sembra non averne afferrato bene il carattere convenzionale, statistico, strumentale di uno strumento, appunto, nato da questionari e costruito per items, nonostante gli avvertimenti clamorosi degli estensori del DSM. Per esempio sembra gli sfugga che Disturbo sottosoglia non ha un originario ed originale significato psicopatologico, ma significa solo numero di items insufficienti a raggiungere la convenzione.
E’ ovvio che questa specie psichiatrica curi con psicofarmaci, ed in linea di massima in modo competente, differenziato e preciso, e dimostri buona conoscenza e ampia visuale in questo campo. La psicoterapia è vista con sufficienza, distacco e scetticismo: è in genere sostituita da buoni consigli e buon senso, o meglio senso comune: per questo con riferimento teorico ha lo schema della interpersonal psychotherapy.
Le sue ricerche sono ineccepibili per le riviste correnti importanti: i suoi lavori sono in genere bene accetti all’Am. J. Psychiatry, perché si situano all’interno delle convenzioni scientifiche odierne, e non si scostano dal rimescolamento di dati già accreditati, con metodologia che segue lo schema accettabile. I referees confrontano questi lavori con le loro guidolines editoriali e li trovano spesso irreprensibili. La ricerca è assai di frequente del tipo farmaco Vs. farmaco Y, in genere molto corretta e prevedibile e risulta ineccepibile. Le sue slides sono spesso illeggibili dalla audience e riempiono di soporifera noia i congressi. E’ specialista nello schema della ricerca controllata e quindi ha un impact factor decisamente più alto rispetto al resto degli psichiatri, anche se un po’ più basso del resto della ricerca medica, e decisamente più basso di quella biologica. Non c’è bisogno di indicare prototipi, ognuno può scegliere chi vuole, non gli mancheranno esempi.
Lo psichiatra iperdiagnosta, che potrebbe anche definirsi psichiatra delle convergenze di gruppi differenti (spettri), o della divergenza dei simili (le diagnosi doppie, multiple, multiassiali). Recupera la ricercata sicurezza scientifica dalla moltiplicazione categoriale e dalla convenzione solida e universalmente accettata: in altre parole è il miglior caso per rappresentare lo psichiatra perfetto di Elias Canetti, di cui si è parlato (9). Tende ad accettare senza riserve, anche se si sforza di mantenersi critico, il dato consolidato da un libro, che egli non considera il prodotto di una onesta ma pur sempre discutibile ricerca di un gruppo di lavoro, ma una sorte di testo di riferimento senza il quale la diagnosi non è valida, aiutato dal fatto che difficilmente le accreditate riviste internazionali accetterebbero un lavoro senza la diagnosi del DSM.
Ciò non esclude che critichi sussiegosamente il DSM, trattando con poca generosità il piatto dove mangia.
Questo basarsi sul libro, pur non essendo privo di effetti comici, rilevati appunto da Elias Canetti, in questi tentativi di inserire tutta la realtà psichiatrica sugli schemi preformati, che fanno venire in mente le gags in cui il comico tenta di riempire una valigia che non riesce poi a chiudere, tuttavia è un potente accreditatore di scientificità, riferendosi sempre ad una legittimazione esterna: si fonda su un criterio categoriale, un ritorno a Linneo ma attraverso non dati naturalistici, e non statistici, come il numero di ali per i ditteri, e le otto zampe per gli aracnidi, ma convenzionali, e la rigidità del sistema e la possibilità di moltiplicazione categoriale lo rassicura sulla scientificità.
Dunque questo moderno psichiatra segue l’ultimo manuale dell’American Psychiatric Association e lo considera un trattato. Ciò che si pone fuori di esso tende ad essere scotomizzato, o ignorato o, se si preferisce, negato: è familiare con termini come spettro, doppia diagnosi e diagnosi multipla, anche se a lungo andare tende a stancarsi e ad essiccarsi, e quindi le diagnosi tendono a ridursi a poche, preferenziali e ripetitive, e si ha il facile fenomeno della banalizzazione diagnostica: aumenta l’uso di termini come borderline, doppia diagnosi, bipolare, disturbo delirante, mentre termini come schizofrenia ebefrenica o catatonica si riducono, e nessuno di questi psichiatri parlerà mai di erotomania di De Clérambault o di delirio dei falsi riconoscimenti di Sérieux e Capgras, dato la fuga dell’eponimo, eponimo che quando rimane viene anch’esso rimpicciolito e banalizzato, come Gilles de la Tourette che diventa per il DSM IV TR un borghesissimo Tourette.
Questo serve solo, qui, a rendere l’idea delle tendenze banalizzanti di questo psichiatra: l’ipotesi di base rimarrebbe quella genericamente neurobiologica, ma molto lontana, molto di più che quella delle specie precedenti, anche perché il DSM si professa a gran voce ateoretico.
Lo psichiatra di cui si ragiona cura con psicofarmaci, senza eccessiva precisione, in modo abbastanza empirico, anche se si fida, almeno in modo generico, delle ricerche controllate, ma è quello che più frequentemente cura per apposizione e accumulo di prescrizioni.
E’ ovvio che, data la genericità dell’impostazione, non ha in mente un tipo specifico di psicoterapia, o di teoria della tecnica, o semplicemente di tecnica psicoterapeutica consistente, ma privilegia la interpersonal psychotherapy che, pur nella sua genericità, egli tende a delegare ad altri.
La sua ricerca è simile alla specie precedente, ma in genere più debole, sul versante statistico-farmacologico, anche se è spesso, del tutto inconsapevolmente, molto sensibile e malleabile rispetto alle esigenze esterne della ricerca, il che può limitare la credibilità, ma non danneggia il suo impact factor, che tende ad essere non disprezzabile.
I prototipi e i rappresentanti illustri di questa specie sono moltissimi, e si potrebbero citare i membri della Task force del DSM, anche se questa psichiatria attira fortemente i più giovani, per un certo grado di facilitazione e di agevolezza che produce, data la linearità e la semplicità dei suoi assunti.
Lo psichiatra socio-organizzatore o dimissionario. Le due cose sono strettamente connesse, ma qui occorre subito intenderci. Il termine dimissionario non contiene ombreggiature negative, ma indica solo che l’intenso e quasi esclusivo interesse per gli aspetti socio-organizzativi lo portano a dimettersi dalla posizione di chi si occupa di psicopatologia e clinica, che vengono trattate solo per sommi capi. Basta ascoltare questi psichiatri e ci si accorgerà che il loro problema è in realtà l’organizzazione dei servizi, che è certamente un topos di grande importanza e rilievo, nel procedere delle strutture, e può anche darsi che sia più importante di tutto il resto ma, sul piano della disciplina, nulla ha a che vedere con la psichiatria. Non ho dubbi che questo sia stato un tempo, una trentina d’anni fa quando questa specie si affermò, una reazione al troppo spiccato disinteresse degli psichiatri al come i loro pazienti, sui quali dottamente disquisivano in termini di Erleben e di Verstehenden, mangiassero, si lavassero, abitassero o venissero trattati. Le giustificazioni sono fuori di dubbio, ma rimane il fatto che queste specie, oggi, ha dato le dimissioni dalla psichiatria.
Paradossalmente questa ultima specie deriva in modo diretto dalla prima, quella dei Binswanger: l’origine di questi movimenti infatti muove proprio dalla psichiatria antropofenomenologica, ma quantum mutata ab illa!
Poggia, questo psichiatra, su una certezza attuale: l’enfasi che oggi si pone sull’organizzazione socio-economica della sanità, e quindi ha una sua via per recuperare la sicurezza e l’identità, che è quella di dimissionarsi appunto dalla psichiatria, fonte di incertezza e poggiante, come ormai siamo abituati a vedere, su uno statuto debole per rivolgersi all’organizzazione sociale, che non fornisce statuto propriamente scientifico, ma offre solide basi, universalmente e per ampio accordo accettate, di tipo sociologico o per certi versi politico sociale.
Lo psichiatra di questa specie è dunque scarsamente interessato alla psicopatologia ed alla psichiatria come disciplina in sé, e tende invece ad occuparsi di aspetti sociali ed organizzazione dei servizi, budget, strutture, spesso operazioni o posizioni sindacali, ha molte correlazioni con amministratori e politici, ed ha egli stesso in mente che occorre sviluppare una politica. Sa bene, d’altra parte, che nelle posizioni di carriera, sarà scelto con criteri abbastanza lontani dalla psichiatria.
E’ un discreto, talora buono, dirigente amministrativo, cosa che le altre specie di psichiatri non sono mai, per la contraddizion che nol consente. Di fatto, tende a ritrarsi dal contatto col malato, che in linea di massima lo mette a disagio come individuo, al di fuori del funzionamento generale delle strutture. Ha spesso in mente che egli organizza il servizio, altri si dovrebbero interessare del malato. Come vedremo, la nosologia psichiatrica gli interessa per motivi genericamente statistici ed epidemiologici, venendo quindi ad avere molto in comune con la specie iperdiagnosta, che storicamente è più o meno a lui contemporanea.
Cura con farmaci, anch’egli, come il precedente, per apposizione, e tende, paradossalmente rispetto alle convinzioni originarie, ad usare dosaggi eccessivi. La sua farmacoterapia è in genere ripetitiva e schematica.
Non ha problemi sulla psicoterapia, che in genere viene consigliata, e talora, anche se non spesso, praticata di persona, ed ogni psicoterapia, ogni tecnica è accettabile, semprechè rientri e faccia corpo con concetti come equipe, struttura, comunità, e possa fare riferimento ad una articolazione nel servizio: certamente vengono preferite le terapie di gruppo, e tendono ad essere da lui chiamati psicoterapie tutti i tipi di tecniche di workshop, artistiche, ergoterapiche, purchè comunitarie e di intento riabilitativo. La riabilitazione è per lui una via privilegiata ed un concetto maestro.
Egli ha una certa tendenza, dato il suo sottile istinto burocratico, a seguire guidelines e protocolli, che conferiscono al suo procedere alcuni aspetti di arcigna ed anelastica rigorosità, che egli considera scientifica, ed è coinvolto dalla parola evidence che estrae dal significato lessicale di prova convenzionale ottenuta in un contesto accreditato per consenso di un gruppo, e fa diventare evidenza con scarso rispetto per la esattezza della traduzione. Le sue ricerche sono di solito statistico-epidemiologiche, né potrebbe essere altrimenti, ma qui si rileva una divergenza: da un lato l’epidemiologo che riveste di una arcigna serietà la ricerca, dall’altro le ricerche epidemiologiche e statistiche generiche, in genere tautologiche e superflue; il primo tipo pubblica facilmente su riviste accreditate, il secondo si rifugia su riviste locali, ma l’impact factor è in genere mediamente basso.
Si può aggiungere che per motivi burocratici ha una impostazione nosologica generica, anche dato che non ha una teoria di base, poiché le sue concezioni sociologiche, organizzative e politiche sono troppo generiche per costruire una teoria, ed è spesso affetto da un rilevante provincialismo, almeno nel nostro paese, che si evince dal fatto che parla di DSM intendendo il Dipartimento di Salute Mentale senza accorgersi che un passo fuori dalla frontiera produrrebbe un equivoco terminologico senza riparo.
Non varrà la pena ch’io esemplifichi con personaggi rappresentativi questa specie: una elevata percentuale degli psichiatri italiani d’oggi appartiene a questa specie.
La mia rassegna ha usato il termine specie, perché voleva tener fede alla metafora evoluzionistica da cui sono partito: siamo passati dalla specie più antica alle specie più nuove, ovviamente con molte embricature e sovrapposizioni temporali. Come si conviene all’evoluzione, questa è stata legata alle variazioni nelle specie nel tentativo di adattarsi alle variazioni ambientali, avendo come fine la sopravvivenza della specie stessa, che qui consiste nel procurarsi uno statuto scientifico credibile e sufficientemente solido. Vero è che le specie possono anche estinguersi, anzi sembra che quelle che si sono estinte siano la gran maggioranza (10): e la fine della psichiatria è possibile, e corrisponderebbe alla sua sostituzione con una neurologia con sintomi mentali, in cui lo studio, l’approfondimento, il chiarimento dei fenomeni della mente non avrebbe più importanza, come ha una importanza relativa ai fini neurologici l’emozione che ha un emiplegico nel non poter più muovere l’emilato.
Ma come tutte le evoluzioni, queste non avvengono tout court con la fine di una specie e la comparsa di un’altra. Queste sette specie, o subspecie, di psichiatri, si potranno, dalle più antiche alle più moderne, trovare ancora tutte esistenti, una accanto all’altra, più o meno in evidenza, alcune quasi estinte, altre fiorenti, ed i caratteri di una specie potranno sopravvivere nell’altra: questa non è una diagnosi per items.
Nella mia disamina, i colleghi potranno ritrovarsi, alcuni lusingandosene, altri dispiacendosene. Non me ne vogliano. Soprattutto alcuni non si ritroveranno, e reperiranno pezzi di loro in una specie e nell’altra: è giusto così, alla fine ciò che ho raggiunto è uno schema, come dire un modello mentre, come sempre, i casi di passaggio, le sovrapposizioni, le embricature, stavo per dire, absit iniuria, le doppie diagnosi sono la regola. Un po’ di ironia, vi prego! Anzi:
Un po’ di religione, miei signori,
Si beva in casa, ma si mangi fuori!
Una cosa però, si può aggiungere a mo’ di conclusione: il nostro, mi pare il mestiere più bello del mondo: continuamente immersi in narrative, ricostruzioni di storie, interpretazioni degli altri a confronto colle nostre; una lettura continua del mondo, nella coartazione e nella espansione, nell’incomprensibile e nel fin troppo chiaro; sempre a contatto con la biologia da un lato, con la letteratura dall’altro. Non c’è tempo per la noia: chi non sente questo, ha di fronte il compito insopportabile di occuparsi dei mali e delle lamentele dell’altro, e il mestiere diventerà gravissimo. Faremo nostra la nota di Freud (11), sull’avviso Chi tocca muore che con semplicità e immediatezza indica, nelle ferrovie italiane, il destino di chi non pone abbastanza attenzione.
Forse non c’è bisogno di inseguire statuti ineccepibili che ci diano sicurezza, e non c’è bisogno di cercarli e di adattarsi: l’attrezzatura dello psichiatra è una attrezzatura mentale, di per sé specifica e non comune, che fa sua la sofferenza, la tollera perché la elabora e la racconta, ricostruisce la trama (12) di una vita interiore fratturata, fornendo idee, narrative, teorie, conoscenze biologiche, sociologiche, letterarie. Basta ed avanza.
BIBLIOGRAFIA
1. Rossi R.: Commento a Rileggendo Minkowsky. Milano, Excerpta Medica, Elsevier Italia, 2004.
2. Minkowsky E.: Fondamenti e orientamento della psicopatologia contemporanea. Parte 1, 2. Milano, Excerpta Medica, Elsevier Italia, 2004.
3. De Balzac H.: La ricerca dell’assoluto. Milano, Garzanti, 1984 (trad. A. Zanrotto) e La donna di trent’anni. Roma, Casini, 1952 (trad. G. Tornabuoni).
4. Mayr E.: Un lungo ragionamento. Genesi e sviluppo del pensiero darwiniano. Torino, Bollati Boringhieri, 1994.
5. Minkowsky E.: Luogo citato. Parte 3.
6. Tobino M.: La passeggiata. In Sulla spiaggia e al di là del molo. Milano, Mondadori, 1978.
7. Rossi R.: Una tavola di Mendelejeff per la psiche. Quad. It. Di Psichiatria.
8. Freud S. (1895): Progetto per una Psicologia. Opere S.F. Vol. 2. Torino, Boringhieri, 1966.
9. Canetti E.: Autodafé. Milano, Garzanti, 1987 (trad. L. e B. Zaragi).
10. Raup D.M.: L’estinzione. Torino, Einaudi, 1994.
11. Freud S. (1926): Il problema dell’analisi condotta dai non medici. Opere S.F. Vol. 10. Torino, Boringhieri, 1966.
12. Brooks P.: Trame. Intenzionalità e progetto nel discorso narrativo. Torino, Einaudi, 2000.
Avvertenza: molte citazioni, che si susseguono di comune lettura e di conoscenza generale per lo psichiatra, non sono state riportate in bibliografia, per non incorrere nella curiosa abitudine di fare citazioni come questa: Omero, Iliade (836 a.C.), Mondadori, Milano.
Solo quando viene citato un passo lungo e articolato, si riporta in bibliografia per comodità del lettore.
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